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Autore: Lupoide    27/09/2019    12 recensioni
Prima classificata al contest "Una macchia di Storia" indetto da Elly2998 e Inchiosto_nel_Sangue, ottobre 2019
Non tutte le storie d'amore hanno un lieto fine, Bonnie e Clyde furono forse la cieca dimostrazione di quanto si può amare una persona fino alla distruzione e io ho deciso di tributar loro questa one-shot. Un brindisi al modo furioso di vivere le loro vite insieme.
Per una manciata di minuti torniamo nel Texas degli anni '30, diamo uno sguardo insieme a quella che era una loro giornata tipo e alla storia d'amore più romantica di tutti i tempi.
Buona lettura.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Aspettarla in macchina sta diventando il mio personale girone infernale.

 

Tutte le volte che la vedevo varcare la soglia di una stazione di servizio, di un negozio o di una gioielleria mi si fermava il cuore. I minuti sembravano dilatarsi fino a diventare ore e non riuscivo a sentire nulla per via del battito accelerato del mio cuore.

In questo momento, riesce addirittura a coprire il dolce cantare di questa bellezza.

 

Ford V8 nera, nuova nuova di zecca.

 

70 cavalli roboanti uniti a un cambio a 3 marce che mi permette di spingere questo gioiellino fin quasi ai 120 km/h. E’ stato un mio capriccio quello di voler rubare proprio quest’auto nonostante la mia donna mi avesse messo in guardia più volte reputandola troppo appariscente. Il guaio è che ce ne sono veramente poche in giro, sono nuove sul mercato e quindi facilmente riconoscibili. Certo, tutto questo lo diceva prima di vederla, poi venne assalita anche lei dalla smania di poterla dire sua, anche se per poco tempo, anche se soltanto per un colpo.

 

Lei merita il meglio.

 

Sempre e comunque, fino alla fine dei nostri giorni.

 

Forse non ce ne rimangono molti ma voglio che lei abbia veramente tutto ciò che la vita può offrirci senza dover chiedere il permesso a nessuno.

 

Ma lasciate che mi presenti prima di continuare.

 

Mi chiamo Clive Chestnut Barrow, ho 24 anni e una taglia da 5000 dollari che pende sulla mia testa.

 

Sono un bel mucchio di soldini, non trovate?

 

Il fatto è che mi sono innamorato di una donna per la quale farei di tutto ma purtroppo, essendo nati entrambi sotto una cattiva stella, non avevo molto da offrirle quando ci siamo conosciuti.

 

Due anni fa passai a trovare un vecchio amico a Dallas, Clarence Clay, e mai avrei immaginato di aver preso un appuntamento con il destino. Quando la vidi per la prima volta, seduta su quella sedia a dondolo e avvolta nel suo lungo vestito scuro, percepii il cuore balzarmi in gola.

 

La sua bellezza era stravolgente e in un attimo me ne innamorai.

 

Fu allora che Bonnie Elizabeth Parker mi sorrise per la prima volta.

 

Ne rimasi completamente folgorato, la prima dose di una droga da cui non potei più separarmi, la mia bambolina dagli occhi blu, blue eyed baby.

 

Votai, quindi, il resto della mia vita a quel piccolo angolo di paradiso, vederla ridere divenne l’unico e vero scopo della mia vita.

 

Una vita fino a quel momento miserabile, passata in povertà e in disgrazia, divenuta persino zoppa circa tre anni fa, quando dovetti convincere un mio compagno di carcere ad amputarmi due dita pur di evitare i lavori forzati.

 

Viviamo in un’epoca maledetta da Dio e quei porci degli sbirri continuavano con i loro soprusi, fu un sacrificio necessario in fondo.

 

Ma la mia Bonnie è differente.

 

Incontrarla fu la prova tangibile che, dopo un vissuto di espiazione, finalmente ero riuscito a guadagnarmi il tesoro più importante che un uomo possa desiderare: l’amore di una donna fedele e devota.

 

Eh sì, sono il bastardo più fortunato del Texas. Ma che dico? Del mondo intero.

 

Lei, la più spietata figlia puttana con l’anima di una poetessa, ed io, il mezzo che Dio le ha messo tra le mani per ottenere tutto ciò che voleva.

 

Cominciammo a frequentarci e vederci di nascosto praticamente il giorno stesso, seppure lei fosse sposata. Ormai erano più di tre anni che il marito era scappato con la coda tra le gambe senza più farsi vedere, d’altronde non lo biasimo, per reggere una donna del genere devi avere un candelotto di dinamite al posto dell’uccello.

 

Ormai sono passati sei mesi da quando cominciò la nostra fuga dalle autorità.

 

Iniziò tutto quando venni arrestato -di nuovo- per una rapina ma questa volta quel maiale del giudice decise di darmi il massimo della pena. Sarei dovuto rimanere 10 anni in quella cella. Immaginate ora la mia sorpresa quando, durante una visita, vidi Bonnie avvicinarsi a me e alzarsi leggermente la gonna. Comincia a sfiorarle le cosce con la punta delle dita mentre dentro di me si faceva largo la voglia di farla mia lì, davanti a tutti, sul tavolo della stanza delle visite. Il secondino alzò gli occhi al cielo per l’imbarazzo, fu allora che, mentre le mie mani smaniose continuavano a salire, proprio vicino al suo intimo fiore, toccai qualcosa di duro.

 

Per un attimo rimasi senza fiato, prima che la mia mano riconoscesse il calcio di una pistola.

 

- Brutta figlia di puttana…

 

Mi rispose sorridendomi come sa fare solo lei nell’universo.

