Nota
dell'autrice: Per la serie, “alle volte
ritornano”. Ancora
dispiaciuta per la necessaria eliminazione della mia long
“L'ombra
del Sole” (e speranzosa di poterla presto ripubblicare in
versione
completa), vi propongo questa raccolta non cronologicamente
collegata, un piccolo esperimento volto a mettere la mia
firma su un cono d'ombra interessante ed allettante, per
gli amanti di Vegeta, tanto in coppia quanto da solo.
Il linguaggio utilizzato è un esperimento con me stessa,
prima di me è stato definito "cameratesco" e trovo il
termine molto azzeccato. A mio avviso è plausibilissimo che
Vegeta, nonostante di stirpe regale, abbia vissuto quasi esclusivamente
da soldato, tra ben pochi agi, visto e considerato che ancora in
giovanissima età è stato letteralmente strappato
alla patria. Nei pochi capitoli che comporranno questa raccolta non
mancheranno scene violente, nel senso più ampio possibile.
Il
tutto, volto ad inquadrare un contesto temporale appena
antecedente alla galeotta notizia dell'esistenza delle Sfere
del
Drago...
Vi auguro una buona lettura e mi fa piacere comunicare a quanti di voi mi abbiano chiesto notizie che, avendo finalmente gestione più autonoma del tempo a disposizione, tornerò più costante, con nuovi lavori. A presto, dunque.
Giulia
"Luna Padrona", di Overlook, è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Luna padrona
di Overlook, 2019©
Capitolo I
Lo
scrosciare della pioggia sopra i tetti degli edifici ancora in piedi,
sui frammenti dei vetri delle
finestre, sulla sommità delle lamiere appartenute a vetture
volanti, parcheggiate
diligentemente lungo intransigenti file orizzontali dalle sembianze
infinite, si stava rivelando rilassante, in un certo qual modo...
Piacevole; al termine di estenuanti missioni all'insegna della
distruzione e del massacro del più debole, udire in maniera
ovattata
e costante, come una nenia registrata da un vecchio carillon d'altri
tempi, quei miliardi di goccioline affilate, gelide ed
imperiture, fendere impietose i fantasmi della notte e gli spettri
della mente
era un vero balsamo per i pensieri, anche per quelli più
vilmente celati tra gli anfratti più impervi. Le stridule
urla di povere,
sciocche, deboli specie imploranti la pietà del popolo
guerriero per
eccellenza venivano ammutolite da quel tintinnio cristallino che ne
scioglieva le note più acute e gementi, riducendo il tutto
ad un
monotono, noioso e latente guaito divenuto sin troppo familiare, per
sperare di avere un qualche peso sulle loro coscienze.
E
nel naufragare turbolento, ma quasi divertente, in una tale nenia, il
principe di quel popolo celebre e spaventoso, il popolo dei Saiyan, era
stato
quasi favorito dal sonno. Quasi,
giacché, come una seconda cantilena, di stesso timbro,
registrata e sovrapposta alla
principale, un gocciolare incostante e più vicino, meno
abbacinante
e più sferzante aveva preso ad alternarsi al rimbombo
metallico dentro il lavandino del lugubre
bagno annesso alla stanza dove si trovava.
Vegeta,
il figlio di quel Re eliminato, insieme alla maggioranza assoluta del
suo popolo, da un micidiale meteorite – così era
stato riferito ai
superstiti – aveva appena superato i ventidue anni
d'età.
Nessun festeggiamento regale, nessuna particolare cerimonia,
giacché di quella casta non esisteva più nemmeno
l'ombra, se non nel suo portamento più involontario; praticamente nessun
servitore né compagno di
sanguinolente scorribande s'era prodigato in auguri, tantomeno in
doni. A dire il vero, con un'ombra tangibile di disgustato imbarazzo,
Vegeta
ricordava soltanto un compleanno, festeggiato nel senso più
stretto
del termine, in compagnia della Regina, sua madre.
Non più di un
quarto d'ora trascorso
accanto, ma
non abbracciato, a quella donna dai folti capelli corvini trattenuti
da un pesante eppur sottile diadema nobiliare, intarsiato di piccole e
lucenti pietruzze del tutto simili ai terrestri rubini.
