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Autore: SherlokidAddicted    28/09/2019    4 recensioni
|| AU Destiel ||
Nell'anno 2258 l'aria sulla Terra è ormai irrespirabile, nessuno vive più come decenni fa. La casa del genere umano è un grande bunker sotterraneo, dove i sopravvissuti a una bomba nucleare tossica cercano di andare avanti dopo il disastro che li ha confinati dove la luce del sole non è in grado di raggiungerli.
Castiel e Gabriel Novak sono due fratelli e due elementi di lustro dell'esercito americano, due dei pochi che hanno ancora il permesso di uscire in superficie per le loro missioni.
Un giorno rilevano un'esplosione in un vecchio edificio all'esterno del bunker, a qualche ora di distanza. Lì, sotto le macerie, ci trovano Dean Winchester, ferito, con un'amnesia provocata da un trauma cranico e soprattutto l'unico umano sulla faccia del pianeta senza un tatuaggio identificativo.
Secondo i registri, Dean Winchester non è mai esistito.
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Castiel, Dean Winchester, Gabriel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Tu mi credi, vero?

- Direi un bel trauma cranico, è un miracolo che tu sia ancora vivo. - La dottoressa Masters tornò nella stanza con le lastre che Dean aveva fatto poco prima.
Era una donna che Castiel poteva definire al pari di suo fratello per quanto riguardava il suo carattere. La prima volta che l'aveva vista era stato dopo una ferita durante l'addestramento. Aveva cercato di vincere un corpo a corpo quella volta, con l'allora sergente Michael. Era troppo forte rispetto a lui, che era soltanto una recluta. Gli aveva slogato un polso e fatto un occhio nero, per non parlare della costola incrinata. Si ricordava che in infermeria Meg aveva parlato per tutto il tempo, per distrarlo diceva lei, con tanto di battutine che però lui non era riuscito a cogliere per il più delle volte... e poi Meg lo aveva accusato di essere troppo serio, in un modo non proprio consono:

"Sei proprio un palo in culo"

Gli aveva detto, lasciandolo di stucco. Gabriel lo aveva avvertito, dopotutto. Gli aveva raccontato tutto quello che c’era da sapere sull’esercito, e del caratterino della dottoressa Masters, arrivata in quell’infermeria solo poco dopo l’arruolamento di Gabriel.
Meg aveva notato una certa somiglianza con Gabriel la prima volta, e quando Castiel aveva confermato quel legame di parentela, sia di sua spontanea volontà, sia per il tatuaggio perfettamente identico con quello del maggiore, Meg aveva riso, perché convinta che entrambi fossero come il giorno e la notte: Gabriel era sempre stato quello divertente, quello estroverso, quello più convincente, sapeva farsi valere. Castiel era più spigliato e si lasciava andare a determinate battutine solo quando era con lui, con gli altri era più chiuso, preferiva starsene nelle sue. Ma rispetto a Gabe, lui era un soldato forte, autoritario, sapeva farsi ascoltare da chiunque.
Castiel si staccò dalla parete e Dean sollevò la testa dal letto. Sembrava quasi volesse scappare da lì, che non gli piacesse restare immobile senza fare nulla. Probabilmente prima di quel “piccolo” incidente, Dean era abituato a muoversi molto. Lo capiva dal tic nervoso al dito della mano destra, che non faceva altro che picchiettare fastidiosamente sulla sbarra metallica del lettino. Castiel non aveva assistito alla visita, aveva preferito rimanere fuori e rispettare la sua privacy.

- La spalla è a posto, ma per la gamba avrai bisogno di riposo. Le costole non sono fratturate come credevi, Clarence. - Castiel corrugò confuso la fronte, ignorando il modo in cui lo aveva chiamato. Gli aveva affibbiato quel nomignolo già dalla prima volta che si erano visti, giustificando tutto ciò con il fatto che secondo lei Castiel somigliava a un angioletto. I suoi occhi azzurri scesero sulla gamba sulla quale Dean zoppicava fino a qualche ora prima, come a cercare di individuare lui stesso il problema, poi salì al busto, ora coperto dalla maglietta in cotone, dove immaginava le ecchimosi violacee dovute a delle fratture che invece, a quanto sembrava, non c’erano affatto.

