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Autore: ClodiaSpirit_    15/09/2019    1 recensioni
- Si alzò in piedi, insieme all’onda del pubblico coinvolto dall’esibizione, applaudendo.                                                                                                                                     
[...]  Nonostante quello sguardo fosse lontano, Alec poté indovinare che erano diversi rispetto a quelli che aveva visto tante volte. -
Alec è un ragazzo intelligente, giovane, eppure gli manca qualcosa di fondamentale: vivere.
Ma cosa succede quando Alec comincia a fuggire e a rintanarsi a Panshanger Park, durante uno spettacolo dato dal circo? E soprattutto, chi è l'acrobata che si cela e cerca dietro tutti quei volti?
Cosa succede quando due mondi opposti ma simili per esperienze di vita si incontrano?
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Here I am, dopo un anno e più ritorno.
Eh lo so, non ho scuse - tranne forse che per uni, impegni e altro,
non mi sono più ritrovata il tempo per pubblicare i capitoli pronti che avevo già scritto.
L'idea, è più o meno questa: pubblicherò i capitoli pronti che avevo nascosti
nel mio asso della manica (that's not funny, I tried)
Pubblicherò recentemente, ma non so dove mi fermerò, in tal caso,
ci risentiremo *spero* il più presto possibile.
Vi consiglio di andare a ritroso se non ricordate
con chiarezza ciò che era successo fino ad adesso.
Grazie e scusate ancora.






L’attimo.

Carpe diem.

Cos’è in fondo l’attimo in sé e per sé?

C’è chi lo definisce un battito di ciglia, chi lo ritiene ancora più fugace, come una colomba che spicca il volo e sa che dovrà avanzare in fretta prima che arrivi l’imbrunire.

E chi invece, lo rivive in pochi secondi e lo afferra di continuo.

 

L’attimo che era scattato dentro il tendone da circo, tagliava l’aria, sfumava la brezza e tirava su le nuvole. Due figure si trovavano al centro, pronte a riviverlo o a bloccarlo - o entrambe le cose. Magnus e Alec si trovarono sospesi in quel limbo. Nessuno dei due parlava.
Forse era difficile trovare qualche parola per descrivere cosa entrambi stessero effettivamente provando in quel momento, forse era così che ci si doveva sentire o no?
Magnus guardava quegli occhi da cerbiatto e sentiva di aver appena scoperto qualcosa che nemmeno lui riusciva a vedere.
Quante volte ci si trovava davanti qualcosa, forse per metà della propria vita e lo si guardava davvero, per la prima volta, quando ci andava a sbattere irrimediabilmente contro.
Alec d’altro canto, sembrava voler dire qualcosa, l’altro poteva capirlo semplicemente da come gli si increspavano le labbra, due piccoli solchi giusto lì, alla fine del contorno.
« Magnus » esclamò piano, mentre lentamente la sua mano gli sfiorava il palmo. L’altro lo lasciò fare.
In fondo, era così bello sentire ancora il suo contatto, anche se non si stavano più baciando. Le sue dita erano lunghe e affusolate, eleganti, come quelle che venivano descritte banalmente nei romanzi « Io-» qualcosa vibrò a pochi metri di lontananza, portando entrambi ad alzare lo sguardo verso la fonte in questione: una musica leggera proveniva da un aggeggio infernale.
Alec sospirò, la bocca aperta. Un’occhiata riuscì a far capire precisamente che se, da un lato avrebbe voluto lasciarlo squillare, l’altra si plasmava su un incertezza più che evidente.
