Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: philtatos    23/10/2019    0 recensioni
[ bruabba, SPOILER per la parte 5 ]
Bruno aveva continuato ad esistere, a funzionare, ma sembrava che un buco, identico a quello sul corpo di Leone, si fosse aperto nel suo petto. Ed ora, da solo nell’immensa oscurità del mare che si fondeva al cielo, quel buco si stava aprendo sempre di più. Lo stava dilaniando, mentre i suoi pensieri si facevano sempre più annebbiati dal dolore e dai ricordi.
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Abbacchio è morto. Bruno ricorda.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bruno Bucciarati, Leone Abbacchio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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quann te ne vaje, nun sent cchiù nient,
quann nun ce staje, nun sent cchiù nient 



Il sole era tramontato da qualche ora e l’oscurità era calata sul mare placido, in un nero senza fine interrotto solo dalla lieve luce proveniente dalla barca.
 
Bruno era da solo: i ragazzi erano nella tartaruga, alla ricerca di un po’ di riposo prima di raggiungere Roma. Dopo aver ricevuto le inaspettate notizie dallo sconosciuto contatto che li aspettava nella città eterna, Bruno aveva assicurato a Mista che poteva gestire lui l’andamento della loro piccola imbarcazione e gli aveva consigliato di dormire il più possibile. Mista gli aveva rivolto uno sguardo non del tutto convinto — era un ragazzo semplice, ma non era stupido —, tuttavia, la stanchezza aveva vinto anche lui, e si era ritirato insieme a Narancia, silenzioso come non mai.
 
Se chiudeva gli occhi, Bruno poteva quasi lasciare che il rumore delle onde lo trasportasse verso il passato: come se fosse ancora un bambino, in una di quelle numerose volte in cui aveva accompagnato suo padre a pescare.
 
Non era così. Per quanto la sua immaginazione si sforzasse, non poteva ignorare la pesante presenza che opprimeva il suo petto come un macigno, riportandolo al presente. Non poteva ignorare il silenzio di Narancia, lo sguardo vitreo di Mista, il cipiglio sul volto sempre sereno di Giorno.
 
Abbacchio era morto. Leone era morto e Bruno aveva dovuto lasciarlo lì, voltargli le spalle ed allontanarsi. Aveva dovuto comportarsi da leader, da capo, ancora una volta, ignorando con freddezza il proprio acuto dolore.
 
Quel giorno — era stato solo poche ore fa, ma a Bruno sembrava fossero passati giorni, settimane — Bruno aveva percepito, forse per la prima volta da quando si era reso conto che c’era qualcosa che non andava in lui, il fitto dolore della sua carne che si rompeva, il sangue che colava dalle sue labbra e sul suo volto.
 
Il dolore era stato utile. Lo aveva aiutato a focalizzarsi su quello che doveva fare, e non quello che avrebbe voluto fare — ovvero, stendersi sul corpo di Leone e piangere, portare via il suo corpo come Narancia avrebbe voluto, o forse restare lì con lui, espiare la colpa di averlo lasciato da solo e averlo condotto alla morte.
 
Bruno aveva continuato ad esistere, a funzionare, ma sembrava che un buco, identico a quello sul corpo di Leone, si fosse aperto nel suo petto. Ed ora, da solo nell’immensa oscurità del mare che si fondeva al cielo, quel buco si stava aprendo sempre di più. Lo stava dilaniando, mentre i suoi pensieri si facevano sempre più annebbiati dal dolore e dai ricordi.
 
**
 
Era quasi simbolico come Bruno l’avesse trovato sotto un temporale di Napoli, il suo volto pallido come un fantasma se non per il trucco che colava scuro lungo le sue guance. Leone — no, Abbacchio — non era nessuno per lui se non un altro interessante individuo con del potenziale. Aveva letto la sua storia — anche se, nel momento in cui l’aveva visto per la prima volta, avrebbe potuto con facilità leggergliela sul volto devastato — e Bruno, dall’animo gentile nonostante i duri anni nella mafia, sperava di poterlo convincere a unirsi a lui, se non per sfruttare le sue abilità, allora per poterlo aiutare. Aveva sempre avuto un punto debole per le persone in difficoltà.
 
