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Autore: RosaRossa_99_    21/10/2019    0 recensioni
"Vado in camera mia…"
Dissi alzandomi dalla sedia
"È un invito?"
Lo guardai malamente
"Ti ringrazio per avermi fatto passare una 'splendida' mattinata"
Virgolettai 'splendida' con le dita, per poi girarmi e andarmene
"Vedrai il pranzo allora!"
Era assolutamente, estremamente odioso.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Un suono proveniente da un megafono mi fece risvegliare
 
"Signori e signore, si comunica che atterreremo tra circa trenta minuti. Si prega la gentile clientela di iniziare a lasciare le stanze e riunirsi negli appositi punti di sbarco. Vi ringraziamo per aver scelto la Lines Boeing Airplain e speriamo di riavervi presto in uno dei nostri voli."
 
Mi stiracchiai nel letto, guardando fuori dall'oblò: piano piano potevo vedere la terra avvicinarsi e il sole, ancora debole, iniziare a splendere nel cielo. Da lì a pochi momenti avrei cominciato una nuova vita.
Dopo il pranzo mi ero rinchiusa in camera, non uscendo se non per andare al bagno una volta. Quel bacio mi aveva scosso dentro, facendo aumentare il mio battito. Mai nessuno ne era stato in grado, avevo avuto delle relazioni, anche se brevi a causa dei miei continui spostamenti, ma mai nessuno di quei ragazzi era riuscito a farmi sentire così… sopra le nuvole.
Avevo passato l'intero pomeriggio a fissare il soffitto, ripensando a quelle labbra, così morbide e rosee. Mentre ci pensavo le mie dita involontariamente sfioravano la mia bocca, ancora in grado di sentire il suo sapore. Mi sentivo come in un altro universo e non capivo perché… lui era davvero insopportabile, ma nonostante questo mi ero lasciata stregare alla fine. Per fortuna le possibilità di rincontrarlo erano davvero basse…  e anche se questo pensiero da una parte mi rassicurava, dall'altra avrei tanto voluto rivederlo solo per sentire ancora il suo tono arrogante e rivedere quelle due fossette, in cui avrei tanto voluto affondare le dita… ero stata in quello stato confusionale fin quando non mi ero addormentata, in un sonno profondo e senza sogni.
Mi alzai, vestendomi velocemente con un paio di jeans, una maglietta bianca e un tailleur beige, mettendo ai piedi le Chanel. Raccolsi i capelli in uno chignon basso e poi mi truccai velocemente.
Raccolsi tutte le mie cose, guardandomi indietro prima di uscire: il bigliettino con il suo numero era sul comodino accanto al letto.
Ero tentata di prenderlo ma mi autoconvinsi a lasciarlo lì, chiudendomi la porta alle spalle e dirigendomi verso il nostro punto per sbarcare. Avevo deciso di lasciarmi tutto alle spalle, non avevo bisogno di nuovi problemi.
Quando arrivai di lui non vi era alcuna traccia. Tirai un respiro di sollievo, anche se nel profondo avrei voluto vederlo. Era incredibile come si fosse insinuato nella mia testa con tale facilità…
Quando la porta dell'aereo si aprì iniziammo a sbarcare, prima di scendere mi voltai di nuovo cercandolo, fino a quando il mio sguardo non si incrociò con il suo, non molto lontano da me. Tirai un sospiro, prima di girarmi e accodarmi al flusso di gente che usciva.
Non appena arrivai nell'aeroporto notai mio padre con un mazzo di fiori bianchi che mi aspettava sorridente, con accanto il facchino che aveva già caricato tutti i miei bagagli sul carrello. Gli sorrisi, correndogli incontro e non appena fui fra le sue braccia mi sentii di nuovo un po' a casa.
 
"Benvenuta a Vienna, piccola gemma"
 
Disse baciandomi la testa, mentre ancora ero sepolta fra le sue braccia. Mi era mancato il suo profumo.
Papà mi chiamava sempre così da quando la mamma se n'era andata, forse perché ero il suo tesoro più grande…
 
"Grazie papino"
 
Lo guardai sorridente, lui mi porse il mazzo di fiori che io annusai, e poi gli presi la mano, uscendo dalla Hall e dirigendoci verso una Jaguar nera posteggiata di fronte. Il facchino ci seguiva con un po' di difficoltà a spingere il carrello, talmente pieno che sembrava che la pila di valigie potesse collassare da un momento all'altro. Mio padre mi fece accomodare nel sedile posteriore, aprendomi lo sportello, per poi fare il giro della macchina e salire dietro, sedendosi accanto a me. Non appena tutte le valigie furono caricate nell'auto (non so come fecero ad entrare) mio padre allungò una banconota dal finestrino, dandola al facchino, per poi dire all'autista di partire.
 
