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Autore: Symphonia    25/10/2019    1 recensioni
Raccolta di oneshot con protagonisti vari personaggi in vari momenti della vita. Un sacco di missing moment e slice of life - alcuni comici, altri un po' meno (forse) - che cercherò di raccogliere in un ordine relativamente cronologico per comodità. Pronti a farvi quattro risate in compagnia dei personaggi di Captain Tsubasa?
1: Diventare grandi: Finite le medie, Kojiro è alle prese con l'incubo di tutte le ragazze [Genere: comico | Personaggi: Kojiro, Takeru, Naoko e Masaru Hyuga | Parole: 3688]
Stato della raccolta: in corso
Genere: Comico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Kojiro Hyuga/Mark
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Diventare grandi


        Non un rumore, nemmeno un cinguettio.
    L’aria era permeata da un silenzio noto solo a chi viveva in città. Quel rarissimo silenzio che si creava quando non passavano macchine, né persone; le strade allora diventavano vuote, tutto un unico, grande deserto d’asfalto, condito dal borbottio del treno che sfrecciava sulle rotaie in lontananza e il lieve fruscio di quei pochi alberi che crescevano nel quartiere. Dipingevano chiazze grigiastre sui tetti, sulle finestre e un po’ per terra, imitando un quadro astratto.

    Tutto era permeato da un beato mutismo. Non sbattevano nemmeno le porte che, ogni mattina, salutavano di continuo gli inquilini delle case. La via era tranquilla.

    Cercando di preservare quella pace, la donna si sedette lentamente sul gradino del
genkan. Prese le scarpe dalla suola consumata e fece per indossarle.
    «Mi dispiace chiederti questo proprio mentre sei in vacanza...» sussurrò.

    «Non scherzare, mamma.» rispose il ragazzo. Aveva una voce profonda, ma dolce. «Non vuoi che vada io? Sicura?»

    La donna scosse la testa. Un sorriso stanco si fece strada tra le rughe.

    «Starò via solo per un paio d’ore.» rispose, alzandosi.

    «Tranquilla! È tutto sotto controllo. Ci penso io.» gonfiò il petto «D’altronde, l’ho sempre fatto bene.»

    La madre non poté fare a meno di sorridergli.
«Anche se adesso andrà in prima superiore, non cambierà mai...» Raccolse la borsa e iniziò a incamminarsi. «Allora a dopo, tesoro.»
    Con un gesto veloce, Kojiro la salutò e chiuse la porta. Fissò per un attimo il corridoio, poi iniziò a girovagare. Tirò un sospiro.

    Era vuoto.

 

 

    Silenzioso.

 

 

    Pacifico.

 

 

    Non poteva desiderare di meglio.
    Era da tanto che non passava una mattinata a tenere d’occhio quelle tre pesti. Se l’era sempre cavata bene, non c’era nulla di cui preoccuparsi; probabilmente sarebbero rimasti addormentati fino a tardi. Certo, lui preferiva che si svegliassero sempre presto, ma sotto vacanze poteva concedere un’oretta o due in più.

    Aprì leggermente lo
shoji della loro camera - giusto uno spiraglio. Avvolti nelle braccia del buio, s’intravedevano tre futon stesi per terra, tutti rigorosamente in fila. Dalla sua vecchia coperta verde con i palloni da calcio, spuntavano i ciuffi di Takeru. Nel marasma blu s’era agitato Masaru. Tra i petali di ciliegio della coperta rossa dormiva Naoko. Aveva tra le mani un libro sugli yokai. Ultimamente s’era appassionata al genere horror.
    «Che bello quando dormono...»
    Entrò per coprire Masaru, cosicché non prendesse freddo e poi - sempre in rigorosa punta di piedi - fece scivolare il pannello e scappò via.

    Arrivato in cucina si preparò un tè. Mentre aspettava il gorgolio dell’acqua, tirò fuori un libro di testo dallo zaino. Doveva approfittarne, perché sapeva che quella situazione non sarebbe durata a lungo.

    E aveva ragione. Non passò neanche mezz’ora, che uno strillo squarciò le pareti di casa e gli fece quasi sputare il tè.
 

