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Autore: Weirdo Girl    13/10/2019    0 recensioni
Un pub e dieci amici. Tutto va come dovrebbe, poi la porta del locale si apre e tutte le certezze di Rossella finiscono per rovesciarsi. Lei e Matteo non si vedono da sette mesi, sarà cambiato qualcosa o no?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Angolo di Weirdo

Se siete arrivati almeno fin qui mi ritengo onorata.
È la mia primissima storia, l'unica che abbia mai finito.
L'ho scritta nel 2016, ma non ho avuto il coraggio di tirarla fuori fino a questo momento. So perfettamente che è pienissima di errori e di una banalità disarmante, ma ho sentito il bisogno di pubblicarla comunque. Una questione di principio, diciamo. Spero abbiate tanti consigli e critiche che possano aiutarmi (perché è davvero necessario).
In ogni caso, grazie
W.

 

 

 

                                   È assurdo se ci pensi

 

 

 

 

«Ho detto a mia madre che è un diciottesimo. Ho messo il vestito nero.» Dall'altra parte della cornetta si sentono strani rumori: oggetti che cadono, scarpe che tintinnano, fogli che volano. «Io quello bordeaux un po' scollato... Ma cosa stai combinando?» I rumori aumentano ed io intanto guardo il mio riflesso nello specchio a muro. Ho passato tutto il pomeriggio a fissare le grucce per cercare qualcosa che mi convincesse. Chiamatemi pure Eterna Indecisa.

Marta sembra scomparsa, forse risucchiata dal suo stesso armadio. «Sei ancora lì, donna?» «Sto cercando un giubbotto, un cappotto, un cardigan... una cosa qualsiasi che non mi faccia morire di freddo, in pratica.» «Che ne dici di riagganciare, allora? Tanto ci rivediamo tra venti minuti in macchina con gli altri tre. Io tento di truccarmi decentemente» «Sì okay, a dopo.» «Ciao ciao.» Chiudo la telefonata e ricaccio il cellulare nella borsa. Prendo posizione davanti allo specchio e scelgo matite e ombretti giusti.

Non avrei mai pensato di di presentarmi ad una serata con il mio bizzarro gruppo di amici in calze nere e décolleté, ma pare che la vita sia sempre pronta a sorprenderci.

 

