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Autore: GReina    20/10/2019    0 recensioni
Dal testo:
In quel momento il Capitano della Atlas si trovava nei suoi appartamenti: gli stessi che anni prima aveva abitato insieme ad Adam e che serbavano ancora il suo odore. La cucina, il bagno, il salotto, la camera da letto… era tutto talmente tanto familiare da fare male. Sebbene fossero passati anni, Adam non aveva modificato nulla [...].
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Adam, Kogane Keith, Takashi Shirogane
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Erano passati dieci giorni dalla vittoria ottenuta contro Sendak. Shiro non si illudeva di aver in tal modo sconfitto tutto l’Impero dei Galra, ma – per il momento – sembrava esserci la pace.
In quel momento il Capitano della Atlas si trovava nei suoi appartamenti: gli stessi che anni prima aveva abitato insieme ad Adam e che serbavano ancora il suo odore. La cucina, il bagno, il salotto, la camera da letto… era tutto talmente tanto familiare da fare male. Sebbene fossero passati anni, Adam non aveva modificato nulla: il tavolino traballante che avrebbero sempre voluto cambiare era ancora lì; lo sgabello vecchio e logoro che piaceva tanto a Shiro ma che il suo fidanzato odiava rimaneva al fianco del banco dove ogni mattina facevano colazione; la macchina del caffè rotta abbastanza da fare un caffè pessimo era attaccata alla presa e – cosa più dolorosa – tutte le loro foto erano ancora ben esposte sui mobili. La sua preferita era in camera da letto, sul comodino. Da quando era tornato, Shiro non aveva avuto il coraggio di guardarla. Adesso, ci stava passando la mano sopra per liberarla dal sottile strato di polvere che l’aveva attaccata. Era stata scattata subito dopo la proposta di matrimonio; Shiro tornò con la mente a quel giorno: poche settimane prima il dottore gli aveva comunicato che nella migliore delle ipotesi avrebbe potuto vivere solo per altri due anni, forse meno, ed i progetti che aveva iniziato a pensare per sé stesso ed Adam erano andati in frantumi. Nessuno dei due ne fece un dramma: erano già a conoscenza del suo stato fisico e avevano già concordato in precedenza che – qualunque cosa il dottore gli avesse detto – non avrebbero permesso alla tristezza di fargli perdere tempo.
Stavano passeggiando sul lungo mare; entrambi in giacca di pelle e con i capelli arruffati a causa della corsa in hoverbike dalla Garrison fino a lì; Shiro ricordò Adam fermarsi costringendo l’altro a fare lo stesso, tirato per la mano; ricordò che stava sorridendo e ricordò la sua confusione per quel sorriso talmente bello e largo in una giornata monotona e grigia come quella; ricordò Adam inginocchiarsi e di come – stupidamente – avesse pensato che si stesse allacciando una scarpa. Poi, ricordò la piccola scatoletta nera e gli occhi dell’altro fissare i suoi.
Quando capì che si stava facendo troppo doloroso, il Capitano posò la foto ed uscì. Nello stesso corridoio la Garrison aveva messo a disposizione appartamenti per tutti i membri del team Voltron. Lance, Pidge ed Hunk, però, avevano lasciato la struttura appena dimessi dall’ospedale ed erano andati ad abitare con le proprie famiglie. Allura, Coran e Romelle passavano lì la notte, ma non li si vedeva mai in giornata: troppo impegnati ad esplorare il pianeta natio dei loro amici. Quando Shiro passò davanti alla porta dell’appartamento di Keith ebbe l’immane impulso di bussare: aveva bisogno di qualcuno, aveva bisogno di lui, ma non appena quel pensiero raggiunse la sua mente arrestò il braccio e passò oltre.
“Shiro!” chiamò Keith uscendo dalla sua stanza. Il cuore del Capitano compì una capovolta. Keith riusciva a confonderlo: per anni lo aveva reputato il suo piccolo fratellino da proteggere. Poi, però, senza nemmeno che se ne accorgesse era diventato un uomo. Era stato “Kuron” il primo ad accorgersi di quanto Keith fosse maturato. Il fatto che lui avesse tutti i ricordi di fatti e pensieri del suo clone era una benedizione e una condanna. Grazie alla coscienza di Kuron ricordava il sollievo di rivedere il suo volto dopo mesi di fuga – o così credeva essere – dai galra; ricordava il senso di abbandono e di rabbia che lo attanagliava ogni volta che Keith preferiva le Blade of Marmora a Voltron. Ricordava anche lo stupore e – con sommo imbarazzo – il formicolio che aveva invaso tutto il suo corpo nel vederlo così alto e muscoloso dopo quelle che per lui erano solo poche settimane, ma che per Keith erano anni. E soprattutto ricordava la battaglia nello spazio e le micidiali parole che il Paladino gli aveva lanciato contro.
Non avevano più parlato di quel giorno. Forse perché Shiro non era pronto ad ammettere di ricordare tutto ciò che aveva fatto da Kuron; forse perché non voleva ammettere che, sebbene sapesse che quella parte di sé era una creazione di Haggar, adesso faceva parte indissolubilmente di lui, che adesso era lui. Ma molto più probabilmente perché era troppo vigliacco per chiedere a Keith il vero significato di quelle parole:
 
“You are my brother, I love you”.
 
