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Autore: JoSeBach    21/10/2019    0 recensioni
*Attenzione: scena di suicidio nel primo capitolo!* (incompiuta)
Da quando Randall è precipitato in quelle rovine, Hershel non è più lo stesso: sembra vuoto, apatico, come se lui stesso stia affogando in quelle tenebre...
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Angela Ledore, Erik Ledore, Hershel Layton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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Erik Ledore POV

Finalmente i signori Ascot hanno deciso di interrogare da sé Layton, visto che, a detta del signor Ascot, «il verbale della polizia non è esaustivo».
Senza chiederne il consenso, ieri sera mi sono permesso di leggere il documento dove è stato solo riportato lo stato traumatico dell'interrogato, oltre che le informazioni ovvie, cioè del nome della vittima o il luogo del delitto indefinito. Mi dispiace molto per Hershel, ma dobbiamo farci dire la verità, così troveremo il signorino Randall.
Di buonora vengo richiamato dai padroni durante le mie faccende domestiche mattutine, ovvero l'organizzazione della colazione.
Accompagno la signora Ascot nella vettura aprendo lo sportello e aiutandola a sedersi; pare che sia ancora troppo sconvolta dalle circostanze del figlio, perfettamente comprensibile per una madre.
Accedo anch'io nel sedili posteriori, poi una scossa indica la chiave inserita e il cambio della marcia.
«Ea, hai visto se entrambi i Layton sono tornati a casa loro ieri?»
«Sì. Povera Lucille-»
«Povera un corno. Povera te, tesoro, che stai soffrendo come un cane per colpa di quel b-»
«Birbante. E poi lo sai che i Layton sono una famiglia rispettabile-»
«Oh, certo, tanto da distruggermi la mano all'arrivo della sberla-»
«E nostro figlio invece non era uno stinco di santo-»
«È!» Grida a gran voce il verbo presente, perché presente è anche la sua vita terrena. Non pensavo che la signora avesse già perso la speranza, ma la mia non morirà. «Non credevo tu riponessi tanta fiducia in quel... birbante, ma stanne certa che confesserà.» Non so i motivi, ma la frase pare farle paura. Poi, di fronte a un semaforo rosso, il signor Ascot si volta verso di me. «Erik, avrai un compito importante oggi.»
«Certo, signore. Ai suoi ordini.» Nel viaggio mi dà istruzioni e indicazioni sulla mia missione.
«Hai capito tutto?»
Mi inchino. «Sissignore. La servirò con onore.»
In breve tempo raggiungiamo l'ospedale. La vista della porta col numero 289, i padroni seduti lasciando la via libera e il cenno del capo di lui, indicando l'inizio della missione mi spaventa. Mi spaventa non tanto perché dovrò affrontare un ragazzo distrutto e cercare di ricavare informazioni importanti, ma piuttosto perché l'ultima cosa che vorrei fare è fallire, deludere i miei protettori, un sacrilegio per i miei ideali.
L'ordine viene eseguito: la mano sulla maniglia ruota il ferro freddo, spalanco e chiudo l'uscio dietro di me lentamente, silenziosamente, i passi felpati.

Mi guardo attorno, la stanza non molto spaziosa, ma chiara e ordinata, a differenza della camera del padroncino. La finestra spalancata muove i drappi delle tende candide e le coperte del letto, ordinate, fresche e perfette, come quelle che lascio quando ho il compito di rifare i letti della famiglia. Nonostante il volto girato, a giudicare dal corpo immobile e unico soggetto fermo dell'ambiente, sembra star dormendo. Mi giro volto verso la porta e ruoto la maniglia.

