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Autore: The black angel    29/07/2009    1 recensioni
Leonardo, così si chiamava, era l’ultimo proprietario di quella villetta, che per anni aveva ospitato i tristi e cupi riti di una setta segreta ai più, l’ordine più antico che il mondo ricordasse ancora, un gruppo di pochi eletti che lottavano per restituire all’umanità ciò che le apparteneva fin dai secoli precedenti, ma che era andato perduto
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Luglio 1502. Il sole stava tramontando, il cielo iniziava a colorarsi di rosso, un rosso che in alcuni tratti sfumava fino a diventare di un rosa pallido. Le montagne erano avvolte dalla luce, che le conferiva un aspetto quasi mistico, possente. La loro vera natura veniva svelata, sembravano potenti e assai vecchie, come se sapessero da sempre ciò che stava per accadere. Qualcosa infatti doveva succedere, i tempi  erano ormai maturi e il presentimento di un oscura minaccia era decisamente nell’aria.

Sulla vetta del monte c’era una piccola villetta, molto spartana e realizzata interamente in pietra. Non era sempre abitata, era una casa utilizzata soprattutto d’inverno e nei mesi estivi, quindi presentava segni di scarsa manutenzione, che però le conferivano un aspetto secolare. L’edera occupava gran parte del tetto e delle colonne che lo sostenevano e creavano, di fatto, il porticato. Lungo i muri dell’abitazione ogni tanto, ad intervalli regolari, si trovavano delle piccole cavità che fungevano da finestre per i mesi estivi. Tutto ciò che impediva ad un ladruncolo di non entrare all’interno erano due sbarre messe senza troppa cura. Due lastroni di legno servivano, invece, per coprirli d’inverno, quando il clima rigido delle montagne ed il vento penetravano nei saloni. Molte pietre dovevano essere sostituite, altre necessitavano di costanti cure di riparazione, ma certamente il proprietario non era dell’umore adatto per eseguire opere di ristrutturazione: la mente era e doveva essere altrove.

Leonardo, così si chiamava, era l’ultimo proprietario di quella villetta, che per anni aveva ospitato i tristi e cupi riti di una setta segreta ai più, l’ordine più antico che il mondo ricordasse ancora, un gruppo di pochi eletti che lottavano per restituire all’umanità ciò che le apparteneva fin dai secoli precedenti, ma che era andato perduto. Era sulla cinquantina, capelli brizzolati, ma ancora lunghi e occhi di un azzurro caldo, intenso, rassicurante. Portava un mantello nero, con inciso all’interno il simbolo della setta. Nonostante la sua età aveva ancora un fisico scattante ed atletico, tanto che se non fosse stato per le rughe sarebbe potuto passare per un giovane uomo. Lui era l’ultimo di questa setta e doveva lottare affinché il ricordo potesse continuare a vivere, magari rifondando tutto ciò in cui credeva. Ma non era facile: il sovrano lo stava braccando senza sosta da molti anni, aveva annientato tutti i suoi “colleghi” ed ora era pronto a dare l’ultimo affondo ai suoi nemici. Non c’era tempo da perdere.

Si era rinchiuso in quella casa perché era il suo ultimo nascondiglio, ma mentre varcava la soglia dell’abitazione aveva intravisto due uomini venire verso di lui. Portavano il vessillo regio, oramai mancavano poche ore, minuti forse. Doveva muoversi. L’interno della casa era molto differente da come appariva all’esterno. Era curata, pulita ed in ordine, i mobili tutti fatti d’un legno pregiato e finemente ritoccati a mano. C’era un lunghissimo tavolo dove si riunivano per il rito serale, un altro uguale dove pranzavano e cenavano e due credenze per i viveri. Era molto spartana, ma non mancava nulla. Erano tre piani, Leonardo doveva andare al terzo. Quindi iniziò a salire la rampa di scale, di pietra anch’esse, che costituivano la via più veloce per giungere ai piani superiori. Fece gli scalini due a due e quando arrivò al secondo piano le sue speranze parvero spegnersi. C’era un lungo corridoio che si divideva in dieci e più stanze che fungevano da dormitorio, ognuna contenete bacinelle d’acqua pulita e un orinatorio. In fondo si trovava una finestra molto più grande delle altre, nascosta all’esterno da una tenda che la mimetizzava col muro. La scostò e vide che il sole era calato ma, cosa ancora più preoccupante, i due sicari erano a pochi passi dall’uscio.