Abbacchio era silenzioso. Freddo. Colmo di pessimismo e odio verso se stesso a malapena nascosto. Tendeva ad annegare i suoi pensieri nell’alcol e c’erano momenti in cui non sembrava neanche essere presente, in cui i suoi occhi si annebbiavano e il suo sguardo si perdeva chissà dove.
 
Nonostante ciò, era chiaro quanto avesse bisogno di una direzione nella sua vita. Aveva bisogno di ordini e, in un primo momento, Bruno era stato felice di poter essere la forza motrice della sua esistenza — lo aveva capito dopo qualche settimana: se non aveva direttive precise Abbacchio si lasciava andare, passava ore e giorni chiuso nel suo appartamento senza dare alcun segno di vita.
Lentamente, si era aperto a Fugo e Narancia. Pareva evidente che preferisse Fugo, con cui poteva trascorrere ore in silenzio senza essere disturbato, ma le risposte taglienti che dava a Narancia si erano fatte man mano meno sentite, e aveva anche iniziato a dar corda ad alcuni dei discorsi inconclusivi del ragazzino.
 
E, ancora più lentamente, si era aperto a Bruno, quando era ormai ovvio come la distinzione tra superiore e amico non fosse così netta — dopotutto, tranne che durante le missioni, Bruno lo trattava come un suo pari.
 
Dopo alcuni mesi, Abbacchio aveva smesso di lanciargli occhiate diffidenti ogni volta che apriva una cerniera per passare da una stanza all’altra. Il cipiglio corrucciato sul suo volto aveva iniziato a sciogliersi, lasciando spazio ad un’espressione che su chiunque altro sarebbe sembrata ostile, ma che sembrava far trasparire solo neutralità sul volto di Abbacchio.
 
«È così strano quando lo fai» aveva detto una volta, mentre Bruno richiudeva la cerniera dietro di sé.
 
Lui si era limitato a rivolgergli un piccolo sorriso, avvicinandosi per sedersi accanto a lui. Erano sul tetto — gli ci era voluto un po’ per trovarlo, ma almeno era un sollievo non doverlo raccogliere dal bancone di un qualche bar. Bruno sapeva bene che il malumore di Abbacchio era dovuto alla missione che Polpo aveva assegnato alla squadra, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi almeno un po’.
 
«È così strano che io usi Sticky Fingers per qualcosa che non sia combattere?» Era una parte di lui. E poi, Bruno trovava piuttosto divertente quella particolare stranezza che l’usare la sua abilità gli conferiva. Un po’ come trovava divertente leccare le persone per capire se stavano mentendo.

Abbacchio aveva emesso uno sbuffo, tra l’incredulo e il divertito. Bruno ormai aveva imparato a decifrare le reazioni dell’altro.
 
«È il mio stand. Per qualcosa devo usarlo» aveva aggiunto poi, un sopracciglio sollevato.
 
«Almeno il tuo è utile a qualcosa.»
 
«Ti dai troppo poco credito. Moody Blues è uno stand eccellente. Forse non in questo lavoro, però.»
 
«Già, darmi troppo poco credito è la mia cazzo di specialità.» Un sospiro. «Scusa, Bucciarati. Non c’entri niente col mio malumore.»
 
Bruno avrebbe voluto spazzare via la nube di pensieri scuri che infestava la sua testa, ma sapeva bene che lui non poteva fare molto. Poteva, tuttavia, assicurarsi che non facesse nulla di autodistruttivo.
 
«Forse un po’ c’entro. Dopotutto, le missioni sono una mia responsabilità.» Riusciva a vedere come Abbacchio fosse pronto a ribattere, a difenderlo — sempre disposto a battersi per l’onore degli altri, ma mai per se stesso. Lo interruppe prima che potesse parlare: «Non è colpa tua, sai? È stata dura, ma forse doveva andare così. Io sto bene, tu stai bene, Fugo sta bene, Narancia… forse il proiettile nel piede se lo merita un po’, per aver sparato alla cieca.»
 
Una risata, breve e rauca, aveva lasciato le labbra di Abbacchio, prima che tornassero a curvarsi nella sua abituale smorfia.
 
«Bucciarati, non ti facevo così crudele.»
 
