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Autore: Schmetterlinge    13/10/2019    3 recensioni
Il Master le si affianca, fissandola [dritta] in quei profondi occhi color cobalto.
“Non voglio che tu ti faccia male, Juvia.”
La ragazza lo guarda, in attesa che finisca.
“Ma ti autorizzo a scatenarti come poche volte nella tua vita, siamo intesi?”
Lo scruta, incerta di aver afferrato pienamente il significato di quelle parole.
“Ti do dieci secondi per terminare l’incontro, d’accordo?”
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lluvia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lucy camminava avanti e indietro per il corridoio.

 

Il volto serrato in una smorfia, gli occhi lucidi, l’incarnato pallido.

 

Alle fine si arrende e sotto gli occhi di Natsu e Gajeel, superando il Master, entra con poca delicatezza nella camera di Juvia.

 

La Water Maker giaceva, incosciente, sul lettino bianco e spoglio dell’infermeria; al suo fianco Wendy, con l’aiuto di Poluska, cercava di stabilizzarne i parametri vitali.

 

Non aveva [ancora] ripreso conoscenza.

 

 

 

 

Stay with me

 

 

 

 

Ricorda perfettamente il momento in cui Gajeel sfonda la porta.

 

Natsu che lo segue, Gray che li spintona come a voler passare per primo per poi arrestare la sua corsa, pietrificato, sulla soglia.

 

Wendy che porta una mano all’altezza del cuore, Gajeel che prende Juvia tra le braccia, le accarezza il volto, Natsu che le si accosta.

 

E lei, immobile, troppo paralizzata per poter fare qualunque cosa, esattamente come Gray.

 

Si passa maldestramente una mano sul volto; ha pianto fino a qualche minuto fa, è sicura di essere tutta paonazza e rossa.

 

Si accosta al bordo del lettino mentre scorge Erza, appoggiata alla parete in fondo, spalle al muro, una mano sul mento, sguardo serio e preoccupato.

 

Era raro vedere Erza così assorta.

 

Titania era forte, sicura di sé, fiera; invece mai come in quel momento sembrava tanto fragile.

 

Butta un occhio sia a Wendy sia a Poluska in cerca di una rassicurazione che non c’è.

 

Juvia era bella persino quando dormiva.

 

I capelli lungo le spalle esili, le braccia abbandonate accanto al corpo scolpito da ore di allenamento, il volto disteso, le labbra carnose.

 

Le prende una mano, nella speranza che lei possa sentirla.

 

Quella dolce pazza psicopatica era come una sorella; dolce, comprensiva, credeva in lei come nessun altro.

 

Era protettiva, divertente, ironica, forte, determinata e sapeva che, per quanto si ostinasse a chiamarla rivale in amore, le voleva un gran bene.

 

Non si era resa conto che aveva iniziato a parlare a voce alta.

 

“Lucy-san …”

 

La dragon slayer la osservava preoccupata.

 

Abbassa lo sguardo, la maga degli spiriti stellari; le sembrava di vedere se stessa dopo lo scontro con Minerva.

 

Alza lo sguardo non appena percepisce qualcun altro entrare nella stanza; Natsu si avvicina, fermandosi davanti alla finestra lì vicino.

 

Le dà le spalle, non sembra volersi voltare; sa di essere osservato [da lei] ma continua a non fare alcun cenno.

 

Ne percepisce il respiro pesante, cadenzato e un po’ irregolare.

 

Ha le braccia abbandonante lungo il corpo; stringe i pugni con forza, continuando a fissare l’orizzonte di fronte a sè.

 

Anche Natsu voleva bene a Juvia; forse il loro rapporto non era del tutto paragonabile a quello con Gajeel ma quei due avevano legato molto negli ultimi tempi.

 

A rompere quel clima così tetro è Wendy.

 

“Dove è Gray?”

 

L’unica risposta è il silenzio.

 

Nessuno l’aveva più visto.

 

Sembrava essere scomparso nel nulla.

 

Di primo acchito il suo atteggiamento avrebbe potuto essere considerato fuori luogo.

 

Ma chi lo conosceva bene sapeva che svanire era il suo unico modo di affrontare il dolore.

 

Isolarsi, chiudersi in se stesso.

 

 

 

 

Gray l’aveva sempre fatto.

 

 

 

 

Preferiva diventare invisibile, irraggiungibile.

 

Lucy ritorna a fissare il volto pallido e sofferente dell’amica.

 

Sente un magone salirle in gola, le lacrime sfondano ogni barriera, tornando ad inondarle il volto.

 

Si mordicchia il labbro, arrabbiata.

 

Anche Wendy, incapace di parlare, si limita a guardare, impotente, la compagna di Gilda.

 

E rimangono lì, in silenzio, sperando in un miracolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gajeel osserva, in silenzio, prima Lucy e poi Natsu scomparire dietro la porta dell’infermeria.

 

Vorrebbe seguirli ma non crede di riuscirci; vedere la sua migliore amica in quello stato l’aveva profondamente turbato.

 

Era spaventato.

 

L’aveva sempre vista forte, fiera, indistruttibile, senza rendersi veramente conto di quanto anche lei avesse le sue fragilità.

 

L’idea di perderla lo terrorizzava; Juvia era la sua famiglia, il suo punto fermo e, se non fosse stato per lei, non si sarebbe mai unito a Fairy Tail, non avrebbe mai avuto una famiglia, conosciuto  Levy, l’amore vero.

 

Lei, testarda, gli aveva donato una nuova vita.

 

E lui non era ancora riuscito, in qualche modo, a sdebitarsi.

 

Sente di aver bisogno di un po’ d’aria; si avvia verso l’uscita quando, sulla soglia, scorge una figura familiare venirgli incontro.

 

A giudicare dal suo stato deve essere rimasto parecchio tempo sotto l’acqua battente; i vestiti completamente fradici mettono in risalto gli addominali scolpiti, il corpo sinuoso.

 

Ha gli occhi rossi, gonfi, le labbra sottili, serrate, il volto contratto.

 

Non parlano, non subito almeno; poi, l’ice maker, muove qualche passo in direzione dell’amico che continua a tacere.

 

Gajeel lo osserva mentre gli si ferma proprio davanti, col capo basso, come se si vergognasse a guardarlo negli occhi.

 

Gray inizia a tirargli un pugno contro l’addome scolpito, poi un altro e un altro ancora fino a quando, con un solo colpo, Gajeel lo prende e lo scaraventa a terra, sbattendolo [letteralmente] contro il pavimento.

 

L’Iron maker lo fissa dall’alto al basso, spento.

 

“Prendermi a pugni non servirà a niente.”

 

Lo supera, lasciandolo ancora contro il suolo.

 

“Va da lei.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Entra nella stanza, senza essere visto da nessuno.

 

Gli altri erano rientrati ai propri appartamenti già da un po’.

 

Si avvicina all’amica con passi cadenzati; gli occhi sono ancora lucidi, arrossati e sa perfettamente non essere colpa della pioggia.

 

Inizia ad accarezzarle il capo, poi il mento,  accostando la propria fronte a quella di lei.

 

E’ così fredda, ne sente il respiro [debole], contro le proprie gote.

 

Inizia a sentire le lacrime inondargli il volto, fino ad inumidire anche quello di lei.

 

La chiama, sommessamente, la schiena scossa dai singhiozzi, il fiato corto.

 

Inspira ed espira, cercando mantenere la calma.

 

“Ti prego …”

 

Piange, nel cuore della notte.

 

“Ti prego.”

 

Piange, come un bambino.

 

“Resta con me.”

 

Piange.

 

“Apri gli occhi.”

 

 

 

 

   
 
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