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Autore: lady lina 77    27/09/2019    1 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nevicava, faceva un freddo tremendo ed era un'Anti-Vigilia di Natale dal cielo cupo e grigio. Ma dentro a Nampara, quella mattina, regnavano allegria e calore, condite dal baccano di cinque bimbi, tre cani e tre servi in preda a mille preparativi per passare fuori la giornata e la notte. Sarebbero stati a casa di Falmouth per tutto il giorno, avrebbero dormito da lui e fatto ritorno a Nampara solo il pomeriggio della Vigilia, con la nonna, lo zio e gli Enys, per festeggiare insieme la notte di Natale. I bambini avevano in mente un regalo segreto che, come sempre, dovevano preparare di nascosto dalla mamma e quest'anno anche dal papà e Nampara era troppo piccola per fare qualsiasi cosa che dovesse passare inosservata.

Ross e Demelza li avevano lasciati fare, divertiti ed incuriositi di cosa avrebbero organizzato quest'anno, includendo anche Valentine. L'anno prima avevano imparato in tedesco la canzone 'Oh Tannenbaum', cantata e suonata durante la festa di Natale a Londra, e ora? Cosa avevano in mente le cinque piccole pesti di Nampara, che erano state più criptiche di una spia? Nemmeno Demian che di solito si faceva scappare qualche indizio, aveva aperto bocca... Stava diventando grande, lui e Daisy avevano festeggiato alcuni giorni prima, il 20 dicembre, il loro quinto compleanno e il suo piccolo principe aveva imparato a mantenere i segreti. E qualcos'altro di segreto si era tenuto gelosamente per lui, una sorpresa per la mamma e per la nonna da dar loro a Natale, preparata in gran segreto con Ross a cui aveva chiesto aiuto. Ed anche Ross aveva tenuto la bocca cucita...

Demelza era felice, i bambini si erano affezionati a Ross e ogni ombra sembrava sparita. Ora erano semplicemente una famiglia anche se nel loro caso e nella loro storia, di semplice c'era stato ben poco e forse proprio per questo tutto quello che vivevano, lo percepivano come un tesoro inestimabile da trattare con cura. Si rideva spesso a Nampara, mancavano quasi sempre momenti di silenzio, i pranzi e le cene erano caotiche e rumorosi ma era tutto così meraviglioso che non avrebbero potuto chiedere di più. Aveva i suoi bambini, una in arrivo, il suo amore accanto, la sua vera casa a proteggerla e dei servi affezionati e fedeli che facevano parte, assieme ai loro tre cani, di quella grande famiglia allargata dove tutti, compresi Falmouth e Alix, avevano il loro posto d'onore.

Stesa nel letto e avvolta in una calda coperta, riscaldata anche dal camino che Ross aveva acceso, Demelza controllò i cinque bimbi che, belli imbacuccati, avevano fatto capolino nella stanza. Erano ben coperti, con sciarpe e cappellini al posto giusto, svegli, frizzanti e pronti a partire. Cercò di alzarsi per baciarli sulla fronte ma il pancione ormai enorme la impacciò nei movimenti e Ross la riattirò sotto le coperte, incitando i bambini ad andare da lei.

I bimbi la salutarono con un abbraccio e un bacio, fecero altrettanto con Ross e poi corsero giù, con la promessa di fare i bravi e di essere di ritorno il giorno dopo senza che Falmouth avesse recriminazioni da fare sul loro comportamento. E loro due, in cambio, avrebbero fatto trovare loro in tavola i cibi che preferivano e che avrebbero preparato durante quella giornata in cui finalmente avrebbero avuto la casa per loro.

Rimasti soli coi domestici, Jane si preoccupò di mettere altra legna nel camino. "Siete sicuri di non avere bisogno di noi? Voi, signora... Nelle vostre condizioni dovete riposare e Prudie potrà farcela da sola, con John, a badare ai piccoli".

Ross intervenne. Adorava i bambini ed amava averli attorno ma l'idea una giornata da solo con Demelza, in una Nampara solo loro, lo elettrizzava. Lui e sua moglie avevano programmato ogni cosa e per una giornata, sarebbero stati capaci di cavarsela da soli. "Sta tranquilla e andate. Noi ce la caveremo, a Demelza ci penso io e saranno Falmouth ed Alix ad avere bisogno di voi".

"E per il cibo da preparare per la cena di domani sera?" - chiese Prudie, non così felice di andare a sgobbare dietro ai bambini da Falmouth.

