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Autore: Quebec    25/10/2019    0 recensioni
Netrom Morten, un Bretone Negromante, scopre il cadavere di una donna dissanguata vicino la città di Skingrad. Conoscendo personalmente il Conte Janus Hassildor, spera di trovare il colpevole, ma dietro quella sua curiosità si cela ben altro...
Genere: Avventura, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nella sfarzosa sala da pranzo del Conte Hassildor, Erina mangiava del cinghiale arrosto, condito con cipolle e pomodori. Lungo la tavola non vi era nessuno a parte lei. Una guardia era vicino l'entrata, lo sguardo fisso davanti a sé. Erina continuò a divorare il cibo. Non mangiava da tre giorni, e aveva bevuto a stento un po' d'acqua.
Buttò un occhiata al resto alla bottiglia di vino surrille, ma non si versò da bere. "Chissà che diavolo c'è la dentro. Non vorrei bere sangue, invece del vino..." La sua mente la portava sempre a diffidare, a guardare di sottecchi le guardie, la servitù e persino il cuoco che le aveva sfornato una coscia di cinghiale chissà da dove. "Ho ceduto, ma avevo fame. Non potevo..." Mentre era persa nei suoi pensieri, il Conte Hassildor si sedette a capotavola come se si fosse volatilizzato dal nulla.
Erina sussultò dallo spavento.
Il Conte Hassildor le sorrise freddamente. I suoi occhi rossi si posarono per un attimo sul suo collo, poi sulla bottiglia di surille accanto al piatto d'argento di Erina.
La donna deglutì l'ultimo boccone di carne. "Conte." Per un istante i suoi occhi incrociarono quelli rosso sangue del Conte, e sviò subito lo sguardo sul suo piatto.
"Il cinghiale è di vostro gradimento?" Le domandò il Conte Hassildor.
"Sì." Erina mise la forchetta nel piatto.
"Mi fa piacere. Hareen è il miglior cuoco di Cyrodiil." Con le dita guantate di velluto, il Conte accarezzò la base della tazza d'argento che era accanto al suo piatto vuoto.
Erina seguì la mano con gli occhi. "Voi non mangiate?"
"Io mi nutro solo di sangue." Pensò. "
Non sono una buona forchetta." Le disse.
"Beh, nemmeno io, ma onestamente non mi capita mai di pranzare con del cinghiale."
"Da oggi in poi lo farete. Potete venire nel mio castello a pranzare e cenare come vogliate."
"Non dovete..."
"Mi offendete se non accettate." Il Conte Hassildor sfiorò il bordo della tazza d'argento con un dito. "Gli amici di Netrom Morten, sono miei amici."
"Amici?" Pensò Erina. "Io lo amo." Abbassò lo sguardo sulla forchetta messa nel piatto.
"State bene?" Domandò il Conte Hassildor ritirando la mano dalla tazza d'argento.
"Sì, Conte." Erina alzò lo sguardo. "Sto bene."


 
*****


Brangor si ritrovò con le mani legate, buttato in una tenda e sorvegliato a vista da un uomo stempiato e grassoccio. Aveva le mani sporche di terra, i denti marci e una tunica di lana grezza e sporca.
"Muoviti e ti spacco le ossa una ad una." Lo minacciò l'uomo stempiato, alzando in aria un bastone robusto, che un tempo doveva essere un tronco.
"Non sono un cazzo di bandito!" Gridò Brangor. Sedeva a terra, le spalle adagiate sul palo di legno su cui erano legate dietro le mani.
L'uomo stempiato rise, mostrando i denti cariati e spaccati. "Io non sono un bandito." Lo canzonò muovendosi su un piede e l'altro.
Folk entrò d'impeto nella tenda. "Levati dai coglioni, Tavok!"
L'uomo grassoccio abbassò gli occhi e filò via come un cane bastonato.
"Perché mi hai legato? Hai idea di chi sia io?"
"Un'altro bandito." Rispose Folk, sedendosi su uno sgabello accanto a un tavolino su cui vi era un pugnale di ferro.
"Lavoro per il Conte Hassildor."
"E io per l'Imperatore... Com'è che si chiama? Ah giusto, non me ne frega un cazzo. E poi è morto e sepolto."
Brangor non sapeva se stava scherzando o meno.
"Ti sembro un uomo che lavorava per l'Imperatore?" Domandò Folk. "Guardami bene."
"No."
"E neanche tu sembri lavorare per il Conte Hassildor." Folk sbuffò. "Almeno potevi scegliere un Conte che non sia anonimo come Hassildor."
"Anonimo?"
"Tutta Cyrodiil sa che quel Conte cadaverico non si fa mai vedere in giro. Tu non l'hai mai incontrato. Il Conte non incontra mai nessuno, a meno che..." Folk si interruppe. "Lasciamo perdere."
"A meno che?"
"Tu non fai parte della Gilda dei Maghi. Si vocifera che sia disponibile solo con loro, perciò è impossibile che ti abbia dato udenza."
"Udienza vorrai dire?"
Folk balzò dallo sgabello, gli occhi infiammati. "Che fai sfotti?"
"Ti ho solo corretto." Brangor fece un sorriso mellifluo che non riuscì a reprimere viste le circostanze.
Folk si chinò e lo guardò fisso negli occhi. Poi con un grugnito, gli mollò un pugno all'altezza dello zigomo.
Brangor non subì bene il colpo; la stanza iniziò a vorticare, la testa gli doleva. "Merda. Picchia peggio di un Minotauro..." Gli arrivò un altro pugnò sullo zigomo sinistro; perse i sensi.


