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Autore: Alicat_Barbix    22/09/2019    0 recensioni
John Watson è un qualunque studente di Hogwarts. Ama il quidditich, teme la McGonagall, odia i Serpeverde. O almeno, così pensava. Ma John Watson è molto di più di questo. Strani sogni costellano le sue notti. Sogni a cui non riesce a dare spiegazione. La vita di John Watson sta per essere travolta dall'ondata ineluttabile del suo passato, un passato che a malapena ricorda ma che ha cambiato per sempre la sua vita. E poi... Sherlock Holmes. Sherlock Holmes che è insolente, arrogante, pieno di sé e più fragile di quanto John Watson pensi.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DUE
 
Era un pigro Lunedì di Novembre. Hogwarts si portava ancora addosso gli strascichi di quel weekend freddo, per non dire gelido, che aveva fatto affacciare i primi nuvoloni gonfi di neve sulle torri del castello. La scuola sembrava come abbracciata da un clima ancora assopito, da quella sensazione di torpore che ti intirizziva il corpo, sussurrandoti soavemente di indugiare ancora un poco, la mattina presto, rannicchiato nelle coperte.
John si alitò sulle mani gelide, nonostante ammantate dai guanti. L’abitudine di Greg di fare qualche tiro a cavallo della scopa la mattina presto non era certo scomparsa con l’assenza di Victor, e John era ovviamente diventato la vittima sacrificale di quelle folli idee che s’insinuavano nel cervello dell’amico. Certo, poteva andargli peggio, poteva essere Molly e doversi sopportare le genialata di Greg non solo la mattina presto col quidditch, ma anche in contesti più rilevanti.
“JOHN! TI SEI ADDORMENTATO!? TIRA QUELLA PLUFFA, AVANTI!” gli urlò l’amico, un puntino a malapena visibile nella cappa di nebbia che avvolgeva il campo.
“ECCO!” gridò di rimando, sospirando subito dopo: non era bravo a fare il Cacciatore. Insomma, lui era un Cercatore, uno dei migliori dell’ultimo decennio, secondo l’opinione pubblica, ma il miglior Cacciatore di Grifondoro dell’ultimo decennio – e non solo secondo l’opinione pubblica, ma anche secondo quella dei critici esperti – era Victor. Victor che era morto. E ancora lui non riusciva davvero a farsene una ragione. Per altro, l’avere a che fare con Sherlock Holmes stava rendendo questa metabolizzazione del lutto ancora più difficoltosa. Come poteva dimenticare Victor quando la persona da lui amata non faceva che scoccargli occhiate di sfida e sorrisetti provocatori ogniqualvolta si incontravano per i corridoi?
“JOHN! NONNA LESTRADE SA ESSERE MOLTO PIU’ RAPIDA DI TE!”
Gli strepiti seccanti di Greg lo destarono dai suoi pensieri e lui digrignò i denti, infastidito, caricando il colpo. Prese lo slancio e scagliò la Pluffa in direzione degli anelli di fronte a cui stava un Lestrade trepidante ed eccitato come una matricola del primo anno appena salito sulla scopa. Un Lestrade che, colto di sorpresa, non si accorse dell’arrivo della palla e rimase spiazzato ad osservarla entrare con precisione millimetrica in un anello.
Molly, seduta accanto al baule delle palle, scattò in piedi applaudendo e lanciando gridolini di giubilo per aver appena vinto la scommessa col suo fidanzato. John, ancora sorpreso per quel fatto, si passò una mano fra i capelli, accennando un sorriso. Accade tutto nella frazione di un secondo. Il baule delle palle si spalancò improvvisamente, e da esso si riversò fuori il boccino d’oro che sfrecciò a tutta velocità a un palmo dal naso del Grifondoro.