Demelza le sorrise. "Faremo noi, tranquilla... Ho tutto sotto controllo!".

La serva sbuffò vistosamente e quando fece per replicare, Daisy tornò a fare capolino nella stanza. "SBRIGATEVIIIII!!! C'è giù la carrozza per andare dallo zio! E io non ho tempo da perdere!".

Prudie la fulminò con lo sguardo. "Bestiolina, non si urla e non si fa la tiranna così, di prima mattina!".

"E allora sbrigati!" - ordinò la piccola despota, col suo cappottino azzurro e le manine sui fianchi.

Jane rise, prendendola per mano. "E allora a domani, signori".

"A domani..." - ribadì Prudie, uscendo sulle scale dove John, coi bagagli in mano, le stava aspettando.

Appena sentita la porta d'ingresso chiudersi di sotto, Ross si gettò sui cuscini, attirando a se Demelza. "Amore mio, ci credi? Siamo soli!" - le disse, baciandola sul collo.

"Ne sei contento?".

"Ogni tanto...".

Lei lo guardò con aria di sfida. "Soli e con un sacco di lavoro da fare! Non pensare di poltrire a letto tutto il giorno".

Ross si voltò di lato, con la sua migliore aria da mascalzone in viso. "Non avevo in mente di poltrire..." - sussurrò, in tono suadente.

E lei rise ancora di più. "Scordatelo! Mi sento più grassa di Prudie e per niente attraente. Ripassa fra due o tre mesi con certe idee...".

Incurante di quanto detto, lui la prese per i fianchi e la attirò a se. Il pancione era grande, la piccola sarebbe nata di lì a poche settimane, in quei primi mesi di matrimonio erano stati felici come non credevano fosse possibile esserlo ed era tutto leggero, divertente, bello. Pieno d'amore... E desiderio per lei, lei che le era stata negata per anni e di cui non si sarebbe mai saziato. La vedeva splendida, con o senza pancione, soprattutto in quel momento in camicia da notte, con quei lunghi capelli rossi sciolti che le ricadevano sulle spalle. "Nemmeno se spegnessi le candele?".

Lei lo guardò storto, tirandogli scherzosamente un cuscino in faccia. "Dovevi chiedermelo lo scorso Natale, mi sentivo decisamente più affascinante...".

"Lo scorso Natale mi avresti fatto sbattere fuori da casa tua, se lo avessi proposto anche solo per scherzare..." - le rispose, a tono, ricordando la notte della Vigilia di un anno prima dove lui e Valentine, pieni di meraviglia e un pò tramortiti, erano stati invitati quasi inaspettatamente alla facoltosa festa natalizia dei Boscawen. Quante cose erano successe da allora...

Quasi leggendogli nella mente, Demelza si rannicchiò fra le sue braccia, ripensando alla stessa cosa. "Un anno fa avevo organizzato un grande banchetto, adornato ogni angolo della casa e avevo indosso un bellissimo abito da sera rosso e una collana di diamanti. Ed ero una delle Lady più facoltose di Londra...".

Lui la baciò sulla tempia. "Lo sei e lo sarai ancora... Ti manca tutto questo?". Lo chiese in tono leggero ma con una punta di apprensione. Demelza aveva condotto una vita da regina a Londra e non era così scontato che potesse ancora apprezzare la semplice vita di Nampara.

Lei sorrise, dolcemente. "Un anno fa non avevo te, ero sola, i miei bambini non avevano un padre e...". Si accarezzò delicatamente il pancione, con gli occhi lucidi. "Non avevo lei, non AVEVAMO lei... Che mi prende continuamente a calci e voglio che lo faccia anche se mi fa male, certe volte. Non ho perso nulla e non mi manca nulla, sono solo un pò più ricca di allora perché ho tutto quello che un anno fa mi mancava, in aggiunta a tutto il resto. Ho ancora la mia dimora londinese e quel vestito rosso nell'armadio, dopo tutto... E quest'anno, semplicemente, ho cambiato posto dove festeggiare il Natale".

Una risposta così, era proprio da Demelza, la Demelza che sapeva essere felice con poco e che trovava del bello in ogni cosa. La baciò a lungo dopo quelle parole, grato che non fosse cambiata, grato per averla ritrovata, grato perché era rimasta la sua Demelza. "Una vera lady non dovrebbe indossare per due volte lo stesso abito..." - le fece notare, scherzoso, labbra contro labbra, riferendosi all'abito rosso.