«Perché sei qui.»
Mi coglie il fiato. La mano sulla manopola è gelata, la mente aggredita. Sento i suoi occhi puntati alla mia schiena. Non lasciarti sopraffare, devi scoprire la verità. Lo affronto. «Volevo vedere come stavi.»
«Menti.»
«Eh-» Deglutisco furtivamente, il rumore però chiaro nel silenzio. «Come fai a dirlo?»
«Vuoi sapere di Randall.» Evade la domanda, sorridendo tristemente.
I miei occhi si spalancano automaticamente, rivelando le mie vere intenzioni.
«Era un semplice presentimento, ma pare che non mi sia sbagliato.»
Quindi avrei potuto continuare a fingere, accidenti!
«Perché mentirmi.» La voce apatica dimentica i punti interrogativi.
Tremo alla reazione. Non rispondo.
«Hai paura, vero?―Bingo―Che io non ti parli, che non ti dica di ciò che vuoi sapere.»
Stropiccio le mani, il sudore mi tradisce annuendogli.
«E devo dirlo,―raddrizza la schiena, ora verticale―fai bene ad avere paura perché non ho nulla da dirti. Ora puoi anche andare-»
«Ma Randall-»
«È morto, sì. E io sono l'assassino. Vedo che ti sei aggiornato-»
«Ma non può-»
«Se tu fossi stato con me, non avresti tutti questi dubb-»
«Dove è caduto?!» Vado dritto al sodo.
«Non te lo posso dire.» Gli occhi sono un buco nero, neanche la luce potrà restituir loro vita.
Ma non mi faccio inghiottire. «Senti, voglio aiutarti-»
«Ah, davvero? E come?!―la risatina che segue chiaramente sarcastica e amara―La sua non è di certo la prima tomba senza cadavere-»
«Ma-»
«VUOI CAPIRLO O NO CHE È MORTO?! MORTO! È UN CADAVERE! SONO UN ASSASSINO, LO CAPISCI? SE VUOI AIUTARMI, ALMENO ASCOLTAMI E PIANTALA DI DIRE STRONZATE!» Deglutisce, ricomponendosi. Solo ora noto che entrambi tremiamo dalla commozione, lui in lacrime, la voce debole. «Se anche ti dicessi dov'è successo, potrebbe diventare anche la tua, di tomba-»
«Starò atten-»
«LASCIAMI FINIRE!―gli occhi sudano―E SE ANCHE TU NON MORISSI LÌ, puoi non trovarlo-»
«Però-»
«PERÒ. PERÒ, se anche tu lo trovassi lo troveresti MORTO, perché vivo non può essere, capito?! Quindi, questo cosa cambierebbe? Nulla.»
«Possiamo provare-»
«Cosa? Che sono innocente? Che in quel momento non c'era altro che potessi fare? Che era destinato a morire? Nessuno ti crederà, e fidati se ti dico che non ti credo nemmeno io. Credimi se ti dico che ho perso questa fiducia.»
Raccolgo la compostezza. Non deve andare così, non voglio fallire, né per il padrone e nemmeno per il padroncino. «Allora. Sono qui perché voglio sapere come accedere alle rovine.»
«O vuoi sapere come morire?―la risatina manca di ilarità―Perché sappi che ce ne sono innumerevoli, di modi, e non sei costretto a seguire le orme del tuo signore fino a questo punto.»
Non rispondo alla provocazione, il mio volto sempre serio, il suo si distende. «Voglio trovarlo. Non per me, ma per i miei padroni.»
«Sì, lo troverai nell'Al-»
«Dico sul serio. Lascia parlare me, ora.―tace―I signori Ascot hanno organizzato una squadra di ricerca e sono pronti per il recupero. Io sono stato incaricato a raccogliere informazioni sulla località. Quindi, potresti gentilmente dirmi dov'è successo?»
«No.»
Sbuffo dalla frustrazione. Ma non mi rassegno. «A-»
«È inutile che ci provi. In primis, hai tutto ciò che ti serve per trovare il luogo. Se non ricordo male lo hai aiutato nelle ricerche,―amarezza nella voce―quindi non devo dirti nulla. Ma poi...―prende in pugno le coperte―se tu E GLI ASCOT―urla al muro―VOLETE UN ALTRO CADAVERE IN FAMIGLIA, FATELO DA VOI.―uno sguardo maligno e tagliente torna da me―Ora. ANDATEVENE!»
«Her-»
«VIA! SPARITE!» Strappa gli aghi sul braccio e i cavi, le coperte macchiate, sangue ovunque, sparso sulle piastrelle ora da orme umane instabili. Getta a terra le bende, rivelando le cicatrici bianche o rosse. Si avvicina verso di me. Provo a fermarlo, ma le unghie mi spingono via, spostandomi e aprendo la porta. Un'infermiera vede subito il paziente. Ma quest'ultimo riesce a incrociare lo sguardo con quello dei signori Ascot. Merda.

«Credevate non lo avessi capito?! Bastardi, lasciatemi in pace!»

La dottoressa interviene subito, abituata a queste ricadute, ma sempre spaventata. Aiuta il paziente a tornare nella sua stanza, chiedendo aiuto alle altre colleghe nei dintorni. Tranquillizzato e accompagnato dalle altre addette, la donna ci chiama subito. «Le condizioni del paziente erano stabili fino a stamattina. Avete sconvolto non solo fisicamente ma anche mentalmente il ragazzo. Avete-»
«Lui ci ha aggrediti senza motivo!» si giustifica il padrone. E ha ragione, non lo avevamo provocato.
«Non mentite! Avete visto che si è anche rimosso gli aghi e le bende? Ebbene, gli hanno procurato dei grossi danni. E questo per colpa vostra. Perciò non potrete più visitarlo e tanto meno accedere allo stabile. Vi prego di andarvene.» Ci segue fino all'uscita, due paia di occhiate che mi ledono da dietro e dalla mia sinistra. Merda.
  
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