 
*****


Adrianne era fuori dalla Gilda dei Maghi di Skingrad. Aveva una borsa piena di vestiti accanto alle gambe. "Ma quando arriva la carrozza?" Si guardò in giro, mentre la gente camminava per la strada lastricata di pietrisco. La guardia cittadina percorreva quella strada di rado, perlustrando perlopiù i vicoli o le locande. Erano lì che i sabotatori si incontravano e pianificavano i loro piani. Era una bella giornata soleggiata, e Adrianne aveva in mente di arrivare alla Città Imperiale prima del crepuscolo. 
Passò mezz'ora, ma nessuna carrozza fece capolinea davanti alla Gilda dei Maghi. Sospirò, sbuffò e incrociò finalmente le facce dei due cavalli, uno bianco e un altro pezzato, che trainavano una piccola carrozza grigia. 
Il cocchiere, un uomo sulla cinquantina dalla faccia rugosa, capelli grigi scompigliati con addosso un farsetto nero, fermò la carrozza davanti alla donna. "Chiedo venia per il ritardo, signora, ho dovuto sostituire la ruota della carrozza."
Adrienne si avvicinò quasi furtiva all'orecchio del cocchiere, come se aveva paura che qualcuno potesse sentirla. "Hai sistemato tutto?"
"Ho fatto come mi avete chiesto."
"Quindi ci scorterà lui?"
"Non mi fido dei banditi, ma faccio come dite." 
"Se ha avuto il suo oro, ci scorterà fino alle porte della Città Imperiale."
"Voi lo conoscete meglio di me." Il cocchiere scese dalla postazione di guida e afferrò la borsa di Adrienne. Poi aprì la portiera della carrozza e la mise sullo schienale del sedile. "Accomodatevi, signora." Abbassò leggermente la testa.
Adrienne si sistemò sul sedile a divanetto. Il Cocchiere tornò alla sua postazione, prese le redini dei due cavalli e fece schioccare le labbra. La carrozza partì.
La gente si spostò sul lato della strada, osservando la carrozza allontanarsi. Quando arrivò alla porta maestra della città, una guardia cittadina gli intimò di fermarsi e si avvicinò al cocchiere. 
Adrienne sentì i due discutere, prima in modo pacato poi più acceso, finché la portiera della carrozza si aprì. Vide un elmo e una faccia butterata sotto di esso. "Scendete."
Adrienne corrugò la fronte. "Cosa succede?"
"Scendete. Non ve lo ripeterò un'altra volta." Gli occhi della guardia cittadina si strinsero fino a diventare due fessure.
Adrienne scese con calma, guardandosi attorno. "Mi volete spiegare cosa succede?"
"Nessuna può lasciare la città. Ordine del Conte Hassildor."
In quell'istante, gli occhi rosso sangue del Conte le balenarono in mente, mentre tutto il suo corpo venne pervaso da un lungo brivido.
"Allora perché mi avete fatto entrare?" Domandò il Cocchiere alla guardia cittadina, ma quello non gli rispose.
Adrienne non parlò più. Il Conte Hassildor la intimoriva a tal punto da privarla della sua dote naturale; lamentarsi. Ma ella voleva lasciare Skingrad, e avrebbe persino parlato nuovamente con il Conte per riuscire nel suo intento.


 
*****


"Sono entrati e non sono più usciti."
Il Conte Hassildor osservò il viso del secondo in comando della guardia cittadina, che tempo a dietro il Conte aveva declassato; Servin Ondus, l'uomo che aveva gettato Netrom Morten nelle segrete. "Prenderai tu il comando della guardia cittadina, almeno finché non verrà ritrovato..."
Una guardia cittadina spalancò la porta dell'ufficio del Conte Vampiro. "Conte!" Urlò quasi senza fiato.
Il Conte Hassildor si voltò.
"I due cadaveri sono spariti!" L'uomo ansimava sotto la pesante armatura d'acciaio.
"Ti riferisci all'Imperiale e all'Orco?" Chiese il Conte Hassildor, il viso freddo e apatico.
"Si, mio signore."
Servin Ondus guardò il Conte, ma subito dopo abbassò gli occhi.
"L'uomo di guardia?" Chiese il Conte, alzandosi dalla sedia dallo schienale elaborato.
"Morto."
Il Conte Hassildor corrugò la fronte.