Magnus annuì, limitandosi a sorridere, così che Alec ruppe mal volentieri il contatto, raggiungendo il piccolo zaino che aveva posato a terra, appena entrato. Lo aprì e schiacciò l’icona verde per rispondere alla chiamata.
Magnus nel frattempo si trovò a ciondolare, quasi piroettare, oscillare intorno, lanciando qualche occhiata al peso abbandonato in un angolo. Forse avrebbe dovuto raccoglierlo ed evitare che qualcuno entrando, ci inciampasse sopra. O che senza mai ci avesse provato, salendo su, trovandosi impossibilitato a scendere.
Sorrise stupidamente.
Un semplice pesetto da allenamento aveva causato la cosa più bella che sarebbe potuta capitare quel giorno. Si voltò verso Alec: il ragazzo teneva il telefono stretto all’orecchio, parlava e sembrava... illuminarsi mentre lo faceva, lo sguardo però puntato di sottecchi verso l’altro. Il circense ne seguiva la forma dritta e la punta rotonda del naso, la forma della bocca che si allargava con la dentatura regolare e il mento che spiccava, ora di profilo. Sbirciava la sua figura alta, i capelli che non amava - a quanto aveva ormai capito - tenere neanche un minimo in ordine. Gli sembrava di descrivere accuratamente ciò che vedeva e contemporaneamente, come se gli sfuggisse continuamente qualcosa.
« Okay, » Alec mormorò entusiasta « sì, sì sono lì tra un paio di minuti... dipende tutto dal bus, » abbozzò una smorfia per poi sorridere « Izzy, » pronunciò, lasciando una certa vena di curiosità alla figura a poca distanza che lo stava ascoltando « Sì, certo che voglio vederti, tra poco sarò lì » e concludendo la conversazione, riagganciò. Alec si infilò l’apparecchio nella tasca, si riavvicinò subito dopo, un braccio che si piegava, per portarsi la mano dietro la nuca.
« Era mia sorella, » disse « ha trovato un volo all’ ultimo secondo e ha deciso di venire a trovarci, » Magnus lo vide perfettamente dentro quel quadro di famiglia, con Isabelle, una sorella forse più estroversa, loquace, ma non di bellezza inferiore « Adesso è a casa, ad aspettarmi » terminò. L’ultima volta che aveva visto sua sorella, erano passati tanti di quei mesi che ormai non lo ricordava nemmeno più. Il suo tempismo era perfetto, aveva proprio spaccato il secondo.
Alec però si trasformò da lì a poco, consapevole di quello che voleva dire. Aprì la bocca per poter dire altro.
« Magnus, i-io- » cercò di spiegarsi.
Magnus gli portò una mano, il palmo aperto sul petto e con fare sereno, sorprendendo addirittura sé stesso, lo fermò subito.
« Capisco » annuì, la consapevolezza che Alec avesse qualcun altro con cui parlare, a cui aprirsi. Tra l’altro, se per lui c’era Candice e la compagnia, per Alec c’era sempre stata sua sorella. « Vai » sussurrò.
Alec si morse il labbro inferiore, tentennando, Magnus era così vicino e quello che era appena successo era qualcosa di cui dovere necessariamente parlare.
Alec lo attirò a sé e lo baciò per qualche secondo, sentendo quanto questa volta entrambi fossero più rilassati e calmi, ma sempre curiosi di studiarsi.
Magnus chiuse gli occhi, come in stato di estasi, quando si staccarono.
« Ti mando un messaggio, appena arrivo » gli soffiò sulle labbra, spostando lo sguardo continuamente da quelle ai suoi occhi.
Magnus non rispose. Alec si diresse fuori, arrivando ad aprire uno dei lembi del telo, si girò prima di uscire.
« Vai, » Magnus disse piano « Tua sorella ti aspetta » sorrise.