«Prendiamo tutti dei rischi e a volte ne paghiamo le conseguenze» gli rivolse un sorriso placido «ma, in realtà, mi fido del vostro giudizio. E, sì, anche di Narancia»
 
Sul volto di Abbacchio si era dipinta un’espressione indecifrabile, come se le parole di Bruno, pronunciate con così tanta leggerezza, lo avessero scosso nel profondo.
 
«Non dovresti fidarti di me.»

«Non puoi impedirmi di farlo, Abbacchio. Puoi tenerci a distanza quanto vuoi, ma conosco il tuo valore — sia nelle missioni che all’interno del team.»
 
Poi si era avvicinato a lui, il suo sguardo acuto fisso su di sé. Era certo che Abbacchio non si aspettasse che lui aprisse una cerniera sul suo petto, vi infilasse la mano dentro, e ne tirasse fuori la fiaschetta che teneva all’interno della giacca. La lasciò cadere giù dal palazzo.
 
«Bucciarati—»
 
«Oh, non guardarmi così.» aveva detto, rivolgendogli un sorrisetto prima di voltare i tacchi «I ragazzi stanno scegliendo quale film guardare. Spero che abbiano deciso, non vorrei trovare la casa distrutta dai loro litigi. Se vuoi unirti a noi, ci trovi giù.»
 
**
 
Sulla barca, una singola lacrima scendeva silenziosa lungo il volto di Bruno. Si era ripromesso di non piangere, di non lasciarsi divorare dalle emozioni e per quanto potesse cercare di gestire quella devastante situazione razionalmente, semplicemente non ci riusciva. Come poteva? Aveva perso Leone.
 
**

Bruno ricordava quando si era reso conto dei sentimenti che provava per Abbacchio. Non che quella rivelazione fosse dovuta a qualcosa di speciale, un grande gesto romantico. No, Bruno era sempre stato piuttosto razionale, era sempre stato in grado di analizzare le proprie emozioni e, a volte, metterle da parte — come quando aveva dovuto scegliere tra i suoi genitori.
 
Era una giornata d’inverno e la pioggia scendeva fitta come la prima volta che si erano incontrati. Si erano riuniti a casa di Bruno, non perché avessero delle questioni di lavoro da discutere, ma piuttosto perché non avevano nulla di meglio da fare che trascorrere il tempo nella reciproca compagnia.
C’era anche Abbacchio, il che era piuttosto raro, e in quel momento era quasi del tutto concentrato sul discorso di Mista.
 
Come spesso accadeva nel loro piccolo team, Mista e Narancia erano impegnati in una discussione piuttosto appassionata, le mani del più grande che si agitavano in aria mentre spiegava perché prendere l’ostia avrebbe dovuto essere considerato cannibalismo. Narancia, gli occhi d’ametista spalancati in modo quasi comico, lo ascoltava rapito.
 
E poi, come poche volte succedeva nel corso di quelle discussioni senza senso né conclusione, Abbacchio aveva preso la parola.
 
«Se consideri l’ostia cannibalismo» aveva detto, un luccichio divertito negli occhi nonostante l’espressione apparentemente infastidita «allora dovrebbe esserlo anche il vino. E se Gesù fosse stato un vampiro? Questo renderebbe vampiri anche noi»
 
Mista rimase per un attimo in silenzio, come ponderando la supposizione dell’altro. Poi si mise a urlare.
 
E così, mentre il salotto di Bruno esplodeva nuovamente nel caos, Abbacchio si era girato verso di lui, le sue labbra curve in un minuscolo, quasi impercettibile sorrisetto — pareva soddisfatto di aver provocato quella reazione nei più piccoli. Bruno aveva incontrato il suo sguardo, magnetizzato dalle iridi dai riflessi d’oro dell’altro, e aveva pensato oh.
 
Per settimane, aveva cercato il più possibile di non far trasparire nulla: si sforzava di comportarsi normalmente con la squadra e con Abbacchio, e di non leggere nulla nei suoi comportamenti — l’ultima cosa che voleva era illudersi. Ma, dopo un periodo anche fin troppo lungo, Bruno aveva deciso di parlargliene: detestava tener qualcosa nascosto al suo team e, se c’era anche una minima possibilità che fosse ricambiato, allora voleva coglierla. Avrebbe accettato con grazia anche un rifiuto. Non credeva di poter seppellire quei sentimenti che ormai gli erano così chiari — non poteva ignorare il modo in cui il suo cuore sembrava divenir leggero quando Abbacchio gli rivolgeva quei sorrisi tanto piccoli quanto preziosi — ma almeno poteva tentare di metterli da parte, accontentarsi della sua compagnia e rassegnarsi a non poter avere nulla di più.
 