“Che diavolo…” biascicò spalancando gli occhi e osservando il boccino innalzarsi sempre di più, fino a venire inghiottito dalla pesante cappa di nubi. Solo quando la voce di Molly gli gridò di recuperarlo, si riscosse dal suo stato interdetto e si affrettò all’inseguimento della minuscola pallina alata. Si fiondò nelle nuvole spumose e presto tutto assunse contorni distorti, grigiastri, i suoi occhi faticarono ad ambientarsi a quella luce particolare che gli feriva la retina. Improvvisamente, il suo sguardo allenato da anni di duri allenamenti intravide un movimento alla sua sinistra. Fece appena in tempo a voltarsi per vedere il boccino scattare verso di lui, colpendolo in pieno viso e sbalzandolo a diversi metri, senza però riuscire a disarcionarlo dalla scopa. John gemette appena, portandosi una mano al labbro sanguinante: non capiva. Non gli era mai successo nulla del genere prima d’ora. Che il boccino si rivelasse frustrante e inafferrabile era un conto, ma che si prendesse la briga di attaccarlo era un altro.
Una violenta folata di vento lo sospinse brutalmente verso l’alto e lui si ritrovò con le braccia avvolte attorno al manico di scopa, mentre cercava di combattere la forza dell’aria appiattendosi contro di esso. Per la seconda volta, il boccino lo tramortì in piena faccia. Con un ringhio esasperato si allungò verso la pallina alata che proprio in quel momento stava ripartendo alla carica, pronta a colpirlo per la terza volta, e riuscì a ghermirla con un verso vittorioso, i denti ancora scoperti, quasi animalescamente. Appena fu nelle sue mani, il boccino si acquietò, ma fu questione di pochi secondi, perché il suo corpo si spalancò in due, emettendo una luce talmente accecante da costringere John a serrare gli occhi. Non vedeva niente. Non vedeva davvero niente, dannazione. Dov’era? Dove diavolo… era? Un fischio lancinante gli squassò i timpani e il Grifondoro credette d’essersi portato le mani alle orecchie perché, fortunatamente, quel fastidiosissimo suono sembrò attenuarsi un poco.
Johnny? Johnny? Perché ti nascondi? Tanto sai che ti troverò, Johnny… E’ questione di tempo… Pochissimo tempo, Johnny… E sarai mio.
 
 
Quando riaprì gli occhi, John era disteso e i suoi occhi impiegarono diversi istanti a mettere a fuoco il cielo plumbeo su di lui. Gli sembrava di sentire qualcosa… Voci. Delle voci. Erano voci? Tutto gli appariva distorto e confuso… Dove… dove si trovava? Ricordava di aver segnato con un tiro di fortuna e poi… e poi il boccino che si liberava indisturbatamente verso il cielo, lui che lo rincorreva e poi quella sorta di realtà distopica in cui era finito, con quella luce, quelle percosse da parte del boccino d’oro e… Johnny.
Fece per scattare in piedi, ma una fitta fulminante alla testa lo immobilizzò a terra, facendolo gemere.
“Piano, idiota.” sibilò una voce accanto a lui.
Gli bastò ruotare la testa di poco perché scorgesse il volto freddo di Sherlock. “Sherl… Sherlock?”
“Direi che le tue già di partenza scadenti facoltà mentali non abbiano riportato danni irreversibili.”
“Che è successo?”
Il moro sospirò, scuotendo la testa. “Sei caduto dalla scopa. Fortunatamente hai fatto un volo di appena tre metri, niente di che. Proprio come un pivellino.”
John decise di soprassedere a quell’ultimo commentino provocatorio. “E tu che diavolo ci fai qui?”
“Ho incontrato il tuo amico… Geoffry… Gavin…”
“Greg.” sussurrò una voce delicata alla sua destra che John riconobbe come quella di Molly, la cui presenza non era ancora stata registrata da lui.
“Lui. Insomma, l’ho incontrato che correva per i corridoi, pallido come un morto, e mi ha informato dello… spiacevole inconveniente. A quest’ora avrà già inutilmente avvisato Madama Chips.”
“Cos’era quell’esitazione prima di spiacevole inconveniente?” gracchiò John, cercando, per la seconda volta, di levarsi a sedere.
“Sarà stata solo una tua impressione.”
“A me non sembrava proprio…”
“Credo che tu abbia delle allucinazioni. Forse chiamare Madama Chips non è poi una così brutta idea.”
Allucinazioni. Quella parola cambiò tutto.
Tanto sai che ti troverò, Johnny… E’ questione di tempo…
“Io ho… Ho sentito una voce.”
“Perfetto, direi che siamo a cavallo.” replicò Sherlock acidamente.