 

 

 


Rientrato a casa, Alec si guardò in giro.
La casa era vuota. Confuso, proseguì fino in cucina, anche quella sembrò deserta. Era strano, l'ultima volta aveva lasciato i suoi, impegnati a trincerarsi nel silenzio e a non dargli minimamente retta. Ora, si aggiungeva anche la presenza della sorella dalla cascata di capelli neri che sembrava più invisibile che presente tra quelle quattro mura. Continuò a camminare, finchp avvertì un ghigno.
Subito, ritornò alla realtà, perchè qualcosa lo toccò da dietro, non qualcosa, qualcuno.
« FRATELLONE! » gridò Isabelle dietro di lui, mentre lo abbracciava.
Alec sorrise girandosi a guardarla. Era ancora più raggiante e bella di quanto la ricordasse: si era tagliata un po’ i capelli neri, come i suoi, all’altezza delle spalle, ma stava comunque benissimo. Ogni cosa le stava bene e ogni volta più Alec la vedeva più si convinceva che fosse la seconda donna più bella della vita. La prima sarebbe rimasta la madre, per entrambi. Isabelle indossava una maglia a maniche lunghe rossa e dei pantaloni neri che le disegnavano in modo sensuale le cosce, le ginocchia terminavano con degli stivali di camoscio leggermente più chiari del suo indumento inferiore. Al collo portava la collana di perle, regalo che lui le aveva fatto il Natale scorso, quando era rientrata per le vacanze.
« Izzy » Alec la strinse a sé, lasciandosi andare nella stretta con sua sorella.
Appena si staccarono, Isabelle lo guardò meglio, radiosa, le labbra tinte di rossetto rosso vivo, il neo al di sopra di quelle e gli occhi grandi e castani, attraenti.
« Alec, sei davvero tu? » chiese mentre lo squadrava, indagando, girandogli attorno « Sembri diverso » la ragazza si portò l’ indice sul mento.
Alec la guardò in cagnesco, mentre assumeva un espressione seria ma che nascondeva comunque serenità.
« Sì, sempre lo stesso. Da 24 anni » chiarì.
Alec era più alto rispetto a Isabelle e questo si notava perché lei gli arrivava al petto.
« Sembri più...felice » sottolineò, stupita. Sorrise ampiamente, la dentatura perfettamente in ordine, le spalle dritte e l’aria di chi sospettava già la presenza di novità. Isabelle andò di nuovo in contro a suo fratello, osservandolo da più vicino « Beh, ti sta proprio bene questo sentimento addosso, devi raccontarmi un po’ di cose » ammiccò la ragazza determinata. Alec serrò le labbra, guardando il modo in cui, nonostante fosse più piccola di lui non riuscisse mai a dimostrare la sua vera età. Quel portamento, il volto maturo, quella piena sicurezza nello sguardo: una donna che sapeva il fatto suo.
« Si vede così tanto? » sbuffò il fratello.
Isabelle si limitò solo ad appoggiare la sua testa sul petto del fratello maggiore.
« Non è una brutta cosa Alec, » disse sofficemente Isabelle con quella sua voce calda « Significa che stai bene »