Quando in classe è passata la circolare nella quale veniva annunciato “lo spettacolare Mak P in collaborazione con il vicino liceo Cantone!!” Io e le mie amiche abbiamo scelto di disertare per principio: il disagio di un ballo scolastico nella nostra scuola è pari solo a quello degli stati giornalieri di Facebook di Chiara Primavera, la nostra rappresentante studentesca. La decisione di uscire con l'intero gruppo usando la festa come scusa è arrivata come diretta conseguenza.
Il clan che abbiamo formato in quest'ultimo anno è tanto strambo, quanto efficace. Non potremmo essere più diversi l'uno dall'altro, eppure funzioniamo davvero bene. Io, Marta, Franci e Giulia abbiamo cominciato a frequentarci in terza liceo ed eravamo un complesso già ben avviato quando abbiamo conosciuto Roberto e Samuele nel nostro bar di fiducia. E' stata subito intesa tra noi sei, tanto che i due ragazzi hanno voluto presentarci gli altri quattro componenti della loro banda.
In ordine di apparizione: Davide, Vincenzo, Marco e Riccardo.
Per inquadrarli in breve diremo che: Roberto è il gattaro dei film, Samuele ha una chitarra di nome Xena con la quale sa essere molto inopportuno, Marco è la mascotte del gruppo, ma anche quello che riceve più sberle alla nuca, Davide ha un amore spropositato per Franci e per il cibo, Vincenzo vivrebbe solo di informatica e Riccardo ha più storie da raccontare che anni di vita.
Di solito le nostre serate comprendono partite a carte al bar, chiacchierate alla villa comunale e hot dog mangiati al volo per strada, ma per stasera si prospetta qualcosa di molto diverso.
Sono giorni che immagino cosa succederà ed è per questo che mi sento così su di giri.
Il trillo del cellulare mi risveglia dalle mie mille elucubrazioni, Samu mi ha appena scritto di uscire di casa, così indosso la giacca e saluto mia madre, che al solito, mi urla le ultime raccomandazioni quando sono già fuori dalla porta.
In dieci minuti arriviamo all'Irish Pub; Franci e Davide hanno preso posto, Vinz, Ricky e Rob non sono ancora arrivati. Avranno fatto sosta in qualche parcheggio isolato.
Il posto è molto carino: con le luci soffuse, come le avevo immaginate, e il bancone del bar completamente ricoperto di alcolici e boccali da birra. Le pareti sono coperte da pannelli di legno scuro e decorate con citazioni di personaggi famosi. I tavoli sono tutti rotondi, di una tonalità più chiara. Il nostro conta dieci sedie e si trova esattamente davanti all'ingresso, tra altri due tavoli, per il momento vuoti.
I due piccioncini ci notano subito, sciolgono l'abbraccio in cui sono chiusi e si alzano per salutarci. I tre dell'Apocalisse ci raggiungono poco dopo.
Promette bene, me lo sento.
Marta è impegnata a lanciare sguardi divertiti e fintamente languidi a Robi. Samu è particolarmente concentrato sulla canzone che Giulia gli sta facendo ascoltare: tenta ancora di convertirlo al K-Pop , la ragazza. Riccardo e Vincenzo hanno intrapreso una delle loro interessantissime e per nulla incomprensibili conversazioni sull'informatica, Vincenzo ci prova pure a seguire il discorso, e persino ad intromettersi, ma viene puntualmente ignorato, povero angelo. Per un attimo penso di salvarlo, ma poi un commento di Davide mi distrae e finiamo a parlare di quante patatine riuscirebbe ad infilarsi in bocca prima di spirare: questa chubby bunny challenge sta un po' sfuggendo di mano.
Quando il cameriere si avvicina, siamo tutti troppo presi dalle risate per preoccuparci dell'ordinazione. «Okay, magari torno tra qualche minuto.» dice mentre sta già correndo via con lo sguardo allucinato. Una volta che tutti hanno ripreso a respirare con calma e hanno asciugato le lacrime agli occhi, si stabilisce cosa mangiare e si ordina. Intanto ognuno nella propria testa pensa già ad un piano astuto per rubare dal piatto dell'altro senza farsi notare. È matematico.
Siamo qui a parlare, ridere, dire idiozie e cantare a mezza voce le canzoni che passano alla radio del locale e proprio ora mi sento tremendamente felice, come se nulla debba andare storto.
Ma indovinate un po'?
Qualcosa va storto. E me ne rendo conto non appena la porta del locale si apre di nuovo e lascia entrare un gruppetto di ragazzi che sembrano avere tra i sedici e i diciotto anni.
Lo vedo apparire come una visione, un volto che conosco molto bene e che non ero pronta a rivedere.