“No, io ho…”
Ma le sue parole vennero interrotte dall’arrivo di Greg, completamente trafelato per la corsa, affiancato da Madama Chips, a sua volta accaldata e senza fiato. “Oh cielo…” mormorò la donna inginocchiandosi accanto a lui. “Ma che vi prende a voi benedetti ragazzi a quest’età… Ha dolori, signor Watson?”
“Alla testa…”
“Solo alla testa?”
John annuì.
“E’ stata una caduta insignificante, Madama Chips. Io non sarei così preoccupato fossi in lei…” osservò il Corvonero affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Non una parola di più, signor Holmes… Oh povera me, quando lo verrà a sapere il preside…”
John avvampò immediatamente, mentre, accanto a lui, Sherlock stringeva appena gli occhi. “N-non c’è bisogno che Dumbledore lo venga a sapere… Non stavo facendo niente di male…”
“No, ma certo che no, benedetto ragazzo… Coraggio, alzati. Signor Lestrade, può aiutarmi a…”
“Lasci, faccio io.” intervenne repentinamente il Corvonero, chinandosi su di John per caricarselo malamente addosso, sorreggendolo per un braccio.
Il Grifondoro rimase interdetto da quel gesto così scorbutico eppure così empatico. Che si stesse preoccupando per lui? John non sperava in tanto, forse neanche gli importava. Era vero che quella sera, nelle Cucine, aveva detto all’altro di essere suo amico, ciononostante il loro rapporto era ancora così strano e denso di tanti piccoli trascorsi risalenti a quella che sembrava una vita prima che lui non riusciva a ritenere Sherlock tale. Era diverso da Greg o da Molly, ma soprattutto era diverso da Victor.
“Vi accompagniamo…” pigolò la voce ancora mezza impaurita di Molly, che aveva da poco raggiunto Greg, stringendogli una mano.
“Non se ne parla.” rispose Madama Chips scoccandole un’occhiata tra il severo e il comprensivo. “Capisco la vostra preoccupazione, ma è orario di lezioni e anzi, se non vi sbrigate perderete l’inizio della prima ora.”
“Piton ci scuoierebbe vivi.” biascicò Greg deglutendo rumorosamente, probabilmente intento a figurarsi l’immagine del temibile professore di Pozioni mentre lanciava loro contro una maledizione crociatus o chissà quale altra diavoleria… “Effettivamente, credo proprio dovremmo muoverci, piccola.”
“Ma John…”
“Me la caverò, Molly.” la rassicurò il biondo con un sorriso forzato.
“Ti prometto che se proverà ad alzarsi dal letto prima di essere completamente apposto, gli darò una botta in testa.” rimarcò Sherlock indirizzando alla ragazza quello che si manifestò come un ghigno derisorio, ma in cui John riuscì a leggere un qualcosa di simile all’affetto. E Molly dovette essere dello stesso avviso, perché invece che rimpicciolirsi come soleva fare di fronti a sguardi provocatori come quello, si lasciò andare ad un sospiro sollevato.
“E va bene. Passeremo a trovarti alla fine delle lezioni del mattino, promesso.”
“Ci conto.”
John osservò i due amici inerpicarsi rapidamente verso il castello e si ritrovò a sospirare a sua volta, come se fosse finalmente libero di respirare. Madama Chips precedette lui e Sherlock, macinando ad ampie e inquiete falcate la strada che conduceva all’infermeria. Sorretto dalle braccia stranamente forti dell’altro e inondato del suo profumo gradevole, il Grifondoro chiuse gli occhi e lasciò vagare la mente a quell’irreale visione che non riusciva ancora a collocare in un contesto definito: sogno o realtà? Non ne era sicuro. L’impalpabilità e il candore accecante in cui si era trovato sospeso in quel breve – o lungo? – lasso di tempo sembrava quasi ispirare contorni onirici, eppure… Quella voce. Quella voce gli aveva sibilato all’orecchio in un modo così… così… Familiare? Gli sembrava di averla già sentita da qualche parte. Ma dove? E quando?
“John.”
La voce baritonale di Sherlock a così poca distanza dal suo padiglione oculare lo fece rabbrividire.