L’occasione gli si era presentata poco tempo dopo.
 
Abbacchio era a casa sua, seduto sul suo vecchio divano — quello stesso divano che Bruno si era rifiutato di buttare via quando Narancia ci aveva sanguinato sopra — mentre sfogliava pigramente un giornale.
 
Bruno sedeva accanto a lui in silenzio. Lo aveva chiamato per discutere le specifiche di un compito assegnatogli da Polpo: doveva svolgerlo da solo, e aveva bisogno che qualcuno gestisse il team per una settimana o poco più. Abbacchio non ne era sembrato entusiasta, ma non avrebbe mai disubbidito esplicitamente a degli ordini diretti, anche se Bruno non li aveva formulati in quel modo.
 
Si aspettava che Abbacchio se ne andasse non appena avessero finito di parlarne, come faceva il più delle volte, sempre incline a trascorrere più tempo possibile in compagnia di se stesso e dei suoi inquieti pensieri, ma non era stato così.
 
Sembrava piuttosto a suo agio, e Bruno non aveva certo intenzione di cacciarlo di casa. Si era fatto un the, aveva acceso la radio e reclinato la testa sullo schienale del divano, gli occhi socchiusi.
 
«Bucciarati»
 
«Mh?»
 
«È così difficile mettere una stazione decente?»
 
«Oh?» Bruno si era girato verso di lui, un’espressione divertita a malapena celata sul suo volto. «Non dirmi che non ti piace Madonna.»
 
«Per favore, Bucciarati. Mi hai visto?»
 
«Oh, sì. Al grande e cattivo lupo punk non piace Madonna»
 
Abbacchio aveva sbuffato. Bruno gli aveva rivolto un sorriso serafico.
 
«Ho una reputazione da mantenere. Non posso ascoltare Madonna»
 
«Chi andrà a dirlo in giro? Io no — le mie labbra sono cucite» aveva replicato serissimo, prima di portarsi una mano alle labbra e cucirle davvero — o, piuttosto, farci apparire una cerniera sopra.
 
Abbacchio lo aveva osservato perplesso per qualche secondo, dopodiché era scoppiato a ridere: una risata genuina, roca; Bruno avrebbe voluto poterlo registrare per riascoltarlo per sempre.
 
«Sei davvero…» Abbacchio aveva fatto una pausa, come se non riuscisse a trovare la parola giusta. «Indescrivibile»
 
Piuttosto che far sparire la cerniera, Bruno l’aveva aperta — era una sensazione strana, ma ne valeva la pena per lasciare che quell’espressione divertita restasse sul volto del compagno.
 
«È un complimento?»
 
«Tu che ne pensi, capo? Certo che lo è.»
 
«Anche tu sei indescrivibile, Abbacchio» aveva replicato, le sue labbra che si curvavano inconsapevolmente in un sorriso colmo di dolcezza, la cerniera ormai sparita. «Non ho mai incontrato nessuno come te.»
 
«Hah. Sei stato fortunato fino ad ora» aveva detto l’altro in un lieve sbuffo. Le sue parole, tuttavia, risultavano meno aspre del solito, come se quella momentanea leggerezza non l’avesse ancora abbandonato.
 
«Forse sono solo stato fortunato ad incontrare te.»
 
Abbacchio non aveva risposto. Si era voltato verso di lui, lo sguardo — più viola che dorato nella penombra — tra il diffidente e l’incredulo.
 
C’era qualcosa di fragile nell’espressione sul suo volto, come se le parole di Bruno lo avessero spogliato delle pesanti difese che utilizzava per tenerlo a distanza. E forse fu proprio quello che spinse Bruno — freddo, razionale, sempre composto e contenuto — a spingersi in avanti e chiudere quel poco spazio che li separava.
 
Le loro labbra si incontrarono in un delicato bacio. Bruno riusciva a percepire il rossetto di Abbacchio, il calore della sua pelle, le sue ciglia che gli solleticavano la pelle del volto.
 