- Credevo che la gamba fosse rotta. Non riusciva a camminare, né a muoversi. - Meg lo guardò per un attimo in silenzio, poi tirò fuori le lastre e le passò a Castiel. La sua espressione divenne ancora più confusa quando si rese conto che la gamba di Dean era intatta, come se non avesse mai subito dei traumi, così come il resto delle ossa, comprese quelle che Castiel aveva intuito fossero rotte. - Non capisco... -

- Possibile che la cenere ti abbia confuso un po’ le idee, Clarence. Sicuro che quella maschera fosse a prova di aria tossica? - Castiel lanciò uno sguardo a Dean, sembrava più confuso di lui mentre lo vedeva portarsi una mano sulla fronte, dove un enorme cerotto bianco copriva dei punti di sutura. Probabilmente avvertiva del prurito, era normale. Castiel si era fatto rattoppare un migliaio di volte da Meg.
Gli occhi di Castiel scesero di nuovo a quella gamba, e si chiese se non fosse il caso di ripassare qualche nozione di pronto soccorso. Gabriel sarebbe stato deluso dal sui fratellino minore, era forse il primo a volere che Castiel fosse preparato su certi argomenti. I Novak dovevano essere perfetti per lui.
Eppure ricordava perfettamente la scena, e ricordava il peso del masso che lui e suo fratello avevano dovuto scansare con un bello sforzo solo per liberare Dean.

- Ha preso una bella botta, è normale non riuscisse a muoversi, ma non ha causato fratture. -

- Che mi dici dell'amnesia? -

- Dico solo che siete tutti degli idioti. - Dean e Castiel la guardarono come se fosse pazza, lei invece sollevò gli occhi al cielo. - Ha sbattuto forte la testa, l'amnesia era un'ipotesi assolutamente ovvia, non capisco perché abbiate bisogno di una conferma. -

- Il generale Shurley lo ha voluto e io ho semplicemente eseguito. - Castiel mise a posto le lastre dentro la busta dalla quale Meg le aveva tirate fuori quando era entrata nella stanza, poi rivolse un'occhiata incuriosita a Dean. - Non ha il tatuaggio identificativo. Si chiedeva se fosse il caso di fidarsi o... -

- Già, quello non ce l'ha, eh? - Meg parve scambiarsi un'occhiata che la diceva lunga con Dean, il quale reagì semplicemente distogliendo lo sguardo su qualunque altro oggetto nella stanza. A Castiel parve sospetto. - Beh, dì a Shurley che vorrei proprio vederlo dopo che un grosso masso gli cadrà in testa... sempre se si ricorderà come si chiama! - La dottoressa Masters incrociò le braccia al petto, poi si poggiò contro la parete dietro di sé e posò lo sguardo su Dean, che sembrava invece voler evitare il contatto visivo con chiunque in quella stanza.

- Credi che recupererò i miei ricordi? - Chiese il biondo, guardando un punto fisso del pavimento poco dopo essersi messo semi seduto. Poggiava perfettamente il peso del corpo sul braccio che poco prima Castiel gli aveva rimesso a posto, dove aveva avuto la spalla lussata.

- Questo non posso prevederlo. Ma puoi andare adesso, cerca solo di non sforzarti troppo. - Castiel corrugò la fronte, lasciando le lastre sul letto ai piedi di Dean mentre raggiungeva Meg che stava andando via dalla stanza come se niente fosse. Fece in tempo a oltrepassare la porta. La vide intenta a girare l’angolo. Castiel la richiamò e lei si fermò proprio in mezzo al corridoio, girandosi verso di lui per sentire cosa avesse da dirle.