“Che c’è?”
“Dobbiamo parlare.”
John scrutò il viso dell’altro e lo trovò mascherato da un’espressione tesa, quasi apprensiva. “Immagino che non c’entri il mio imbarazzante incidente.”
“No… O meglio, non lo so… Ti spiegherò una volta soli.” si affrettò a concludere il Corvonero proprio mentre Madama Chips, immobile sulla soglia dell’infermeria, si voltava verso di loro stirando un debole sorriso e faceva loro cenno di entrare.
John lasciò che Sherlock lo sistemasse senza troppa grazia o riguardo su uno dei lettini più isolati dello stanzone, nonostante fosse completamente vuoto, mentre la donna era spirita nel suo ufficio a reperire tutto il necessario per occuparsi di lui.
“Sto ancora aspettando.”
“Dopo. Prima dobbiamo liberarci di quella spina nel fianco di Madama Chips.”
“Guarda che ti ho sentito, giovanotto!” insorse inviperita la donna in questione, arrivando con le mani strette attorno a due bicchieri, in uno dei quali vi era semplice acqua – probabilmente per aiutare a mandar giù qualche pasticca – e nell’alto un intruglio dall’odore per niente invitante. “E che cosa vorreste fare voi due senza questa spina nel fianco? Manda giù tutto d’un sorso, ragazzo, e non annusare.”
“Troppo tardi” pensò il biondo accettando il bicchiere con la mistura riluttante.
“Beh, credo che con uno sforzo d’ingegno potrebbe arrivarci anche lei… Sa, vorrei accertarmi che John non abbia riportato ulteriori lesioni. Operazione che richiederebbe un… controllo approfondito un po’ ovunque, molto da vicino…”
John per poco non sputò il beverone, tanto era il sapore nauseante e tanta era la sorpresa a quelle parole, ma riuscì a trattenersi all’ultimo solo immaginandosi la faccia e le urla isteriche di Madama Chips. Così, si limitò a colorarsi di un imbarazzante ed infuocato colore rosso a chiazze per tutta la faccia e anche oltre. Portò il suo sguardo sbarrato sull’altro che, completamente a suo agio, stava fissando un altrettanto sbigottita Madama Chips. Sherlock, resosi conto dei suoi occhi su di sé, si voltò verso di lui, cosa che provocò al biondo un’ulteriore eruzione rossastra per tutta la cute.
“Tutto bene, John? Sembri accaldato, vuoi che ti aiuti a toglierti la…”
“FUORI!” esplose la donna afferrando il moro per un orecchio e trascinandolo senza aggiungere altro fuori dalla stanza, lasciando John completamente perso a fissare il punto dove fino a poco prima si ergeva la figura longilinea dell’altro.
“Ma che razza gli è saltato in mente!?” si chiese ingoiando l’ultimo sorso dell’intruglio e poggiando il bicchiere sul comodino accanto al letto. Madama Chips tornò dopo poco, borbottando qualcosa di non esattamente troppo gentile nei confronti del ragazzo che si era appena eclissato dall’infermeria – o meglio, che era stato appena buttato fuori a calci.
“Quel benedetto ragazzo… Un giorno o l’altro passerà dei guai seri…”
“Perché dice così?” domandò John, la cui presenza era stata molto probabilmente rimossa momentaneamente dalla donna, che sussultò all’udire la sua voce.
“Non è forse il suo fidanzato? Dovrebbe saperle meglio di me certe cose…”
“N-non sono il suo ragazzo, io… Noi… Siamo amici, ecco tutto.” si affrettò a specificare il biondo, distogliendo lo sguardo.
“Certo, certo… Ad ogni modo, credo che dovrebbe stargli dietro.”
“A Sherlock?”
Lei annuì. “Insomma, è un ragazzo così forte all’apparenza, così libero e indipendente… Ma sotto sotto è più fragile di quel che voglia dare a vedere…”
“Sì, me l’ha… Me l’ha detto anche una persona che lo conosce… conosceva molto bene.”