Quando il Conte arrivò nella camera, dove un tempo giacevano i due cadaveri dei cacciatori di Vampiri, si accorse effettivamente che erano spariti. Si voltò verso la guardia che aveva dato l'allarme. "Dov'è la guardia morta?"
"Nella stanza affianco, Conte."
Prima di lasciare l'attuale camera, diede un altra occhiata veloce. Tutto sembrava come l'aveva lasciato il giorno precedente, fatta eccezioni per i due cadaveri scomparsi. La fuori, nel piccolo e angusto corridoio, vi era uno schizzo di sangue sul muro e una pozza di sangue sul pavimento di pietra, vicino a una sedia. Il Conte Hassildor entrò nella stanza adiacente. Sul tavolo di legno era disteso il corpo della guardia; un volto anziano dalla fronte rugosa, una folta barba e un naso adunco. Teneva addosso ancora la sua armatura da guardia cittadina, ma non l'elmo, che era vicino al suo guanto d'arme. Il Conte Vampiro vide un grossa ferita all'altezza della testa imperlata di sangue coagulato. 
"E' stato colpito da un ascia." La guardia cittadina indicò lo squarcio nell'elmo.
"Nessun assassino utilizza un ascia per uccidere nell'ombra." Pensò il Conte Hassildor. Andò dall'altra parte del tavolo, vicino a Servin Ondus, che non riusciva a guardarlo in viso. Scrutò la ferita mortale della guardia. "Sì... Solo un colpo d'ascia può aprire una simile ferita." Pensò.
"Radunate otto uomini." Disse al nuovo capo della guardia cittadina. "Setacciate ogni pietra di questo posto. Devono esserci dei passaggi segreti nelle mura o nel pavimento, passaggi di cui io stesso sono all'oscuro."
Servin Ondus annuì prontamente e lasciò la stanza, felice di stare alla larga dalla presenza del Conte.


 
*****


Mariliel cavalcava lungo una radura con il sole alle spalle, mentre Ramstan procedeva un poco più avanti sul suo cavallo sauro. 
Il Redguard si guardò alle spalle, sorridendo. "Sbrigati!" 
Mariliel serrò gli occhi irritata, ma non rispose.
Cavalcarono per altri 300 iarde, poi la radura lasciò spazio a una prateria, puntellata di tanto in tanto da abeti. A oriente, la prateria si perdeva in campi di grano pronti per la raccolta, mentre a occidente, vi erano solo colline frastagliate e piccoli altopiani. 
"Lassù!" Indicò Ramstan con un dito guantato in pelle.
Cavalcarono per un po', finché un uomo in armatura di pelle comparve sulla sommità di una collina, la più alta. Mosse un braccio per farsi individuare da Ramstan.
"Sono arrivati." Disse Ramstan appena Mariliel si accostò al suo fianco con il cavallo.
"Sei sicuro che andrà bene?"
Le sorrise. "Sicuro."

Salendo la ripida collina, intravidero un accampamento tra la folta vegetazioni di arbusti, con piccole tende singole sparpagliate ovunque. Ve ne erano 30 in tutto. Gli uomini, per lo più Nord, Imperiali e Bretoni passeggiavano per il campo o erano chini attorno ai focolari. Quando Ramstan entrò nell'accampamento, superando un enorme roccia, tutti gli uomini si fermarono, guardando nella sua direzione. Ma non osservavano lui, ma la donna; Mariliel. Tutti loro iniziarono a sussurrare e a ridere, ma Ramstan li fulminò con lo sguardo. Poi fermò il suo cavallo sauro, mentre due stallieri gli andarono incontro. Mariliel scese da cavallo. Gli uomini la svestirono con gli occhi, poiché non vi erano donne nell'accampamento. Ramstan scese dalla sella poco dopo, mentre i due stallieri presero le redini dei due cavalli e li portarono alla stalla; una piccola parte dell'accampamento dove sotto un pendio scosceso, erano raggruppati otto cavalli.
"Che cazzo avete da guardare!" Urlò Ramstan ai suoi uomini. "Lavatevi dalle palle!"
La folla di uomini si dileguò.
"Non hanno mai visto una donna?" Chiese Meriliel irritata, seguendo Ramstan nella sua tenda, la più grande dell'accampamento.
"Non una bella quanto te." Sorrise malizioso Ramstan.
"Parole ripetute milioni di volte alle contadine."
"Sei gelosa?" 
"Te l'ho detto; mi fai schifo."
Ramstan sorrise nuovamente. 

L'interno della tenda era spaziosa, arredata con un tavolo rotondo, quattro sedie e tre candele in piattini di pietra poste su piccole casse. Il Redguard si avvicinò al tavolo, afferrò una bottiglia di vino e bevve un sorso. Poi si lasciò cadere sulla sedia, indicando una caraffa di vino al centro della tavola.
"No, grazie." Disse Mariliel. "Non ho sete."
"Questo vino lo tengo solo per te." "Rispose Ramstan, facendo un altro sorso. "Versati da bere."
"Anche no." Mariliel andò a sedersi di fronte a lui. "Allora, quando faremo il colpo?"
"Domani, all'alba."
"Perché non di notte, quando tutti dormono?"
"Perché i miei uomini di notte preferiscono ubriacarsi."
"Ah." Disse la donna in tono secco, alzandosi dalla sedia.
Il Redguard si accigliò.
"Dov'è finita la disciplina?" Chiese Mariliel irritata.
"Disciplina?" Sottolineò Ramstan quasi ridendo. "Questi sono banditi, tagliagole, la feccia di Cyrodill, insomma. Non un esercito."
Mariliel scosse la testa e uscì dalla tenda.
Il Redguard fece un altro sorso.


