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Autore: hikaru83    20/09/2019    5 recensioni
La storia di Sherlock e John, il modo in cui si sono incontrati, tutto ciò che hanno vissuto, la conosciamo bene. Molti di noi avranno rivisto la serie abbastanza volte da citare le frasi senza che le altre persone riescano a capire, ma neanche ci importa, noi sappiamo (e se il nostro interlocutore abbassa la media di intelligenza dell'intero quartiere non è nemmeno colpa sua). E molti di noi hanno avuto problemi con il modo con cui l'hanno conclusa (per ora). E allora che fare? Allora ho deciso che la storia provo a scriverla come vorrei fosse andata, magari grazie a qualcuno che ha sempre osservato ma non abbiamo mai visto. Qualcuno che come noi era sempre con loro, ma al contrario nostro ha potuto cambiare le carte in tavola.
Rivivremo la storia, e basterà cambiare una cosa, per cambiare un sacco di cose.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Settimana scorsa avevamo parlato di dolore mi pare, eh, non viaggiamo mica meglio oggi più che dolore un po' di sana tensione, così per cambiare un po'.
Buona lettura!





Dalla tua parte




2014
Londra
Estate
Sera
 


Il vibrare del cellulare la disturba.

Apre gli occhi e nota che il sole è tramontato da un pezzo.

La vibrazione si interrompe.

Lei sospira e si stropiccia gli occhi.

Il gatto è ancora sopra di lei. Lo accarezza distrattamente mentre il vibrare ricomincia.

Allunga il braccio fino a raggiungere il telefono abbandonato lì accanto. Non ha bisogno neanche di guardare chi la chiama per sapere di chi si tratta. Quel numero ce l’ha solo una persona. «Ehi, capo, tutto bene?»

«Tu vuoi vedermi morto, non ci sono altre spiegazioni.» La voce è concitata, spaventata, ma non ne capisce il motivo. L’aveva avvisato che sarebbe tornata a casa per quella giornata. Può capitare di addormentarsi e non sentire una o due chiamate.

«Eh?» chiede sconcertata.

«Sai che ore sono? Sai quante volte ti ho chiamata? Stavo per mandare Anthea all’appartamento. Pensavo ti avesse scoperto! DIO! VUOI VENIRE AL MIO FUNERALE?»

Stacca l’orecchio dall’apparecchio. Lo schermo illuminato rivela un numero imbarazzante di chiamate perse. «Myc, scusa, mi sono addormentata,» rivela un po’ in imbarazzo, le dita che continuano ad accarezzare il manto del gatto che ora si è spostato al suo fianco permettendole di voltarsi.

È un sospiro quello che sente? Riesce a figurarselo mentre si stringe tra gli occhi con indice e pollice, cercando di recuperare la calma persa.

«Myc?» lo chiama.

«Stai bene?» La voce le sembra stanca e seriamente preoccupata.

«Sì, sto bene, ora,» risponde onestamente.

«Dici sul serio? Se vuoi riposarti un po’ lo capisco, posso mettere Anthea alle loro calcagna. Ti sto chiedendo troppo.» È senso di colpa quella sfumatura nella sua voce?

«Myc, seriamente, sto bene. Ho passato un brutto momento, non lo nego, ma ora sto davvero bene.» Ed è sincera. Quel gatto deve avere poteri magici...

«...»

«Myc? Scusa, davvero, non volevo farti preoccupare.»

«Okay, ragazzina, okay. Te la senti di seguirli questa sera?»

«Certo, dimmi dove e arrivo.» Rimane in silenzio cercando di comprendere l’urgenza che sente nella voce di Mycroft. «Che ha combinato Sherlock?»

«Ha comprato un anello,» rivela sconfortato.

«CHE HA FATTO?» Al suo urlo, il gatto si volta di scatto, nervoso. Lei mima uno “scusa” con le labbra, rendendosi conto dell’assurdità della cosa subito dopo. La risata che le sfugge subito dopo è spontanea. Sherlock non smetterà mai di sorprenderla.

«Hai sentito bene... Anzi, per la precisione, secondo il mio conto corrente, io ho comprato un anello,» continua lui, non riuscendo a nascondere il divertimento nella voce.

«Ohhh, finalmente! Credevo non ti decidessi più a chiedermelo,» scherza lei.