- Che vuoi dire con “puoi andare”? Non ha bisogno di essere ricoverato? - Meg sospirò, poi lo raggiunse, stringendosi la cartellina al petto

- Non posso tenerlo qui, Castiel. - Disse a bassa voce, come se non volesse che altri oltre a lei sentissero quello che si stavano dicendo. - Lui sta bene, non ne avrebbe davvero bisogno, ma oltre a questo… - Meg guardò Dean attraverso il vetro. Si era messo seduto, aveva appena controllato all’interno della maglietta e ora se la stava abbassando per coprire quei centimetri di pelle scoperta, dove i suoi lividi erano solo di un giallo ocra leggero, quasi come sul punto di sparire del tutto. - Ho altre persone ricoverate qui, la voce si sta spargendo e se non è così lo sarà. Tutti verranno a sapere che non è marchiato e scoppierà il caos. Potrebbero fargli del male, e non parlo solo dei pazienti, parlo degli altri medici, degli infermieri. Qui non sono tutti dei santi quando si sentono minacciati. - Castiel rimase in silenzio per una manciata di secondi, cercando di riflettere su quello che la dottoressa Masters aveva appena detto. Non aveva tutti i torti. Gli era stato affidato il compito di proteggerlo e quello di certo non era il modo migliore per farlo.

- Quindi che dovrei fare? - Meg si raddrizzò sulla schiena. Gli passò una mano sulla divisa militare, quasi come a stirare le pieghe e a sistemarlo con cura.

- Gli potresti prestare il tuo letto. - Castiel spalancò gli occhi e scosse la testa.

- Farlo dormire alla base? Lucifer vuole già farlo fuori. Lo ha minacciato. - Meg rise, e Castiel si chiese il perché di quella reazione fuori luogo. La donna fece scivolare la mano dalla sua spalla, dove stava spazzolando via della polvere che probabilmente nemmeno era presente sui vestiti di Castiel. Tornò a stringere la cartellina e fece spallucce.

- Non è la prima volta che Lucifer fa lo stronzo, giusto? - Fece una breve pausa prima di riprendere a parlare. - Lo avresti sempre vicino, non lo perderesti mai di vista. Non è questo il tuo compito? - Castiel sospirò. Per la seconda volta dovette ammettere a sé stesso che Meg aveva ragione. Era un ottimo pretesto per osservare i suoi sviluppi, ma questo voleva anche dire che doveva “costringere” suo fratello a usare un’altra delle stanze della base. Non sapeva quanto ci sarebbe voluto per convincerlo.

- Porto Dean via di qui. - Meg accennò un sorriso divertito, poi gli diede una leggera pacca affettuosa sulla guancia.

- Meg… -

- Che c’è? -

- Sono sicuro… assolutamente sicuro. Aveva qualche osso rotto, mentre adesso… - La donna lo zittì, sollevando un dito, proprio nel momento in cui uno dei medici le passava accanto e poi spariva oltre l’angolo. Non voleva che delle orecchie indiscrete sentissero della loro conversazione, forse per lo stesso motivo per cui non voleva che Dean restasse ricoverato al suo ambulatorio.

- Gli ho prelevato un campione di sangue. - Spiegò lei in sussurro, poco dopo. - Non credo avesse delle fratture, sarebbe impossibile visti i risultati delle lastre. Ma se fosse come dici tu… un’analisi del sangue potrebbe darmi ulteriori spiegazioni. - Castiel annuì, Meg in risposta si limitò a sistemarsi il camice, poi accennò un sorriso.

- Vieni a trovarmi più spesso, Clarence. - Gli disse, e se ne andò sui suoi passi, salutando i colleghi infermieri durante il tragitto.
Castiel si ritrovò da solo in quel lungo corridoio. Il silenzio tombale era riempito solo dai passi delle altre persone che gli passavano accanto, o dal rumore delle porte che si chiudevano.
Tornò nella stanza dove Dean si era ormai già alzato. Era davanti allo specchio, teneva la maglietta sollevata e si controllava, sembrava che stesse guardando quel corpo per la prima volta.

- Possiamo andare. - Dean non si era accorto che Castiel fosse tornato, infatti sussultò e lasciò andare la stoffa che subito ricoprì la pelle leggermente martoriata. Si portò una mano al petto, spaventato.