Le strade di Vienna erano così poco affollate rispetto a Tokyo… lì si camminava ognuno di fianco all'altro, così vicini che le spalle si potevano sfiorare. I palazzi eleganti si ergevano al contrario dei grattacieli di Tokyo, tutti moderni e nuovi; erano due città così diverse… una era ultra moderna, l'altra invece sembrava essere uscita da un documentario storico.
Percorremmo il Danubio fino ad arrivare nelle vicinanze del centro della città. La macchina si fermò davanti un cancello in ferro battuto molto elegante che si aprì dopo che mio padre pressò un bottoncino su un piccolo telecomando. Non appena questo si aprì del tutto la macchina ripartì, entrandovi. Un viale alberato si parò dinanzi ai nostri occhi, con una strada grigia al centro e ai lati due viali alberati con tante ville una di fianco all'altra. Tutto in quella strada era così sofisticato e in ordine, persino i giardinieri che potavano i cespugli che dividevano le varie case, dando un po' di privacy, sembravano essere usciti da qualche rivista: tutti sorridenti, puliti e sistemati. Era tutto così surreale…
Dopo pochi minuti la macchina si fermò dinanzi ad una villetta in fondo la strada: un cancello bianco attorniato da siepi verdi delimitava i suoi confini.
 
"Benvenuta a casa"
 
Mio padre mi sorrise, porgendomi lo stesso telecomando che prima aveva aperto il cancello, e indicandomi il bottone da premere. Appena aperto, la macchina vi entrò, percorrendo una viottola in mattoni bianchi, circondata da un prato inglese. Girò intorno ad una fontana posta al centro per poi fermarsi dinanzi alla casa: un porticato alto con un elegante portone in legno bianco entrò nella mia visuale. Mio papà, che era sceso dalla macchina mentre ero rimasta imbambolata a guardare quella meraviglia, mi venne ad aprire lo sportello, porgendomi la mano e facendomi scendere.
 
"Allora? Che ne dici?"
 
Ero senza parole. Solo l'esterno sembrava un castello, era la casa più bella che avessi mai visto
 
"È stupenda"
 
Gli dissi, facendolo sorridere
 
"Avanti, entriamo. Ti faccio vedere il dentro"
 
Mi mise una mano dietro la schiena, spingendomi a camminare. Al di sotto del porticato vi era una verandina ammattonata con delle mattonelle dalle fantasie colorate e dei vasi alti ed eleganti con all'interno piante verdi; mio padre aprì la porta, spingendomi all'interno.
La sala d'ingresso aveva un tavolo rotondo posto al centro, dove vi erano stati accuratamente posizionati dei libri, un vaso con dei fiori appena raccolti e una foto mia e di mio padre, scattata in uno dei tanti nostri viaggi. Le pareti erano di un grigio perla mentre il pavimento era un parquet chiaro. Dinanzi a questo vi era il soggiorno: tre divani bianchi con dei cuscini blu notte erano posizionati di fronte un camino, anch'esso bianco, e sotto di essi vi era un tappeto dello stesso colore dei cuscini, così come le tende che coprivano le finestre vetrate. Sopra il camino un quadro moderno che riprendeva i colori della stanza e al tetto scendeva un elegante lampadario bianco. Vi era una porta con un elegante studio e una scrivania in mogano, già piena di pile di documenti. Due poltrone in pelle nera erano sistemate nell'angolo e vi erano molti scaffali con libri, documenti vari e raccoglitori. Tornando nel salotto sulla destra cominciava una fila di librerie in legno bianco, con rifiniture eleganti che facevano da decorazione e tra queste una porta scorrevole a vetri. Vi entrammo e accanto vi era una cucina moderna con tanto di isola e sgabelli per fare la colazione e, dietro di essi, un tavolo ovale in legno con sei sedie. Un'altra porta scorrevole dava sulla sala da pranzo, da cui vi si poteva accedere anche dall'ingresso. La stanza era tutta interamente vetrata e dava sulla fontana posta all'ingresso. Aveva tende grigie perla abbinate alle otto sedie dallo schienale alto, accompagnate da un tavolo in vetro. La lampada Castiglioni, con la base in marmo bianco, si ergeva da un angolo, illuminando il centro del tavolo.
Tornammo indietro, fino ad arrivare di nuovo alla sala d'ingresso, dove mio padre aprì la porta sulla sinistra, di fronte a quella della sala da pranzo. Delle scale in marmo con la ringhiera in ferro si pararono dinanzi a noi: la casa era tutta in stile classico ma allo stesso tempo con un tocco di classico.
Le percorremmo arrivando in un altro piccolo soggiorno con i divani grigi, attorno ad esso vi erano tre porte: entrammo nella prima dove vi era un letto dai toni scuri con una spalliera in ferro, un tappeto e una chaise-longue nera in pelle, aveva due porte in cui vi era un bagno e una cabina armadio con dei vestiti maschili. Era la stanza di mio padre.
La seconda porta era un altro bagno, un po' più grande, interamente in marmo. Aveva una vasca in stile classico, come quelle che si vedono nei film romantici, e un lavabo con due lavandini.
La terza porta infine era la mia stanza: aveva un letto a baldacchino in ferro battuto con delle tende bianche, un tappeto bianco e una grande finestra che dava su una piscina rettangolare, probabilmente nel retro della casa. Anche la mia stanza aveva un bagno privato, con delle mattonelle bianche e beige, e un guardaroba.
 