Il mio cervello va in loop non appena i miei occhi si focalizzano sulla figura di Matteo.La mia testa scatta come una molla, il braccio, con uno spasmo involontario, sbatte sul tavolo e il piede sinistro si contorce all'inverosimile quando mi giro completamente verso Marta e le stringo il polso con gli occhi spiritati.
«Che c'è?»
«C'è Matteo, cazzo.»
La sua espressione cambia dodici volte in una manciata di secondi, poi si guarda intorno e si avvicina di poco alla mia sedia.
«Ti ha visto?»
«Non ne ho idea.» «E che aspetti? Alzati e vai a salutarlo.»
«Ma sei impazzita, neanche per sogno!» «Dai su, vengo con te, così me lo presenti.»
Con infinita nonchalance si alza in piedi e fa cenno a Samu di lasciarla passare. Di riflesso le tiro il polso che stavo ancora stringendo per convincerla a rimettersi seduta. «Okay, grazie. Vado da sola.» Sorride furba e si riaccomoda con calma.
Con un sospiro affranto mi allontano dal tavolo e raggiungo l'entrata, dove sta, presumibilmente, aspettando gli ultimi arrivati. È di profilo, ha una mano poggiata sulla spalla del tipo che gli sta accanto e ride... ridono entrambi in realtà, ma la sua risata si sente di più.
Cammino con tutta la tranquillità che riesco a fingere e mi fermo a pochi passi da lui, le braccia incrociate al petto, giusto per darmi un po' di contegno.
«Ciao.»
È una sola parola, pronunciata senza nessuna particolare inflessione, senza indecisione. Vedo distintamente i suoi occhi spalancarsi e le sue labbra schiudersi. Si volta guardarmi e la sorpresa lascia il posto ad uno dei suoi migliori sorrisi scanzonati «Ciao Ross!»
Si proietta in avanti e mi porge due baci sulle guance, sfiorandomi leggermente un fianco. «Come stai? Che ci fai qui?» «Sto bene, sono fuori con degli amici.» e nel dirlo sposto l'attenzione sul mio tavolo.
Cazzo, ci guardano. Marta ha un'espressione compiaciuta che avrei fatto meglio a non vedere, gli altri sono tutti confusi, qualcuno saluta con la manina. Daaavveeero imbarazzante.
«Tu, piuttosto, perché sei qui? Non mi pare che Pomigliano sia la tua zona.» «Festeggiamo il compleanno della ragazza del mio migliore amico. Lei è di Pomigliano.» Mentre ne parla afferra la spalla del tipo con cui chiacchierava qualche minuto prima e la scuote. Lui sorride e mi porge la mano «Ciao, io sono Rosario.» Me ne ricordo: Matteo ha sempre parlato tanto di lui, saranno amici da almeno sei anni. «Piacere, Rossella.» ricambio la stretta, mentre lui mi fissa in modo strano. «Rossella. Rossella!» Ripete il mio nome con un'enfasi assurda e quasi gli brillano gli occhi.
Ma che gli prende a sto tizio?
«Ma il piacere è tutto mio! Ho sentito tanto parlare di te. Ma come ti va la vita, dimmi.» Mi viene da ridere, ora capisco perché Matteo ci è così affezionato. Prima che possa anche solo pensare di rispondergli, però, quell'idiota del nostro amico comune gli tira una manata alla testa e lo zittisce con un: «Ma che vuoi, cretino.»Intanto che chiacchieriamo, le persone all'ingresso raddoppiano e fanno qualche passo all'interno della sala, alcuni prendono posto attorno al tavolo alla nostra sinistra. «Beh, credo sia il momento di tornare alle nostre comitive.»
La voce mi esce di un tono più basso, in modo che possa raggiungere solo Matteo. «Già, così pare.» è la sua risposta e me la faccio bastare prima che la situazione diventi più imbarazzante proprio ora che sta per concludersi.
Mi accarezza un fianco per esortarmi a camminare verso il tavolo e, a sua volta, muove qualche passo in avanti. Passando di striscio davanti alla nostra postazione fa un sorriso sghembo e un breve cenno del capo, a mo' di saluto. Mi verrebbe voglia di ucciderlo, ma poi si volta verso di me prima di prendere posto sulla sedia dietro la mia e mi saluta come faceva spesso prima; con i denti bianchi in bella vista e il viso da bambino. Come si può essere così carini?
Quando riporto il sedere sulla sedia tutti gli sguardi sono rivolti verso di me. La confusione è palpabile, ma anche la malizia e lo stupore.
Ma a che diavolo stanno pensando?
Credo si aspettino tutti una spiegazione, perché non hanno ancora distolto lo sguardo e sono in rigoroso silenzio. «Quello è Matteo, un amico.»
Giuro sulla mia intera vita, che non sono mai stata così sintetica.
