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Autore: ChiiCat92    07/10/2019    0 recensioni
"La bottiglia, sul tavolaccio di legno, umida di condensa, circondata di monete d’oro e d’argento, sembrava vibrare. Dipendeva, probabilmente, dal fatto che quella bottiglia era piena a metà, e che l’avrebbe svuotata del tutto se non avesse dovuto mantenere la sua dignità di Capitano.
Festeggiare era d’obbligo, ma non perdere conoscenza come un qualunque marinaio."
Questa storia partecipa al Writober 2019 di Fanwriter.it, lista PumpFIC.
#writober2019 #fanwriterit #halloween2019
Genere: Angst, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Sephiroth
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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04/10/2019

 

Pirate Story


Immersa nella luce del primo pomeriggio la cabina ondeggiava piano. Lo sciabordio tiepido delle onde contro la chiglia, ritmico, si fondeva amabile con la fisarmonica suonata sottocoperta. La voce dello strumento era calda e malinconica a tal punto da ammutolire i marinai. In quei rari momenti di pace era facile lasciarsi abbandonare, sorseggiando liquore viscoso da una bottiglia sbeccata.

Fervevano, silenziose e metodiche, le attività sul ponte della nave. Da qualche parte, sotto il suono melodico della fisarmonica, si udiva il tonk, tonk, tonk del martello del carpentiere. 

La nave non aveva subito molti danni durante l’ultimo abbordaggio ma in un momento di quiete come quello faceva comodo portarsi avanti con il lavoro. 

Quando scostò il braccio dagli occhi la luce sembrò più brillante, scoppiettante di pulviscolo dorato. La bottiglia, sul tavolaccio di legno, umida di condensa, circondata di monete d’oro e d’argento, sembrava vibrare. Dipendeva, probabilmente, dal fatto che quella bottiglia era piena a metà, e che l’avrebbe svuotata del tutto se non avesse dovuto mantenere la sua dignità di Capitano.

Festeggiare era d’obbligo, ma non perdere conoscenza come un qualunque marinaio.  

Respirò a fondo l’aria satura di legno e acqua salata, la fisarmonica sottocoperta attaccò con un brano più vivace, si unirono i marinai battendo le mani, fischiando e tenendo il tempo con i piedi. 

Si alzò, per un attimo tutto ondeggiò sotto i suoi piedi, e dovette battere le ciglia perché tutto tornasse al suo posto. Gli stivaloni di cuoio erano gettati da una parte, camminò fino all’oblò della cabina a piedi nudi, rabbrividendo piacevolmente per il freddo e l’umido del legno.

All’orizzonte solo il blu del mare poi, in fondo, lo stacco netto con il cielo. Qualche brandello di nuvola bianca attraversava l’azzurro altrimenti dominante. 

Una giornata perfetta per navigare. 

« Capitano! » stivali pesanti sul ponte. « Capitano! » e un bussare compulsivo alla sua porta. 

Qualcosa gli punse lo stomaco come lo stocco di una lama affilata: adrenalina.

« Cosa succede adesso? » 

Quando aprì la porta si ritrovò davanti la faccia bruciata dal sole del suo secondo in vedetta, quello che si occupava di portare a terra i messaggi della coffa. 

« Abbiamo raggiunto la nave, Capitano. È visibile da prua. » 

« Bandiera? »

Il marinaio si aprì in un sorriso, complice per una volta. « Credo che sia la nave che cerchiamo, signore. »

Di nuovo, sentì quel pungiglione allo stomaco. 

« Renwick! » urlò il Capitano, uscendo dalla cabina. Il sole picchiava più forte sul ponte, lontano da quella oscurità morbida e il fresco dell’ombra. Ancora a piedi nudi, si preoccupò fare lo slalom per non calpestare il sapone sporco che fuoriusciva dallo spazzolone del mozzo.    

« Capitano sul ponte! » urlò qualcuno alle sue spalle, forse il secondo in vedetta che era andato a chiamarlo. 