Potevano significare solo che gli voleva bene, che lo amava come un fratello. Eppure quel “Ti amo”, lo aveva inteso come altro, in quel momento, ed era stato quel pensiero a farlo rinsavire.
“Keith.” si costrinse a girarsi verso di lui e a sorridergli. Da quando avevano sconfitto Sendak, il Capitano aveva fatto di tutto pur di evitarlo. Tornare sulla Terra non aveva fatto risvegliare tanto quanto si aspettava i sentimenti che anni prima aveva provato verso Adam. Adesso il suo ex fidanzato era morto e Shiro stava guardando verso Keith, che in quella situazione avrebbe dovuto trasmettergli solo senso di colpa e malinconia, tristezza e paura. Eppure, una volta che i suoi occhi incontrarono quelli viola del ragazzo, il Capitano vi ci si perse dentro e uno strano quanto familiare sollievo e senso di pace gli fece buttar fuori un sonoro sospiro di sollievo mentre rilassava le spalle. Gli era mancato pur restandogli accanto; tutti i ricordi di Adam lasciati chiusi dietro la porta del loro vecchio alloggio gli pesavano ancora sul cuore, eppure guardando Keith riusciva a convincersi di non dover portare quel peso da solo.
“Va tutto bene?” si premurò il più piccolo. Shiro fece dietro front e gli si avvicinò
“Va meglio, adesso.” Non riuscì a celare del tutto la malinconia e il tumulto che ancora lo scuoteva dentro come un tornado che lo spingeva tra il “non posso pensare ad altri se non ad Adam” e il “mi reputi davvero tuo fratello?”. Keith parve leggerlo attraverso gli occhi grigi; sospirò, sembrava quasi sconfitto. Gettò uno sguardo fugace alle proprie spalle, verso la porta chiusa delle stanze di Shiro, poi fece un ulteriore passo verso l’albino
“Tu non sei morto, Takashi.” Il Capitano spalancò gli occhi. Non seppe nemmeno lui cosa fu a fargli più effetto, se il suo nome di battesimo o il significato di quella frase. L’uno gli face infiammare le guance, l’altro abbassare lo sguardo. Un altro sospiro mortificato di Keith glielo fece risollevare; gli rivolse un flebile sorriso prima che continuasse: “Non vado da nessuna parte. Ci sono, se vuoi. Per qualsiasi cosa.”
La mente dell’albino iniziò a correre impazzita: stava facendo intendere che lo avrebbe aspettato fin quando non si fosse sentito pronto a voltare pagina? Che avrebbe accantonato i propri sentimenti per offrire a Shiro una spalla su cui piangere, se era quello che lui voleva? Entrambe le cose? O magari stava fraintendendo tutto e quello che gli stava offrendo Keith era un semplice appoggio fraterno? Probabilmente perse troppo tempo ad arrovellarsi, perché – ad un certo punto – il Paladino scrollò le spalle e disse: “va bene, allora vado. Chiamami, se hai bisogno.” fece per andarsene, ma il corpo di Shiro si mosse in automatico senza che nemmeno quest’ultimo lo avesse programmato: afferrò un polso del corvino e lo strinse forte
“E se avessi bisogno di te adesso?” chiese con il cuore in gola
“Ci sarei.” rispose l’altro. Shiro pregò di non essersi immaginato il lieve rossore che per un attimo tradì i pensieri di Keith
“Come un fratello?” lo interrogò ancora, temendo ed agognando la risposta più di ogni altra cosa. Keith esitò, e a Shiro sembrò di stare per impazzire
“Se è quello che vuoi.” rispose alla fine storcendo la bocca, come se stesse sottoponendo la propria volontà a una dolorosa tortura.
“No,” riuscì a dire in un sussurro, annegando a forza tutti i sensi di colpa che lo attanagliavano verso il giovane tenente che aveva conosciuto anni prima, che gli era rimasto accanto nonostante le sue precarie condizioni di vita, ma che poi aveva perso messo di fronte ad un ultimatum e poi di nuovo tornato sulla Terra dopo anni. Adam era morto, ma lui no: era sopravvissuto e forse – grazie a Keith – avrebbe potuto anche ricominciare a vivere. “Non è quello che voglio.” riuscì a concludere, e dopo quello non ci fu più spazio per altre parole, ma solo per baci bagnati, prima teneri e poi appassionati; per carezze curiose e sempre più vogliose; per mani e cuori che si trovavano per legarsi e non abbandonarsi mai più.
 
n/a.
Mi scuso per la frase inserita in inglese, ma come sapete
“I love you” è interpretabile sia come “ti amo” che come
“ti voglio bene”, e mi serviva giocarci in questo modo.
Spero che la lettura vi sia piaciuta!
Fatevi vedere anche nelle altre Sheith ;)
A presto,
xxx
   
 
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