 

La baciai così forte che, per un attimo, ebbi la sensazione che fossimo rimasti solo noi in tutto il Texas. In fondo è un po’ così, io non ho che lei e viceversa.

 

Tirai a me il cane della pistola ancora sotto la sua gonna, vidi un brivido d’adrenalina arricciarle la pelle mentre tenevo puntata l’arma carica contro la sua intimità. Lesto come un ragno che ghermisce la sua preda, la estrassi dalle pieghe della sua gonna, tesi il braccio in direzione del secondino e lo minacciai che, se si fosse mosso, gli avrei piantato una pallottola nel cranio. Povero cristiano, probabilmente se la fece nelle braghette.

 

La nostra fuga rocambolesca fu riportata su tutti i quotidiani del Texas il giorno dopo. Forse non ve ne siete accorti ma state parlando con un’autentica star in questo momento.

 

Non passò molto tempo prima che la polizia riuscisse a trovarmi di nuovo, così mi trovai nuovamente a soggiornare presso le prigioni del Texas prima di essere rimesso in libertà. Questa fu l’esperienza che mi cambiò di più nella vita, finalmente avevo trovato il mio vero motivo di esistere: fargliela pagare.

 

Cara.

 

Carissima.

 

Come non hanno mai pagato prima.

 

Così iniziò la nostra fuga romantica dalla polizia. La fortuna ha voluto che individuammo un negozio d’armi da saccheggiare, il primo di una lunga serie, dove potemmo fare scorta e ora abbiamo un vero e proprio arsenale in macchina. Da allora ho perso il conto di tutte le rapine a mano armata che ci hanno portato sin qui. Bonnie, il mio angelo, è diventata piuttosto famosa per la sua manualità con il BAR a causa di una foto che le scattai per gioco e di cui ne fu rinvenuto il negativo dalla polizia, volevamo farla stampare e invece finì sulle prime pagine di tutti i rotocalchi. In realtà la pellicola la ritrae con in bocca un sigaro e su questo la stampa locale ci ha ricamato talmente tanto che su ogni taglia appesa per il Texas, la sua foto la ritrae mentre fuma un cubano. Tutte le volte si incazza come una faina e, strappandola, maledice il giorno in cui fece quella foto per scherzo. Lei fuma sigarette, non il sigaro, e ci tiene molto a precisarlo.

 

Vorrei dirvi che la vita da fuggitivi è orribile ma non è così.

In realtà sembra fatta su misura per noi.

 

Per gente che, come noi, prende ciò che vuole e non si lascia nulla alle spalle, neanche un rimorso. Ogni volta che Bonnie ha un desiderio non deve far altro che comunicarmelo, il mio unico motivo di vita è quello di realizzarlo. Ho perso il conto ormai di quante sere abbiamo passato a curarci le ferite a vicenda, quante notti insonni passate a fare turni di guardia per controllare che la polizia non ci sorprendesse e quante mattine trascorse con il pensiero che il primo bacio di quella giornata avrebbe potuto essere anche l’ultimo.

 

Ecco perché aspettarla in macchina sta diventando il mio personale girone infernale.

 

Persino ora, mentre la macchina continua a sputare gas di scarico dalla sua marmitta cromata, ho paura che la mia donna non torni più da me. Quando le ho sussurrato quel “buona fortuna” a denti stretti, prima che aprisse la portiera, mi ha risposto con il rumore di ricarica del fucile. Potrebbe mai essere questa l’ultima immagine che il buon Dio ha voluto concedermi di lei? Possibile che io debba abituarmi all’idea di una vita senza Bonnie?

 

No!

 

No!

 

E ancora no!

 

Non esiste particella d’ossigeno in tutto il globo terracqueo che valga la pena d’esistere senza la mia piccola criminale.

 

Fanculo. Fanculo! FANCULO!

 

Mi sono detto mille volte di non farmi influenzare da questi pensieri negativi che poi condizionano ogni nostro colpo. Non devo permettere alla paura di farmi suo ostaggio.

 

In fondo la più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell'ignoto.

 

Non ricordo dove l’ho letto di recente.

 

E quale incognito può far più paura di uno privo della mia donna al mio fianco? Il mio futuro stesso è un’incognita ma non riesco a immaginarne uno senza lei. Non voglio. Mi rifiuto anche solo di permettergli di stazionare all’interno della mia camera dei pensieri.

 

E’ tutto buio se guardo avanti senza stringere la sua mano.

 

Ah sì, era una rivista di Bonnie, il The Recluse di qualche anno fa, ecco dove l’ho letta.

 

D’altronde è lei la parte acculturata della coppia, sempre lì a leggere e scrivere poesie, io invece sono il cervello direttivo e pratico. Quello che organizza ogni singolo spostamento lungo i confini, orari in cui effettuarli e quali tragitti percorrere per evitare di incontrare posti di blocco.

 

Sarebbe piaciuto anche a me potermi dedicare alle arti ma purtroppo sono nato nella famiglia meno adatta per poter sviluppare qualsivoglia tipo di cultura.

 

Nel mio petto batte un cuor di canaglia e smetterà di farlo solo quando una pallottola lo fermerà.

 

Certo, spesso mi fa rabbia non poter rispondere dignitosamente alle parole d’amore che Bonnie spende per me.

 

Io, al massimo, posso dimostrarle quanto l’amo solo con il piombo.

 

Mettendo fine alla carriera di qualche sbirro che si avvicina troppo alla nostra tana o difendendola, per quanto possibile, da tutto quello che può farci del male.