- Cristo, mi hai fatto prendere un colpo! - Disse lui. Castiel lo osservò meglio, non sapendo più cosa pensare sull’uomo che aveva di fronte, non dopo le scoperte fatte con quelle dannate lastre. Non riusciva più a togliersele dalla testa, né riusciva a darsi una spiegazione plausibile. - È successo qualcosa? - Castiel scosse prontamente la testa, poi gli fece cenno di uscire da quella stanza.

- Riesci a camminare? - Dean si guardò per un momento, come se non sapesse effettivamente come il suo corpo avrebbe funzionato dopo quella visita.

- Credo di sì. - L’altro deglutì, poi gli fece spazio e lasciò che Dean uscisse dalla stanza. Lo guardò camminare fino agli ascensori pensando che per arrivare lì aveva dovuto trascinarlo, mentre adesso si limitava solo a una leggera zoppia. E la cosa che più lo preoccupava era il fatto che dovesse fare rapporto a Shurley di quella visita, e non voleva immaginare la sua reazione. Seppure non conoscesse affatto Dean, Castiel non voleva gli si torcesse un capello, odiava che venisse fatto del male a un altro essere umano solo perché diverso.
Lui di certo ne sapeva qualcosa.
Quando furono di nuovo in ascensore, Castiel premette il numero del piano dove lui e i suoi colleghi vivevano, mangiavano, dormivano e passavano le giornate quando non avevano compiti da eseguire. Era lì che Dean sarebbe dovuto rimanere.

- Ti sto portando alla base. Ti sistemerai nella mia stanza e non ti muoverai di lì senza il mio consenso. - Gli comunicò, le braccia dietro alla schiena dritta. Dean lo guardò tramite lo specchio, poi incrociò le braccia al petto.

- Vuol dire che adesso sono prigioniero? - Castiel non si scompose.

- Non sei prigioniero. Voglio solo evitare che Lucifer provi a ucciderti. - Dean non rispose. Rimase a osservare il soldato che gli stava davanti, come se ne stesse studiando a fondo il volto e le espressioni.

- Cosa è successo al pianeta? - Gli rivolse nuovamente quella domanda, e stavolta sembrava non ammettere cambiamenti di discorso o che Castiel non si premurasse di spiegargli. Fu a quel punto che il suo sguardo incrociò quello di Dean dallo specchio. Il soldato sospirò, poi si leccò nervosamente le labbra.

- Quasi quattro decenni fa, le potenze mondiali erano in continuo conflitto. I Paesi erano governati da leggi dittatoriali e puoi immaginare quante volte la gente si sia ribellata. - In quel momento le porte dell’ascensore si aprirono. Castiel iniziò a camminare e Dean lo seguì in silenzio e a testa bassa. - C’erano continue rivolte, e continue incomprensioni. Si partiva da semplici guerre a veri e propri putiferi. Avevamo previsto che le cose avrebbero preso una piega ingestibile. Si costruirono dei bunker sparpagliati per il pianeta. La gente iniziò a trasferirsi lì in attesa dell’inevitabile. -

- Tutta… la gente? - Chiese Dean, confuso. Castiel si fermò nel bel mezzo del corridoio. Fu a quel punto che il biondo si rese conto che erano di fronte a una porta di metallo. Il soldato tirò fuori da una delle tasche una tessera magnetica. Gli bastò adagiarla accanto alla serratura e quella si aprì. La stanza oltre a essa era una semplice camera anonima. Due letti occupavano lo spazio striminzito della camera. Poi vi era un grande armadio scuro a fronteggiarli, mobili dal colore neutro, perlopiù le pareti erano piene di foto di soldati, di medaglie e attestati. Una piccola porticina portava a quello che sicuramente era il bagno. Castiel si tolse la giacca e la lasciò ricadere su una sedia. Indossava una maglietta verde oliva, stretta. Dal collo pendeva la sua medaglietta. Dean si soffermò a guardarla per fin troppo tempo, tanto che si costrinse da solo a non fissarla.