L'evanescenza di un sorriso abbozzato su quelle labbra carminie era
il solo frammento inerme a percuotergli di tanto in tanto la memoria,
prevalentemente in occasione di quella ricorrenza annuale e
totalmente ininfluente sullo scorrere della propria esistenza, secondo
il metro di giudizio di quel giovane
alieno ricolmo d'odio, delirante ambizione e recondita ferocia.
Nappa,
suo fedele servitore e compagno di guerre sin dalla prima
adolescenza, stava dormendo fragorosamente, supino e sguaiato,
all'interno
del vano fatiscente lì vicino: Vegeta poteva udirne, più debolmente
della maledetta
perdita del lavandino del bagno, il lento russare, pesante e
innervato di alcool consumato in eccesso al termine del fugace pasto
della vittoria. Lo avevano consumato, insieme, soddisfatti ed assisi
sui cadaveri ancora caldi della
debole popolazione di Turmuk, appena ultimatone lo sterminio.
Solo un paio di
settimane addietro, in maniera del tutto confidenziale e discreta
rispetto all'esiguo resto della truppa, Nappa aveva rivolto al suo
principe ed amico uno spiccio e
sincero augurio, condito dalla proposta di fargli trovare in stanza,
all'ora del rientro alla base, un paio di femmine, del
tutto simili a loro, fisicamente, non fosse altro che per le pupille
incendiate da un bagliore vitreo e purpureo, che in tanti prima di
loro avevano trovato particolarmente affascinante, almeno, abbastanza
da concedere loro giusto qualche istante di volgari ed elementari
fantasie, del tutto prive di poesia e che
alla fine, come da copione, non si risolvevano che violentemente,
fugacemente, povere
di qualunque ardore, forse rese meno sterili, alle volte, soltanto
dalle urla femminee intontite
dal piacere e dal dolore mescolati con sapiente veemenza.
***
Accampatisi su K44, un insulso pianetuncolo ricco soltanto di viveri di cui fare il pieno, ci avevano messo poco, Nappa ed il terzo saiyan della squadra, Radish, a notare quei corpi snelli, le chiome selvagge e quegli sguardi tanto singolari. Rasa al suolo la maggior parte delle infrastrutture, avevano subdoli proceduto, con la naturalezza con cui ci si prepara ad occhi chiusi un caffè al mattino, ad eliminare, con pochi colpi ben assestati alle viscere, tutti i maschi presenti sulla superficie di quel pianeta. Avevano quindi rincarato la dose, con l'assassinio di tutte le femmine troppo vecchie, di tutte quelle sgradevoli ai loro occhi e di quelle gravide: Il seme di un saiyan non si sarebbe mai sprecato in anfratti già battuti da infime razze e specie. Perciò ne era rimasta sì e no una ventina, di guizzanti corpi disperati e disposti a fare il possibile, per mettere in salvo la pelle. Si erano quindi mostrate sorprendentemente, ma vanamente, ben disposte, quelle poche femmine risparmiate, a seguire l'omone calvo ed il giovane dai lunghi capelli rivolti all'indietro, ancora imbrattati sino al collo del sangue dei loro conterranei, all'interno dell'accampamento reso fatiscente dalla battaglia. Soltanto Vegeta, assiso composto e caustico su una pila di cadaveri irrigiditi, era rimasto lì, impassibile tanto agli inviti scurrili dei suoi, quanto alle sibilanti suppliche invocate dalle femmine fintamente contente di tener compagnia agli altri due. Quegli occhi che Nappa e Radish avevano trovato tanto allettanti, urlavano pietà e clemenza a quel cipiglio oscuro, severo e gonfio di un carisma incorrotto e naturale, degno del rango cui s'era trovato ad appartenere di diritto.
“Tsk... Una di quelle puttane è riuscita a sopravvivere alla foga di Radish... Te ne avremmo lasciata una illibata ben più che volentieri, principe Vegeta, ma visto che non mi eri sembrato dell'idea, beh, ecco... Ne abbiamo approfittato... Erano quasi due mesi che non trovavamo femmine, come dire... Adeguate...”.