 

E solo Dio lo sa quante notti ho passato cercando le parole giuste per poterle descrivere tutto ciò che provo per lei, ma purtroppo non riesco. Parrebbe quasi che non siano state ancora inventate di così forti per essere la prosa di un mio canto.

 

Il fatto è che, come vi accennavo, sono nato sotto una cattiva stella.

 

Fatemi chiudere gli occhi solo per un minuto, voglio tornare a quando ero poco più che un bambino, quando ancora io e Bonnie eravamo due sconosciuti.

 

Comincio col dire che sono nato in una famiglia piuttosto numerosa, sono il quinto di sette fratelli. Che i miei genitori non navigassero nell’oro non è mai stato un segreto per nessuno, in fondo le braccia che mi hanno allevato e cresciuto hanno trovato il loro primo lavoro nella terra, insomma eravamo una bella combriccola di contadini quando partimmo dalla contea di Ellis circa una dozzina d’anni fa. Sono gli anni che ricordo meno ma le poche memorie che mi sono rimaste sono vividissime.

 

Si dice che il cervello tenti di rimuovere quello che è troppo brutto per rimanere incastrato all’interno dei meccanismi della memoria, forse è questo che è capitato a me. Avrò avuto circa undici, al massimo dodici anni quando ci trasferimmo a West Dallas. Che i miei genitori non navigassero nell’oro non è mai stato un segreto per nessuno, ci tengo a ribadirlo, tanto che i primi mesi della nostra vita di città li passammo a vivere sotto il nostro stesso carro. Non avevamo abbastanza soldi neanche per poterci riempire lo stomaco due volte al giorno e lì appresi la prima di una lunga serie di lezioni che hanno plasmato la mia vita: se non ti basta ciò che hai, rubalo.

 

Ci mettemmo circa 5 mesi prima di riuscire ad avere abbastanza soldi in tasca da poterci permettere una tenda...non che la nostra situazione fosse migliorata, eh. Immaginate nove persone a vivere in un misero spazio, con una latrina pubblica e in una città dove volavano più pallottole che mosche.

Il cielo notturno è stato il primo tetto sopra la testa che io abbia mai avuto e fissando tutte quelle stelle capii che io in quella merda non potevo restarci, a qualsiasi costo.

In realtà non è che abbia mai avuto gran problemi con la legge fino ai diciassette anni. E’ vero che sicuramente non sarò stato uno stinco di santo ma quando rubavo lo facevo per necessità, questo mi spinse a puntare sempre più in alto.

 

La prima volta che il violento braccio della legge mi acciuffò in realtà fu per una stupidaggine. Uscivo con una ragazza all’epoca, avevo appena scoperto le gioie dell’amore fisico e così noleggiai una macchina per raggiungerla e farle passare una bella serata. Il problema fu che poi mi “dimenticai” di restituirla per tempo e così, quando vidi un posto di blocco che mi faceva cenno di accostare, semplicemente aprii il gas e cercai di scappare. Quando riuscirono a prendermi uscì fuori il discorso del noleggio e fui interrogato a riguardo.

 

Conobbi la gattabuia per la prima volta.

 

Che posto di merda.

 

Non passò molto tempo prima che toccassi nuovamente le sbarre di una cella ma, se pensate che il mio primo arresto fu per una sciocchezza, non crederete al reato di cui fu accusato la seconda volta.

 

Furto di tacchini.

 

Con mio fratello Buck arraffammo qualche pennuto, non so cosa ci disse la testa in quel momento ma ci sembrò un’idea geniale. Non so neanche cosa ci avremmo fatto poi, se li avremmo rivenduti o semplicemente cotti, sta di fatto che mi trovai di nuovo a contare la polvere in cella.

 

Quel soggiorno nelle prigioni mi fece capire una cosa però: dovevo migliorare. Intendo sia a rubare che a non farmi acchiappare, ovviamente. Mi trovai qualche lavoretto per un paio d’anni, qualcosa che facesse pensare che finalmente avevo trovato la mia redenzione, la mia buona strada, e nel frattempo però alzai il tiro. Cominciai a scassinando qualche cassaforte, rapinando qualche negozio, finché non arrivai alla mia vera passione: il furto d’auto. Non sono mai stato delicatissimo, il lavoro di fino purtroppo non è mai stato nelle mie corde, per cui il mio stile verteva più sulla rapidità e l’efficacia. Un po’ d’aria non ha mai ucciso nessuno in fondo e un finestrino rotto non cambia di molto il valore di un’auto.

 

Fu in quel periodo che incontrai Bonnie per la prima ma, per quanto iniziammo a vederci praticamente subito, non potetti goder troppo della nostra relazione poiché fui acchiappato di nuovo con le mani in pasta mentre rubavo un’auto e così finii di nuovo al fresco.

 

Ecco quest’ultima esperienza è stata quella che mi ha più segnato nella vita.

 

Come ama dire Ralph, un vecchio amico, fu quella che mi ha trasformato da un ragazzino in un autentico serpente a sonagli della peggior specie.

 

Ora fatemi un favore, chiudete gli occhi per un secondo e immaginate un esile ragazzo di 21 anni con la faccia da bambino. Immaginatelo di guancia sempre ben rasata e con i capelli perfettamente pettinati. Ci riuscite? Bene. Quello sono io.

 

Ora provate a immaginare il contesto che mi circondava all’Eastham Unit, un posto dove il più tranquillo contava almeno un omicidio nel proprio curriculum, pieno di uomini grossi e nerboruti che non vedono, e non vedranno, una donna per chissà quanti anni o, nei peggiori dei casi, per decenni.