«Dovevo essere certo della tua risposta affermativa,» risponde l’uomo, stando al gioco.

«Come potrei dirti di no?» cinguetta.

Myc sbuffa. «Bene. Ora che abbiamo assodato la cosa, te la senti di vedere che diamine ha in mente? Gli ho esplicitamente detto di lasciare perdere Magnussen, quindi credo sia abbastanza ovvio che non resisterà più di poche ore per fare la sua mossa.»

«In effetti sì, ritengo sia abbastanza ovvio. Sono pronta. Dammi giusto un paio di minuti e mi metto in viaggio verso l’ufficio di Magnussen. Per entrare hai già un piano o mi arrangio?»

«Ti ho fatto recapitare un pass per entrare negli uffici. Devono fare un controllo di sicurezza informatica, e credo tu sia perfetta per l’occasione.»

«Mi hai fatto recapitare?» chiede incredula.

«Sì, una macchina ti aspetta di sotto.»

«Hai davvero mandato Anthea?» Non può crederci, eppure sembra proprio la verità. E lui sarebbe quello senza sentimenti?

«Non rispondevi da questa mattina. L’ultimo tuo messaggio è stato per avvisarmi che avevi mandato quel Wiggins con loro e di mandare un uomo per monitorare la cosa in tua assenza, e poi nulla,» si giustifica.

Lei sorride, si alza e si stiracchia. Un’occhiata veloce allo specchio la rende consapevole che, per quanto è ancora stropicciata come uno straccio, si sente davvero meglio e negli occhi rivede una luce che non vedeva da tempo. «Va bene. Cinque minuti e sono praticamente pronta. Appena prendo posizione mi metto in contatto.»

«Bene. Aspetto tue notizie quanto prima.»

«Perfetto.» Un istante di silenzio. «E... Myc?»

«Sì?»

«Grazie per esserti preoccupato per me. Non è una cosa a cui sono abituata.»

«Sì, beh, ragazzina... Lasciamo stare. Dobbiamo lavorare ora,» risponde imbarazzato.
 

Dopo aver interrotto la chiamata ci mette pochi minuti a essere effettivamente a posto. Va in bagno a rinfrescarsi e nota che ha ancora il segno delle coperte sul viso. si spazzola i capelli e si fa una treccia per tenerli a bada. Indossa una camicia bianca e un paio di pantaloni neri dal taglio classico.
Indossa una giacca leggera, sceglie le scarpe adatte – stando in compagnia degli Holmes ha imparato che ogni dettaglio può essere rilevante – e nascose la sua fedele calibro 22 sotto i vestiti perché non si sa mai a cosa l’aspetta là fuori. Si guarda allo specchio, soddisfatta del risultato. Può davvero passare per una segretaria o un’impiegata informatica.

Prende anche un paio di occhiali, perché evidentemente stando sempre al computer quasi tutti gli impiegati ne indossano uno. In più, questi hanno delle mini telecamere che permetteranno a Myc di vedere e sentire tutto quanto in diretta.

Infila il cellulare in tasca ed è pronta.

Sa che qualsiasi altra cosa le potrà servire sarà in macchina con Anthea.

Dà una grattata alla testa del grande gatto tigrato, che non si è mai mosso dal letto, nonostante non l’ha mai persa di vista e ha seguito tutti i suoi movimenti.

«Amico, ti lascio la finestra accostata, tanto sai come uscire se hai voglia. Tuttavia, se fossi in te me ne starei qui dove ci sono acqua, cibo e un letto comodo. Cosa volere di più?»

Un grande sbadiglio che mette in risalto i denti aguzzi del micio è l’unica considerazione che riceve per le sue premure.

«Beh, allora vado. Ci vediamo stasera, immagino. E grazie di avermi tenuto a galla oggi,» lo saluta, prima di dargli un’ultima carezza sul manto soffice.

«Meow,» le risponde il gatto.

Non può fare a meno di sfoderare un sorriso, ed è pronta per la missione.
 

La macchina è esattamente dove deve essere. Anthea l’aspetta seduta sul sedile del passeggero giocando – o chissà, magari organizzando qualche missione segreta; con lei chi poteva dire con certezza cosa stesse facendo? – con il cellulare, come sempre.

«Lo hai spaventato a morte, lo sai?» Le dice come prima cosa non appena la portiera si chiude dietro di lei, senza staccare gli occhi dallo schermo.