 

    Tump!

 

        Tump!

               Tump!

                    TuTumTumTUMTUMP!!

 

    I passi frenetici dei bambini rimbombarono per il corridoio. Kojiro iniziò un conto alla rovescia. «Tre...» Era già rivolto verso l’entrata col gomito appoggiato sullo schienale della sedia. «Due...» accompagnò quella posa da uno sguardo rassegnato. 
    «Uno...»
 Lo shoji venne spalancato con una forza inaudita, rivelando delle facce terrorizzate.
    «FRATELLONE!»  
    Kojiro sussultò. Quella non era per niente la situazione che s’immaginava. Niente lagne sulla colazione? Sul sonno? Avevano fatto un incubo?

    «Che succede?»

    «È TUTTO ROSSO!» esclamarono Takeru e Masaru in coro.

    «Cosa è tutto rosso?»

    «IL LETTO DI NAOKO!! È TUTTO ROSSO!!» continuò il più piccolo, boccheggiando. Aveva il moccio al naso e dei lacrimoni enormi che gli scendevano giù per le guance rosse; c’era una paura inusuale sul volto di entrambi.

    Con uno sguardo incredulo, Kojiro si ritrovò a dover inseguire i due fratellini in camera.

 

 

***


 

    Arrivarono in fretta e furia. Al centro della camera ancora buia c’era Naoko, che stava piangendo disperatamente. Kojiro le si avvicinò preoccupato.
    “Non è colpa mia...” singhiozzò la bimba, spostando con pesantezza la coperta, rivelando una grande chiazza. Teneva le gambe divaricate, i pantaloni dei pigiama tutti inzuppati. Il ragazzo appoggiò un attimo le dita sulle lenzuola per accertarsi fosse ciò che pensava.

    Si sfregò le dita arrossate — sì. Era decisamente sangue.

    «NON È COLPA MIA, LO GIURO!»

    «Lo so, piccolina. Lo so.» le rispose il fratello maggiore. Le accarezzò la testa dolcemente. «Adesso risolviamo...» Prese un bel respiro, pensando al da farsi. Era una situazione completamente anomala, ma poteva gestirla.

    «Takeru, vai in camera di mamma e prendi delle lenzuola pulite. Portale in soggiorno. Masaru...» gli passò un fazzoletto «Tieni e vai a fare colazione. In quanto a te, Naoko...» continuò, prendendola in braccio, ma se ne pentì nel giro di tre secondi. Sentì il braccio inumidirsi e vide che s’era sporcato di sangue. Sospirò. «Devo spiegarti un paio di cose.»

    Si era spaventata, perché nessuno l’aveva ancora preparata a un evento simile.
«E chi se l’aspettava che avesse già l’età per
sta roba?!»

 

 

***

 

 

    Kojiro la portò in bagno. Riempì la vasca d’acqua calda, le lanciò una paperella e la lasciò lavarsi in pace. Si sciaquo il braccio, fece mente locale e sparì dietro un armadietto, alla ricerca di qualcosa.
    «La mamma dovrebbe averne ancora da qualche parte... spero...»
    Nel mentre Naoko mollò il pigiama e le mutande sporche in una bacinella, per poi buttarsi in vasca con il giocattolo consumato. Galeggiava squilibrato nel mare di schiuma. Ormai non poteva più vedere bene dove andava, perché gli occhi erano quasi spariti del tutto, assieme al bel arancione del becco, rimasto vivo solo sulla punta; ma poteva benissimo sentire ed essere testimone del dialogo più imbarazzante che si sarebbe sentito in quel bagno per i prossimi diec’anni.
    «Fratellone?»
    «Dimmi.»

    «Cos’è questa cosa?»
    Eccola.