 

Potete immaginare il mio culetto che fine potrebbe fare?

Sì, esatto. Diventò il bersaglio di qualche finocchio Texano condannato all’ergastolo.

 

Seconda severa nozione inflittami dalla vita: se qualcuno vuole fare di te la sua donna, uccidi.

 

Lo sa bene il mio aguzzino.

 

O meglio lo sapeva quel bastardo, prima che ascoltassi per la prima volta la musica più celestiale che il buon Dio potesse insegnare agli uomini: il suono di un cranio umano frantumato a colpi di un corpo contundente.

 

Torno a ripetere che la classe e l’eleganza non sono mai stati attributi accostabili alla mia persona e un tubo di ferro che mi ero rimediato durante un’ora d’aria mi parve l’arma più consona per consumare la mia vendetta.

 

E da qui in poi vi ho già raccontato a grandi linee cosa successe, la zoppia che mi procurai grazie a un compagno di cella corrotto con un pacchetto di sigarette e un po’ di protezione, i lavori forzati quindi scampati, l’ennesimo arresto con conseguente fuga grazie all’intervento di Bonnie e poi di nuovo sbattuto in cella.

 

Infine, libertà.

 

Finalmente il cielo notturno era tornato a essere il tetto sopra la mia testa.

 

Da quel momento diventai un vero problema per quei porci dei piedipiatti, seppur ora il mio passo sia divenuto perennemente claudicante, la mia marcia per fargliela pagare non si arrestò mai...anzi subì una brusca accelerata. Una volta uscito mi resi conto di avere molto di più di quanto potessi aspettarmi dalla vita: la donna che avevo sempre sognato al mio fianco, un manipolo di uomini pronti a sacrificare la loro esistenza per seguirmi, una macchina nuova al giorno e un arsenale di armi per punire l’infame legge aguzzina che tanto s’era divertita a tirare i fili della mia sorte fino a quel momento.

 

Frastuono di piombo e polvere da sparo.

 

Poi l’allarme della gioielleria rimbomba ovunque.

 

- Porca puttana troia…

 

Ho giusto il tempo di sibilare questo prima che la mia voce venga coperta dal rumore di altri spari. Il sangue sembra rovesciarsi tutto insieme nel mio cuore per poi tornare in circolo carico di adrenalina e diventa lo squillo di tromba prima di una battaglia, come l’urlo di un vecchio tenente che carica il nemico e un ancestrale corno che apre la caccia tutto insieme.

 

La mia Bonnie è in pericolo e la mia trasformazione è già avvenuta.

 

Del Clyde umano resta ben poco, ora sono mamma cinghiale che difende i suoi piccoli, uno sprovveduto in giacca e cravatta con in mano un fucile che non è più attaccato alla vita e una fiera dagli occhi luminosi di rabbia cieca.

 

Un sacco di juta cala sul mio volto, occludendomi parzialmente la vista ma così da impedire alle persone di riconoscermi anche se in realtà sarebbe superfluo...la rabbia ha già trasfigurato i miei connotati rendendomi irriconoscibile.


 

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La prima volta che vidi Clyde fu come se fosse passato un treno merci sul mio cuore. Per un attimo ricordo che rimasi quasi completamente bloccata mentre lo fissavo. Stavo aiutando una mia amica all’epoca, ero sua ospite perché si era fatta male a un braccio e io l’aiutavo in quel periodo di degenza.

L’aspetto fisico di quel ragazzo entrava fortemente in contrasto con la sua camminata e i suoi modi. Tanto bello e curato nell’aspetto top gun quanto sgraziato e grezzo nei movimenti e nelle espressioni.

 

Forse fu proprio questo dualismo figurativo che mi colpì con forza.

 

Come se Clarke Gable recitasse un ruolo al posto di Erich Von Stroheim.

 

Come se il profano camminasse per le strade vestito di sacro.

 

Notai subito la scintilla che scoccò anche nei suoi occhi, per un attimo sentii le gote riempirsi di sangue e produrre quel rossore di imbarazzo che palesava tutti i miei impuri pensieri. E lui l’aveva notato, eccome. Fui penetrata in un secondo sin nell’intimo dai suoi occhi, da quegli acquitrini scuri in cui si specchiava un demonio. Non sapevo ancora a cosa sarei andata incontro sorridendogli in risposta ma ero coinvolta in quel guaio.

 

Mi era già capitato di innamorarmi di un poco di buono e ne portavo ancora le prove all’anulare sinistro.

 

Roy Thornton.

 

Il nome del motivo per cui a 15 anni lasciai la scuola e a offrirgli la mia mano. Mio padre morì quando avevo 4 anni per cui non ci fu nessuno ad accompagnarmi all’altare e nessuno ad ammonirmi della sciocchezza che stavo commettendo.

 

A gennaio di due anni fa mi piantò in asso il bastardo e non seppi più nulla di lui. Le pagine del mio diario in quel periodo sono umide di lacrime di una persona abbandonata da quello che credeva l’uomo della sua vita.

 

Prima di incontrare Clyde era ciò che credevo.

 

Pensavo che sarei rimasta sola al mondo, che non avrei mai più provato l’amore e che fossi destinata a una vita da sarta al fianco di mia madre. Fortunatamente, invece, passai soltanto un annetto abbondante in queste condizioni prima che ci incontrassimo.

 

Non sono mai stata una criminale o una furfante ma purtroppo ho sempre subito il fascino del “bad boy”. Quando iniziai a uscire con Clyde sapevo che non fosse propriamente uno stinco di santo, mi feci subito qualche domanda quando lo vidi cambiare auto con la stessa facilità con cui io cambiavo le scarpe, e quando seppi che era stato arrestato non ne rimasi particolarmente colpita...anzi.