«Cosa?» le chiede sorpresa. Che Myc avesse davvero dato di matto non riusciva a crederlo, nonostante gli fosse parso agitato, durante la chiamata.

«Holmes. Non l’ho mai visto così, se non per il fratello in casi particolari. Credevo stesse per far uscire l’esercito a cercarti.»

«Non sarebbe stata una mossa molto furba.»

Mentre parlano, la macchina si è già immessa nel traffico cittadino.

«No, decisamente no. Quindi, per favore, evita di rifarlo. Un Holmes in preda a una crisi di nervi non è una cosa di cui ha bisogno il mondo.»

«No, in effetti no. Non l’ho fatto apposta, Anthea. Avevo solo bisogno di...» Sospira. «Non so neanche io di cosa, in realtà,» ammette.

«Dovesti iniziare a pensare per quanto vuoi continuare così.»

«Continuare?»

«Beh, non vorrai mica continuare a essere operativa. Non pensi che prima o poi ti renderai conto di essere stanca di rischiare la vita? Non hai mai pensato a cosa vuoi in futuro? Tutti quanti ci pensano. Fai questo lavoro da quanto, quindici anni?»

«Sono stata reclutata appena finito il liceo.»

«E sei ancora viva e con tutti i tuoi arti? Complimenti.» Anthea la guarda per un momento. «Quindi sono vent’anni che fai questo lavoro, in un modo o nell’altro. Avrai sicuramente un’idea di cosa vuoi fare dopo.»

«Non lo so,» ammette. «Non ci ho mai pensato. Forse... Forse non ho mai davvero creduto che ci sarebbe stato un dopo di cui preoccuparmi.»

«Beh, vedi di iniziare a farlo. Se ti succedesse qualcosa, non voglio sapere come reagirebbe il capo. Ascoltami bene: gli Holmes hanno uno strano, stranissimo modo di dimostrare il proprio affetto. Diciamo che non è la cosa in cui riescono meglio, ma vorrei seriamente evitare di vedere Mycroft Holmes reagire alla tua morte. Quindi fammi il favore di non farti uccidere.» Il silenzio scende nell’abitacolo. «Okay, ora occupiamoci della missione. Hai già preso gli occhiali. Benissimo. Tieni, indossa questi,» dice, porgendole una scatoletta che contiene degli auricolari che risultano praticamente invisibili una volta indossati. «Così almeno potrai sapere direttamente cosa vuole vedere il capo, già che devi entrare nella rete informatica di Magnussen...»

«Fammi indovinare: devo mettere un bel virus?»

«Lo sai, la conoscenza è il vero potere.» Le allunga una chiavetta e un pass. «È tutto qui dentro. Basterà inserirla nel computer di Magnussen. Purtroppo è non è in rete e devi riuscire ad accedervi direttamente. Se poi riuscissi ad accedere a quello della sua assistente, sarebbe perfetto.»

«E quel pass mi permette di accedere fino al piano dell’ufficio di Magnussen?»

«Ehi, stiamo parlando di Mycroft Holmes. Sarebbe stato capace di far riprogrammare tutti i sistemi di sicurezza del palazzo per renderti le cose più sicure e semplici.»

Entrambe si lasciano andare a una risata.

«Cuore d’oro, questo Mycroft, chi mai l’avrebbe detto,» scherza.

«Succedono cose strane in questo mondo.»

Lei indossa gli auricolari mentre Anthea risponde a una chiamata nel momento in cui la macchina si ferma accanto al palazzo di Magnussen. «Fra quanto? Perfetto. Sì siamo già arrivate entriamo subito in azione.» Chiude la chiamata e si volta verso di lei. «Il dottore e Il detective arriveranno fra una ventina di minuti, perciò hai il tempo di entrare e diventare invisibile come sai fare tu. L’assistente è ancora in ufficio, e purtroppo anche il suo capo, anche se doveva essere già uscito,» la informa velocemente. «Poco male. Al massimo dovrai rimanere anche dopo che i due se ne saranno andati. In questo caso ci penso io a seguirli, non preoccuparti.»

«Bene. Sono pronta.»

«Mi raccomando, ricordati quello che ti ho detto.»

«Starò attenta.»

«Sarà meglio.»

Esce dalla macchina e si avvicina senza alcun timore alle porte di vetro del palazzo.

