Capitolo terzo
Here, not a
single light
Here, in the darkest night
And the sound of silence, silence, silence
Here, this is
where I reign
Hear me calling out no name
So I'll stay in silence, silence
There's
footprints in the snow
I'll follow wherever you go
I'll be the lonely wolf
I'll follow wherever you go
In the silver
night…
(“Silver night”
– The Rasmus)
Andrea Pazzi non aveva perso tempo e,
tanto per provare ancora una volta la sua nomea di bastardo dentro, si era affrettato a consegnare il documento
incriminante al Gonfaloniere Guadagni di fronte a tutta la Signoria riunita.
Guadagni non era una cattiva persona ma,
davanti alle prove, che altro poteva fare? Mostrò il documento ai Priori e a
tutti i presenti, con grande soddisfazione di Pazzi che gongolava pregustando
il successo.
“Rinaldo Albizzi ha mostrato il suo vero
volto. Il suo rifiuto di firmare questa generosa offerta dimostra che egli è
realmente un pericolo per la nostra Repubblica” esclamò. “L’esilio sarebbe solo
un modo per regalargli tempo e consentirgli di radunare un’armata per attaccare
Firenze!”
Queste parole colpirono nel segno,
proprio come quello stronzo di Andrea Pazzi aveva previsto. Anche i nobili più
vicini ad Albizzi non poterono continuare a sostenerlo e si unirono al grido di
A morte Albizzi che risuonò per tutto
il salone… una sorta di coro da stadio, guidato senza dubbio da Pazzi in
persona.
La Signoria stava ancora cantando l’inno quando giunse Cosimo,
tallonato da presso da Giovanni. Il Medici rimase molto male nel vedere che si
era già arrivati addirittura al coro da
stadio contro Albizzi, temette di essere giunto in ritardo… nonostante ciò,
si fece largo tra i tifosi… pardon, tra i partecipanti alla votazione della
Signoria… e si rivolse direttamente al Gonfaloniere.
“Messer Guadagni, so che è stato Andrea
Pazzi a consegnarvi questo documento, ma non ne aveva alcun diritto, si tratta
di un accordo privato voluto da Sua Santità Eugenio IV” obiettò.
“La Signoria doveva comunque venirne a
conoscenza, anche se non approvo i metodi di Messer Pazzi” replicò il
Gonfaloniere.
“Lo spero bene che non li approviate,
quello è solo un maledetto traditore che ha venduto Messer Albizzi per avere il
suo seggio alla Signoria! Dovrebbe essere lui a venire giudicato e cacciato da
Firenze per sempre!” reagì Giovanni, infuriato.
“Messer Guadagni, per quanto ancora
dovrò tollerare le accuse infamanti di questo ragazzino insolente… proprio un
degno discendente di quegli eretici sovversivi degli Uberti” protestò Pazzi,
acido. “Quando vi deciderete a punirlo come merita? Visto che tiene tanto al
suo mentore Rinaldo Albizzi, potreste
farlo direttamente incarcerare e giustiziare con lui!”
Ecco, anche quel giorno alla riunione
della Signoria ci sarebbe stato da divertirsi, pensò vagamente il Gonfaloniere,
poi ritornò alla sua maschera imperturbabile e al suo dovere di far rispettare
l’ordine.
“Messer Pazzi, sono io a decidere se e
quando punire qualcuno, non siete ancora voi il Gonfaloniere” ribatté Guadagni,
che comunque non aveva simpatia per quell’infido.
“E, se Dio ci assiste, non lo sarà mai!” esclamò Giovanni, incapace di
trattenersi.
“In quanto a voi, Messer Uberti, le
vostre accuse sono molto gravi e dovreste dimostrarle, prima di attaccare
Messer Pazzi” riprese il Gonfaloniere, rivolgendosi al giovane Uberti. “Resta
il fatto che Sua Santità ha proposto un accordo molto generoso a Rinaldo
Albizzi e lui lo ha rifiutato, pertanto è da considerarsi un pericolo per
Firenze.”
Andrea Pazzi esibì un sorrisetto maligno
mentre i presenti riprendevano a intonare il loro coro di A morte Albizzi.
Cosimo e Giovanni, per il momento,
avevano concluso con un nulla di fatto. La mattina seguente ci sarebbe stata la
votazione definitiva e, a quanto pareva, i giochi erano già stati fatti: la
Signoria avrebbe votato per la condanna a morte di Albizzi.
La vittoria di Pazzi, tuttavia, era solo
apparente. Cosimo stava già pensando a come muoversi per convincere la Signoria
a modificare il suo voto e Giovanni, dal canto suo, avrebbe fatto qualsiasi
cosa pur di salvare la vita di Rinaldo.