Chi non stava abbarbicato sullo strallo di poppa, occupato a rattoppare gli squarci nelle vele rosse, e chi non aveva le mani occupate da secchi e spazzole, gli rivolse un saluto rispettoso. 

Un soffio di vento del nord gli scompigliò i capelli per un attimo, facendolo sembrare più giovane di quanto non fosse.

« Renwick!!! » chiamò ancora, una smorfia ad arricciare le belle labbra. 

« Sono qui Capitano! » l’uomo si calò dall’alto con una cima, affannato, la camiciola macchiata di sudore, i capelli sfatti, e un cannocchiale metallico tra le mani.

« Alla buon ora. » brontolò lui.

Gli strappò il cannocchiale dalle mani e corse a prua, arrampicandosi sulla delfiniera. Ad occhio nudo riusciva a vedere la sagoma della nave che inseguivano ormai da due giorni. Era lontana, ma si riuscivano a distinguere gli alberi e le vele nere. Quando avvicinò l’occhio al cannocchiale la nave improvvisamente si fece vicina, tanto da poterla toccare.

Dovette trattenere il fiato per non urlare di gioia. 

« Davenport! » urlò al timoniere dietro di lui, che saltò sull’attenti senza muoversi però di un millimetro dalla sua postazione. « Mantieni la rotta, teniamoci sulla sua coda. E voi fannulloni! Spiegate le vele! » i marinai si lanciarono per ubbidire agli ordini mentre il Capitano si sedeva comodo sulla delfiniera, i piedi nudi a dondolare nel vuoto. Sotto di lui la spuma del mare borbottava contro lo scafo. 

Guardò ancora con il cannocchiale. La One Winged Angel, meravigliosamente vicina, carica di tesori. Primo fra tutti, il suo Capitano.

 

Arrivarono a portata di cannoni poco dopo il calar del sole. Ingaggiare battaglia e tentare l’abbordaggio con il buio non era una buona idea. Per il momento potevano aspettare.

Il Capitano stabilì turni di guardia e permise all’equipaggio di lasciare solo un paio di torce accese sul ponte, per rendere più difficile l’individuazione. 

Le stelle brillavano sopra di loro, riflettendosi a milioni, a miliardi nell’acqua resa nera dalla notte. Senza luna in cielo, il manto del cielo poteva brillare.

Il Capitano non poteva fare a meno di chiedersi dove si trovasse lui in quel momento. Forse sottocoperta, con l’equipaggio, in cambusa a controllare le scorte e preparare il contrattempo, nella sua cabina a fissare il punto in cui si trovava la sua nave.

Perché oh, lo sapeva, sapeva benissimo che stava guardando, riusciva a sentire i suoi occhi addosso. 

Presto si sarebbero trovati faccia a faccia, con nient’altro che le sciabole e le loro capacità a decidere cosa sarebbe stato di loro.

Un brivido di eccitazione lo percorse da capo a piedi. 

« Che nessuno si avvicini alla nave. » proclamò, tornando verso la propria cabina. 

Non avrebbe chiuso occhio quella notte, era troppo eccitato al pensiero di quello che sarebbe successo l’indomani, ma voleva che l’equipaggio pensasse che era tranquillo, che aveva la situazione così sotto controllo da non doversi privare del sonno.

Rimasto solo con se stesso, il Capitano prese a sistemare le sue armi. Prima il moschetto, nel qual caso avesse bisogno di sparare sulle lunghe distanze, poi le due pistole a pietra focaia, una per fianco. Per ultima lasciò lo stocco dalla lama rossa, quello che aveva ispirato le vele della sua nave. 

Lo lucidò finché non riuscì a specchiarvisi. Corti capelli rosso tramonto, occhi azzurri come il cielo estivo, il viso sempre ben rasato, labbra schiuse e rapide. 

Si portò una mano ai capelli, spettinandoli, per un attimo indugiando nella propria vanità. Bello, come la fine del mondo, o l’inizio. La Genesi. 