«Ragazzina, mi senti?» la raggiunge subito la voce di Mycroft.

«Sì.»

«Bene, io vedo e sento tutto quello che vedi e senti tu. Praticamente è come se fossi accanto a te passo per passo.»

«Il mio angelo custode.»

«Credo che nessuno mi abbia mai definito così,» ammette l’uomo.

«Non ti conoscono. Comunque, eccoci qui: un nuovo gioco è iniziato.» Si avvicina con disinvoltura al bancone dove due agenti di sicurezza alzano lo sguardo. «Mi hanno chiamata per un controllo della sicurezza informatica,» annuncia, dando il via alla recita.

«Come mai non è venuto Jack?» domanda uno dei due, sospettoso.

«Jack Stiles, divorziato. Ha due figli, il minore ha tre anni,» le suggerisce all’orecchio Mycroft.

«Jack ha avuto problemi di famiglia. Sapete com’è... Con i bambini piccoli e l’ex nella sua serata di relax.»

«Oh, certo. Senza offesa, ma voi donne sapete come spennarci.»

«Nessuna offesa,» sorride lei, serafica.

«Bene. I documenti sono in regola. Hai anche il pass?» domanda il secondo, che per tutto il tempo è stato impegnato a controllare il foglio che lei le ha passato quando è arrivata.

«Ovviamente! Eccolo.»

«Ti hanno spiegato cosa devi fare e dove?»

«Sì, grazie.»

«Ottimo. Qui è tutto apposto, vai pure. Se hai bisogno, guarda verso le telecamere e facci segno; praticamente ti possiamo seguire come fossimo con te.»

Capisce senza bisogno di ulteriori spiegazioni che quello è il loro modo per avvisarla di non fare stronzate, perché l’avrebbero vista. «Perfetto.» Li lascia con un sorriso e si incammina verso gli ascensori.

«Comincia ad andare al secondo piano, dove ci sono gli uffici del personale.» La voce di Mycroft la accompagna passo passo.

Lei fa come le dice, con sicurezza, senza fretta, come se fosse una routine, per non destare sospetti e passare inosservata.

«Terzo ufficio.»

Lei scivola dentro, le luci che si accendono al suo passaggio. Sensori di movimento, immagina.

«Prendi il computer sulla sinistra e inserisci la chiavetta. Attenta a non farti vedere mentre lo fai.»

Lo accende. Da quella postazione riesce a vedere sia il corridoio illuminato che la finestra da cui si può godere di un bel panorama sulla città illuminata.

«La telecamera è perfettamente di fronte a te, quindi possono vedere ogni tuo movimento, ma non quello che compare sullo schermo. Ogni ufficio ha una sola telecamera, a parte quello di  Magnussen,» continua a suggerirle l’uomo.

La chiavetta l’ha già in mano, nascosta nel palmo. Digita sulla tastiera e le finestre di programmazione si aprono. Sa che non è veramente necessario, ma in un ufficio come quello ci sono troppe superfici riflettenti. Meglio prendere tutte le precauzioni.

Menomale che sa davvero cosa sta facendo.

Una penna le sfugge di mano, finendo a terra. Ovviamente è una finta, ma in questo modo dalla telecamera che la sta riprendendo da quando è entrata non possono averla notata mentre infilava la chiavetta nel computer.

«Fai partire il primo programma. Ci metterà pochi minuti a entrare nel circuito che controlla le telecamere, e in un secondo potremo controllare qualsiasi apparecchio – comprese le luci – così potrai agire indisturbata.»

I minuti passano lenti. Stare ferma ad aspettare non fa per lei.

«Ecco, perfetto. Adesso dammi solo un minuto ancora, per registrare il video che manderemo in loop,» interrompe il silenzio Mycroft, dopo un po’.

Aspetta come le è stato detto, anche se è difficile. Aspetta, ma si sente irrequieta.

«Ci siamo. Alzati pure e raggiungi gli ascensori. Te ne faccio trovare uno aperto che porta al piano prima di quello dell’ufficio di Magnussen.»

Lei esce dalla stanza. Le luci del corridoio questa volta non si accendono, come Myc ha promesso. Sta per raggiungere gli ascensori quando un movimento fuori dalla finestra la ferma.

«Myc, Moran è qui,» sussurra mentre corre a nascondersi.