    Era arrivata. La domanda a cui Kojiro sperava di non dover mai rispondere in prima persona. Le guance si imporporarono. Il panico iniziò ad attaccare la sua mente. Cosa doveva dirle? Cosa si diceva
 di preciso in queste situazioni? Non era troppo piccola per questi discorsi? 
    «Com’era la storia del cavolo? Nah, non se la berrà mai...»
Si fissò nell’abbozzato riflesso delle mattonelle. «Andiamo, te l’hanno spiegato a educazione sessuale ’sta cosa. Era ovvio sarebbe accaduto, prima o poi...»
    Non era pronto. Non era assolutamente pronto. Da quando il padre era morto, era diventato lui “l’uomo di casa”, ma sperava che questo tipo di discorsi li facesse ancora sua madre — ma lei non era lì. Doveva arrangiarsi. Come un adulto. Come al solito.
    Poteva farcela.

    Doveva farcela.
    Prese un bel respiro.

 

    «Beh... Perché stai diventando grande.»
    Una pausa dal suono di goccia.

    Naoko non capì molto bene cosa intendesse. Credeva che il fratellone fosse
grande”, non lei. E tra loro c’era una differenza di almeno uno... due... - tirò fuori tutta la mano e se la fissò - cinque anni (e mezzo). Eppure non reputava Takeru grande.
    Fece balzare la paperella a destra e manca, cercando di sbrogliare questo complesso concetto. Poteva lei
“diventare grande” dopo Kojiro, ma prima di Takeru, che era l’altro suo fratello maggiore? Ma poi cosa significava “diventare grande”?
    «Fratellone.»

    «Mh.»

    «Perdi tanto sangue quando diventi grande?»

    «In che senso?»

    «Anche a te succede?»

    «EH?!» sobbalzò e ci poco mancò che non batté la testa sull’anta dell’armadietto. «No, no! È una cosa che viene solo alle ragazze!»

    «E perché?»

    Il ragazzo pensò bene se continuare quella conversazione. Era Naoko. Era una bimba curiosa, a cui piaceva leggere, domandare qualsiasi cosa non capisse e masticare più argomenti possibile. Non sarebbe mai riuscito a far cadere il discorso con una qualche scusa. La sua era una curiosità senza fondo: per farla stare buona avrebbe dovuto spiegarle tutto nei minimi dettagli.

    Tutto.

    E lui non voleva rischiare di saltare dall’anatomia de ‘L’allegro chirurgo’ al baratro delle relazioni sessuali. No, no, no. Avrebbe fatto del suo meglio per rimandare il discorso fino al ritorno della madre.

    «Perché?!»

    «Ah, quant’è insistente!» Prese a grattarsi nervosamente la testa. «Perché... beh... Perché diventate delle vere signorine...»
    «Non ha senso.» sentenziò la bimba, tornando a tormentare il giocattolo.

    «Eh, lo so!» pensò Kojiro, ben sapendo che la sua sorellina non credeva molto alle frasi fatte.
    Non ce la poteva fare. Mettersi nei panni di sua madre durante un discorso del genere gli era impossibile. E non poteva di certo spiegarle come fecero con lui a scuola! No, no, NO E NO. Era assolutamente fuori luogo. Doveva tagliare corto, come faceva coi suoi compagni. Aveva ragione lui, punto. Niente discussioni. Breve, conciso, netto.
    «Stai semplicemente diventando adulta, Naoko. E questo è quello che accade alle ragazze quando crescono.»

    «Eeeh... Ma fa schifo!» esclamò la bimba, agitandosi e schizzando acqua dappertutto. «E le mie mutande carine sono tutte sporche...!»

    Kojiro smise di sfregare e diede un’occhiata a com’erano ridotte. Il coniglio stampato sopra poteva comodamente diventare il protagonista di un film splatter.

    «Mi sa che le dovremo buttare, sai...» borbottò, mostrandogliele.

    «NO, DAI!»

    «Mi dispiace, piccola.»

    «ODIO QUESTA COSA!» Di nuovo, le mani fecero un macello tra la schiuma e l’acqua. Si fermò un attimo a guardare la paperella. «Ce l’ha un nome?»

    «La papera, dici?»

    «No, questa cosa!»

    «Ah...» La fissò per un attimo. Il suo cervello stava cercando di smistare le informazioni tra nocive e innocue. Sì, era un’informazione che poteva darle, quindi fece per risponderle: «Ciclo mestruale — o mestruazioni.»

    Il viso della bimba si imbronciò ancora di più. «Pure il nome fa schifo!»