 

**

 

« Non ti starai rilassando troppo, Bane?» echeggiò imperiosa la voce di Dustin, imitando il tono acido del capo comico. Magnus alzò il viso, posò il cellulare accanto a sé.
« Stavo solo facendo una pausa » sospirò, i suoi piedi dondolarono in avanti, andandosi ad incrociare. Fissò le sue ciabatte viola e come avesse sfruttato l’occasione per quello che indossava quel giorno.
« Capisco, » Dustin spostò i suoi lunghi capelli e incrociò le braccia, la magli gli aderì al petto, facendola sembrare minuscola rispetto al suo fisico « e la pausa comprende forse Alec? »
Magnus adocchiò una delle sue scarpe e optò per lasciar perdere. Erano scarpe troppo belle e intatte per lanciarle contro di lui.
« Simpatico Dustin, » gli fece il verso « ma no, non stavo parlando con lui… o almeno, non ora »
Gli stava dando il suo spazio ed era giusto così. D’altra parte anche lui, per sé, aveva bisogno di pensare a cos’era successo e a ciò che conveniva fare o non fare. Era un circense, non aveva nulla da dargli, eccetto sé stesso - e tutti i suoi vestiti di scena - pensò. Quanto alle storie, ne aveva molte sì, così tante da poterci scrivere sopra, non annoiare mai. Magnus non era mai stata una persona così tanto materialista in fatto di sentimenti, però, questa volta era difficile capire quanto tutto quello che era potesse bastare. Dustin gli si sedette vicino, le mani giunte sulle ginocchia che sbucavano fuori da un paio di jeans strappati.
« Non ti sto rimproverando se è quel che pensi » chiarì portando in avanti i palmi delle mani. Magnus si girò verso di lui.
« Lo so, so che ci provi gusto qualche volta » sospirò mentre l’altro aprì i palmi della mani, scrollando le spalle.
« Sai che lo faccio perché ti voglio bene e anche perché, non mi piacciono i musoni » Magnus annuì, sorridendo appena « E so per certo, che tu non sei uno di quelli » i capelli dell’altro vibrarono tanto erano lunghi. Mentre la maglia lunga gli copriva la pelle scura di un color cachi. Dustin era più grande di lui, eppure sembravano avere la stessa età.
« Non so, Dustin… questa cosa, » il cellulare immobile sulla seduta affianco a lui sembrava un piccolo oggetto indifeso « è nuova… »
« Secondo me la stai facendo più complicata di come sembra » sottolineò scrollando le spalle. « Voglio dire Magnus Bane che ha paura suona difficile da credere »
« Tutti abbiamo paura di qualcosa »
Dustin sospirò, fissando lo spazio che li circondava. La piattaforma pronta ma vuota, l’aria di novembre che s’avvicinava per la temperatura leggermente più bassa del solito, loro due a piedi nudi sulla superficie liscia.
« Ti rivelo una cosa: non te l’ho mai detto, ma io in realtà ho paura degli oggetti appuntiti. O almeno, ce l’ho ancora, ma di meno » Magnus restò incredulo.
« Stai scherzando »
« Assolutamente no » Dustin arricciò le labbra voluminose « ho sempre temuto che le lame di coltelli o le stesse spade che uso, potessero colpirmi. Ma ne ho fatto un esercizio e di esercizio, una qualche sorta di abilità, se si può considerare tale. Ho iniziato da adolescente e ho assopito di una percentuale più piccola la mia stessa paura. Ed eccomi qui ora, » Magnus pensò attentamente ai numeri del collega, tutti che richiedessero concentrazione, pratica, anche convinzione, niente paura. Era assurdo come potesse aver paura del suo stesso strumento. « Seduto con un acrobata-aereo che sale e scende alto e rapido come un professionista, senza batter ciglio ma che si dibatte in problemi relazionali. Chi non ne ha, è davvero fortunato questo è certo, » gli regalò uno sguardo incoraggiante « il che mi ricorda molto la cotta di una che ebbi per una certa Nancie, al terzo liceo, » rabbrividì al pensiero, la sua faccia diventò plastica, rabbrividendo, come se qualcosa di viscido lo avesse toccato. La sua espressione era tanto realistica, da far ridere l’altro « Un esperienza da non ripetere » mormorò, poi ritornò serio. « Di cosa hai paura? » fu netto.
« Io non ho paura di quando uso i miei strumenti da lavoro, i tessuti… è come se fossero una seconda pelle. E mi piace portarmela addosso, è come se potessi rifugiarmici, lì sono al sicuro. E’ la mia casa, anche se non fisica.
Dustin annuì, mentre si faceva comodo, su una delle sedute. « Ma di questo…» si morse le labbra, la sincerità non aspettò oltre « temo che possa finire come le altre volte, come due anni fa forse. Semplicemente non mi aspettavo niente del genere » confessò. E in verità non si aspettava nemmeno succedesse, precisò nella sua testa. Dustin si grattò il mento con una mano, mentre l’altra si appoggiava alla spalla dell’amico.
« Non conosco Alec bene come te o del modo in cui tu possa averlo conosciuto, » mostrò dei denti bianchi, a contrasto con le labbra « ma so che persone che arrivano così, sono solo una benedizione. Per quanto riguarda J, » Magnus aveva avuto modo di raccontare a Dustin in una delle occasioni e tarde nottate - con i loro vari turni che si permettevano dopo le serate senza che Sanders venisse a saperlo - e il suo collega da quel momento in poi lo aveva chiamato solo J , perché pensava che non meritasse di avere un nome tutto suo « E’ passata, no? Il passato è sempre meglio lasciarlo da parte, altrimenti ti seguirà come un’ombra e poi, sai come si dice »
« Se vuoi rifilarmi la teoria del treno anche tu, mi dispiace ma passo » ridacchiò Magnus, pur non escludendo la logica dietro il ragionamento di Candace.
« Veramente ti avrei rifilato quello della chiusura della porta e l’apertura del portone ma va bene, » arricciò il naso mentre si faceva prendere dal buon umore « se vuoi qualcosa di meno banale e molto più diretto, posso dirti solo “buttati” »
I due colleghi nonché amici, si guardarono e bastò solo quello affinché Magnus piazzasse una mano sul ginocchio dell’altro a mo’ di ringraziamento. Magnus avrebbe voluto abbracciarlo in realtà ma Dustin lo anticipò subito dopo, rubandogli l’idea.
« Cos’è questo? Cosa ci fate lì impalati? Dustin, Magnus!» la figura di Sanders irruppe dentro l’area d’allenamento, mentre si portava i capelli come fili tesi di pali elettrici dietro in un codino sfatto « DIO MIO, » sbuffò, ticchettando con le sue scarpe « Finiamola con queste scene melense e datevi una mossa! Cristo, vi pago per LAVORARE » urlò battendo le mani in aria. I due artisti saltarono in aria mentre Sanders con il nervosismo più che la forza, lanciava uno degli oggetti di scena presenti per terra. I due si alzarono e finalmente il capo circo scaricò i suoi nervi altrove, uscendo drammaticamente dal tendone.