 

Il problema è che, già allora, nonostante ci fossimo frequentati per pochissimo tempo, il mio cuore sussultava per lui.

 

Il periodo che passammo separati mentre lui scontava la pena per furto d’auto accrebbe notevolmente l’infatuazione che provavo per lui e, quando fu rimesso in libertà, capii che sarei stata la sua donna per il resto dei miei giorni.

 

Fino a quel momento non sapevo la differenza fra una femmina e una donna, per l’appunto, ma cominciai a comprenderla proprio al suo fianco, votando la mia vita alla sua causa così come fece lui per me. Ma sì sa, quando guardi dentro l’abisso, l’abisso guarda dentro te.

 

Ben presto scoprii le gioie di una vita passata sempre al limite, con il piede costantemente premuto sull’acceleratore. E’ bello vivere con la il brivido costante dato dall’adrenalina.

 

La brava sarta con i sogni di una poetessa si trovò di colpo affascinata dai fucili mitragliatori e dalle macchine potenti. Forse ho iniziato anche io ad incarnare quel dualismo che inizialmente mi aveva stregata così tanto, di giorno stringevo la canna rovente del mio BAR, di notte invece la penna ricamando poesie e parole d’amore per il mio Clyde.

 

"Come i fiori sono resi più profumati

dalla luce del sole e la rugiada

così questo vecchio mondo è più splendente

Grazie all’esistenza di persone come te"

Gli ultimi versi che, giusto ieri sera, ho scritto pensando a lui, poi ho riposto penna e foglio nel cassetto e sono andata a lucidare la canna del fucile. Siamo andati a dormire presto perché avevamo preparato per oggi il colpo a una gioielleria.

 

Normalmente entriamo in tutti i posti che rapiniamo insieme ma, finalmente, sono riuscito a convincerlo ad aspettarmi in macchina, facendogli capire che una persona che aspetta fuori con l’auto accesa, oltre che fungere da palo, velocizza notevolmente la fuga qualora qualcosa andasse storto. Mi sta dando fiducia lasciandomi entrare sola nella gioielleria, spero di riuscire a ripagarlo senza deludere le sue aspettative.

Siamo in macchina ora e viaggiamo silenziosamente verso il luogo designato, non ci siamo scambiati una singola parola da quando abbiamo messo piede nell’autovettura ma comunque sento il calore della sua mano che stringe la mia mentre guida.

Arrivati davanti la gioielleria lo vedo accostare proprio di fronte alla vetrina. Questi sono i momenti più complicati perché le parole sono pesanti come macigni, vorremmo dirci quanto l’uno sia essenziale per la vita dell’altro, quanto siano importanti quei momenti insieme perché fatalmente potrebbe essere anche gli ultimi e so che lui sta fremendo per trattenere le raccomandazioni che vorrebbe snocciolarmi a mo’ di rosario.

Invece si limita a portare una mano sulla mia guancia, a fissarmi dritta negli occhi e dirmi:

- Ti amo, Bonnie. Stai attenta te ne prego!

Le mie labbra cercano le sue in segno di assenso, scorrono lunghissimi secondi dove, con la mia fronte poggiata contro la sua, un liturgico silenzio cala nell’auto.

 

Gli sorrido per fargli capire che sono pronta.

 

- Buona fortuna… - mi augura mentre vedo l’euforia farsi largo tra il terrore nei suoi occhi.

 

Essere attanagliati dalla paura di perdere l’altro è orribile ma in un certo senso anche eccitante, è un pizzicore lieve dietro la nuca che ti accompagna per tutta la durata della rapina, un po’ come quando da bambina rubavo le caramelle dalla dispensa subito prima di cena. Sapevo che mia madre mi avrebbe scoperta e che le mie mani avrebbero assaggiato il bastone ma non potevo fare a meno di quell’eccitazione mentre le mangiavo.

 

Erano proibite e questo le rendeva irresistibili.

 

Come il mio Clyde.

 

Il sacco di juta copre il mio volto mentre l’eccitazione da adrenalina pervade il mio corpo. Fremo già alla sola idea di vedere il terrore negli occhi dei commessi.

 

Carico il fucile in risposta all’augurio di Clyde, poi gli stampo un bacio sulle labbra con tutto il sacco sulla testa. So che riesce a malapena a percepire le mie labbra ma mi fa impazzire l’idea che il mio rossetto abbia lasciato il segno sul bianco del tessuto e che dall’esterno sia visibile.

 

Immagino soltanto l’inquietudine che può creare una pazza vestita di tutto punto con un mitragliatore in mano, un sacco di juta a coprire il volto e che l’unico connotato umano riconoscibile sia un sorriso stampato con il rossetto.

 

Una leggera risata sghignazzante mi cade involontariamente dalla bocca mentre scendo dall’auto e copro ad ampie falcate la distanza tra l’auto e l’ingresso della gioielleria.

 

Con il BAR poggiato su una spalla spalancò la porta mentre urlo:

 

- CHE NESSUNO SI MUOVA! QUESTA E’ UNA RAPINA!

 

Scarico qualche colpo sul soffitto e rimango a osservare estasiata la pulviscolare pioggia d’intonaco che produce.

 

Uno spettacolo unico nel suo genere.