 
*****


L'Elfo Scuro si svegliò nel suo giaciglio scavato nella terra, mentre il suo cavallo brucava l'erba. Era mezzogiorno, ed aveva dormito per ore. Tre uomini sedevano a ridosso di un focolare, divorando della carne. Nell'aria vi era un profumo strano, come di pelle bruciata. Il Mer si alzò, e guardandosi attorno, li raggiunse. Uno degli uomini in nero gli lanciò un occhiata veloce, mentre il secondo lo guardò torvo. Il terzo non si girò nemmeno. L'Elfo Scuro diede un altro occhiata intorno; il vento ululava e scuoteva le fronde degli alberi. Alla sua sinistra, vi era una porta di legno mezza distrutta incassata sotto un pendio, e un uomo vestito con una tunica di lana, la schiena appoggiata alla parete rocciosa e le braccia conserte. Se non erano per i due occhi rosso sangue, era quasi invisibile nella penombra.
Il Mer si diresse da lui. "Credo sia giunta l'ora." Pensò. E quando fece per aprire la porta, una mano si serrò attorno al suo avambraccio. Gli occhi rossi lo guardarono minaccioso e l'Elfo Scuro fece un passo indietro. "Dannazione. Quando potrò incontrarlo? Sono passate 10 ore, ormai." Pensò.
Qualche tempo dopo, i tre uomini in nero si alzarono, e uno di loro buttò a terra quella che doveva essere un piede mangiucchiato. Il Mer realizzò in quel momento che la strana puzza che impregnava l'aria era quella di carne umana. "Per i Nove! Ho pure dormito con loro." Pensò. I tre uomini in nero sparirono sotto la caverna.
Passarono altre tre ore, mentre l'Elfo Scuro sedeva a terra, le spalle su un tronco. Guardò la porta mezza distrutta, aspettandosi che da un momento all'altro uscissero i tre uomini in nero. L'uomo con la tunica di lana se ne stava immobile nella solita posizione, tenendo d'occhio il Mer. In realtà, lo fissava da quando era arrivato, e anche mentre l'Elfo Scuro dormiva, quello lo guardava. 
Poi la porta mezza distrutta si aprì e uscirono i tre uomini in nero. Non dissero nulla all'Elfo Scuro, come sempre del resto, e sparirono nella vegetazione. Il Mer si alzò di scatto, e in quel momento l'uomo con la tunica di lana gli fece segnò con una mano di entrare. L'Elfo Scuro resse lo sguardo del Vampiro finché non entrò nella caverna che scendeva in profondità.


 
*****


"La mia reggia è perduta, ormai." Disse il Conte Clavis, sedendosi a un lungo tavolo addobbato con coppe di pietra e botti. Nella tavola vi erano altre sette persone, e a capotavola sedeva l'uomo pallido. La maggior parte della sala rocciosa era inghiottita dall'oscurità, e solo qualche candela sorretta su pali di ferro illuminava tremula la tavola.
"Abbiamo molte cose in comune." Rispose l'uomo pallido, vestito con un farsetto di seta scarlatto. "La mia dimora è andata persa quasi mezzo secolo fa. Ma ahimè, quelle mura erano tutto per me e la mia progenie. Un luogo di culto, di potere, di superiorità."
"Patriarca." Disse un Vampiro Elfo Alto. "Quest'uomo potrebbe..."
L'uomo pallido alzò una mano, e l'Altmer vampiro si zittì. "Chiedo venia per la maleducazione dei mie figli, ma lo fanno perché... Mi idolatrano."
Il Conte Clavis pensò a sua figlia e abbassò gli occhi rattristito.
L'uomo pallido prese una coppa di pietra, l'alzò in aria. "Brindiamo al nostro nuovo amico e alleato!" Tutti e sette figli lo seguirono.
Il Conte Clavis guardò perplesso le loro facce pallide, poi prese il boccale di pietra davanti a sé e l'alzò in aria.
L'uomo pallido si voltò verso il Conte. "Non è sangue. E' vino Surille." Sorrise freddamente.
Il Conte Clavis tirò un sospiro di sollievo dentro di sé.
"Che le nostre due razze possono convivere fianco a fianco in una lunga ed eterna amicizia."
Tutti bevvero dai loro boccali.

Il Conte Clavis e l'uomo pallido camminarono in un lungo corridoio della caverna, illuminato da torce accese lungo la parete rocciosa e distanti 70 piedi una dall'altra.
"So bene che Cyrodiil non è pronta a convivere con i Vampiri," disse l'uomo pallido "ma non voglio deludere i miei figli. Presto o tardi la gente si adeguerà e..."
"I Vampiri terrorizzano la gente." Lo interruppe il Conte Clavis. "So per certo che ci sono molti vampiri che vivono tra gli uomini, ma non hanno mai detto chi sono veramente."
"Vivono indossando una maschera. Non è quello che voglio per la mia progenie." L'uomo pallido si fermò, così fece anche il Conte. "Noi sappiamo adattarci, adeguarci e convivere con altre razze se è necessario."
"Ma sai meglio di me che ci sono Vampiri che..." Il Conte Clavis si interruppe, cercando la parola giusta.
"Folli?" Disse l'uomo pallido, capendo a cosa si riferiva. "Sì, ci sono Vampiri che perdono la ragione, che non sanno controllarsi e quella è una macchia indelebile per la nostra razza."
"Ho sentito guaritori dire che..."
"Non ti mentirò." Gli occhi rossi dell'uomo pallido penetrarono freddamente quelli del Conte. "Hanno ragione. Noi Vampiri siamo in parte maledetti. Abbiamo un oscura presenza che si annida nei meandri della nostra mente, ma molti di noi lottano per scacciarla via. Io stesso ho lottato duramente, e tutt'ora lotto con questa presenza malefica."
"Siete sincero a dirmi tutto questo." Il Conte Clavis non si sarebbe mai aspettato tanta sincerità dal Patriarca.
"La sincerità è alla base di un forte rapporto." L'uomo pallido e il Conte Clavis si incamminarono nuovamente. 