I ragazzi, sorprendentemente, si accontentano di questa misera informazione, ma in molte più occhiate di quante sperassi leggo la minaccia del 'Poi mi racconti'.
Marta mi poggia un braccio sulla spalla e sorride melliflua, sta pregustando il momento in cui saremo sole e potrà sommergermi di domande.
Uscirò viva da questa serata? Capisco che la risposta è no nel momento in cui sento un sussurro quasi impercettibile provenire dal tavolo accanto: «Attenta che così ti consuma.» Non capisco cosa voglia dire finché, in maniera del tutto casuale, non incontro lo sguardo smarrito di Samu; sembra indeciso tra il voler dire «Ma lui chi è?» e «Ma cosa cazzo è successo negli ultimi cinque minuti?»
E non posso dargli torto se sta pensando alla seconda, perché, effettivamente, non lo so nemmeno io cosa è successo.
Quello che so, però, è che comunicare tra i tavoli è più semplice di quanto sembri.
«Non mi consumo così in fretta, tranquillo.»
Wow, che replica originale Rossella, davvero. Lui, in ogni caso, fa una mezza risata e poi chiude la bocca, il che mi permette di riprendere fiato per la prima volta da quando l'ho incontrato.
«Ex compagno di classe?» E ora chi diavolo è?
Ah, Samu che si risveglia dal suo stato catatonico. «Un amico di famiglia, se così si può dire.» storco la bocca, perché non esiste spiegazione più riduttiva di questa. Ma come si spiega il nostro rapporto? Due persone che interagiscono solo per due settimane all'anno si possono definire amiche, innanzitutto?
Tra noi c'è sempre stata un'intesa troppo forte. Ci capiamo con uno sguardo o un semplice movimento del corpo, anticipiamo le battute dell'altro e le nostre cazzate vanno di pari passo; eppure se facessimo una somma di tutto il tempo passato insieme in questi dieci anni, non ci potremmo definire neppure conoscenti.
Ma poi 'amico di famiglia' cosa? Figlio di amici della famiglia di tua zia da anni trasferitasi a Siena, al massimo. Il solo pronunciarlo farebbe perdere un anno di vita a chiunque. Oddio che casino, speriamo che Samu non faccia altre domande.
Dai meandri più oscuri della mia mente, però, una voce lugubre scombussola ogni certezza. O meglio, è solo l'ennesima intromissione di Matteo: «Amico di famiglia? Così mi ferisci, dolcezza. »
La cosa mi urta il sistema nervoso più di quanto dovrebbe. Cosa gli prende, è forse stupido?
So che dovrei evitare i gesti plateali, ma è più forte di me. Tiro il piede destro all'indietro, dando un (goffo) calcio alla sua sedia. Attirata la sua attenzione, sussurro un “devo parlarti” e mi alzo con malcelata stizza, dicendo di dover andare in bagno.
Cammino spedita verso la scritta 'toilette', ad un occhio esterno devo sembrare una che sta per farsela addosso. Varco la porta e mi ritrovo in un piccolo corridoio, alla fine del quale ci sono due porte perfettamente adiacenti.
Matteo mi raggiunge qualche secondo dopo, col suo solito sorriso furbesco
«Dimmi pure, dolcezza.» Ma prima che abbia completato la frase sto già sputando fuori parole a macchinetta: «Cosa pensi di fare? Sei arrivato da cinque minuti e ti sei già impicciato venti volte. Hai intenzione di ascoltare le mie conversazioni tutta la sera? Non devi festeggiare il compleanno della tua amica? Fingiamo di non conoscerci e passiamo una bella serata, okay?»
Un po' passivo-aggressiva, forse?
Lui sembra sul punto di scoppiare a ridere, ma il suo istinto di sopravvivenza, probabilmente, gli fa notare che non è il caso e torna serio. «Okay okay, scusa. Non voglio rovinarti la serata, giuro che la smetto subito.»
Mi sento un po' stupida per la sfuriata del tutto immotivata che ho appena fatto, ma di sicuro non gli chiederò scusa.
«Anche se- aggiunge un secondo dopo- sarebbe impossibile fingere di non conoscerci visto che, non appena mi hai notato, ti sei avvicinata per salutarmi.» conclude con lo sguardo divertito.
Resto inebetita per un minuto intero. «Matteo non farmi incazzare.» è l'unica frase sensata che riesco a pronunciare. «Ma dai, non essere noiosa, sto scherzando. Da questo momento non ti dedicherò neppure un cenno. Promesso.»
Annuisco convinta e lui fa lo stesso. «Possiamo tornare alle nostre serate, allora.»
Mentre tento di riaprire l'uscio che dà accesso alla sala, però, Matteo ci tiene a precisare l'ultima cosa.
Tiene la porta chiusa con il suo palmo, si avvicina lentamente al mio viso e mi guarda fisso prima di sussurrare: «È bello rivederti dopo tutti questi mesi»