“Ma non farmi ridere... E tu le chiami adeguate? … Quel mucchietto di troie è più falso di una serpe... Se Radish è davvero convinto di averne fatto godere qualcuna, allora è davvero il deficiente che dicevano gli altri. Ti ringrazio, amico, ma non ci penso nemmeno, ad abbassarmi a tal punto, fosse anche l'ultima donna che possa portarmi a letto nella vita!”.
Lo
aveva lasciato così, appeso alle sue stesse labbra ispide e
socchiuse, prima di serrare la tenda della stanza improvvisata
alle sue spalle. Nei minuti precedenti aveva potuto persino udire il
tentennante andirivieni del gigantesco saiyan,
nell'indecisione se finire o meno di scaricarsi, a turno con Radish, su
quell'ultima superstite o emulare l'innata fermezza di Vegeta, da
sempre assai restìo a certe debolezze, a suo dire stupide ed
improduttive.
A lui, diversamente rispetto ai compagni di
squadrone, siccome principe, avevano sempre insegnato che il sesso
avrebbe dovuto avere un certo peso, come questione, specialmente data
la loro indole indomita e
selvatica. Non era cosa semplice, per una razza come la loro,
trattenersi, una volta cominciato un
amplesso ed il rendere gravida, più o meno
involontariamente, una femmina
appartenente ad altra razza o specie, giocoforza più debole,
significava dar vita a mezzosangue del tutto inetti alla vita in
battaglia, nonché vergognosi vessilli di passeggere
debolezze
evitabili e da evitare. Ed era proprio in virtù di tali
crude
impartizioni paterne, che Vegeta aveva senza rimpianti trascorso,
solitario nelle sue stanze, rari e brevi momenti di vergognosa
debolezza, tra sé
e sé, sdraiato sul suo letto o in piedi, proprio di fronte
alla
latrina che fungeva da bagno durante le trasferte mercenarie.
Seppur
privo di esperienza davvero carnale, era capitato più volte
che egli
irrompesse nelle stanze dei compagni, ma solo quando assolutamente
necessario, proprio mentre loro si trovavano carponi su qualche femmina
depredata di ogni avere e dignità o addirittura fintamente
sottomessi ad esse, abbandonati alle loro disperate spinte, ma
in verità padroni tiranni dell'intera situazione. E non
aveva mai mosso un solo muscolo
di più, non un solo poro sulla sua pelle s'era dilatato a
fronte di
certi scenari davvero privi di pudore, non una sola volta il suo
cipiglio era mai mutato di fronte a seni ed intimità che
anzi, più che
allettarlo, a dire il vero spesso e volentieri lo disgustavano, tale
era il loro
stato di usura e degrado in vacua funzione di ottenere pietà
e salvezza da parte del violentatore di turno. Ma quando
arrivavano loro, i
Saiyan, tutti, in tutta la galassia, sapevano benissimo che non
poteva esserci possibilità di affrancamento, nessuna
speranza di condono, neppure all'indomani di un sofferto ed animalesco
amplesso
che vedeva le femmine più promettenti persino sfiorate alle
orecchie da
complimenti, seppur volgari e gutturali, come i ringhi subito
precedenti
all'esplodere dell'orgasmo amaro e disinvolto di quei soldati muniti
di coda e di violenza senza pari.
***
"Razza di imbecille...”, aveva
borbottato a denti stretti Vegeta, scardinando le
improvvisate lenzuola dalla branda e issandosi sulla sua sponda.
Strizzando e stropicciando appena gli occhi tetri, s'era accorto che
non erano trascorse neppure cinque ore, da quando s'era coricato;
l'indomani avrebbero dovuto procedere alla fase finale d'assedio di
quel pianeta, per il quale tra l'altro non s'era spiegato l'interesse
da parte del loro nuovo sovrano, Freezer, figlio di Re Cold, viscido e
ributtante alieno dall'oscena crudeltà nei confronti dei
saiyan, in una prospettiva egemonica sull'intero sistema
solare.
Di suo padre il re, Vegeta aveva ereditato non solo le fattezze
fisiche, ma
anche e soprattutto quell'orgoglio inossidabile e cieco che mai gli
avrebbe permesso di essere asservito ad un tale assoggettamento,
proprio lui, erede di un trono ormai effimero, non
fosse altro che per il desiderio feroce di potere, più che
per qualunque
altro corollario del titolo nobiliare di cui portava l'inconsistente
peso.