Madama Chips sospirò, mentre gli porgeva il bicchiere con l’acqua e due pasticche per alleviare il mal di testa. “Il signor Trevor, già… Sono passati cinque mesi e ancora non sono riuscita a farmene una ragione… Un ragazzo così giovane, morire così nella scuola magica più sicura al mondo… E il povero Sherlock, quanto deve aver sofferto. Era una persona completamente diversa da quando il signor Trevor era entrato nella sua vita.”
“Perché, com’era prima?”
“Arrogante, scorbutico… Più di quanto sia ora, mi creda… Ma soprattutto, era debole. Si sarà reso conto anche lei che… insomma, non è un ragazzo facile, né uno che è solito circondarsi di amici… Ha passato così tanto tempo a fare avanti e indietro dai dormitori all’infermeria che non riesco a capacitarmene… Ogni volta aveva un livido diverso e una scusa diversa, ma io ho sempre saputo… Ma non si può aiutare qualcuno che non vuole essere aiutato, signor Watson, per questo alla fine mi sono limitata ad accoglierlo in silenzio, anche alle ore più fonde della notte, e a medicargli le sue ferite…”
Calò il silenzio. Madama Chips si era abbandonata sulla sedia di fianco al suo letto, gli occhi persi chissà su quale piega del lenzuolo, su quale pulviscolo di polvere…
“Ricordo ancora il giorno in cui è arrivato quel… Victor, se non vado errata. Quando l’ho visto in compagnia di quel ragazzo sono rimasta imbambolata per diversi secondi… E quando quel giovanotto mi ha raccontato di aver trovato Sherlock mentre veniva malmenato da due idioti di Grifondoro, non ci volevo credere… Non ero così ingenua da pensare che gli atti di bullismo nei confronti di Sherlock passassero inosservati a tutti e sinceramente il sapere che vi fosse chi vedesse ma non facesse nulla per intervenire mi rendeva ancora più amareggiata ogniqualvolta Sherlock mi si presentava davanti come un cucciolo indifeso… Ma quel giorno, c’era stato il signor Trevor e, a detta sua, ci sarebbe stato anche nei giorni avvenire… Chi avrebbe mai detto che fra quei due potesse nascere qualcosa!” L’espressione della donna, però, si adombrò in breve. “E devo rivelarle una cosa, signor Watson: credevo che con la morte del signor Trevor sarebbe tornato tutto com’era prima, invece… Invece ora c’è lei al suo fianco e grazie a lei Sherlock ha ritrovato la voglia e la forza di amare.”
“Non sono il suo ragazzo, gliel’ho detto...” ripeté con meno esasperazione di quanto avrebbe voluto John, stringendo i pugni sul lenzuolo.
“Statevi vicini, mi raccomando… Guardatevi le spalle a vicenda, perché potreste averne bisogno… Più di quanto possiate immaginare.”
Detto ciò, Madama Chips si alzò in piedi, esclamando un ma ora è meglio lasciarti riposare, e sgattaiolò velocemente nel suo studio, barricandosi dentro a fare chissà cosa. John cominciava a sentire una certa sonnolenza – forse opera degli antidolorifici ingurgitati – e così tirò le tende che separavano il suo letto dagli altri, rannicchiandosi subito dopo per bearsi di quell’apparente quiete che era riuscito a ritagliarsi. Ma bastò chiudere gli occhi per un frangente, uno solo, per rivedere quella massa informe di tenebre e udire nuovamente quel sibilo oscuro.
Scattò a sedere, la mano che era istintivamente corsa alla bacchetta. Un rumore. Gli era parso di avvertire un rumore. O magari stava solo impazzendo, magari lo stress gli stava giocando un brutto scherzo. Ma bastò affinare appena di più l’udito per sentire dei passi felpati che si susseguivano furtivamente, sempre più vicini, sempre di più, prossimi, così prossimi…
John lanciò un urlo nel momento stesso in cui una delle tende venne brutalmente scostata e protese in avanti la bacchetta, il primo incantesimo di difesa già pronto sulle labbra. Ma non fu abbastanza rapido, perché si ritrovò schiacciato contro il materasso, il polso della mano con cui reggeva la bacchetta serrato da un paio di lunghe dita affusolate e la bocca tappata da una mano gelida come la morte.