 

 

 

 

 

 

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Quando sbircio dalla vetrina del negozio vedo Bonnie, rannicchiata dietro il bancone posto all’ingresso della gioielleria, aprire il fuoco nella direzione esattamente opposta rispetto alla sua. Dall’altro lato del locale commerciale qualcuno le risponde a colpi di doppietta, riesco a riconoscerne il ruggito e capisco immediatamente quanto sia in pericolo la mia amata. Quell’arma è in grado di farti saltare un arto se colpisce il bersaglio.

 

E’ un singolo momento di lucidità quello che mi assale, l’essere riuscito a distinguere il genere di arma con cui abbiamo a che fare, poi il terrore fa da trampolino alla furia cieca.

 

Sfondo la porta del negozio con un calcio, i due fucili che reggo, uno per mano, cominciano a cantare a squarciagola la loro canzone di morte, fornendomi sufficiente protezione per poter raggiungere la mia bambolina dagli occhi blu.

 

Il vestito rosso che indossa non mi fa notare nell’immediato il sangue che lo sta macchiando. E’ ferita e con una mano cerca di tamponarsi il fianco.

 

- A-Amore, aspetta...ti prego non ti arrabbiare mi ha colpita solo di striscio - riesce a bisbigliarmi appena nota che il mio volto coperto punta diretto sulla mano ormai coperta di sangue, e riesco a malapena a vedere che l’altra mano invece regge contemporaneamente sia la sua adorata arma che il sacco sicuramente stracolmo di preziosi.

 

Le mie paure sono diventate realtà, le avevo detto mille volte che non era sicuro che entrasse sola, che non sarebbe riuscita a gestire tutto insieme, che avevo paura per lei, che avevo paura per me.

 

In un attimo mille pensieri attraversano la mia mente, mi sembra mancare il respiro e...ho paura.

 

Dissocio la realtà da tutto ciò che sta per accadere, meccanicamente sento salire la bramosia di sangue e perdo il controllo del mio corpo.

 

Chiunque abbia osato far sanguinare la mia dea oggi esalerà il suo ultimo respiro.

 

Non so cosa riportasse la pagina odierna del destino delle persone che hanno fatto del male a Bonnie ma sarà mia premura scortarli personalmente alle porte dell’inferno previa farcitura al piombo.

 

Isso la mia donna sulla mia spalla in maniera da essere il bastone che accompagnerà il suo passo ferito e dolorante, per un attimo dimentico persino di essere zoppo mentre mi ergo in piedi tronfio di un viscerale orgoglio vendicativo.

 

I fucili che brandisco riprendono la loro canzone di morte e distruzione da dove l’avevano interrotta, una voce cadenzata si è unita al coro, il BAR di Bonnie risuona come un accompagnamento di percussioni. Per un attimo mi perdo nella loro sinfonia e mi sembra quasi di vedere lo spettro della morte violenta che mi carezza il viso.

 

Forse non ha capito che questo non è il nostro giorno.

 

Scoppio a ridergli in faccia, una risata carica di adrenalinica euforia, poi comincio a urlare nella sua direzione.

 

- NON OGGI, STRONZO! NEANCHE OGGI CI PORTERAI CON TE!

 

Il fuoco delle armi crea cicatrici nei banconi di legno, nelle vetrine, nelle porte, nei muri e nei soffitti, alzando un polverone che ci permette di uscire dal locale indisturbati. La doppietta non risponde neanche alla nostra fuga vista la mole di proiettili con la quale abbiamo fatto fischiare l’aria fino a quel momento.

 

Una volta fuori ci accoglie il rumore della campanella d’allarme del negozio e gli isterici ululati di alcune sirene in lontananza. Abbiamo pochissimo tempo ma comunque non riesco a lesinare la cavalleria nei confronti della mia piccola, la accompagno allo sportello della macchina e la adagio delicatamente sul sedile. Forse Bonnie aveva ragione, non c’è molto sangue sulle sue mani per cui mi convinco che si tratti di una ferita superficiale anche io.

 

Mentre circumnavigo il muso dell’auto per prendere il posto del conducente, vedo uscire dalla gioielleria l’uomo armato che ha risposto al nostro fuoco. Non ha neanche il tempo di prendere bene la mira che gli scarico addosso le poche pallottole che mi sono rimaste nei caricatori, costringendolo a battere in ritirata e ripararsi di nuovo all’interno.

 

Il piede trova l’acceleratore mentre lo sportello dell’auto si sta ancora chiudendo e qui so che inizieranno i guai. Appena imboccata la prima svolta a destra vedo la volante dello sceriffo comparire nello specchietto retrovisore.

 

- Fanculo! Sbirri di merda… - mentre dico questo mi proietto leggermente in avanti come a voler imprimere ulteriore velocità alla vettura.

 

- A loro ci penso io, tu pensa a guidare… - il solito rumore di ricarica chiude la breve conversazione con Bonnie che nel frattempo deve essersi completamente ripresa. La mia piccola furia fa fuoriuscire il fucile dal finestrino e comincia ad aprire il fuoco contro la pattuglia mentre io mi produco in una serie di movimenti a zig zag per evitare il fuoco di risposta da dietro e le poche auto che ci sono per la strada.

 

Il rumore della sirena pare calare di intensità mentre porto a tavoletta questa tre cilindri. Sono certo del fatto di avere un’auto migliore della loro, senza contare tutto il piombo che il BAR di Bonnie gli sta vomitando addosso, immagino il volto di due grassocci uomini di provincia zuppi di sudore e terrore, lo sceriffo e il suo vice se la staranno sicuramente facendo sotto.

 

La mia mano destra cerca istintivamente la coscia della mia bambolina. So che non è il momento migliore ma, cazzo, tutta questa adrenalina ha acceso la miccia al mio candelotto, non posso far altro che piegarmi ai miei più animaleschi istinti e soddisfare la loro brama di contatto fisico.