Raggiunsero la piccola camera da letto del Patriarca, che fungeva anche da studio. Sulle pareti rocciose erano appesi degli arazzi vermigli con vari simboli, e sul pavimento erano adagiati molte assi di legno come pavimentazione e all'entrata, un lunga tappetto marrone privo di ornamento. Vi era un letto matrimoniale e tre sedie, una scrivania e due cassapanche, due scaffali pieni di libri e un baule chiuso con un lucchetto arrugginito, oltre a due poltrone.
L'uomo pallido andò a sedersi su quest'ultima, e fece un cenno con la mano a Conte Clavis di sedersi di fronte a sé.
Quando il Conte si sedette, entrò un uomo con una tunica di lana che non disse nulla e guardò il Patriarca.
Il Conte Clavis non capì perché i due si fissavano in silenzio, finché l'uomo con la tunica di lana uscì dalla stanza.
"Continuando il nostro discorso." Disse l'uomo pallido con un sorriso freddo, come se non fosse successo nulla. "E' facile per un Vampiro cedere alle proprie pulsioni. L'oscurità ha il fascino di una mamma protettiva, una volta che ti avvolge nel suo caldo abbraccio, non è semplice riemergere. Perciò quei vampiri non riescono più a uscire dal quel circolo vizioso."
Il Conte Clavis lo ascoltava di rado, domandosi il motivo dell'entrata del vampiro con la tunica di lana, e cosa si erano detti con gli sguardi silenti e glaciali.
L'uomo pallido inclinò leggermente il viso, serrando gli occhi rossi.
Il Conte Clavis percepì addosso il suo sguardo. "Ma so che basta un po' di sangue per placare la follia di un Vampiro. Molti guaritori curano così la malattia del vampirismo che affligge molto spesso gli avventurieri."
"Curano?" L'uomo pallido fece un sorriso glaciale. "Sono impostori. Il vero vampirismo non è facile da curare. La malattia nello stadio iniziale non è altro che una banale influenza. Non è grave se viene debellata in tempo. La vera cura comincia dopo, molto dopo. Un vampiro come me, non ha speranze di cura. Non può essere curato. Solo un intervento divino può cancellare via la malattia come il vento spazza via le foglie. Ma devo ammettere, che ci sono potenti negromanti che sanno come estirparla, persino al più potente vampiro."
"Ma so che i vampiri folli ritornano in sé bevendo del sangue."
"Per quanto? Un giorno?" L'uomo pallido si alzò dalla sedia e andò verso una cassapanca, afferrando una caraffa e versandosi del sangue nella coppa di peltro. Fece un sorso, mentre il Conte lo guardava. "Quei vampiri non torneranno mai sani. Una volta che plachi la follia con del sangue, rinforzi solo la tua parte oscura." Poi guardò la sua coppa. "Ora ti starai chiedendo come faccia a rimanere calmo? A non impazzire. La risposta è semplice: decido io come e quando bere. Seguendo questa linea, è molto raro che vengo colpito da... Avete capito, insomma." Fece un'altro sorso.
"Da dove prendi il sangue?" Il Conte Clavis si lasciò sfuggire la domanda, che aveva in testa da tempo.
"Anche se te lo dico, non mi crederesti." Rispose l'uomo pallido tornando a sedersi, e bevendo un'altro sorso.


 
*****


Quando Folk gli gettò dell'acqua fredda addosso, Brangor si svegliò di colpo, tentando di alzarsi di scatto, ma le mani legate dietro al palo di legno glielo impedì. Ermil Voltum sedeva su uno sgabello di fronte, mentre Folk ritornò alle spalle dell'Altmer. 
"Allora, vuoi dirmi chi ti manda?" Disse Ermil Voltum accigliato. Indossava una giacca verde, sotto una tunica bianca.
"Non mi manda nessuno!" Urlò Brangor. "Sono in missione per il Conte Hassildor." Il Nord si rese conto di essere rimasto privo di sensi tutto il giorno, poiché una fioca luce di candela illuminava la tenda. Inoltre, non sentiva più il martellare delle asce sui tronchi. Folk l'aveva steso per bene.
"Di nuovo questa farsa." Sbuffò Ermil Voltum alzandosi dallo sgabello. "Se non mi dirai chi ti manda..."
"Te l'ho detto!" Urlò Brangor.
"Non sarei mai arrivato a tanto..." Disse l'Altmer. "Ma ti farò vedere come sia il migliore anche nella tortura. Dopo tutto, sono il migliore in ogni cosa."
Folk roteò gli occhi sdegnato.
Ermil Voltum afferrò il coltello di ferro sul tavolino, puntò la lama verso l'occhio di Brangor e...