**


« Quindi, loro se ne sono già andati? » Alec sfiorò una delle copertine dei suoi libri con il pollice.
La camera era attraversata da un raggio di luce che dava a tutto un tocco tra l’azzurro e il grigio. L’atmosfera era molto graziosa e al contempo con un tocco malinconico. Isabelle era seduta sul letto, i piedi liberi dagli stivali e scalzi sul piumone spesso e pesante.
« Sì, prima che arrivassi tu, ero già qua da un’ora » Alec si girò a guardarla leggermente offeso, la sorella portò le mani in alto « In mia difesa non rispondevi, ti ho chiamato più di una volta, non hai controllato? » il fratello biascicò qualche parola ma senza successo. Sospirò e fece cenno di no con la testa. Isabelle gli lanciò uno sguardo tranquillo. « Era evidente che fossi impegnato in altro, » strascicò quelle due parole sulla lingua, mentre continuava « Ma comunque, avevano fretta, mi hanno detto di non preoccuparti. Soprattutto la mamma, » Alec immaginò il viso della madre mentre usciva di casa con suo padre, magari pensando a dove lui fosse stato e se fosse tornato per vedere la sorella « mi è sembrata insicura fino all’ultimo istante, le ho detto di stare tranquilla… sia per lei che per te, Alec. E’ assurdo, sei pur sempre più grande di me... Loro staranno via per qualche giorno per trovare un esperto in... ecco.. » Isabelle non sapeva come dirlo senza ferire il fratello.
« Un divorzista » concluse Alec terminando la frase. Isabelle lo guardò teneramente dispiaciuta, le mani in grembo. Le sue unghie erano di un colore leggero, sul naturale.
« Hanno valutato che il professionista che avrebbe dovuto aiutarli qua, aveva già la lista d’appuntamenti piena fino alla settimana prossima e così, si sono organizzati con un altro. Non che faccia differenza, » si ravvivò i capelli la ragazza « alla fine è tutta una questione burocratica per loro, mentre per noi è un’altra gatta da pelare. » Isabelle deglutì, guardando il cuscino che ora stringeva tra le mani, alzò lo sguardo su Alec: ci lesse consapevolezza e rassegnazione « Mi dispiace , Alec » mormorò. Alec le si avvicinò, raggiungendola e mettendole una mano sul ginocchio, mentre cercava di trovare le parole giuste. Restarono un poco in silenzio, ascoltando solo i rumori provenire dalla strada fuori dalla finestra.
« Era inevitabile » disse in tono consapevole anche se nostalgico « Sono passati anni e le possibilità si contavano sulle dita di una mano. Ci sarebbe voluto un miracolo, » mormorò stanco « ma forse non esistono » Isabelle appoggiò la testa sulla spalla del fratello, accarezzando con la mano il cuscino che aveva sul grembo.
« Per lo meno, » aggiunse Isabelle rincuorandolo « Per qualche giorno staremo tranquilli » Alec osservò le dita della sorella intrecciate nelle sue.
« Per quanto tempo ti fermerai?» le chiese Alec, un po’ di paura lo colpì. La aveva appena ritrovata e gli sarebbe dispiaciuto vederla andare via presto. Isabelle girò il viso poggiando il mento sulla spalla del fratello, sorrise
« Dovrai sopportarmi per cinque giorni » disse soddisfatta. Il fratello superiore rimase un po’ deluso.
« È di meno, rispetto alla volta precedente » Alec ricordò finalmente il mese in cui Izzy era venuta in visita a casa oltre il periodo natalizio: il mese di febbraio e quello di maggio e giugno. Ma sommando i giorni in cui era stata, non si contavano nemmeno due settimane. Isabelle lo riprese, guardandolo fiduciosa, piena d’amore. « Non potevano darmi un permesso più lungo,» annunciò « sono avanzata di ruolo e ho dovuto inventare come scusa che tu dovevi operarti, ho subito pensato di non ingrandirla tanto e così, secondo le mie doti ti sei lussato una gamba »