Il mio respiro si ferma per un istante davvero lungo e mi impedisce di ribattere in qualsiasi modo. Così lui ne approfitta per depositare un lievissimo bacio all'angolo della mia bocca, senza toccarla davvero, prima di attraversare la soglia e sparire dalla mia vista.
Solo in quel momento il corpo riprende le normali funzioni vitali, eccezion fatta per il cervello, che risulta irrimediabilmente compromesso.
Non capisco quali reazioni biochimiche si innescano all'interno di un essere umano per renderlo così pazzo e incomprensibile. Come può comportarsi così dopo mesi che non ci sentiamo e, soprattutto, perché il mio intero essere ne è così felice?
Ancora presa dalle pippe mentali ritorno al mio posto per passare finalmente una bella serata.
Tutto prosegue senza intoppi: i panini sono deliziosi, le conversazioni piacevoli e la strana presenza alle mie spalle silenziosa. Di tanto in tanto sento il bisogno di sfiorarlo o di guardarlo, ma tengo questi istinti per me e mi concentro su altro.
Intanto nel pub comincia ad esibirsi una band pop della zona su un piccolo palchetto, che non avevo minimamente notato all'inizio. I camerieri invitano i clienti a ballare e qualcuno improvvisa anche uno strampalato coro.
Marta mi trascina sulla pista e un po' tutti si sentono in vena di passi di danza. Presto ogni tavolo si fa coinvolgere e la sala diventa quasi una discoteca improvvisata. Vinz propone al cantante un duetto sulle note di 'Asereje' e, straordinariamente, viene accontentato, dando vita ad una lunga fila di braccia scoordinate e fuori tempo. Per più di un'ora si alternano tormentoni estivi del 2000 a balli lenti e classici intramontabili e tutti ridiamo e ci trasciniamo a destra e sinistra senza pensare a quanto possiamo sembrare ridicoli agli occhi di chi è rimasto seduto.
All'ennesima bachata, Marta mi prende le mani e mi tira con sé, cedendomi, senza pensarci, la parte dell'uomo.
Andiamo avanti per qualche incrocio, finché non accenna a qualcosa dietro di me. Alle mie spalle Matteo mi invita con la mano tesa e un sorriso divertito. Non ci tengo affatto ad accettare, ma la mia migliore amica, con la sua solita flemma, mi spinge leggermente nella sua direzione e sparisce.
Lui non ci pensa due volte, mi stringe i fianchi e comincia a muoversi al ritmo di 'Suavemente'. Il mio cervello in completo stand by.
Sento le sue carezze sulla pelle, nemmeno la stoffa del vestito mi protegge dal calore che emana, gli occhi vagano ovunque sul mio viso, anche il suo respiro mi manda in apnea. La musica, le persone sono scomparse e nulla sembra poterci davvero disturbare. Ma ovviamente non può durare all'infinito e quando la musica finisce ritorniamo alla realtà che ci vede come due non-proprio amici rivisti per puro caso dopo mesi in un pub di Pomigliano.
Alla realtà in cui i miei amici urlano impazziti per impedire a Samu di salire sul palco per suonare al posto della band e in cui i suoi amici lo richiamano  al tavolo per la consueta canzoncina di buon compleanno. Così ci separiamo in totale imbarazzo e prendiamo due direzioni diverse.
Marta mi intercetta all'istante «Mi piace lui. Ha quello sguardo da 'giuro solennemente di non avere buone intenzioni'. Io direi di non fartelo scappare, Ross.»
Come se dipendesse da me, poi.
Dopo quelle che mi sembrano delle ore ritorniamo di nuovo col culo sulla sedia e prendiamo fiato. Credo di non aver mai visto Riccardo ballare prima di questo momento, è stata un'esperienza mistica.
Ciascuno di noi appare stanco, ma euforico e pronto a commentare la performance dell'altro.
«Ragazzi, potete dire quello che vi pare, ma sono stato io ad inventare 'il ballo del burro'.»esclama Robi dopo l'ennesima battuta
«Sono quasi certa di averlo visto per la prima volta in una puntata di 'Zack e Cody sul ponte di comando'.» ribatte Giulia in tono canzonatorio tra le risate generali.
«Okay, voi bravissimi, ma io vorrei proclamare vincitrice di questa serata danzante, Rossella per la bachata sensuale con il suo amico speciale.» e dicendo questo, Marco, si porta dietro un silenzio imbarazzante. Grazie tante Marco, tu sì che sai come fingere disinteresse.
Nel disagio generale una risata bassa e trattenuta a stento si leva dal tavolo accanto e stavolta non sono l'unica a sentirla.
Devo aspettarmi altro da questa serata?