Infoderò lo stocco e si vestì, pronto per la battaglia, per affrontare il suo acerrimo nemico. 

Non aveva intenzione di affondare la One Winged Angel, quella nave era veloce e ben tenuta, non poteva permettere che si perdesse, ma avrebbe trafugato tutto il suo contenuto, e ucciso chiunque non si fosse unito alla sua ciurma prestando giuramento, o potevano sempre scegliere l’annegamento. 

Dopo l’abbordaggio e la conquista la nave sarebbe stata difficile da manovrare, forse avrebbero dovuto rimorchiarla fino all’isola più vicina. Poteva sempre venderla, o sostituire le vele nere con quelle rosse e farla diventare la seconda nave della sua flotta.

Una flotta, un’intera flotta, non ci aveva mai pensato davvero, ma cominciare con la nave di…

Un rumore inconsueto lo distrasse dai suoi pensieri. Rimase in ascolto per qualche istante. Il rollio della nave era il solito di sempre. Oppure? 

Scattò in piedi appena in tempo, scartando di lato, prima di venire travolto dalla porta della cabina, buttata giù da un calcio poderoso.

Prese riparo dietro il tavolo di legno, già con la pistola tra le mani, ma quando provò a sporgersi per sparare uno schiocco, odore di polvere da sparo e frammenti di legno lo costrinsero a rimanere nascosto. 

« Merda! » imprecò. Il cuore prese a correre, imbizzarrito in petto.

Se erano riusciti ad arrivare fino a lì vuol dire che i suoi rimasti sul ponte erano tutti morti, probabilmente stava toccando lo stesso destino in quello stesso momento a chi si trovava in cambusa. Doveva considerare la nave già conquistata, ma non aveva il coraggio di pensarci. 

« Genesis Rhapsodos. » quella voce, inconfondibile, profonda, vibrante. Il Capitano rabbrividì, il gelo della notte improvvisamente si era impossessato di lui, prendendogli le viscere. « Sono due giorni che mi insegui. Dimmi cosa mi impedisce di uccidere tutta la tua ciurma e dare alle fiamme il tuo piccolo veliero. »

Genesis, nascosto dietro il tavolo, strinse i denti tanto da farli scricchiolare.

“Adesso o mai più.” 

Accucciato sulle ginocchia per evitare di essere colpito dai proiettili, e soprattutto per prendere in contropiede il suo avversario che sapeva essere alto, rotolò su un fianco sguainando lo stocco, tentando un tondo per fargli perdere l’equilibrio.

L’avversario, però, riuscì a prevedere l’attacco, e pronto, come sempre, bloccò lo stocco con la lunga lama della sua spada.

Genesis si ritrovò a fare pressione con la propria spada contro quella di lui. Il suono delle lame feriva le orecchie, le braccia avrebbero ceduto. Cedevano sempre. 

Sollevò lo sguardo e si ritrovò a specchiarsi negli occhi del Capitano della One Winged Angel. 

Vestito di nero, con la camicia aperta sul petto dalla pelle candida, i calzoni di cuoio infilati in stivali allacciati alti fino al ginocchio, i lunghi, lunghi capelli argentei intrecciati da un nastro di velluto in modo da non interferire in battaglia. E gli occhi, quegli occhi verde smeraldo, immoti, un abisso gorgogliante in cui era dolce lasciarsi sprofondare. 

« Sephiroth. » sibilò tra i denti Genesis. Provò a spingere, in avanti, le lame emettevano scintille. 

« Allora? » chiese lui. Sembrava non fare fatica a contrastare la sua forza, cosa che strappò un gemito infastidito al rosso. 

« Hai ucciso i miei uomini? » 

Sephiroth voltò lo sguardo solo per un attimo, un istante, come per accertarsi di ciò che aveva alle spalle, e Genesis approfittò della distrazione per liberarsi da quell’impasse: forzò la spada di lui da un lato così da poter sgattaiolare su quello opposto e guadagnare una posizione migliore.