"Lo adatterò e sembrerà nuovo..." - gli rispose, sbarazzina.

Aveva un sorriso disarmante in quel momento, dolce e gentile. E lui non seppe resisterle. La attirò a se, baciandola con passione e con delicatezza, la aiutò a distendersi sul materasso e si stese accanto a lei, attento a non farle del male e a non schiacciare la piccolina in arrivo. E lei, dopo un momento di esitazione, fece scorrere le braccia attorno alle sue spalle, attirandolo a se. E Ross seppe di aver vinto, ancora...

Lui la trovò bella come sempre e la fece sentire bella. E anche se le candele erano accese, non ebbe più importanza. E fecero l'amore...


...


L'aver poltrito tutta la mattina a letto, facendosi effusioni, non aveva aiutato molto nella preparazione della cena per la sera successiva.

E così, mentre Ross, in maniche di camicia, accendeva il forno per cuocere pane e focacce per i bambini, Demelza impastava e modellava torte dolci e salate, pagnotte e ogni altra cosa i bimbi avessero desiderato.

Valentine e Clowance amavano il cioccolato, Jeremy adorava le focacce salate con le olive, Demian voleva la torta di limone e Daisy, mai troppo interessata al cibo, aveva chiesto un dolce al ruhm come amavano i pirati ma le era stato detto di no e quindi aveva optato, con scarso entusiasmo, per dei biscotti al burro. E poi c'erano i regali veri e propri che loro, la nonna e lo zio e i vari amici di famiglia, avevano fatto recapitare a casa in quei giorni, che ormai avevano invaso la cantina e che sarebbero stati tirati fuori solo la mezzanotte succesiva.

"Il fuoco è acceso, che ne dici di infornare le prime torte?" - chiese Ross, asciugandosi la fronte con un fazzoletto. Non era mai stato troppo festaiolo ma l'idea di una nuova tradizione natalizia da festeggiare come famiglia Poldark, esattamente come l'avevano istituita Demelza e Hugh a Londra, lo eccitava, non perché volesse copiare il poeta ma perché aveva capito che le tradizioni sarebbero state fonte di bei ricordi per tutti e avrebbero arricchito la storia della loro famiglia. Era sempre stato un vagabondo e in fondo mai avrebbe smesso di esserlo ma la sua meta e il suo angolo di pace, per sempre, sarebbero stati Nampara, Demelza e i bambini. E lì e con loro avrebbe costruito la sua famiglia, partendo proprio dalla preparazione delle piccole cose che li avrebbero uniti di più. Come il pranzo di Natale da imbastire insieme a Demelza, fianco a fianco. "Prima i dolci o prima il pane?".

Demelza fece per rispondere quando, all'improvviso, emise un gemito. Si appoggiò al tavolo con entrambe le mani, sbiascicò fra i denti un 'Giuda' e poi, impallidendo, si massaggiò il ventre.

Ross, in un attimo, fu al suo fianco. Succedeva spesso da alcuni giorni a quella parte e Dwight aveva spiegato loro che era normale in prossimità del parto e di andare a chiamarlo solo in caso di fitte ravvicinate. E lo aveva rassicurato e consigliato di affidarsi a Demelza che di certo se ne intendeva più di lui su come nascevano i bambini. Ma questo non lo aveva comunque reso più tranquillo, nulla lo rendeva tale quando Demelza era incinta e il fatto che Dwight avesse scelto, come loro, di vivere a fasi alterne fra Londra e Cornovaglia e che fosse in zona, non era comunque di aiuto se vedeva sua moglie star male. "Amore mio..." - sussurrò, sostenendola e accarezzandole la schiena. Di solito questo la aiutava...

Demelza ispirò profondamente. "Giuda... Tua figlia è scatenata, un demonio".

"E' passata? Stai meglio?" - le chiese, apprensivo.

"Non molto, ma ora non ho tempo per pensarci. Abbiamo un sacco di lavoro da fare per la cena di domani...".

Ross la vide stringere i denti, cercare di calmare il respiro e la sua ansia aumentò. "Al diavolo la cena. Se stai male, ti porto a letto e corro a chiamare Dwight".

Demelza scosse la testa, esasperata. "Ross, mancano dieci giorni al parto. Se non di più... E' una fitta, come le altre che ho avuto i giorni scorsi. E non ho tempo di partorire, ADESSO!".