Alec scoppiò a ridere sentendo quelle parole, Isabelle si imbronciò, una smorfia che non durò più di due secondi le si disegnò in viso « Sssh, zitto, era l’unico modo per fermarmi di più. Questo o solo due miseri giorni » annuì, mentre sferrava un colpo allo stomaco del fratello. Alec però non si fece niente, era più forte fisicamente di quanto si potesse pensare, oltre che il più alto tra i due. Isabelle si lasciò contagiare e ridacchiò.
« Ti trattano bene a lavoro? » disse serio.
« Sì, Alec, lo fanno, » la ragazza roteò gli occhi adocchiando il muro sopra di sé
« Mi pagano bene e riesco a pagare l’affitto del piccolo appartamento. Potresti venirmi a trovare ogni tanto comunque, » accarezzò la trama del cuscino che aveva tra le mani « sai che ti pagherei io il viaggio, senza che mamma e papà si scomodino, sai che sarebbe come a casa, una casa come la intendiamo noi - »
« Lo so, lo so » replicò il fratello « e lo farò, puoi contarci. Non lascio certo mia sorella in mano agli spagnoli »
Isabelle gli fece la linguaccia.
« Ah ah che simpatico » gli fece il verso, si spostò una ciocca di lunghi capelli neri lucenti « E quindi, » le sue dita girarono disegnando piccoli cerchi sulla spalla di Alec « Qual era il motivo perché non hai risposto alle mie chiamate? » il tono della sorella adesso, era un misto tra felino e intrigo. Alec si portò una mano dietro la nuca, la ragazza era in attesa.
« Beh, non ero qui, questo lo avrai capito » si diede dello stupido, perché era così vago? Sua sorella, era pur sempre sua sorella...l’unica che in fattore di cuore ne sapesse qualcosa in più di lui.
« Uh, uh sì, lo avevo intuito non vedendoti crogiolarti o immerso nell’ombra della casa » sottolineò la ragazza ridendo.
Alec la guardò, notando tanta curiosità, tanto affetto, tanto bisogno di sapere.
« In queste settimane sono succede tante di quelle cose, » cominciò a spiegare Alec « Sono uscito tante di quelle volte per cercare di stare bene, di trovare un posto che annullasse quello che provavo qua, » Alec toccò il materasso con un gesto pesante, sotto lo sguardo attento di Isabelle « Ed è successo ciò che credevo impossibile: sono riuscito a rinascere, se così posso definire ciò che è accaduto, » Alec sorrise piano, riportando alla memoria quello stesso pomeriggio, si girò a guardare la sorella « E ho conosciuto una persona, » confessò finalmente « ma non è semplicemente questo, solo una persona. È stata... un amico, ma nemmeno questo ci si avvicina, » Alec continuò a scavare a fondo, contraddicendosi ma dando forma e ragione a ciò che in effetti era confusione « è stata... è, » si corresse «quello che non mi aspettavo, » Isabelle vedeva Alec farsi profondo, vero, come quelle pupille che improvvisamente si riempivano di verde chiaro « Ed è stata inaspettata e penso sia questo che renda tutto... tutto nuovo » Alec sorrise, le mani che ora venivano coperte da quelle della sorella, il ragazzo abbassò lo sguardo su quelle « È una cosa non pensavo mi potesse succedere » concluse stordito.
Isabelle lo portò a guardalo, gli sorrise come una sorella dovrebbe con un fratello, piena d’amore, di felicità, di speranza.
« Come si chiama, questa persona?» chiese lentamente, cercando di non spezzare incantesimo che era stato fatto ad Alec per essere così...in pace.
Alec chiuse gli occhi, visualizzò subito quella persona nella sua testa.
« Magnus, » emise un suono melodico « Si chiama Magnus »
Isabelle si allargò in un sorriso grande e baciò il fratello sulla guancia. Alec si sentì per la prima volta senza colpa, grato di quelle piccole luci di attenzioni. Sua sorella era l’unica benedizione in famiglia da tanto ricordasse e averla lì in quel momento era come respirare un po’ di più, riuscire a capirsi e a farsi capire senza intoppi e senza inganni o forzature.