«Sì, ballerini provetti siamo. Ma non fanno dolci in questo posto?» è l'unica cosa che mi viene in mente per cambiare discorso. Giuli, che comprende perfettamente l'impaccio, distoglie l'attenzione chiamando il cameriere, che, però, non sa come accontentarci. «Non ci sto, raga. Un po' di zucchero ci vuole a fine pasto.»
Qualcuno mi dà ragione, qualcun altro sente ancora il bisogno di un'altra porzione di patate fritte. Io mi sto quasi arrendendo all'idea di dover camminare per un chilometro e mezzo sui tacchi per raggiungere la cornetteria, quando vedo una mano allungarmi un piatto colmo di torta alla crema. La mascella mi cade a terra per la sorpresa e voltandomi nella sua direzione trovo Matteo proiettato per intero verso il suo tavolo con la mano che cerca alla cieca un appoggio per quel pezzone enorme di torta.Il viso è di profilo, lo sguardo basso, come se si sentisse in difetto.
«Che fai? Mangiala.» è l'intelligentissimo commento che mi esce dalle labbra mentre tento di non arrossire.
I ragazzi al suo tavolo sono tutti intenti a fissarci e non ho dubbi che lo stesso stanno facendo i miei. «Ci sono le fragole, lo sai che non mi piacciono. Tu le adori, mangiala, così non andrà sprecata.»
Nel dirlo mi sembra quasi che le sue guance si tingano di rosso, ma è sicuramente un effetto ottico . Mentre penso a cosa fare incrocio lo sguardo della festeggiata, che mi esorta a gesti ad accettare la il dolce e mi assicura che è davvero buono.
Ma si riferisce alla torta o Matteo?
Nel dubbio, prendo il piatto, che ancora vaga nello spazio vuoto tra me e lui e ringrazio in tono sommesso.
La scenetta ha davvero attirato tutta l'attenzione, perché ora gli sguardi dei miei amici non si scollano dalla mia faccia.
Okay, ora voglio seriamente sprofondare.
Provo a diventare un tutt'uno con la torta mentre ne addento un pezzo dopo l'altro evitando accuratamente qualsiasi occhiata, ma loro non demordono.
La salvezza arriva, come sempre, da Marta, che afferra la forchettata che sto portando alla bocca e la ingurgita senza battere ciglio. «Oddio dovete assaggiarne un po', è troppo buona.»
E questo semplice invito sembra rilassarli, perché finiscono presto a contendersi un morso.
Okay che volevo evitare l'impaccio, ma ciò non vi consente di finire il mio dolce, un po' di ritegno dai. Mi faccio strada tra le forchette dei miei amici scrocconi per rivendicare l'appartenenza di quelle meravigliose fragoline, ma vengo speronata all'istante.
Dannati ingordi.
Approfitto, allora, del momento di distrazione per sbirciare Matteo. Ha il mento poggiato sulla mano sinistra, non riesco a vedere la sua faccia, ma posso intuire l'espressione scocciata che ha messo su dal modo in cui i suoi amici ammiccano.
Siamo una barzelletta vivente, che bello. Per i successivi dieci minuti le battutine si sprecano.
Eppure non mi pare sia accaduto chissà quale fatto eclatante. Mi ha invitato a ballare e mi ha offerto una torta.
Cosa c'è di tanto sconvolgente?
Diverse risate e prese in giro dopo, vedo i suoi amici alzarsi lentamente dai propri posti, prendere i cappotti e raggiungere l'uscita.
Ed è lì che scatta una molla nel mio cervello: non posso lasciarlo andare via così, ho bisogno di dirgli qualcosa, qualsiasi cosa.
Mi alzo senza dire una parola, prendo una piccola rincorsa e lo trattengo per un braccio quando ormai è già completamente fuori dall'Irish.
Lui mi guardo confuso, si volta verso i suoi amici, ma loro si stanno allontanando dandogli appuntamento alle macchine.
«Scusa, non so nemmeno perché ti ho fermato. Volevo solo salutarti, che chissà quando e se ci rivediamo di nuovo.»
Ma per quale dannato motivo il mio cuore batte così forte? Perché non riesco a pensare ai cazzi miei e a rientrare in sala? Che diavolo è questo campo magnetico invisibile che non mi permette di scansarmi dal maledetto idiota che sta qui in piedi come un ebete?
«In realtà, stavo pensando.» Fa per dire, ma si prende una pausa e mi guarda. Anzi non mi sta solo guardando, mi fissa come se cercasse di imprimere la mia faccia a fuoco nel suo cervello. Non sbatte neppure le palpebre. È un bel po' inquietante.
«Beh, pensavo.» altra pausa.
«Sì?» cerco di spronarlo.
«Non lo so, dimentico sempre quello che voglio dire quando sei nei paraggi.»
E senza dire un'altra parola , mi poggia una mano sulla nuca, mi avvicina a sé senza mai distogliere gli occhi e mi bacia.