Ross guardò il pancione, scettico e allo stesso tempo pieno di sensi di colpa. E se il fatto di aver insistito per fare l'amore poche ore prima, le avesse fatto male? "Credi che ad Isabella-Rose importi di cos'hai da fare, se ha intenzione di nascere?".

"Isabella-Rose deve capire subito chi comanda! E non è lei! Quindi, qualsiasi cosa abbia in mente, che la rimandi a gennaio" - rispose lei, nervosa.

Ross le strinse la mano, cercando di calmarla e calmarsi. Era ancora sofferente e i dolori quindi non erano cessati come succedeva di solito. "E' colpa mia?".

Lei prese un profondo respiro. "Tua, di Londra e del cottage frequentato quasi nove mesi fa" – rispose, sarcastica.

Ross alzò gli occhi al cielo, indeciso se ridere o disperarsi. "Intendo... Per prima... Forse non avremmo dovuto...".

Era impacciato e lei se ne accorse. Cercò di riguadagnare la calma e di apparire accomodante per non turbarlo e, stringendogli la mano, tentò di calmarlo. "Ross... Se non avessi voluto, ti assicuro che non te lo avrei permesso... Come hai detto prima, non sei tu a scegliere. E nemmeno io... E' tutto nelle mani di questa piccola peste".

La baciò brevemente sulle labbra, nervosamente, dopo quelle parole. "Stai meglio?".

Facendo un grande sforzo, lei cercò di sorridere. "No... Non credo". Con fare esasperato lanciò della pasta sul tavolo, cercando un modo per far terminare i dolori. "Giuda, anche i gemelli erano nati due settimane prima, ma per i gemelli è normale... Non voglio, non adesso!".

Si agitò e un'altra fitta, più forte della precedente, la fece piegare in due. Le gambe le cedettero e finì a terra, tenendosi il ventre. "Giuda, Ross...".

Lui guardò il camino, il tavolo pieno di impasti e sua moglie. E decise che della cena di Natale non gli importava nulla! La prese in braccio, incurante delle sue proteste, la portò di sopra in camera con la stessa foga con cui, undici anni prima, l'aveva portata fuori dall'acqua mentre era in travaglio per Jeremy e poi la adagiò sul letto. "Demelza, cena o no, credo che la nostra piccola abbia fretta di nascere".

"No, non ora!" - tentò di argomentare lei, con un filo di voce. "I bambini saranno così delusi se non troveranno le cose che ci hanno chiesto".

Le sorrise, la baciò sulla fronte e le accarezzò il viso. "Amore io, i bambini avranno la loro sorellina e non riesco ad immaginare alcun regalo migliore di questo. Una festa di Natale migliore di questa...".

Un'altra fitta le mozzò il fiato, talmente ravvicinata a quella precedente che Demelza dovette stringere le lenzuola con le mani per non urlare. E si arrese al fatto che la piccola aveva deciso e che nulla le avrebbe fatto cambiare idea. "Ross..." - gemette.

"Corro a chiamare Dwight e torno subito da te".

Demelza spalancò gli occhi a quella proposta, terrorizzata. Si alzò di scatto, gli strinse la camicia e si rannicchiò contro di lui singhiozzando. "No... No, non voglio".

"Demelza, abbiamo bisogno di Dwight!" - le rispose lui, allarmato e terrorizzato.

La donna scosse la testa. "No, non ne abbiamo bisogno... Basti tu, basto io, basta la nostra bambina, dei panni puliti e dell'acqua calda".

Lo sguardo di Ross si riempì di puro terrore. "Amore... Amore io, non stai dicendo sul serio, vero?".

Lei non rispose ma il suo sguardo diceva tutto. No, non stava scherzando... "Demelza...".

Gli occhi di sua moglie si velarono di lacrime, se per il dolore o per la paura, lui non seppe dirlo. "Ross... Ero sola quando è nata Clowance... Ero in una casa che non sentivo mia quando son nati i gemellini ma adesso sono a Nampara, tu sei quì, io sono quì e c'è la nostra bambina che vuole nascere. Non ho bisogno d'altro, non ci serve altro... Voglio noi, solo noi. Dopo quello che abbiamo passato, non ci meritiamo che questo sia un momento solo nostro, da non dividere con nessuno?".