Il tintinnìo continuo e torturante della goccia all'interno del bagno, l'incostante rombo del russare da parte del compagno, l'incedere tribale del palpito del suo cuore al ritmo di certe, ancora abbozzate, idee di vendetta, lo avevano infine convinto, senza rimpianto alcuno, ad alzarsi e a dirigersi dapprima verso quel maledetto lavandino in metallo, sporco di sangue rinsecchito e fanghiglia fumante; bastò quel suo sguardo funesto ed affilato, puntato sul miscelatore un istante di più, a far implodere su sé stesso l'intero apparato idraulico, il quale ora, quantomeno, zampillava copiosamente ed uniformemente, abbattendosi morbidamente sul suolo non sterrato, ricco di cespugli senza fiori. Risolta quella prima, annosa questione, rivolse il proprio caratteristico passo militaresco, ma felino, in direzione della tenda di Nappa, scostandone senza cura l'uscio in tessuto pesante e grezzo, squarciando l'ubriaco sonno profondo di quel gigante incanutito prima del tempo: “Vuoi piantarla di russare in questo modo?! Mi stai davvero infastidendo, va' a dormire fuori insieme alle troie che hai ammazzato, se non riesci a smettere!”.
L'altro,
per
tutta risposta, emise un ultimo gemito schiavo del dormiveglia, poi
aprì gli occhi infossati uno dopo l'altro, sbadigliando
sguaiatamente e, d'un tratto, rizzandosi sulla schiena come se vi
avesse ricevuto sopra una scarica elettrica da cento watt almeno.
“Eh- Oh... V- Vegeta, scu-scusa, ehm, a-agli ordini principe,
che... Che succede, eh? Ahm...”. Quell'automatismo non gli
garantì
la pazienza dell'altro. “Ti ho detto che devi piantarla di
russare
in quel modo, non si può chiudere occhio con te nei paraggi.
Va' a
dormire in una delle tende esterne come Radish, dannazione! Quello si
starà scaldando sui cadaveri delle puttane, va' a fargli
compagnia e
fammi riposare almeno sino all'alba!”. Al vedere Nappa
muoversi con
riverente testa bassa verso l'uscita, portandosi sotto un'ascella
sudata il proprio improvvisato cuscino, Vegeta ebbe da continuare:
“Domani, al sorgere del sole, gli ultimi edifici, il 431 ed
il 457 dovranno essere definitivamente
distrutti, insieme a tutto il loro contenuto. Non possiamo permettere
ai fantasmi di queste nullità di lanciare s.o.s.
all'indirizzo dei
loro amichetti di Yardrat e dintorni, non avremmo il tempo di
ingaggiare altre lotte. Dobbiamo tornare alla base di Freezer, te ne
sei scordato?”. Dopo un breve attimo di smarrimento,
più che altro
per risvegliare definitivamente il cervello, Nappa rispose lesto:
“N-no, come no, Vegeta, lo so bene. Hai ragione, ci servono
tutte
le energie possibili, anche perchè al ritorno avremo
sì e no il
tempo di lavarci via il sangue di dosso e, forse, quello di cambiarci la divisa,
chissà
quando potremo nuovamente farci una bella dormita...” -
stiracchiando le braccia verso l'alto e piegando il cuscino come
fosse stato un foglio di carta da inserire in una busta da lettere,
si permise di poggiare appena una mano sulla spalla destra di Vegeta
- “Ti chiedo perdono, Vegeta. Lo sai, il tuo vecchio amico
Nappa è
un gran coglione, in fondo, eh eh! Avrei dovuto spegnere
definitivamente quella troietta pel di carota subito dopo essere
venuto la prima volta, altro che concederle altri tre
round!...”.
Bofonchiava ancora vagamente gongolante tra sé e
sé, mentre si
spingeva verso gli accampamenti esterni, quando Vegeta gli diede le
spalle deciso ed assolutamente incurante di qualunque cosa avesse da
delirare quel bifolco in un tale momento.
Non gli restò dunque che fare dietrofront, con passo
più pesante, ma meno funesto.
Si gettò senza attenzione sulla propria branda scarnificata,
con il
torso nudo e con la scompostezza del ciuffo corvino, in fase di
progressivo diradamento, a smussare la durezza del volto,
ancorchè
sfinito.