Albizzi, invece, aveva accettato la
condanna a morte già da tempo e non si era scomposto più di tanto. Era stato
sconfitto. Il suo tentativo di vendicarsi di Cosimo e di prendere il potere a
Firenze era fallito. Non aveva più niente a cui attaccarsi e preferiva morire
piuttosto che vivere in una Firenze governata dai Medici. Quella sera incontrò
il figlio Ormanno, venuto a trovarlo in carcere per vederlo un’ultima volta
prima della sentenza.
Il ragazzo era in lacrime e continuava a
protestare che era un’ingiustizia, che suo padre doveva salvarsi.
“Ormanno, figlio mio, non devi
preoccuparti per me” gli disse l’uomo, abbracciandolo. “La cosa veramente
importante è che gli Albizzi resteranno a Firenze anche dopo che sarò morto e
sarai tu a portare in alto il nome della nostra famiglia, come hai sempre
fatto. Sono fiero di te e lo sarò sempre.”
Anche Giovanni era andato al Palazzo
della Signoria per incontrare Rinaldo in cella ma, saputo che l’uomo stava
parlando con suo figlio, aveva atteso in fondo alla rampa di scale per
lasciarli in pace. Intanto nella sua mente scorrevano mille e mille piani, a
dire il vero uno più assurdo e impossibile dell’altro, per salvare la vita di
Albizzi…
Immerso in questi pensieri, si riscosse
soltanto quando Ormanno, ancora con gli occhi rossi, gli passò accanto.
“Ormanno, non piangete” gli disse il
ragazzo, in tono incoraggiante. “Vi giuro che vostro padre non morirà.”
Il giovane lo guardò, poco convinto.
“La Signoria ha già stabilito di votare
per la condanna a morte” replicò.
“Io vi dico che non andrà così, perciò
state sereno” insisté Giovanni, con uno sguardo talmente infuocato che anche
Ormanno fece due più due e comprese che genere di rapporto particolare intercorresse tra suo padre e quello strano
ragazzino. Tuttavia la cosa non lo riguardava e ciò che davvero contava era che
Giovanni avesse ragione e che a suo padre fosse risparmiata la vita.
“Spero davvero che tu abbia ragione”
disse dunque Ormanno, congedandosi. “Ti ringrazio per… beh, per tutto quello
che stai facendo per mio padre.”
Chissà se lo ringraziava anche per
quello che faceva con lui?
Ma torniamo alle cose serie, che qui c’è
qualcuno che rischia davvero grosso.
Uscito Ormanno, fu Giovanni a
presentarsi alla porta della cella di Albizzi. Si era già accordato con il
carceriere, che lo avrebbe chiuso nella prigione con il detenuto e ce lo
avrebbe lasciato per tutta la notte. Il ragazzo non voleva che Albizzi restasse
da solo proprio la notte prima della sentenza… e quello che Albizzi avrebbe
fatto di lui, tenendolo con sé, al carceriere non fregava un beneamato.
Contenti loro… non erano mica affari suoi!
Giovanni entrò nella cella
silenziosamente e il carceriere chiuse a chiave la porta dietro di lui,
affrettandosi ad allontanarsi.
Rinaldo sembrò quasi non accorgersi
della sua presenza, ancora provato per l’addio al figlio. Era stato un momento
molto doloroso, Albizzi era convinto di stare facendo la cosa giusta per
Ormanno, ma vederlo così sconvolto era stato straziante. Non era questo ciò che
avrebbe voluto per lui, aveva sognato di vederlo governare Firenze al suo
fianco… ma tutto era svanito e adesso non restava altro che proteggere il nome
della famiglia.
Ancora una volta, Giovanni fu lacerato
nel vedere la rassegnazione e la sconfitta negli occhi dell’uomo. Sì, era lui
che aveva scelto di morire piuttosto che andare in esilio, ma non era certo
quello ciò che avrebbe desiderato davvero. Era solo che non voleva più vivere
in un mondo che osannava i Medici e distruggeva le casate antiche e nobili come
la sua. Per certi versi riusciva anche a comprenderlo, ma non poteva sopportare
di perderlo, quello era il vero problema.
“Messer Albizzi…” disse, muovendo un
passo verso di lui.
Rinaldo parve accorgersi solo in quel
momento della presenza del ragazzo e l’ombra sul suo volto si dissolse, almeno
per qualche momento.
“Giovanni, non credevo che ti avrei
rivisto, ma ammetto di averlo sperato” confessò. “Mi fa piacere che anche tu
sia venuto a salutarmi.”
“Resterò con voi tutta la notte”
dichiarò Giovanni, avvicinandosi ancora di più a lui. “Non vi lascio solo, non
questa notte.”
Albizzi mostrò sorpresa e anche una
certa quale ammirazione.