 
*****


"Che stiamo aspettando?" Chiese Mariliel nascosta nei cespugli.
Ramstan alzò una mano per dirgli di stare in silenzio. Poi con gli occhi seguì quattro uomini che si sistemarono dietro una tende. L'accampamento era completamente accerchiato, mentre i taglialegna dormivano incuranti di quanto stava per accadere.
"ORA!" Urlò il Redguard, alzando in aria la sciabola. 
Una trentina di uomini sbucarono fuori dagli alberi di pino, dall'erba alta e dagli arbusti.


 
*****


"Cosa è stato?" Ermil Voltum abbassò il pugnale confuso, voltandosi verso Folk. "Vai a controllare!"
Fuori dalla tenda cominciarono a levarsi delle urla. Folk sfoderò lo spadone lungo da dietro la schiena e li lasciò soli.
"TU!" Gridò l'Altmer contro Brangor. "Hai portato degli amici! Sei un bandito!"
Brangor non capiva. 
Quando Ermil Voltum fece per tagliare la gola a Brangor, un Imperiale entrò dentro la tenda armato di spada, seguito da un Bretone con una mazza ferrata. Entrambi indossavano un armatura di pelle.
L'Altmer si voltò di scatto, il pugnale puntato sulla gola di Brangor. "Un'altro passo e ammazzo il vostro amico!"
Perplessi, i due uomini si guardarono tra loro, e l'Imperiale fece spallucce.
Ermil Voltum spalancò gli occhi confuso e guardò Brangor. "Non è davvero un bandito." Pensò..
"Te l'ho detto che non sono un bandito, stupido coglione!" Urlò Brangor, mentre i due uomini risero.
L'Altmer digrignò i denti, pronto a tagliare la gola del Nord, ma il Bretone con la mazza ferrata lo colpì rapido alla schiena. Cadde a terra, il pugnale volò ai piedi dell'Imperiale che puntò rapidamente la lama verso Brangor.
"EHI! NO!" Urlò Brangor. "Non uccidetemi! Non sono uno di loro!" Si contorse, cercando inutilmente di alzarsi.
"Sei mio prigioniero!" Ghignò il Bretone. 
"L'ho trovato prima io!" Disse l'Imperiale, guardandolo minaccioso.
"Prenditi l'Elfo Alto!"
"Prendilo tu!" L'imperiale si avvicinò a un palmo dalla faccia del Bretone.
"Non vale un cazzo quel mingherlino!"
"E vuoi darmelo a me?" L'imperiale urtò leggermente la fronte del Bretone con la testa.
I due uomini si toccarono, si spinsero con la testa, gli sguardi sprizzavano fiamme da tutti le parti.
Brangor assisteva incredulo alla scena. Sembrava così irreale. Poi il suo sguardo si posò sul pugnale. "Devo prenderlo!" Allungò un piede per avvicinarlo, ma entrambi gli uomini lo videro e si girarono carichi di rabbia verso di lui.
"Merda!" Disse fra i denti.


 
*****


"Mi dispiace che non siete più partita." Disse il Conte Hassildor appena vide entrare nel suo ufficio Adrienne Berene. "Onestamente mi sorprende che sia qui" Pensò.
La donna si fermò davanti alla scrivania del Conte Vampiro.
"Accomodatevi."
Intimorita, Adrienne roteò gli occhi intorno e si sedette. La stanza era illuminata appena da qualche candela. "Può essere chiunque dietro quell'oscurità." Pensò.
Il Conte Hassildor percepì in modo quasi palpabile la tensione della donna. "Siete tesa?"
"No, sto bene." Mentì Adrienne, cercando di assumere un aspetto più duro possibile, ma quando incrociò gli occhi rosso sangue del Conte, ella abbassò lo sguardo.
"Nessuno può lasciare la città." Disse il Conte Hassildor afferrando la caraffa d'argento sulla sua scrivania. "Corrono tempi bui a Skingrad." Si versò da bere. Poi fece per versare del vino nel bicchiere di Adrienne, ma ella tappò il bordo della coppa con le dita. Il Conte Vampiro sorrise freddamente, posando la caraffa d'argento sul tavolo. Fece un sorso.
"Ho delle commissioni da sbrigare alla Città Imperiale." Aggiunse la donna. "Non potete chiudere un'occhio?"
Il Conte Hassildor non rispose. La guardò per un po', sorseggiando il vino. 
Adrienne era così tesa da sentire il suo cuore martellargli nel petto. Quando il Conte Vampiro posò la coppa sul tavolo, la donna sussultò appena dallo spavento.
Il Conte Vampiro se ne accorse, ma fece finta di nulla. "Purtroppo, devo declinare questo favore. Se acconsento a farvi lasciare la città, altra gente accorrerà qui per il tuo stesso scopo."
Adrienne abbassò lo sguardo rassegnata. "Se gli faccio pressione mi farà sparire nelle sue segrete o peggio..." Pensò.
"Se non c'è altro," Il Conte Hassildor si alzò dalla sedia, seguita da Adrienne. "vi accompagno alla porta."

Una volta nel corridoio, una guardia la scortò fin fuori dal castello.
"Devo trovare un modo di lasciare la città." Pensò, mentre percorreva il lungo ponte affiancato da torce accese con due guardie poste all'inizio e alla fine del ponte. La donna discese la collina frastagliata che era puntellata di arbusti, alberi e macigni; in cima invece, si ergeva solitario il Castello del Conte. Una guardia le passò accanto con fare guardingo. Lei abbassò lo sguardo. 