 

Cerco di produrmi in quante più svolte riesco, fortunatamente ho studiato la mappa delle strade ieri sera e so quando e quanto svoltare per evitare di girare in tondo, mettendo sempre più terreno tra di noi e i nostri inseguitori.

 

Bonnie, con il sacco della refurtiva ai suoi piedi, abbandona il suo fucile scarico sui sedili posteriori prima di inforcarne subito un altro e riprendere a sparar loro.

 

Non passa molto prima veder cambiare la scenografia che ci circonda, le case del centro abitato si fanno più rade fino poi a sparire, finalmente siamo fuori dalla cittadina e nello specchietto riesco a vedere il momento esatto in cui i nostri inseguitori danno forfait. Al limitare della loro giurisdizione, infatti, accostano la loro auto ormai ridotta a un colabrodo e terminano l’inseguimento.




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L’urlo di Clyde copre il rumore del motore per un paio di secondi buoni.

E’ diventata un’abitudine ormai, il suo “woo hoo” finale con la testa fuori dal finestrino è la celebrazione per un nuovo giorno in libertà. Nonostante sapessimo che lo sceriffo aveva già dato l’allarme non ci importa molto, siamo riusciti a scappare anche stavolta...malconci ma vincitori. Almeno per quanto mi riguarda, lui ne è uscito addirittura integro, non ci capitava da moltissimo tempo.

 

Capitolo ferita: l’emorragia sembra essersi già arrestata e il dolore si sta attenuando, lasciandomi la conferma che non si tratta di nulla di grave.

 

Sento gli occhi inumidirsi, le mie reazioni sono sempre l’altro piatto della bilancia rispetto a quelle di Clyde, non ci posso far nulla ma mi prende un groppo in gola da cui non riesco a liberarmi se non tirando fuori tutto quello che ho dentro con le lacrime. Non equivocate però, le mie lacrime non sono di tristezza o rabbia ma bensì di celebrazione alla sua sopravvivenza. Ho rischiato oggi, è vero, ricordo il momento in cui lo sparo della doppietta mi ha presa di sorpresa procurandomi la ferita che ora sto tamponando con la mano. Il bruciore che dal fianco si dirama fino al cervello, il sangue caldo e viscoso che macchia il vestito e il terrore che ottenebra la mente.

 

Mentre rivivo quei momenti sento la mano di Clyde afferrarmi delicatamente dietro la nuca. Mi sta facendo sentire la sua vicinanza in questo momento di gioia e paura, di lacrime e sorrisi, di terrore e d’euforia. La strada sterrata è la scenografia perfetta per la scena finale di un film di Hollywood, se ne fossimo gli spettatori vedremmo la macchina allontanarsi in lontananza, diventando sempre più piccola nella palla arancione che è il sole in questo tramonto, un ottone partirebbe in solo in sottofondo, probabilmente un sax o una tromba, mentre i titoli di coda cominciano a scorrere sullo schermo.

 

Ma la nostra vita non è un film, per quanto possiamo sembrare uscire da una sceneggiatura, ora viene il momento più difficile: non farsi catturare.

 

Sì perché dovete immaginare che in questo momento metà dello stato del Texas ha almeno un paio delle nostre foto segnaletiche appese in ogni suo saloon, negozio e dipartimento dello sceriffo, mentre l’altra metà è sulle nostre tracce.

 

Trovare un nascondiglio per la notte non sarà semplicissimo ma fortunatamente Clyde in queste cose è un autentico genio.

 

Prima di un qualsiasi colpo studia ogni minimo dettaglio cercando di entrare in possesso delle mappe di tutta la zona, comprese quelle di vecchi minatori e cercatori d’oro che possano aver segnalato grotte e pertugi naturali del terreno.

 

Ormai non saremmo più in grado di tornare a una vita normale, prendere una casa con un bel giardino e tirar su una combriccola di marmocchi ci sembrano sogni di persone polverose quanto il deserto che stiamo attraversando in questo momento per cui decisamente fuori da quelli che sono i nostri canoni di vita.

 

Tutto sommato neanche ci interessa, mi spiego meglio: quando stringendo la mano della persona che ami ti senti a casa non importa tutto ciò che hai intorno, neanche quando si tratta di canyon sperduti e ululati di branchi di coyote in lontananza.

 

- Ho una sorpresa per te per questa sera…

 

Proprio come se riuscisse a leggermi nel pensiero, Clyde rompe il liturgico silenzio che regna mentre rendiamo onore alla vita.

 

- Cioè?

 

- Lo vedrai una volta che saremo arrivati, non voglio anticiparti nulla per ora.

 

Per una manciata di secondi occupo il suo campo visivo schioccandogli un sonoro bacio sulle labbra, lui mi risponde immediatamente, chiudendo gli occhi per accompagnarlo. Una fitta al fianco mi ricorda che non posso produrmi in movimenti troppo azzardati.

 

Sembriamo due pazzi squilibrati che ogni giorno tirano a sorte con madama morte, me ne rendo conto, ma è così che abbiamo deciso di intrecciare le nostre vite.

 

Avete mai osservato una sigaretta spegnersi lentamente in una stanza completamente al buio?

 

Se la vostra risposta è no, non sapete cosa vi siete persi.

 

Nel mezzo dell’oscurità vedere quella piccola lucina rossa continuare a bruciare è uno spettacolo che mi ha fatto riflettere molto spesso sulla mia attuale condizione su questo piano esistenziale.