- No… non tutti credevano che sarebbe successo qualcosa del genere. - Castiel si sedette sulla sedia dove poco prima aveva lasciato la sua giacca mimetica, poi si passò una mano sulla guancia e la grattò distrattamente. Fissava un punto indefinito del pavimento, come se quelle scene stessero scorrendo davanti ai suoi occhi in quel preciso momento, anche se probabilmente non le aveva nemmeno vissute di persona. - E quella convinzione fu fatale. I primi bombardamenti furono quasi del tutto innocui, erano come degli avvertimenti. Ma poi la situazione degenerò. La notte in cui accadde tutto, quelle che piovvero dal cielo non erano semplici bombe. Avevano creato una sostanza tossica in laboratorio, non pensavano fosse così distruttiva, ma la gente iniziò a morire non appena quella schifezza gli entrava nei polmoni. - Ci fu silenzio, solo per qualche secondo. - Alcuni riuscirono a scappare e a rifugiarsi nei bunker, altri si salvarono come per miracolo, ma l’ottanta percento della popolazione mondiale fu spazzata via come polvere. -

- Cazzo… - Mormorò Dean, sconvolto da quelle parole, poi si grattò la nuca e scosse la testa.

- Adesso i nostri scienziati stanno studiando un modo per tornare in superficie, purificare l’aria… ma fin’ora non ci sono mai stati dei risultati positivi. - Dean si avvicinò alla porta già chiusa che conduceva al corridoio, vi si poggiò contro con la schiena.

- Non è possibile che io provenga da… da un altro bunker? - Castiel sollevò lo sguardo verso di lui.

- È alquanto improbabile. Questo è l’unico bunker in America, gli altri sono oltreoceano e la durata dell’ossigeno nelle maschere è di circa due ore. -

- Ma avevo una maschera! Da qualche parte devo averla presa, giusto? - Castiel non rispose. Lo guardò in silenzio, rendendosi conto con più sicurezza che Dean non aveva la più pallida idea di chi fosse. Adesso gli credeva con più fermezza. Non gli sembrava affatto un bugiardo o una potenziale minaccia, era solo un uomo spaventato con un buco nero nella testa, e Castiel voleva aiutarlo.

- Non lo so. - Dean si morse il labbro, passandosi una mano fra i capelli, forse nel tentativo di far riemergere qualche ricordo. Un tentativo futile, visto che la sua mente sembrava fluttuare lontano dalla realtà, incapace di atterrare.
Calò il silenzio. Castiel cercava di capire chi o cosa fosse l’uomo che si trovava lì con lui, mentre Dean si domandava se era il caso mostrargli cosa Meg aveva scoperto mentre lo visitava. Non poteva fidarsi di molte persone lì dentro, soprattutto se gli altri soldati potevano avere la stessa mentalità di Lucifer, anche se non pensava la stessa cosa di Gabriel, che sembrava più che altro qualcuno che non voleva immischiarsi in cose più grandi di lui. Suo fratello Castiel sembrava invece qualcuno di cui avrebbe potuto fidarsi, sembrava credergli ed era stato il primo a non dubitare della sua amnesia. Da una parte voleva rischiare, ma dall’altra non voleva caricare quella che sembrava una brava persona di un peso troppo grande da sopportare. Non voleva mentisse per lui, ma si era quasi fatto sparare alla testa per difenderlo, qualcosa doveva pur significare.
Sì, glielo avrebbe detto.
Chiuse la porta, facendo girare la piccola maniglia due volte, in modo che fosse ben chiusa e che nessuno potesse entrare per sbirciare. Castiel parve confuso da quel gesto, e lo fu ancora di più quando Dean lo fronteggiò, titubante.

- Tu mi credi, vero? - Gli chiese il biondo.