 
*****


Le fiamme divoravano le tende dei taglialegna in quella notte senza luna, levando al cielo fumi neri. Il fuoco crepitava sui pali di legno sui cui erano montate le tende. I prigionieri, nove in tutto, erano inginocchiato nei pressi della piccola collina dove un tempo vi era la tenda dell'Altmer. La maggior parte dei boscaioli aveva fatto resistenza, ed ora i loro corpi se ne stavano sul terreno in un lago di sangue.
Un Nord armato con un ascia teneva sott'occhio i prigionieri, mentre un Imperiale con una corda li legava mani e piedi.
Brangor, la faccia tumefatta, era l'ultimo della fila a partire da destra. Il Bretone e l'Imperiale avevano sfogato su di lui la rabbia di chi doveva prenderlo prigioniero, ma a Ermil Voltum era andato peggio. L'avevano lasciato quasi morente a terra, anche se era già privo di senso. Ora era l'unico in mezzo alla fila con la faccia nel fango in una maschera deforme per via dei pugni.
"Capo." Disse il Nord mettendo nella fodera l'ascia. "Ci sono tre uomini che chiedono una sfida ad elmi e bastoni."
"Così tanti." Rispose Ramstan, passando a rassegna i volti dei prigionieri che avevano gli occhi puntati sul terreno. Si girò verso il Nord. "Lo faranno all'accampamento. Ora mettiamoci in marcia."

Un timido sole si intravedeva all'orizzonte, lanciando fasci dorati al cielo. L'attacco era venuto quando il firmamento ad Est era biancastro, annunciando l'imminente alba. Un attacco rapido, spietato, che aveva lasciato parecchi morti tra i taglialegna. Ramstan aveva perso solo un uomo con un ascia piantata nel cranio. Il Redguard salì sul suo cavallo e si guardò intorno, ma non vide Mariliel. I prigionieri gli passarono affianco, scortati ai lati dai suoi uomini. 
"Dov'è la donna?" Chiese a un Imperiale che gli passava affianco. 
"Non lo so, capo." Rispose quello.
Spronando il cavallo, Ramstan cavalcò davanti alla fila. "Non è fatta per le battaglie." Pensò, mentre conduceva in testa la fila di prigionieri con un aspetto austero. "Non è posto per una dolce donna come lei."


 
*****


"Cercate ovunque!" Urlò Servin Ondus con l'elmo sotto un braccio. 
La guardia cittadina, otto in tutto, stavano rivoltando tutte le stanze adiacenti alla camera in cui erano scomparsi i cadaveri dell'Imperiale e del Nord. L'edificio era staccato dal resto del castello, e si poteva raggiungere solo tramite un corridoio dal pavimento e tetto di legno, che passava attraverso un piccolo giardino lasciato a sé stesso.
Setacciarono tutte le sette stanzette, ma non trovarono nulla.
Servin Ondus e i suoi uomini lasciarono l'edificio, iniziando le ricerche in quel giardino dagli arbusti secchi, erba alta e piante arrampicatrici sui muri. Vi erano delle panche in pietra ai lati dei sentieri inghiottiti dall'erbaccia. Servin Ondus si allontanò di poco dai suoi uomini, incuriosito da una specie di pozzo mezzo distrutto. Era poco distante dall'entrata secondaria del castello. Del pozzo rimaneva soltanto una palo e mezzo tetto di legno. "Non ricordavo un pozzo da queste parti."
Guardandosi intorno, si avvicinò con cautela, la mano sull'elsa della spada. Allungò la testa oltre le pietre. Non vi era nulla, oltre a delle sbarre di ferro arrugginito che sigillavano il pozzo, con sopra due pietre che un tempo appartenevano alla base della struttura. Si ritrasse indietro e si voltò. La guardia cittadina batteva le mani sui muri, controllava dietro quelle che un tempo erano siepi e persino sotto le mattonelle di pietra scheggiate e inghiottite dall'erbaccia.
Servin Ondus andò a sedersi su una panca di pietra, appoggiando l'elmo su di essa. Quando si voltò nuovamente verso i suoi uomini, l'elmo, adagiato malamente, cadde a terra e rotolò dietro i cespugli dai rami secchi. Servin Ondus si alzò, e mentre raccolse l'elmo notò qualcosa nascosta tra i cespugli. Un impronta di una mano ossuta di colore rosso scarlatto. Prendendo la pietra, guardò il segno, avvicinò il naso, annusò; era sangue. Allora si chinò e vide una specie di maniglia ad anello. Spazzò via la terra con una mano, scoprendo una botola di legno. Mise la mano sulla maniglia, ma si fermò. Non l'aprì. "Forse il Conte Hassildor vorrà prima essere informato" Pensò. Così si alzò e si voltò verso i suoi uomini. "Ho trovato qualcosa! Fate venire il Conte Hassildor!"