L’aveva baciato. Lo stava baciando, e Bruno non aveva idea di cosa fare — perché Abbacchio era rimasto immobile? Non si era allontanato, ma non si stava neanche muovendo. Bruno non riusciva ad allontanare il pensiero di aver rovinato tutto.
 
Ma quell’istante di panico fu presto messo a tacere dalla mano di Abbacchio, che si andò a poggiare sulla sua guancia con una delicatezza di cui l’altro uomo non sembrava capace.
 
I loro corpi erano più vicini ora; Bruno riusciva a percepire il calore emanato dell’altro mentre le sue labbra si schiudevano e bacio diveniva sempre più acceso.
 
E poi, come un fulmine a ciel sereno, Abbacchio lo aveva spinto via.
 
Bruno aveva spalancato gli occhi, confusione e dolore e imbarazzo dipinti sul suo volto, e Abbacchio gli aveva rivolto uno sguardo come una ferita aperta.
 
«Bucciarati—» aveva tentato, il tono come non l’aveva mai sentito prima di quel momento.
 
Bruno si era sforzato di ricomporsi. Aveva serrato le labbra, e aveva cercato di stampare sul suo volto la sua solita espressione serena — nonostante, dentro di sé, si sentisse tutt’altro che sereno.
 
«Abbacchio… mi dispiace» la sua voce suonava tutt’altro che calma, ma gli doveva almeno una spiegazione. E delle scuse. «Sono stato assolutamente poco professionale. Io, uhm, credo di aver proiettato i miei sentimenti su di—»
 
«Bucciarati, tu non vuoi questo» lo aveva interrotto Abbacchio, il tono amaro. «Forse sei disperato, forse hai solo dei gusti del cazzo, ma ti sto facendo un favore»
 
Bruno stentava a capire. Lui… gli stava facendo un favore? Rifiutandolo?
 
«Abbacchio, che cosa stai dicendo?»
 
«Non posso lasciartelo fare. Non posso» Sembrava che ogni parola gli provocasse del dolore fisico, ed il cipiglio era tornato su suo volto. «Bucciarati, tu non hai bisogno di me. Ti meriti di meglio»
 
Bruno avrebbe voluto ridere. Ancora una volta, riusciva a scorgere con pericolosa chiarezza la tendenza di Abbacchio di auto-sabotarsi.
 
«Leone» lo sguardo cupo del compagno aveva incontrato il suo «come puoi pensare che io non abbia bisogno di te?»
 
Aveva sollevato una mano per portare una ciocca di capelli dell’altro dietro il suo orecchio, lasciando poi che le dita indugiassero sulla sua pelle nivea.
 
«Lo sai bene quanto io tenga a voi— a tutti voi. Sì, è una debolezza» aveva scrollato elegantemente le spalle «Sono disposto a correre il rischio di mandare al diavolo una missione per salvarvi. Ma, Leone, quello che provo quando sono con te… non potrei descriverlo a parole.»
 
Abbacchio era rimasto in silenzio. Bruno era sempre stato una persona particolarmente paziente, ma doveva ammettere che in quel momento attendere una risposta da parte dell’altro era la cosa più simile ad una tortura che avesse mai provato.
 
«Bucciarati— Bruno. Non darmi speranza, ti prego» la sua voce — di solito forte, profonda, tagliente nel suo tono sprezzante — era flebile. «Ti rendi conto del completo disastro che sono?»

«Forse non l’hai notato» mormorò dolcemente, una nota divertita del tono «ma nessuno di noi è esattamente normale.»
 
Aveva afferrato la sua mano, rivolgendogli un sorriso deciso.
 
«Lascia che sia io a decidere cosa voglio o no. E credo di esserne piuttosto sicuro ormai» si era avvicinato a lui, le loro labbra ad un respiro di distanza. «Voglio te»
 
**
 
«Bucciarati…»
 
A riscuoterlo era stata una voce ormai familiare, anche se non quanto quella squillante di Narancia o quella entusiasta di Mista.
 
Giorno era in piedi a pochi passi da lui, pallido alla luce della luna, i capelli dorati mossi dal vento. L’espressione sul suo volto era calma ed indecifrabile, ma un minuscolo cipiglio tradiva la sua preoccupazione.
 