Provò a dimenarsi, di fronte a lui un’ombra che gli ottenebrava la vista, ma si sentiva impotente e quella voce continuava incessantemente a rimbombargli in testa, ancora e ancora, sempre più forte, sempre più insistente…
Johnny… Piccolo Johnny… Il tuo cuore… Il potere… Mio.
“JOHN, PER L’AMOR DI DIO!” urlò una voce in mezzo a quelle tenebre spumose.
E fu proprio quella voce a indurlo alla quiete. Il buio si diradò lentamente e non impiegò troppo tempo per scorgere il viso di Sherlock, pallido e deformato da una smorfia affaticata, probabilmente generata dallo strenuo forzo di contenere la sua impetuosità. Quando il moro si rese conto della consapevolezza che aveva appena acceso gli occhi dell’altro, scostò la mano e si limitò a ricambiare lo sguardo.
“Che è successo?” sussurrò il biondo.
“Non ne ho idea. Mi sono intrufolato qua dentro con l’intento di parlarti ora che Madama Chips è sgattaiolata da Dumbledore e quando ho scostato la tenda ti ho trovato in ginocchio, con la bacchetta in mano e gli occhi… Non erano i tuoi.”
“Com’erano?”
“Terrorizzati e rancorosi al tempo stesso… Ho fatto appena in tempo a neutralizzare il tuo Schiantesimo, e… beh, hai opposto un po’ di resistenza.”
John distolse lo sguardo, confuso. “Io non… non vedevo nulla, solo nero e… Non riuscivo a sentire nient’altro che quella voce…”
“La stessa di cui mi hai parlato prima?”
John annuì. “E’ anche la stessa che da un paio di notti a questa parte ritorna e… dice sempre le stesse cose… Cazzo, io non riesco a capire!”
“E’ strano, in effetti…”
Il Grifondoro puntò i suoi occhi in quelli apparentemente lontani dell’altro e un qualcosa, all’altezza dello stomaco, gli si rivoltò nel momento in cui realizzò di essere premuto contro il letto, il corpo del moro sul suo, tremendamente vicino e vivo e caldo…
“Sh-sherlock?”
“Mhm?”
“F-forse potremmo ragionare meglio se… sì, insomma, se non fossimo sdraiati sullo stesso letto, uno sull’altro?”
Il viso di Sherlock, inizialmente coloratosi di consapevolezza, si sciolse in un’espressione maliziosa. “Cos’è, ti senti esposto?”
“N-non mi sento esposto…”
“E allora perché continui a balbettare e ad arrossire come una tredicenne?”
“Non… non faccio così!”
“Se lo dici tu…” commentò infine il moro, scostandosi e scivolando a sedere sulla sedia su cui, fino a poco prima, era stata accomodata Madama Chips. Calò qualche momento di silenzio particolarmente denso per John e probabilmente insignificante per Sherlock, che si limitava a starsene con gli occhi chiusi e le mani giunte sotto il momento, perso in chissà quali pensieri. Il biondo si ritrovò stranamente affascinato da quella posa così singolare e non poté evitarsi di pensare a ciò che gli aveva detto Madama Chips: ma sotto sotto è più fragile di quel che voglia dare a vedere. Improvvisamente, alla voce della donna si sovrappose anche quella di Victor: è più fragile di quanto pensi… Lui ha bisogno di essere amato. E ci rifletté davvero, John, mentre era intento ad osservarlo: Sherlock Holmes, quel saccente, petulante, spocchioso, brillante e – innegabilmente – affascinante Corvonero poteva davvero aver bisogno di amore? Lui? Lui che sembrava avere tutto? Ricordò quel ragazzino gracile e spaurito che aveva conosciuto quel mattino di Gennaio, col viso imbrattato di sangue. Sembrava così lontano e diverso dallo Sherlock che aveva imparato a conoscere in quelle poche settimane. Era confuso. Non riusciva a capire dove iniziasse e finisse lo Sherlock che apparteneva a Victor, che aveva saggiato il suo amore, che gli aveva dato il proprio… Non sapeva neanche se ci fosse una parte di lui che non fosse di Victor. Come se fosse davvero importante.
“C’è qualcosa…”
La voce cupa dell’altro inondò il silenzio. “Qualcosa?”