 
*****


Erina ritornò nella stanza in cui giaceva Netrom Morten imperlato di sudore. Si sedette accanto, prese un stoffa di lana da sopra il comodino e gli asciugò la fronte. Gli occhi del Bretone si muovevano freneticamente sotto le sue palpebre. Erina sospirò. "Chissà cosa starà sognando. Forse lotta, forse sogna me.."
Gli prese una mano e la mise nella sua sua. Era fredda, molto fredda. Erina non capì. "Il suo volto sembra uscito dagli inferi dell'Oblivion, eppure le sue mani..."
"Avevo intuito che saresti ritornata."
Erina balzò quasi dalla sedia, e si voltò di scatto.
Il Conte Hassildor era sulla soglia, le mani incrociate dietro la schiena. I suoi occhi rosso sangue sprizzavano voluminosi dal suo pallido e apatico viso.
"Resterò al suo capezzale finché non si riprenderà." Disse Erina, tornando a guardare il viso arrossato e sudato di Netrom Morten.
Per un attimo, come se le parole di Erina avessero riportato alla luce qualcosa che egli aveva dimenticato, il Conte Hassildor vide proiettata davanti ai suoi occhi la sua amata, sua moglie. Era da tempo che non ricordava più il suo viso. Il suo olfatto fu pervaso da un incantevole aroma di pesca che sua moglie tanto amava. Poi ella svanì. Il Conte Vampiro abbassò gli occhi. "Rona..." e in quell'istante, la sua mente lo riportò indietro.

Rona era distesa sul letto dalle rosse lenzuola riccamente elaborate. Indossava un camicetta di velluto rosso e una lunga gonna dello stesso colore e tessuto. Al collo una collana d'oro. Il Conte Hassildor le sedeva accanto, le dita intrecciate nella sue. Era una scena che aveva rivissuto solo una volta, e da allora, qualcosa dentro di lui l'aveva sepolto, nascosto, così da fargli dimenticare quel dolore che lo tormentava e nello stesso tempo lo allietava.
Vicino al letto, su un piccolo comodino, vi era un ampolla con all'interno un liquido rosa. Il Conte Vampiro sapeva che era arrivato il momento di lasciar andare Rona, ma qualcosa dentro di lui gli diceva il contrario. Il suo egoismo, il suo egocentrismo gli diceva che senza Rona sarebbe stato perso. Lottò contro la morsa invisibile che gli serrava la mente come un serpente che stritola la sua preda. E alla fine, vinse.
Prese l'ampolla, levò il tappo e un odore acre di putrefazione si levò in aria. Distolse il viso dall'ampolla, coprendosi il naso con la manica della giacca di seta bordeaux. 
Melisande, una strega che aveva preparato la pozione per il Conte, lo guardò per un secondo, poi muovendo le mani in gesti che il Conte Vampiro in un altro momento avrebbe ritenuto folli o strani, risvegliò Rona dal profondo abisso di sogni in cui era caduta. La strega andò via, lasciando da soli i due amati.
Il Conte Hassildor si alzò in piedi, con il corpo leggermente chino verso la sua amata e una mano sulla sua. "Rona, mia amata. E' ora di svegliarsi."
"Cosa..? Janus... Per favore, no." Bisbigliò lei con un voce debolissima; una voce non più abituata a parlare. "Fammi dormire." Gli occhi dall'iride rossi mezzi chiusi, il viso pallido, le labbra screpolate. "
Per favore, fammi dormire."
"Va tutto bene... Va tutto bene." Il Conte Hassildor sorrise; un sorriso caloroso, vero, che non riuscì mai più a replicare. "Sono venuto per darti pace."
"Posso... Riposare? Davvero?" Nel volto di Rona si dipinse un sorriso, una speranza, un lieto fine. 
"Sì, mia amata." Il Conte Hassildor avvicinò l'ampolla alle sue labbra screpolate. L'aria era ormai satura dell'odore di putrefazione proveniente dal liquido rosa, ma Rona non sembrò averla percepita. "Bevi. Andrà tutto per il meglio." Il Conte Hassildor mise una mano dietro la nuca di Rona, alzandole leggermente la testa, mentre le sue labbra screpolate toccarono il freddo bordo dell'ampolla. Ella non sentì nemmeno allora l'acre odore. Il Conte inclinò leggermente l'ampolla, e con difficoltà, Rona bevette debolmente un piccolo sorso.
Fece quattro sorsi, dopodiché guardò il Conte Hassildor che le sorrise. Rona fissò intensamente i suoi occhi rossi, con un leggero sorriso pacifico sulle labbra. Con tutta la forza che aveva in corpo, gli strinse le mani per ringraziarlo, per dirgli che lo amava e lo amerà per sempre. Poi le sue dita si rilassarono, scivolarono di lato, sul letto. Rona esalò l'ultimo respiro, guardando per l'ultima volta il volto del suo amato. Il Conte Hassildor rimase a guardarla immobile, confuso, poi posò la testa sul suo grembo, e rimase così, mentre il suo mondo crollava su sé stesso per non riaffiorare mai più.

Il Conte Vampiro si riprese da quel lampo che fu il ricordo più straziante della sua vita. Osservò Erina asciugare con una stoffa di lana il sudore dalla fronte di Netrom Morten. E fu proprio lì, che sentì una fitta al cuore e lasciò la stanza come un ombra inghiottita dall'oscurità.
Netrom Morten aprì gli occhi.






ANGOLO AUTORE

Mi scuso se posto questo capitolo dopo quasi un mese, ma per via del tempo non ho potuto fare altrimenti. Vi ringrazio per il vostro tempo che dedicate alla lettura dei mie capitoli, e un grande ringraziamento a chi recensisce i mie capitoli! Grazie!
   
 
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