"Allora… che ne dici?"
 
Mi voltai verso mio padre, correndogli incontro con un sorriso stampato in faccia.
 
"La adoro, davvero"
 
Lui mi carezzò la testa
 
"Per la mia gemma questo e altro. Ti voglio così bene, bambina mia"
 
Lo strinsi più forte a me
 
"Anch'io, papà"
 
L'autista che ci aveva accompagnato si presentò alla porta, tossendo imbarazzato.
 
"Scusate l'interruzione. Dove metto le valigie?"
 
Mio papà si girò, guardandolo
 
"Può lasciarle pure qua, la ringrazio"
 
Intervenni, così l'uomo iniziò a lasciare tutti i miei pacchi
 
"Ti lascio sistemare, se hai bisogno sono di sotto nello studio"
 
Annuii e dopo che mi lasciò un altro bacio sulla fronte, uscì dalla stanza, fermandosi prima di scendere dalle scale
 
"Vorrei che la mamma potesse vedere che donna meravigliosa sei diventata. Sarebbe tanto orgogliosa quanto lo sono io"
 
Un sorriso malinconico sul suo volto stanco e con qualche ruga. I suoi occhi miele erano diventati lucidi, si tirò i capelli brizzolati indietro, sospirando prima di scendere. Mancava così tanto ad entrambi la mamma…
Sospirai anch'io, dirigendomi verso il bagno: avevo bisogno di una bella doccia.
Mi spogliai, gettando i vestiti nel cesto di vimini per la biancheria sporca, ed entrando nella doccia vetrata. Aprii l'acqua rilassandomi subito non appena il gettò colpi le mie spalle.
Uscii dalla doccia, avvolgendomi un asciugamano intorno al corpo ed un altro intorno ai capelli bagnati. Mi diressi in camera, frugando tra le varie valigie per cercare qualcosa di comodo da mettere: trovai dei pantaloncini di tuta e una canottiera, così l'infilai. Alzai lo sguardo, guardando fuori dalla finestra: vi era un'altra villetta accanto la nostra e la mia finestra dava su una camera da letto tutta scura all'interno. Addio alla privacy… una figura si mosse all'interno della stanza, ma prima che potesse vedermi, tirai le tende della finestra.
Iniziai a sistemare tutti i vari pacchi, posando i vestiti nel guardaroba insieme a scarpe e borse, fin quando mio padre non mi chiamò per pranzare.
Scesi di corsa recandomi in cucina
 
"Sono in sala da pranzo!"
 
Non appena vi entrai, vidi mio padre vestito di tutto punto. Lui mi guardò, unendo le sopracciglia
 
"Che ci fai ancora vestita così? Abbiamo ospiti! Vatti a cambiare e mettiti qualcosa di elegante!"
 
Corsi di nuovo di sopra, prendendo dal guardaroba un vestito rosso in pizzo di Valentino e abbinandogli delle Louboutine nere. Misi un  po' di mascara e sciolsi i capelli, ormai quasi asciutti, lasciandoli ondulati.
Sentii il campanello: giusto in tempo.
Scesi le scale di corsa, cercando di non prendermi nessuna storta. Sentii mio padre accogliere i nostri ospiti
 
"Aron! Prego accomodatevi"
 
Una voce maschile profonda gli rispose
 
"Ciao, Elia. Da quanto tempo. Questo è mio figlio…"
 
Prima che potesse pronunciare il nome, completai io la frase, che nel frattempo ero arrivata sul pianerottolo
 
"Stefan?! Che ci fai qui?"
 
Vidi il suo sguardo incontrare i miei occhi, per poi percorrere attentamente il mio corpo, con un ghigno in faccia
 
"Ciao anche a te Sophie. Non l'hai saputo? Siamo vicini"
 
Addio mondo.
   
 
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