“C’è qualcosa che mi sfugge… Qualcosa che ho sotto i miei occhi…”
Il Corvonero riaprì gli occhi per puntarli sull’amico. Trascorsi alcuni secondi silenti e carichi di tensione, finché il viso del moro non si accese: “Ma certo! Stupido, stupido, stupido! Come ho fatto a non capirlo prima! Sei straordinario, John, assolutamente straordinario. Non sarai il più brillante tra gli studenti a Hogwarts, ma come conduttore di luce sai il fatto tuo!”
“Ehm… grazie? No, forse no… Era un complimento? Non l’ho capito…”
“Tecnicamente sì e – tanto per mettere in chiaro l’enorme favore che mi devi – in un contesto diverso non ti avrei mai neanche degnato della mia attenzione, tanto è basso il tuo quoziente intellettivo.”
“Ti stavi complimentando, dannazione! Non rovinare tutto! Comunque, che ho fatto o detto di così illuminante?”
Sherlock si sporse avanti, gli occhi che gli brillavano d’eccitazione. “Non è tanto qualcosa che hai detto o fatto… Sei tu. Sei tu quel qualcosa che mi sfugge.”
“Io?” gli fece eco il Grifondoro inarcando un sopracciglio e cercando di contenere il rossore all’udire quella frase che per qualche motivo gli suonava esageratamente allusiva.
“Intorno a te, John Watson, orbita un mistero oscuro… Un mistero di cui il preside e i docenti sono però a conoscenza.”
“Non capisco…”
“Madama Chips era terrorizzata all’idea di dover riferire al preside che tu, John Watson, tu ti fossi ferito. E scommetto che poco fa, quando è uscita, si sia diretta proprio in presidenza. E il tuo sogno… Che cosa diceva quella voce?”
John rabbrividì nel ripensare a quel sibilo. “Qualcosa del tipo… Ti troverò o… sarai mio. Alludeva anche ad una specie di… potere e di… eredità? E’ tutto confuso e…”
Sherlock scattò in piedi e si inginocchiò sul materasso, sovrastandolo per la seconda volta quel giorno. “Dev’essere così… per forza di cose.”
“C-così? Ma perché devi per forza starmi così appiccicato ogni volta che ti vengono delle intuizioni!?”
“Il mio cervello lavora meglio… Ad ogni modo, John io… non so come o perché, ma tu c’entri. C’entri in una maniera quasi… totale.”
“C’entro con cosa?” Sherlock si morse nervosamente il labbro e distolse lo sguardo. “Sherlock?”
“Non ne sono sicuro… E non mi piace non sapere.”
John sospirò e si abbandonò a quella stanchezza che gl’infondeva una sorta di nebbia di fronte agli occhi già da prima dell’arrivo di Sherlock. Ma ora… ora gli sembrava come prosciugato di ogni energia, così serrò le palpebre, colto da un improvviso sbadiglio.
“Sherl…”
“Dormi un po’, adesso.”
“Avevi detto…”
“Parleremo, John, non preoccuparti… Adesso ti lascio riposare.”
Ma in un attimo di quasi blackout totale, John allungò la mano, afferrandogli un braccio per impedirgli di andarsene. Era così provato che non riuscì neanche a vergognarsene. “Potresti… Potresti restare qui? Solo cinque minuti?”
E la risposta dell’altro venne assorbita dal nero cupo dell’incoscienza.

SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Scusate il ritardo ma è successo un casino: ho dovuto cambiare famiglia (quella host mum la odiavo troppo e lei mi ha cacciato di casa dall'oggi al domani quindi credo fosse reciproco), ora sono in una family stupendosissima ma ovviamente è temporanea quindi BOH. E niente, sì, non vi importa nulla della mia vita disagiata ma di questa storia, quindi eccovela qua. Speriamo per il prossimo capitolo di riuscire a pubblicarlo verso giovedì, venerdì ma non sono sicura (sabato parto e vado a manchester in gita per cinque giorni quindi o così o mi uccidete perché potrete avere il capitolo solo fra due settimane eheheheh).

E niente, fatemi sapere che ne pensate se avete voglia e tempo e per tenermi un po' di compagnia sono bene accetti gli scleri post inizio scuola. Sciau belli!

*kiss kiss*
Alicat_Barbix
   
 
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