 

Quello è l’emblema della nostra scelta: nel buio di un piatto quieto vivere, noi continueremo a bruciare e a splendere come se fossimo una piccola stella in un universo esiliato da quattro pareti.

 

Che siano quelle di una cella, di una camera, di una casa.

 

Non ci apparterranno mai e noi non apparterremo mai a loro.

 

Siamo corpi nomadi le cui anime hanno trovato una dimora felice. Io in lui e lui in me.

 

Clyde guida in silenzio per circa un’ora e mezza, i nostri discorsi toccano gli argomenti più disparati prima di scemare in un provatissimo silenzio, le palpebre si fanno pesanti e sento il sonno in agguato, pronto per farmi sua preda, quand’ecco che vedo la macchina svoltare su una stradina sterrata.

 

Comincio a interrogarmi solo ora su quale possa essere la sorpresa che Clyde ha preparato per me.

 

Sorrido, un vecchio granaio abbandonato si fa mano mano più grande nella mia visuale mentre ci avviciniamo. Un altrettanto vecchio casolare appare al suo fianco.

 

Sono entrambi piuttosto fatiscenti e la vernice rossa con cui sono tinteggiati sembra che non reggerà ancora molto alle intemperie ma a me sembra una reggia.

 

- Oh, Clyde…

 

Produco uno squittio di accompagnamento e di gioia, è tantissimo tempo ormai che non dormiamo in un letto vero.

 

- Piccola, è pericoloso...lo so… ma non ho resistito quando me l’ha detto il vecchio Hank, si è fatto pagare l’informazione un bel mucchietto d’oro ma dovrebbe essere un posto tranquillo per questa notte.

 

Gli butto le braccia al collo e nuovamente gli impedisco di vedere la strada, stavolta però lo prendo alla sprovvista e la macchina sbanda per un attimo prima di tornare in asse. Spegne i fari, poi il motore, sfruttando l’ultima botta di gas cerca di avvicinarsi alla casa più silenziosamente possibile.

 

Accostiamo lentissimamente nel buio quasi assoluto che ci regna attorno, poi sento una sua mano sulla coscia e l’altra, sospesa a mezz’aria davanti al mio volto, che stringe i due sacchi che abbiamo utilizzato per la rapina.

- E’ una cautela in più, non vorrei trovare gli ospiti a darci il benvenuto…il tempo di entrare…- mi sussurra con un filo di voce direttamente nell’orecchio. Nel buio probabilmente non riesce a vedere i miei occhi che si alzano al cielo ma in fondo questo è uno dei motivi per cui mi sono innamorata di lui: la doviziosa cura nei particolari che fa di lui il mio personale stratega.

 

Ci copriamo entrambi il volto e, sempre cercando di produrre il minor rumore possibile, scendiamo lentamente dall’auto, lasciandoci persino le portiere aperte così che non possano sentirci. Con i fucili in mano ci avviciniamo al porticato d’ingresso della casa, poi Clyde si accuccia facendomi segno di star ferma.

 

Non sembra che ci sia nessuno all’interno, non ci sono né luce né suoni che ci facciano capire che non siamo soli ma si sa…in questi casi la prudenza non è mai troppa. Lui mi fa strada verso la porta di casa e poi riproduce con un fischio un rumore simile a quello che emettono come richiamo gli uccelli.

 

Nessuna risposta.

 

Apre dunque la porta d’ingresso sincerandosi che non ci sia nessuno all’interno, poi mi fa cenno con la testa di raggiungerlo.

 

Mi prende per mano sull’uscio della dimora e poi, con il cuore rasserenato dalla nostra solitudine in quel luogo, mi dice:

 

- Sembra che veramente non ci sia nessuno. Ora pensiamo alla tua ferita poi potremo riposarci qui per un paio di giorni, se siamo fortunati anche una settimana ma poi dovremo muoverci.

 

- Va bene, Clyde…

 

Mi muovo cercando di entrare per andare finalmente a distendermi al suo fianco ma sento la sua mano trattenermi.

 

- Bonnie…

 

- Sì?

 

- Ho avuto molta paura di perderti oggi…

 

- Lo so.

 

- Ti prego non lasciarmi mai più ad aspettarti in macchina, è stato un autentico inferno.

 

- Va bene, torniamo alle vecchie maniere, io e te contro tutti…

 

- Ti amo, Bonnie.

 

- Ti amo, Clyde.

 

Mi rendo conto che questa giornata è finalmente finita e che mi sembrano passati dieci o cento anni da quando ci siamo alzati insieme questa mattina, e i corpi consumati e stanchi ne sono la prova.

 

Prima di entrare mi ergo sulle punte per baciarlo, inizialmente mi dimentico persino che siamo ancora incappucciati, poi mi immagino come potremmo sembrare visti da fuori e penso che sia la cosa più romantica del mondo quindi chiudo gli occhi e cerco di percepire le sue labbra attraverso il tessuto.

 

Un bacio bandito al mio cuor di canaglia.

 

 

 

 

Note dell’autore:

 

Ed eccoci qui, spero che la storia vi sia piaciuta.

Ho cercato di rimanere quanto più fedele possibile alla storia autentica della coppia forse più famosa al mondo. La loro storia si è chiusa nel 1934 quando un ex collega di Bonnie, insieme ad altri Ranger del Texas, tesero loro un’imboscata crivellando con 164 la loro auto. Trovarono la morte insieme, legati in maniera indissolubile dalla leggenda delle loro vite furiosamente vissute.

 

La prima volta che ho visto il quadro ho immediatamente pensato “questi sono Bonnie e Clyde” e da qui questa piccola storia.

  
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