«Posso darti il cambio, se vuoi. Anche tu hai bisogno di riposare» disse dopo qualche secondo. «E poi ho pensato che magari non volevi restare da solo.»
 
La genuina gentilezza di quel ragazzino continuava a sorprenderlo. Bruno lo apprezzava, davvero, ma in quel momento avrebbe preferito la compagnia di una sola persona. E quella persona era morta.
 
Scosse la testa, cercando di sembrare il più composto possibile. A differenza di Narancia, che lo trattava con freddezza da quando l’aveva forzato ad allontanarsi dal corpo di Abbacchio — Bruno sapeva che anche quello non sarebbe durato: Narancia era incredibilmente veloce nel dimenticarsi dei torti subiti — Giorno sembrava sempre più preoccupato per lui. Seppur fosse il più giovane, Giorno era il più sveglio e l’unico che, forse, era riuscito a intravedere qualcosa sotto la sua facciata.
 
Non che a Bruno interessasse granché. Ma detestava l’idea che i suoi sentimenti potessero essere fonte di distrazione non solo per lui, ma anche per un altro membro del team.
 
«Sto bene. Voi avete bisogno di riprendere le forze. E io sono il capo» replicò, il tono pacato che non ammetteva repliche. «Torna nella tartaruga, Giorno.»
 
**
 
Non avevano avuto molto tempo da soli durante quella missione. Era raro che tutta la squadra fosse impegnata in un incarico; e inoltre, si erano aggiunti a loro anche Giorno e Trish.
 
Eppure, durante uno dei primi giorni, quando ancora erano convinti di dover riportare Trish al boss per garantire protezione, avevano avuto la rara fortuna di dormire in un albergo vero e proprio, tutto pagato dal boss. Bruno non poteva lamentarsi di un po’ di riposo, nonostante avesse dovuto ripetere numerose volte ai ragazzi di non lasciare l’albergo da soli, né poteva lamentarsi della stanza che condivideva con Leone.
 
I ragazzi lo avevano trattenuto un po’ con le loro bizzarre richieste — Mista: «Daaai, Bucciarati, perché non possiamo uscire? Voglio portare Giorno a bere un po’!»; Narancia: «Se riesco a costruire un modellino di carro armato con il sapone posso portarlo con me poi, vero?»; Fugo: «Ti prego, perché Giorno può dormire con Trish e io devo restare con questi due. Bucciarati. Io ci sono da più tempo, mi merito qualche diritto»; Giorno: «Farò una tenda di foglie per separare me e Trish. È una ragazza, ha bisogno di privacy» — e quando si era finalmente ritirato nella sua stanza, Leone sembrava essersi già sistemato per bene, i lunghi capelli legati in una bassa coda ed il suo solito completo messo da parte per qualcosa di più comodo.
 
Bruno si era avvicinato a lui, un sorriso dolce come il miele sulle sue labbra, fermandosi in piedi tra le gambe aperte dell’altro. Le braccia che cingevano il suo collo, si era chinato per lasciargli un leggero bacio sulla fronte, beandosi del semplice piacere che solo la presenza dell’altro riusciva a dargli.
 
«Fammi indovinare. Fugo non vuole stare in stanza con Mista e Narancia» aveva detto Leone, un lieve rossore sulle sue guance. Bruno amava il modo in cui i più piccoli gesti fossero in grado di colorare le sue gote.
 
«Mmh.» Un altro leggero bacio, questa volta pochi centimetri più sopra del sopracciglio elegantemente disegnato.
 
«E Mista vuole uscire… vuole andarsi a ubriacare, direi.»
 
«Voleva far ubriacare Giorno.»
 
«Quel cazzo di quindicenne. Ancora un feto. Mista lo vuole uccidere, huh? Faccia pure.»
 
«Leone» lo ammonì Bruno divertito, le labbra sulla sua tempia.
 
Leone si limitò a rivolgergli un’occhiataccia priva di reale sentimento.
 
Bruno prese il suo volto tra le mani, il suo pollice che sfiorava delicatamente le sue labbra viola, facendo così sbavare il rossetto minuziosamente applicato dall’altro.
 
«Quasi mi manca il tuo rossetto nero. Che fine ha fatto?»
 