“Vuoi rimanere per tutta la notte in
questa cella? Ragazzino incosciente, su questo devo dare ragione a Cosimo, di
notte è davvero molto fredda, forse non dovresti…”
“Io non vi lascio solo” ripeté Giovanni,
convinto.
Allora Rinaldo lo prese per le braccia e
lo attirò a sé, lo strinse forte e lo baciò con intensità e disperazione,
sfogando in quel bacio tutta l’amarezza, la frustrazione e il dolore che
provava. Avere Giovanni tra le braccia, sentirlo morbido e caldo e perdersi in
quel bacio leniva ogni sofferenza e faceva perfino dimenticare che, il mattino
dopo, lui sarebbe stato giustiziato.
Non voleva pensare a quello che sarebbe
accaduto, la sentenza della Signoria, l’esecuzione, no. Voleva pensare solo a
Giovanni, sentire solo lui, il suo tepore, il suo sapore, la dolcezza del suo
corpo così giovane. Sarebbe stata l’ultima volta e voleva goderne ogni attimo,
come se non ci fosse stato un domani, come se null’altro fosse esistito. Voleva
portare con sé, fino agli istanti estremi, solo il ricordo della tenerezza di
quell’amplesso infinito, solo quello, e forse non si sarebbe nemmeno accorto di
morire…
Le ore passarono lente e intense in
quella cella, ma dove c’era stata amarezza e sofferenza ora pareva regnare una
certa qual speranza. Stretto a lui, nel suo letto, Rinaldo accarezzava i
capelli di Giovanni e lo baciava piano, senza mai saziarsi di averlo.
“Sei un vero Uberti, ragazzino” gli
disse poi. “Avremmo potuto fare grandi cose insieme, io e te, te lo dissi
subito dopo averti conosciuto, lo ricordi?”
A Giovanni si strinse il cuore. Lo
ricordava, certo, erano giorni più sereni e tranquilli, in cui Albizzi era solo
il nobile tronfio e arrogante che voleva mostrare di essere e lui si divertiva
a provocarlo. Faceva male rammentarlo adesso.
“Le faremo comunque, Messer Albizzi. Voi
vi sarete pure arreso, ma io non ci penso nemmeno e domani non permetterò che
la Signoria vi condanni a morte, statene certo” replicò il ragazzino.
“Davvero? E cosa farai, rovescerai la
Repubblica tutto da solo, piccolo cavaliere senza esercito?”
“Anche quello, se servirà, ma non vi
lascerò morire, questo è sicuro” ribadì Giovanni, sempre più deciso.
“Non so se te l’ho mai detto, ma sono
certo che il tuo antenato Farinata degli Uberti sarebbe molto orgoglioso di te”
affermò Rinaldo, intenerito. Comprendeva sempre di più quanto forte e intenso
fosse il sentimento che quel ragazzino provava per lui. All’inizio aveva
creduto che fosse solo un piccolo arrogante che si divertiva a provocare e
questo lo aveva stuzzicato, ma ciò che Giovanni aveva fatto per lui negli
ultimi mesi era molto di più e dimostrava un affetto vero e sincero. E anche
lui gli voleva parecchio più bene di quanto fosse disposto ad ammettere…
“Sì, i tuoi antenati sarebbero
orgogliosi di te, sei un vero discendente di quella casata nobile e valorosa”
riprese Albizzi, con un sorriso, “e anch’io sono orgoglioso di te, di tutto
quello che hai fatto per me. E sono veramente molto felice di averti
conosciuto… anche se all’inizio non ti sopportavo!”
“Nemmeno voi mi eravate tanto simpatico”
ammise Giovanni.
“Già, me ne ero accorto” fece Rinaldo,
godendo del calore e della dolcezza di quei momenti di complicità scherzosa e
di intimità, ne aveva davvero molto bisogno. “Sono contento che tu sia qui,
Giovanni.”
Lo baciò di nuovo,
ancora una volta si perse in lui, mentre tutto il resto finiva nell’oblio e nel
nulla. Cosa importava se il giorno dopo lo avrebbero ucciso? Lui, quella notte,
si sentiva vivo come non gli era capitato da molti, da troppi anni. Quella
notte ritornava ad essere il ragazzo scanzonato che era stato prima che i
Medici rovinassero la sua famiglia e il suo futuro, dimenticava ogni rancore e
amarezza, era la vita che scorreva nel suo sangue impetuosa e lo faceva sentire
bene come non ricordava di essere più stato per tanto tempo.
Il giorno dopo
sarebbe morto? Ebbene, che fosse. Lui non si era mai sentito più vivo.
Ed era solo merito di
Giovanni e di quella notte che quel ragazzino aveva reso speciale per lui.
Fine capitolo terzo