Con le
palpebre serrate, in un miscuglio indefinito tra concentrazione ed
assopimento, si paravano dinanzi a sé moltitudini di
deliranti
scenari, entro i quali i suoi piedi regalmente fasciati dalle
calzature resistenti ed impermeabili schiacciavano a morte la testa
sferica di quel bastardo di Freezer, riducendogli le cervella a
poltiglia facilmente digeribile, una volta cotta sulla brace dei suoi
stessi resti.
Lui,
era il principe, lui era il solo destinato a regnare su popoli e
pianeti sino alla morte. Ed al sopraggiungere di quel momento, della
sua morte,
soltanto allora avrebbe guardato eloquente e diritto negli occhi, come
suo padre
aveva fatto con lui, il suo erede, il figlio che una qualche femmina
avrebbe avuto l'onore di portare in grembo e di partorire, svezzare e
preparare alla successoria missione. Non avrebbe dovuto né
potuto
essere una femmina qualunque, avrebbe per forza dovuto essere una
saiyan di razza pura. Di quelle donne forti, a dir poco esplosive,
determinate e
caparbie, seducenti e bellicose, dal temperamento sanguigno e
dall'intelletto superiore, in grado di far fronte tanto a prole e
dimora quanto alla veemenza del proprio uomo, senza mai fargli
ostruzionismi dettati dal sentimento né mai lasciarsi andare
a supplichevoli tentativi di
distoglierlo dal proprio compito, dal proprio destino di guerriero,
se così la sorte aveva per lui sancito.
Ma, a quanto gli risultava,
di femmine Saiyan non ne era rimasta neppure una, viva, nell'intero
universo, tantomeno erano sopravvissuti testi e codici appartenenti
alla loro civiltà, tali da poter eventualmente divenir legge
su un
altro pianeta, al fine di renderlo una, seppur sbiadita, reincarnazione
dell'originaria patria.
Al pianeta Vegeta, il principe non pensava con dispiacere,
né con inclinazioni luttuose o commosse. Vi faceva cadere,
solo di tanto in tanto, un
fugace pensiero, fulmineo ed iracondo, carico di furia nei confronti
dell'essere che, in piena facoltà di schermare e proteggere
l'intero popolo dall'infausto
meteorite, a quanto pare non s'era invece scomodato di un millimetro,
al
sicuro sulla propria base satellitare.
Quando
il tormentato dedalo di memorie tornò ad assumere il profilo
più
aggraziato e suadente di donna, Vegeta si risolse nel constatare che
lui
lo aveva in effetti praticamente appena ereditato, il titolo di
principe e che adesso era il
momento di goderselo solo ed esclusivamente per sé. Che, in
assenza
forzata di femmine della sua razza ed alla sua altezza, poteva anche
stargli bene
essere l'ultimo sovrano, di portare con sé la fine totale
della
propria stirpe, intanto mai, sarebbe caduta nell'oblìo,
tanto
ampia era da sempre l'eco gloriosa delle loro gesta. Che era meglio
essere gli
ultimi eredi al trono, che gli iniziatori di una discendenza di
mezzosangue mediocri, inabili e di infimo valore combattivo,
affaccendati soltanto a proteggere la prole sino a che in vita,
anziché essere da questa protetti nel corso dell'orgogliosa
vecchiaia cui, comunque, ben
pochi Saiyan erano sino ad allora arrivati.
Non ne aveva praticamente
mai visto uno, con le tempie ingrigite o con qualche ruga
più
profonda a scavare il divario con quelle presenti per natura. Sarebbe
stato lui, il primo, unico ed ultimo sovrano saiyan ad invecchiare
spavaldo in barba ad ogni minaccia di distruzione, facendo rimbombare
poi anche dall'aldilà l'assordante clamore delle proprie
origini.
Si
lasciò infine, inavvertitamente, catturare dallo spettro
pallido sopra la propria testa,
Vegeta, voltandosi su di un lato e lasciando finalmente andare i
pugni, sino a quel momento serrati in una morsa carica di voglia di
sangue, di potere e di rivalsa.
Il
plenilunio, ben visibile anche a quella latitudine, si
addormentò
con lui, poco più tardi, eclissandosi dietro coltri dense,
tetre e
funeste.
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