- Ti credo, certo. - Gli bastarono quelle semplici parole. Dean afferrò i bordi della maglia e se la sfilò. Rimase a petto nudo, ma invece di rimanere a fissarlo, Castiel si voltò dalla parte opposta, improvvisamente imbarazzato da quella sua iniziativa. - Che cazzo stai facendo? -

- Non fare l’idiota! Non ti sto provocando. - Disse il biondo. Castiel allora lo osservò con la coda dell’occhio, finché non notò qualcosa fuori posto, qualcosa che in realtà non ci sarebbe dovuto essere. Mise da parte l’imbarazzo della situazione e rivolse tutta la sua attenzione all’uomo di fronte a sé.
Dean poteva non avere il tatuaggio che lo categorizzava come tutti gli altri, ma in compenso aveva uno strano tatuaggio sul petto, proprio sulla parte sinistra. Castiel si alzò in piedi, un’espressione stralunata dipinta in volto, la fronte corrugata mentre inclinava leggermente la testa da un lato e studiava con lo sguardo le linee nere che componevano quel simbolo che mai prima d’ora aveva visto.

- Che diavolo è? - Chiese Castiel, e fu allora che Dean sollevò un sopracciglio.

- Perché continui a chiedermi cose di cui non so ovviamente la risposta? Ho una cazzo di amnesia, Castiel. - L’altro non rispose a quella provocazione, continuò a tenere lo sguardo fisso su quell’immagine. Portò una mano alla sua spalla, raddrizzandola in modo da avere una visuale più completa. - La dottoressa Masters lo ha visto mentre mi visitava. Mi ha guardato come se fossi un mutaforma o una creatura disgustosa. - Iniziò il biondo. - All’inizio non sono riuscito a capire il motivo di quella reazione, ma poi ho abbassato lo sguardo e… ed eccolo qua. - Castiel si allontanò da Dean, il tempo giusto per aprire un cassetto della scrivania e tirare fuori un foglio e una penna. - Ha detto che altri tipi di “marchi” sono vietati. Che potrei… finire nei guai se solo qualcuno lo vedesse. - Il soldato poggiò il foglio sulla parete, poi cominciò a copiare quel simbolo per filo e per segno. Iniziò da quella stella a cinque punte, poi passò alla corona di “fiamme” che la circondava.

- Per questo eravate così circospetti quando abbiamo parlato del tatuaggio identificativo? - Dean annuì, rimase immobile mentre prendeva la maglietta che si era sfilato, aspettando che Castiel finisse di copiare quello che vedeva. - In breve, l’unico tatuaggio permesso è quello identificativo. Averne uno sconosciuto potrebbe metterti davvero in cattiva luce. -

- Che cazzo devo fare, Cas? - Chiese il biondo mentre si rimetteva la maglietta. Castiel mise il tappo alla penna, poi ripiegò il foglio su sé stesso un paio di volte e lo infilò in tasca.

- Non devi fare nulla. Tieni per te questa cosa, io indagherò. -

- Lo dirai a qualcuno? - Castiel lo guardò, ci pensò su per un bel po’. Parlarne a Gabriel sarebbe stato utile? Non lo sapeva, si era sempre confidato con lui, e nascondergli quello sembrava come tradirlo. Ma Dean aveva paura, e doveva evitare facesse cazzate, mantenerlo tranquillo per evitare che Lucifer o qualcun altro mettesse in repentaglio la sua vita. Poteva nasconderglielo.

- Solo al generale Shurley. Farò in modo che non lo dica a nessuno. - Dean rimase immobile per un momento, poi annuì poco convinto e si lasciò ricadere a sedere su uno dei due letti, deglutendo nervosamente. - Non posso nasconderglielo. -

- Va bene, ho capito. - Le mani di Dean tremavano leggermente. Castiel avrebbe voluto tranquillizzarlo, ma in quel preciso momento un continuo bussare interruppe le sue intenzioni.



Note autrice:
Dopo una vita, rieccoci qui con un nuovo capitolo!
So che è passato fin troppo, ma come ho spiegato nelle note di "Brother mine", studio e sessioni estive/autunnali insieme sono un vero inferno.
Comunque, cosa ne pensate di questo capitolo?
Avrei una richiesta da farvi, prima che lasciate le vostre recensioni. Avete delle teorie su Dean? Sono proprio curiosa di sapere quali siano le vostre idee. Fatemele sapere, anche perché come avrete notato, qui si scopre qualcosina in più su di lui.
Tornerò presto, promesso. Un bacione!

  
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