Non perse tempo, salì le scale di corsa e si ritrovò al terzo piano. C’erano due soli lunghi banconi, pieni di fogli di papiro e calamai. Era lo studio, dove la setta studiava. Infatti c’erano lungo le pareti migliaia di volumi storici, scientifici, religiosi e di ogni altro genere. Era un vero e proprio patrimonio, visto che erano tutti volumi unici per edizione e rarità. Bussarono alla porta, una due tre volte, poi, non ricevendo risposta, abbatterono la porta ed entrarono. Dalla scala Leonardo vide che si erano divisi: uno era andato al primo piano, uno al secondo. Entrambi portavano un pugnale, probabilmente intriso di veleno, e un arco con due frecce a testa nella faretra. Poche, quindi sapevano il fatto loro, erano evidentemente ottimi tiratori.

Non perse ulteriore tempo, si mise sulla prima sedia che trovò e iniziò a scrivere la sua ultima postula. La penna scivolava dolcemente sul papiro, il tempo si assottigliava. Finì per tempo, si alzò e infilò il pezzo di carta in uno dei libri alla sua destra, intitolato Il rito iniziale. Era il primo di una lunga serie, tomi che introducevano al mondo della setta. Finito ciò si voltò e quello che vide lo lasciò di marmo.                                                                                                                                                               

Non preoccuparti, lo sapevi che stava per finire. È giunta l’ora di farsi da parte, speriamo che non sia un sacrificio inutile.                                                                                                                                                                              I due uomini erano sulla soglia, pugnali in mano. Passarono secondi così, a scrutarsi, mentre Leonardo iniziava a sudare freddo. Poi, all’improvviso, uno dei due scattò in avanti, ferì l’uomo al piede e lo immobilizzò a terra. L’altro si avvicinò con calma, un sorrisetto sarcastico sul volto crudele, due occhi azzurri e freddi come il ghiaccio. <<Vecchio, alzati!>> esclamò, poi lo prese a calci. <<Voglio vederti cadere ai miei piedi, morto>>.                                                                                            Lo costrinsero ad alzarsi, poi lo apostrofò così: <<Non pensavo che l’ultimo degli Assassini si lasciasse prendere così facilmente. Cos’è, i vostri riti vi hanno raggrinzito al cervello?>>  sogghignò <<Comunque sia, oramai è tardi per pensarci. Dobbiamo fare il nostro dovere. Saremo lautamente ricompensati per portare al re il tuo sudicio cadavere e, credimi, è quello che intendiamo fare. Bhe, dai procediamo …>>                                                                                                                                                      <<Bastardi, il segreto non morirà con me, ritorneremo quando i tempi saranno più maturi>>. Uno schiaffo lo colpì in pieno volto e il sangue iniziò ad uscire dalla sua bocca. Speriamo che qualcuno trovi la lettera, prima o poi.                                                                                                                                       <<Farò finta di non aver sentito, che è meglio. Rincominciamo: nel nome di Sua Maestà, vi condanniamo a morte, con l’accusa di essere il Gran Maestro della Gilda degli Assassini, ritenuti colpevoli di numerosi omicidi. Ecco, è tutto.>>

Gli avvicinò le labbra all’orecchio ed esclamò alcune parole che però si persero nel vuoto, visto che l’altro gli aveva conficcato il pugnale nel ventre, decidendo il suo destino. Il veleno doveva essere di quelli potenti, perché nel giro di cinque secondi gli aveva tolto il fiato. Risorgeremo dalle ceneri, come il nostro simbolo. Rinasceremo dalla fenice. Il nostro Potere si diffonderà in tutte le terre, una dopo l’altra. Poi chiuse gli occhi, per l’ultima volta.

I due sicari non persero tempo, presero il cadavere, uno per le mani e l’altro per i piedi, scesero fino all’ingresso e lo portarono fuori. Sul tetto già sventolava la bandiera col marchio regio, quindi poterono sigillare l’entrata dell’abitazione. <<Andiamocene via, è già buio pesto>>.  Così si incamminarono per non tornare più. La casa, un tempo piena di ospiti, sarebbe stata per molto tempo vuota, tolta dalle carte, il sentiero cancellato. La tradizione voleva che venissero bruciati i luoghi di culto o pensiero differente da quella del monarca, ma per fortuna fecero un’eccezione. Era troppo importante quella casetta in montagna, la storia avrebbe dovuto riprendersela. Prima o poi.

Il cadavere venne esposto per un’intera settimana fuori dal palazzo reale, per poter permettere a chiunque di infangarne l’immagine, nel modo più oltraggioso che si conoscesse. Poi, però, il Re cambiò idea e lo seppellì nel miglior modo possibile, in una tomba con sopra una Fenice. L’ultima.

  
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