«Cosa?» domanda l’uomo, confuso e agitato insieme.

Controlla di essere davvero sola prima di muoversi nuovamente. Si avvicina alla finestra aperta, si affaccia con cautela e riesce a vedere l’ombra sopra di lei che si muove con agilità. È una donna incinta e si arrampica come se non avesse alcun impedimento o preoccupazione. Non riesce a decidere se la ritiene coraggiosa o semplicemente non le importa nulla del bambino che sta portando in grembo.

«Moran è qui,» ripete. «Si sta arrampicando. Sul retro del palazzo non ci sono abbastanza luci per notarla. Del resto, chi diamine può decidere di arrampicarsi su questi vetri a specchio? Se non l’avessi vista con i miei occhi non ci avrei mai creduto.»

«Ti ha vista?»

«No, sono al buio. Non può avermi vista.»

«Bene. Questo è davvero un bene,» dice il suo capo, apparendo leggermente più tranquillo.

«Ma come ha fatto a non farsi notare? Come diamine c’è riuscita?»

«Non lo so proprio. I miei uomini stanno già lavorando per capirlo. Fatto sta che è un grande problema il fatto che ci sia anche lei.»

«Sta salendo,» lo aggiorna. «Credo stia andando direttamente nell’ufficio di Magnussen. Lui è ancora lì?»

«Sì, sia lui che l’assistente.»

«Devo salire?»

«Non puoi. Sherlock e il dottore stanno salendo ora.»

«Ha usato l’anello per passare?» chiede, cercando di alleggerire i toni. Sa che Mycroft è preoccupato quanto lei della cosa, ma non vuole che la troppa pressione gli faccia prendere decisioni sbagliate.

«Esatto,» conferma lui. Dal tono è sicura che abbia sorriso.

«John è ancora vivo?» sorride di rimando lei.

«Sì, direi che sia sopravvissuto. Incredulo, ma sopravvissuto.»

«Cosa faccio, Myc? Lei è lì e loro non lo sanno.» Ha visto con quanta velocità si stava arrampicando. Purtroppo troppo velocemente per aver tempo per pensare.

«Prendi le scale di servizio.»

La porta delle scale di servizio è accanto agli ascensori.

«Mi spiace, ma ti tocca fartela a piedi,» si scusa Myc. «È più sicuro. Non puoi farti vedere.»

«Nessun problema.»

«Tieni il pass sotto mano. Lo devi usare anche per passare l’ultimo livello delle scale di servizio.»

«Le telecamere?»

«Già sistemate. Ci vorrà un po’ di più per quelle nell’ufficio, ma ci stiamo lavorando.»

«No problem.»

Sale in fretta le scale. Ormai dovrebbero essere già nell’ufficio. Prega, non sa bene neanche lei chi, del fatto che si stiano preoccupando per nulla.

Arriva fino alla porta per l’ultimo piano. Sta per far strisciare il pass quando si accorge che la porta è manomessa.

«Qualcuno l’ha preparata per la fuga di Moran. Non credo che sia riuscita a entrare in questo ufficio in giornata per poi scalare gli ultimi piani questa notte per divertimento,» dice piano, informando Mycroft della situazione.

«Una talpa, dici? Sì, può essere, ha tutto più senso,» annuisce lui- «Questo vuol dire che devi stare ancora più attenta. Quella è la sua via di fuga e non deve assolutamente trovarti.»

«Troverò il modo di non farmi vedere.»

«Stai attenta. La porta sbuca proprio nell’ufficio privato di Magnussen, e lui dovrebbe essere ancora là dentro.»

«Li sento parlare.»

«Chi?»

«Magnussen, Moran e... Sherlock.» Non fa in tempo a finire la frase che uno sparo la gela sul posto.

 


Continua...


Note: Perchè lo so che non mi volete uccidere ora, mi volete bene, sotto sotto. Magari ora sotto qualche metro di terra, ma dettagli XD
A parte gli scherzi (spero) ci voleva un po' di tensione, no? Mica poteva andare tutto tranquillo e senza pensieri. Sto seguendo le orme di quei due del resto, non ho tantissima libertà, lo sapete anche voi.
Coraggio, settimana prossima torniamo al caro e vecchio angst, contente? No? Ops.
Grazie davvero per tutto l'affetto che mi dimostrate, me tanto felice!
  
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