« E questo ragazzo, » sillabò Izzy « Magnus, è.. è anche lui di qui?» chiese curiosa. Alec esitò un istante. Doveva dirgli che non era inglese? Che non apparteneva di certo al loro mondo? Che era la cosa che finalmente la notte lo faceva dormire, vivere sopra le nuvole?
« No, non è inglese » rispose Alec.
« Uhm, descrivimelo » lo incoraggiò Izzy.
Non saprei davvero dove cominciare...
« Beh, ha origini indiane e orientali, » spiegò il fratello, addentrandosi nella descrizione « È davvero... è bello. Ha questi occhi, così intensi» Alec cercò di dare giustizia a ciò che era Magnus « che sebbene piccoli ti colpiscono subito per quanto sono esotici, ti attraggono... e poi è divertente, lo definirei con un grande senso dello spirito, dell’umorismo » continuò elencando sempre più qualità « È umile, riesce ad ascoltarti senza interrompere, ascoltandoti perché vuole davvero farlo. È saggio... e ha un grande coraggio, più di quanto possano averne due persone insieme » finì.
« Sembra molto attraente » enfatizzò Izzy « e una persona speciale » abbozzando un piccolo cenno curioso del capo.
« Oh, beh, sì decisamente » Alec avrebbe voluto dire diverso, ma solo nel modo in cui lui lo intendeva: ciò che ci rende diversi ci rende ciò che siamo.
Riecheggiò nella sua testa la voce conosciuta di una sola persona.
« Mi piacerebbe sapere di più, » Isabelle si mise seduta, spostandosi al centro letto, le ginocchia al petto « che interessi ha, cosa fa, se lavora, se come te, » lo indicò « è soltanto in fase di capire cosa vuole »
Alec non sapeva se fosse il caso di dire alla sorella di cosa in realtà si occupasse il ragazzo in questione. Non si vergognava affatto di Magnus.
Ma teneva conto dell’opinione e del consiglio della sorella. Esitò. Isabelle lo guardò stranita, con quel misto di ansia.
« Ecco lui...» trattiene il fiato, lasciandolo andare dopo qualche secondo « è un artista circense » tossicchiò Alec, Isabelle s’interessò completamente strabuzzando gli occhi « un acrobata aereo, per essere preciso »
Isabelle restò silente. Alec però solo di non averla in qualche modo sconvolta con quell’informazione.
« Alec » replicò la ragazza « Quando si fa una descrizione, si cita tutto e non si lascia niente al caso, come ad esempio, il fatto che possa lavorare sul proprio corpo e che possa insomma, sì, » Isabelle accennò uno sguardo malizioso ma sincero, lei era fatta così « avere un alta percentuale per essere sexy »
Alec la guardò sbiancando completamente, Isabelle scoppiò a ridere. Si spostò,
lo raggiunse, le mani sopra le spalle del fratello. Alec sospirò di sollievo ma fece fatica a levarsi dalla testa l’immagine di due braccia in pieno sforzo, imperlate di sudore.
« Non ricordo l’ultima volta che ti ho visto in imbarazzo, fratellone » scherzò, accarezzandogli ora i capelli « deve essere una cosa più seria di quanto credessi »
« Lo è » mormorò Alec incerto se continuare a vedere dove quella conversazione andasse « Insomma sì, che io sappia è un bel ragazzo, sia fuori che dentro. Mi fa stare bene » biascicò abbassando il tono della voce, colorandosi di sincerità.
I due fratelli si trovarono a guardarsi. Lo scatto di luce negli occhi di Isabelle era evidente, l’espressione orgogliosa.
« Mi piacerebbe tanto poterlo conoscere e... Alec? » il ragazzo si rilassò mentre la sorella lo chiamava dolcemente « È giusto che le cose vadano piano » consigliò « Non fare niente che tu non ti senta di fare, è questo l’importante, questo e » spostò le braccia legandosi a lui in un abbraccio « che sei felice, felice come quando lo eri una volta » e dicendo così la sorella si fermò, prolungando quel meraviglioso gesto.