Quelle parole fecero riemergere in lui tanti sensi di colpa ma capì subito che quello non era l'intento di Demelza, Demelza voleva altro, voleva donargli e donare a se stessa un ricordo prezioso che fosse solo loro. Lei aveva ragione e anche se la logica e le sue mille ansie lo spingevano a correre a chiamare Dwight, si rese conto che era vero, ne avevano passate tante e chiunque sarebbe stato di troppo in quel loro piccolo miracolo. Era terrorizzato, non sapeva come fare ma Demelza aveva ragione, gli stava semplicemente dicendo che quello era il loro momento, solo il loro e che come sempre, come la grande squadra che erano tornati ad essere, lo avrebbero superato insieme. "Dimmi cosa devo fare e fai in modo che tutto vada bene e non me ne debba pentire".

Lei gli strinse le mani, dolcemente, mentre una fitta di dolore le attraversava il viso. "Sta quì, tieni acceso il fuoco, prepara dell'acqua calda, prendi delle coperte, dei panni puliti e aspetta".

"Non posso prometterti che non sverrò" – le sussurrò in tono leggero, baciandola sulla nuca ed aiutandola a togliersi gli abiti da cucina per indossare una più comoda camicia da notte.

Cercando una posizione per stare comoda, Demelza si rannicchiò contro il suo petto cercando di ritrovare una respirazione normale. Le contrazioni, come per i gemelli, erano partite subito ravvicinate e sembrava abbastanza certa di partorire in fretta. "Che diranno i bambini?".

"Credo... Spero lo considerino un bel regalo di Natale".

Demelza sorrise, nonostante tutto. "Quando nacquero i gemelli, Clowance aveva proposto di abbandonarli da qualche parte".

Ross tentò di immaginare la sua piccola Clowance a tre anni, biondissima e sicuramente bellissima, mentre proponeva qualcosa del genere. "Ti avviso che anche Demian potrebbe suggerirci una soluzione simile".

"Sicuramente lo farà" – dovette ammettere Demelza che ben conosceva il suo piccolo e geloso principe, prima che una contrazione più forte la lasciasse senza fiato.

Si aggrappò alla camicia di Ross, la strinse con forza e gemette dal dolore, non riuscendo a trattenere una lacrima per il dolore. "Giuda...".

"Demelza...".

"Non dire niente... Adesso non dire nulla, ti prego" – lo implorò, a fatica.

E Ross capì che era finito il tempo per chiacchierare e che doveva, da quel momento in poi, essere il suo silenzioso angelo custode che doveva capire di cosa avesse bisogno senza che lei lo dicesse, assecondarla e tranquillizzarla con la sua presenza ferma e costante. Era spaventato ma non poteva permettersi di esserlo. Nessun uomo si era mai trovato in una situazione del genere ma di fatto, anche se Demelza non gli avesse chiesto nulla, non avrebbe comunque avuto troppe alternative. Fuori c'era una vera e propria bufera di neve, ci avrebbe messo troppo per andare a chiamare Dwight e Demelza sembrava essere preda di un travaglio veloce. Destino o desiderio che fosse, doveva essere lui a far nascere la bimba.

Le successive due ore furono convulse, mentre fuori la neve continuava a scendere incessante e non giungeva alcun rumore se non quello del vento impetuoso che sbatteva contro le finestre. Demelza visse un travaglio veloce, convulso, doloroso ma sopportò tutto senza lamentarsi eccessivamente e Ross si rese conto che si stava sforzando di apparire forte per non spaventarlo. La aiutò a passeggiare per la stanza, sorreggendola, quando lei sentiva di doverlo fare, la sorresse quando i dolori erano talmente forti da mozzarle il fiato, le strinse la mano quando le contrazioni le mozzavano il respiro e le riempivano di lacrime gli occhi e aspettò che tutto finisse. Era terribile per lui vederla così. Sapeva bene che partorire era doloroso ma assistervi di persona, veder soffrire la donna amata sentendosi impotente, era per lui qualcosa di orribile. Ma Demelza spesso gli aveva ricordato che ne valeva la pena, che era solo questione di poche ore e che amava essere madre e quindi doveva concentrarsi solo sul dopo, quel dopo che lo avrebbe reso pazzo di gioia come nessun altro al mondo. Aveva sempre ammirato la forza e il coraggio di Demelza ma mai come in quel momento. Aveva passato quell'inferno altre volte, spesso portandone il peso da sola mentre lui combatteva coi suoi demoni invece di starle accanto e ora le era grato. Per quanto spaventoso, ora Demelza gli aveva dato l'occasione di pagare i debiti col suo passato e di esserci. Non avrebbe avuto più nulla da rimproverarsi, non per Isabella-Rose almeno... A differenza di Jeremy e Clowance, lui era lì stavolta.