«Non volevo portarlo in missione. E poi questo» si sporse in avanti, per lasciare un bacio lungo la mandibola di Bruno «macchia di meno.»
 
«Mh. Non mi dispiaceva che macchiasse.» Per quanto Bruno tenesse ai capi firmati del suo vestiario — specialmente gli eleganti completi bianchi che ormai tutti si aspettavano indossasse —, vedere su di essi, quando li recuperava la mattina, tracce di rossetto nero era diventato una piacevole costante. La ragazza della lavanderia ormai non faceva più domande. «Ma possiamo recuperare non appena torniamo. Te ne comprerò uno nuovo, che ne dici?»

«Bruno…» Un’ombra era calata sul volto di Leone.
 
«Ah» Bruno appoggiò il pollice sulle sue labbra, applicando una leggera pressione «So cosa stai per dire e non voglio sentirne parlare. È una missione pericolosa, hai ragione» concesse, mentre portava la mano libera tra i suoi capelli, giocando con alcune ciocche sfuggite alla coda «Ma non lascerò che vi capiti nulla. Specialmente a te, amore mio.»
 
Il volto di Leone si era colorato di rosso nell’udire quell’appellativo, ma la sua determinazione sembrava maggiore del momentaneo imbarazzo.
 
«Io non posso lasciare che ti succeda niente. Questo mondo sarebbe un letamaio senza di te, Bruno Bucciarati.»
 
«Apprezzo il sentimento, ma non ho bisogno che ti sacrifichi per me.»
 
«Lo farei con piacere. Sarebbe una delle poche cose buone che io abbia mai fatto nella vita, cazzo.»
 
«Shh» aveva replicato Bruno, un sorriso sereno sul volto. «Non mi accadrà nulla, Leone. E non lascerò che nulla accada a te. Ora pensiamo ad andare a letto, per favore. Sono sicuro che domani mattina perderemo del tempo per sistemare qualunque cosa stiano combinando adesso i ragazzi.»
 
«Oh, vuoi andare a letto?» aveva detto Leone, le labbra dal rossetto sbavato che si curvavano in un sorrisetto. Sollevò una mano, poggiando il polpastrello dell’indice sul petto scoperto del compagno. Bruno riusciva a percepire il lento percorso del dito dell’altro sulla sua pelle. Non appena sfiorò l’orlo della delicata bralette che indossava sotto la giacca si fermò. «Vestito così, non credo proprio.»
 
«Perché non mi fai vedere tu, allora?»
 
**
 
Dopotutto, forse Leone aveva ragione a preoccuparsi per quella missione.
 
Leone gli aveva detto, una volta, che non si aspettava di superare i diciotto anni. Era una confessione che gli aveva strappato nel pieno della notte, in uno di quei rari momenti in cui Leone era disposto a mostrarsi fragile solo per pochi minuti, solo per lui. Lo aveva detto con la fermezza di qualcuno che ci aveva creduto per anni: era sicuro di morire giovane. Se non per i pensieri che annebbiavano la sua mente allora per le sue tendenze incredibilmente auto-distruttive, specialmente dopo la morte del suo collega.
 
E Bruno sapeva, nel profondo, che Leone avrebbe preferito morire così piuttosto che arrivare alla tomba con una bottiglia in mano. Ma Bruno non avrebbe lasciato che Leone — la persona che aveva sconvolto il suo universo, l’amore della sua vita — si rovinasse da solo, ed era convinto che non avrebbe potuto lasciare neanche che affrontasse un pericolo più grande di lui.
 
Ma era successo. Leone era morto, e con lui una parte di Bruno, ormai divorato dal senso di vuoto e consapevole del tempo rubato che gli era stato concesso.
 
Non poteva abbandonare la missione — doveva farlo per Trish, e anche per Giorno e per Mista e per Narancia. Aveva ricevuto un dono unico e non l’avrebbe sprecato.
 
Avrebbero sconfitto il boss. E poi… poi Bruno avrebbe raggiunto Leone, ovunque egli fosse. Avrebbe lasciato i suoi ragazzi, com’era destino che fosse, e forse, dopo giorni in cui l’unica cosa che lo aveva mandato avanti era stato il desiderio di fare la cosa giusta, Bruno Bucciarati avrebbe trovato la pace in uno sguardo dai riflessi d’oro.
 
 
  
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