Estrasse la pistola con la sinistra e la puntò sull’uomo, mentre con la destra si preparava a difendersi.

« Solo quelli di vedetta. » commentò lui, sorridendo appena, su quel viso di alabastro candido le espressioni rimanevano scolpite un solo istante. 

Genesis provò una fitta al cuore al solo pensiero, ma non si mosse. 

« Chi altri è con te? » 

Lui allargò le braccia, il sorriso stoico, derisorio. 

Da solo, era venuto sulla sua nave da solo, aveva ucciso le sue vedette, e ora lo minacciava. Nella sua cabina.

Genesis premette il grilletto, ma Sephiroth fu più veloce. Scartò da un lato e si gettò su di lui, non con l’intento di colpire (altrimenti sarebbe stato già morto) ma con l’intento di disarmare.

Per proteggersi, il rosso portò in alto lo stocco, ma Sephiroth mirava alla mano che reggeva la pistola, che volò via: se non l’avesse lasciata andare gli avrebbe tranciato via l’arto. 

Ringhiò per lo sconforto e tentò un disperato affondo. Andò a vuoto, com’era da aspettarsi. Sephiroth colpì con l’elsa della spada il gomito di Genesis, il dolore lo fece gemere ma prima di rendersene conto lui l’aveva già disarmato.

Si trovò la lama alla gola, trattenendo il fiato per non ferirsi. 

Tentò di parlare, un insulto probabilmente, ma lui premette di più la lama contro la pelle. Stillò sangue, caldo, Genesis lo sentì inzuppare il colletto della camicia.

« Voglio che smetti di seguirmi. » ordinò lui, morbido, con quel gorgoglio in fondo alla gola che sembrava tanto un ruggito.

« E io voglio la tua nave, i suoi tesori e… »

Un fruscio, un soffio, Sephiroth era un millimetro da lui, la lama della spada adesso premuta contro il suo addome. Poteva sentire il fiato caldo sulla pelle, il suo corpo gemere e tremare all’idea di toccare quello di lui. 

« E me? » chiese, sinceramente divertito.

Era tutto un gioco per lui, un gioco che non aveva mai perso.

Si abbassò quel tanto che bastava per sfiorare le sue labbra, quando tentò di ritrarsi lui premette di più la lama contro il suo fianco. Il dolore lo costrinse a sottostare al bacio. Aveva il rovente sapore della sconfitta, e quello acido e intenso del piacere.

Si riscoprì a volerne di più, il fiato mozzato, la testa che girava. E lui, semplicemente, glielo negò.

Si tirò indietro, e lui per poco non cadde (tanto era instabile sulle gambe?). 

Non si preoccupò del fatto che avrebbe potuto recuperare la pistola e sparargli; sicuro dell’alone eburneo che lo circondava come a difenderlo, Sephiroth infoderò la spada e gli volse le spalle.

« Smettila di seguirmi, Genesis, o la prossima ucciderò te e raderò al suolo tutto ciò che ti circonda. » 

Genesis avrebbe voluto avere il coraggio di muoversi, di respirare, battere le ciglia, asciugare il sangue che colava dalla ferita sul collo.

Invece rimase immobile, le labbra come due tizzoni ardenti, a guardare la sagoma oscura e folle di Sephiroth che si allontanava.

Non poteva smettere di inseguirlo, non poteva smettere di spingere la nave sulla scia della sua. Non poteva.

L’avrebbe avuto, lui e tutto ciò che possedeva, esattamente come gli aveva detto, la sua nave, i suoi tesori e...lui.

Tutto il resto poteva bruciare.



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The Corner 

Ho sentito talmente forte l'impulso di scrivere di Genesis e Sephiroth pirata che non ho saputo resistere. Chissà che non li riproponga ancora in futuro, perché mi piacciono veramente molto insieme in questo contesto.
Vedremo!

Chii
   
 
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