 

 

 

 

 

 

Jay e James si stavano allenando duramente dentro il tendone. Avevano dato il cambio a Magnus, che adesso si ritrovava a osservare il suo cellulare, il numero dell’ospizio memorizzato dentro premuto adesso, mentre si portava il cellulare all'orecchio. Dopo tre squilli, una delle responsabili rispose e Magnus si ritrovò con la voce tremante a chiedere di una donna, una certa Jian Lin che da sposata ma ormai vedeva risultava Jian Lin Bane.
Aspettò qualche secondo in linea, contando metodicamente i suoi respiri e pensando a tutti quei giorni in cui la voce dell’unica donna che amava non era arrivata alle sue orecchie.
Deglutì quando sentì una delle addette riferire alla donna in questione chi fosse che la cercasse e poté sentire il tono felice nella sua voce. « Amore mio » risuonò la voce di Jian in un cinese gentile e pieno d’amore. Magnus quasi si sentì gli occhi umidi, ma al posto di piangere, pensò che non fosse il caso dato la circostanza: sentiva la madre dopo un mese e quindi non c’era spazio per le lacrime ma solo per la gioia.
« Mamma » mormorò Magnus.
« Sai che proprio ieri pensavo a te, » la madre nonostante l’età aveva la voce come quella di una giovane di trent’anni « Ho ricevuto i tuoi splendidi fiori, grazie » Su sua commissione, era riuscito a far mandare dei gigli e qualche altro bel fiore all’ospizio, incaricando dei venditori ambulanti o ghirlandai,- gli era sembrato di capire - che passavano lì, da Panshanger Park. Li aveva pregati più e più volte, pagandoli un po’ di più rispetto alla usuale cifra per un mazzo di fiori freschi. I metodi di Magnus si ritenevano efficaci, almeno quasi sempre. Fortunatamente, uno dei due era provvisto di veicolo e riusciva a mantenere e trasportare varie specie di fiori al fresco. Avrebbe impiegato come minimo qualche ora per arrivare all’indirizzo che gli aveva fornito Magnus che per puro ringraziamento, aveva frugato subito in roulotte per regalargli dei biglietti.
Mr. Sanders sicuramente non avrebbe apprezzato, ma non doveva per forza dirgli tutto, anzi, non rientrava nelle sue priorità.
« Sono contento che ti siano piaciuti » sorrise « Come va lì? Ti trattano bene? Stai mangiando e facendo quello che ti dicono di fare? » chiese in apprensione.
Sentì Jian sbuffare annoiata, mentre il figlio ridacchiava dall’altro lato del telefono.
« Sono una donna adulta, Magnus, cerca di tenerlo sempre a mente, » gracchiò come una bisbetica ma per poi finire con una tonalità dolciastra « Mangio, dormo e leggo. Ma credo che vada bene più a me che a te, ci potrei scommettere tutto » concluse. Magnus in un certo senso avrebbe voluto svelare l’arcano mistero per cui sua madre riuscisse ad indovinare come stesse andando la sua vita meglio di lui. « Me la cavo ogni giorno, non preoccuparti per me » farneticò, mentre si torturava il gomito.
« E conosco quando non dici realmente come vanno le cose, amore mio » ripeté di nuovo nella sua lingua natia.
« E’ una storia lunga, mamma, e tu devi riposare. »
« Ho tutto il tempo per le storie e ho già dormito come un panda che ha attraversato il Giappone per arrivare in Cina – solo dopo una buona dose di bambù, » Jian sembrava non sforzarsi affatto mentre si impegnava in quegli aforismi che richiamavano a parte delle sue tradizioni « Raccontami Magnus, voglio sapere, sono o no la donna che ti ha messo al mondo? » il tono che cercava di imitare un rimprovero ma che assomigliava più a un ordine materno tenero e costante, invitò Magnus a mettersi comodo lungo il muro dalla parte del letto e a pensare da dove iniziare quel suo racconto. Tralasciò la figura di Mr. Sanders, così come aveva sempre fatto quando la andava a trovare, ma parlò ampiamente di come andassero le cose, le prove, gli spettacoli. Parlò anche di Alec, anche se in minima parte rispetto alle altre cose, destando la curiosità di Jian che esordì con un perciò era di questo spasimante di cui ero all’oscuro, provocando l’astuzia di Magnus che le rispose solo che le cose non fossero proprio dirette in quel senso. Jian però, era una madre intelligente oltre che furba e gli disse solo che ci credeva tanto quanto aveva creduto al disinteresse di suo padre quando le faceva la corte.
Magnus le disse solo che qualche giorno fa, i due si erano baciati dentro il tendone. Non omise quel particolare un po’ perché gli formicolavano ancora le mani a pensarci e un po’ perché era come se avesse congelato il momento troppo perfettamente per essere rimosso. Jian si trovò a fare domande e poi altre domande, a cui Magnus non rispose, non a tutte per lo meno. L’interrogatorio materno aveva avuto inizio ed era difficile scapparne. Sentiva che una volta raccontatole quello, la madre avrebbe cominciato a fantasticare sulla vita sentimentale del figlio. Non fraintendiamoci, Magnus amava l’interessamento della madre nella sua vita, nelle sue passioni, ma riguardo a questioni amorose, la madre era sempre stata all’erta, cercando di consigliarlo il più possibile sulla base di ciò di cui veniva a conoscenza. I dettagli, diceva lei, sono fondamentali.
La chiamata durò circa un’ora, mentre Magnus senza difficoltà, riusciva a cambiare argomento, quando sua madre gli raccontò di come passava le giornate e di come avesse stretto amicizia con alcune signore inglesi o a gentiluomini provenienti dalla Cornovaglia che erano pieni di acciacchi. Jian citò anche al thè inglese a cui ormai si era abituata, ma che mancava sempre dell’aroma, della presenza e respiro di casa, della sua ormai lontana Cina. Gli infusi di thè verde sul tavolino del soggiorno che ricordava prendessero seduti sul pavimento tutti e tre insieme. Magnus le disse senza spiegarle o spiegarsi lui stesso la ragione, di averla sognata più volte quei giorni e che nonostante ricordasse delle sue tradizioni e degli antichi spiriti orientali, non sapeva cosa volesse dire.
« Non sono maligni, Magnus, può stare tranquillo, » gli aveva chiarito Jian « Ma hai ricordi, in particolare? » Magnus le rispose che ricordava solo di proseguire non portando del peso, da solo. Ma il peso, non era stato specificato.
« Tesoro sicuro di starmi dicendo tutto? » In ogni caso, Magnus riuscì a tranquillizzarla che era solo sinonimo di curiosità. Jian gli disse che nel peggiore dei casi, tralasciando vari significati come la protezione o le radici di famiglia, si trattava sicuramente di bisogno di sicurezza o conflitti interiori.
Appena finirono gli argomenti, Magnus desiderò dirle di più, ma sapeva che doveva sbrigarsi perché prima o poi qualcuno avrebbe bussato alla sua roulotte per riportarlo alla fatica. Si salutarono in cinese e si dissero ti voglio bene all’unisono. Magnus le promise che sarebbe andato a trovarla presto e sperò con tutto se stesso, una volta riattaccato, che quelle parole non sarebbero state vane promesse.

   
 
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