La piccola nacque alle sei del pomeriggio in punto, dopo un travaglio di quattro ore. Non seppe nemmeno lui come fosse riuscito a non svenire, seppe solo che l'istinto lo spinse a sorreggere Demelza mentre spingeva e poi a prendere la bambina fra le braccia, nell'esatto istante in cui venne al mondo. Demelza non gli suggerì nulla, gli venne tutto naturale come se fosse qualcosa che avesse già fatto. O forse, semplicemente, era puro istinto paterno, quell'istinto che ti spinge a muoverti sempre nella direzione giusta per il bene dei tuoi figli.

Isabella-Rose nacque strillando forte, ribadendo al mondo che ora c'era anche lei. Una piccola, vera Poldark...

Ross la avvolse subito nella copertina bianca che aveva preparato e poi, con mani tremanti, la poggiò sul petto di Demelza che dopo lo sforzo, era sprofondata fra i cuscini. "Ce l'hai fatta, amore mio...".

Lei aprì gli occhi, con una mano strinse il fagottino sul suo petto e con l'altra la sua mano, attirandolo a se in un abbraccio. "Ce l'abbiamo fatta, amore mio...".

Isabella-Rose, fra loro, strillò forte ed entrambi abbassarono lo sguardo, concedendosi finalmente di guardarla, conoscerla, scoprirla... Era una meravigliosa, paffuta morettina come suo padre, che aveva ereditato gli occhi azzurro-verdi della madre. Uno splendore, sana, vispa e con uno sguardo biricchino e vivace.

"E' bellissima... Amore mio, è splendida... Ha i tuoi occhi" - sussurrò Ross con voce rotta, baciando entrambe.

La donna accarezzò il mento della bimba. "E i tuoi capelli e, a giudicare da come strilla, il carattere indomito dei Poldark e dei Carne".

Ross annuì. "Già, è la nostra miglior sintesi, la nostra migliore rappresentazione" – disse, fiero e già innamorato di sua figlia.

Piangendo, Demelza strinse a se la piccolina, cullandola perché si calmasse. "Ross... Lei è davvero il nostro miracolo... Dicevano che lo erano i gemelli perché difficilmente Hugh poteva avere figli ma non era vero. Isabella-Rose, lei... lei è nata nonostante tutto... Nonostante l'inferno che abbiamo superato, il dolore, la lontananza... E' davvero un miracolo, il nostro miracolo, il segno che se c'è amore, tutto è possibile".

Già... Non c'era niente in più da dire, niente in più da recriminare. Demelza aveva ragione, Isabella-Rose era il simbolo dell'amore, quello vero che sa vincere su tutto e tutti. Ross guardò la sua piccolina, in un misto di amore e orgoglio. Era splendida, perfetta e lui l'aveva vista nascere! E non era stato spaventoso, era stato meraviglioso... "Grazie..." - sussurrò solo, a Demelza.

Lei si rannicchiò contro il suo petto mentre la neonata cercava il suo seno, come se sapesse già benissimo cosa dovesse fare. "Grazie a te... Sei stato coraggioso".

Ross rise, guardando il soffitto. "Ora forse sverrò, ora posso farlo se mi dirai che stai bene".

"Sto bene, ma vorresti perderti la sua prima poppata? Svieni più tardi, se ce la fai a resistere..." - gli rispose, ridendo.

Ross annuì, aveva ancora ragione. Si chinò sulla testolina della piccola, baciandola dolcemente. "E' vero, scusa Isabella-Rose. Non credo di voler perdere più niente della vita dei miei figli".

Demelza gli sorrise e gli apparve bella come non mai, anche col viso segnato dalla stanchezza, i lunghi capelli rossi che le scendevano sul viso disordinati e l'aria stanca. Era splendida, splendida come non gli sembrava di averla mai vista. "Ti amo, amore mio" – le disse, ancora.

"Ti amo anch'io".

Calò il silenzio, rotto solo dai vagiti della piccola Isabella-Rose che reclamava il suo latte. Nevicava, faceva freddo ma il camino, il respiro dolce di una bambina che si era affacciata alla vita e la promessa di un futuro radioso, resero quell'anti-Vigilia indimenticabile e calorosa per tutti loro.

E Isabella-Rose, da grande, avrebbe avuto una bella storia da sentir raccontare davanti al focolare, mentre preparava la sorpresa di Natale coi suoi tanti fratelli e sorelle.





  
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