Prima mi va a fuoco la nuca, nel punto in cui tiene la mano, poi la testa per intero, la faccia e infine le labbra. Sento un bisogno così impellente di stringerlo che non ci penso due volte prima di mettere le mani sul suo collo e avvicinarlo ancora di più. Tutte le volte che ho immaginato di farlo in questi sette mesi non possono assolutamente competere con la sensazione di toccare realmente le sue labbra di nuovo dal vivo. Chi diavolo ha bisogno di respirare ora.
Il bacio si fa più profondo e la testa mi esplode.
Risalgo fino ai capelli e li stringo tra la mano destra per ricordare ancora una volta quanto sono morbidi, intanto la sinistra si fa spazio verso il suo fianco. Sposto un po' la stoffa della maglietta per disegnare piccoli cerchi sulla sua pelle nuda. Le sue labbra hanno un fremito e anche le mie. Come si può non averne mai abbastanza?
Quando ci stacchiamo l'una dall'altro siamo seriamente in debito d'ossigeno, ma nemmeno ci facciamo caso.
Lui continua ad accarezzarmi le labbra, mentre mi dice: «È assurdo se ci pensi, eppure non posso farne a meno. Il rapporto che abbiamo creato tra di noi è così strano che mi fa dubitare della mia stessa intelligenza a volte, ma è anche vero che ogni momento che passiamo insieme vorrei poterlo triplicare.
Non mi basta più vederti due volte l'anno, immaginare di baciarti ma non poterlo fare perché 'non è il caso', averti ad un passo da me ma non riuscire a sfiorarti perché gli altri non capirebbero. Ross, tu mi fai impazzire. E non so come evitarlo.»
Sentirlo dire queste cose è quasi irreale. Quanto poco ho capito quello che stava succedendo.
«Mi togli il fiato. E lo fai senza il minimo sforzo, per giunta. Mesi interi senza vederci e penso di aver dimenticato persino il tuo viso, che se mai ci rincontrassimo non ti saluterei neppure. E invece mi basta scorgerti un secondo per ritornare al punto di partenza. Non so davvero che fare quando siamo insieme, perché il mio cervello chiede sempre di più, ma io non posso accontentarlo.»
Mi viene da vomitare se penso a quante volte, in questi mesi, mi sono ripetuta: “La senti solo tu questa assurda attrazione, lo ha dimostrato chiaramente che il suo è solo un interesse fisico”
Ma cosa cazzo stavo guardando allora?
Lui mi fissa con gli occhi fuori dalle orbite per dei secondi che sembrano infiniti.
«Scusa, ma che cazzo di problemi abbiamo io e te?»
«Non lo so, ma ora possiamo darci un taglio?» «Credo sia arrivato davvero il momento.» e dicendo questo si avvicina di nuovo con un sorriso che non so nemmeno descrivere.
Oddio, non ci credo che siamo sul serio alla parte in cui ci baciamo, finalmente consapevoli dei nostri sentimenti e ci giuriamo amore eterno e 'vissero per sempre felici' e contenti e titoli di coda e canzone romantica di sottofondo.
E non ci credo perché, in effetti, non succede.
Succede invece che la porta del locale si spalanca per far uscire un Roberto imbacuccato al massimo che mi urla: «Rossy ti muovi o no? Guarda che nessuno lo paga il conto anche per te!»

 

   
                                                                                          The End

 

   
 
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