    «Dillo a me...» mormorò il ragazzo, lavandosi le mani. Era veramente una situazione imbarazzante.

    «E a che mi serve?»

    Volse gli occhi al cielo. Pregò non avesse mai la sfortuna di avere figlie femmine.

    «Beh... - una pausa, per respirare e semplificare i concetti - Diciamo che senza, da grande, non potrai diventare mamma.»

    La bimba si sporse dalla vasca e lo fissò con un bagliore di illuminazione negli occhi.

    «Quindi la cicogna si berrà il mio sangue!»

    Kojiro sentì un brivido attraversargli la schiena.
«L’ha trasformata in una scena horror in meno di cinque secondi!»
    Si voltò con un sorriso tirato. «No, Naoko, non funziona così.»
    «Anche alla mamma sono venute?»
    «S-Sicuramente.»

    «QUINDI LA CICOGNA-»

    «LA CICOGNA NON HA BEVUTO IL SANGUE DI NESSUNO!!»

    Un’eco ribombò nei tre metri quadrati del bagno. Per un attimo ci fu silenzio. Non era però quell’incantevole, rilassante silenzio mattutino. No. Era terrificante. E l’eco delle gocce che tartassavano il lago nella vasca lo rendevano ancora più inquietante.

    La bimba s’affacciò nuovamente dalla vasca. «E tu come lo sai?»

    Eccolo.
    Era arrivato il momento della verità. Kojiro chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.

    «Perché... non c’è nessuna cicogna, Naoko.»

    Bomba sganciata.

 

 

 

 

 

 

 

 

    Questo era un tipo diverso di silenzio. Quello mortale, distruttivo, di quando infrangi le certezze di qualcuno. La bimba restò a bocca aperta. E poi quella stessa bocca prese la forma di un sorriso.
    «LO SAPEVO! Quindi i bambini non li porta la cicogna?»

    «No, piccola. Il mondo funziona in un modo più complesso di così.»

    «Eeeh? E come funziona?»
    «In maniera mooolto semplificata si può dire che... i bambini crescono nella pancia.»

    «Non ti seguo.»

    «Non ti ricordi il pancione che aveva mamma prima che arrivasse Masaru? Ecco. Quello. Semplicemente, funziona così.»

    «Quindi è come Alien?»

    «B-beh no... non proprio. I bambini non sono parassiti, Naoko!»

    «Però a che serve? Perché devo perdere sangue?»

    «È... beh... - un altro time out per prendere l’asciugamano e pesare per bene le parole - è essenzialmente un segnale che il tuo corpo ti dà.»

    «Ah... E che dice di preciso?» chiese la sorellina incalzante, mentre usciva per asciugarsi.

    «Che non aspetti bambini.»

    «Quindi non ho un Alien nella pancia?»

    «No.
» rispose secco «non hai un Alien nella pancia, Naoko.»
    «Ok.»

    Non era ok. Naoko sentì un rivolo di scenderle fino le caviglie. Lo vide ed era rosso. «E deve fare così schifo??» Si ributtò nel giro di cinque secondi nella vasca. «PERCHÉ NON SI FERMA?!»

    «Calma, calma... adesso ti spiego una cosa: lo vedi questo?»

    «Sì.»

    «Si chiama assorbente.»

    «E a che serve?»

    «A... non sporcare le mutande carine.»

    «DAMMELO.»
La bambina cercò di acchipparlo come un gatto quando cerca di catturare un qualsiasi tipo di essere o oggetto volante.
    «Devo prima spiegarti come si usa...»

    «Ma se voi maschi non avete queste mesuarazioni...»

    «Si dice mestruazioni.»

    «È la stessa cosa! Allora come fai a sapere come si usa??»

    «È scritto sulla scatola. Sicura che la fai da sola?»

    Naoko annuì fortemente e strappò la biancheria pulita dalle mani del fratello maggiore, che tornò sconsolato a lavare il pigiama con lo smacchiatore. Sentì la plastica strapparsi, vide un pezzetto di carta volare e con la coda dell’occhio, notò che Naoko stava studiando come attaccare l’assorbente alle mutande, neanche fosse un progetto ingenieristico. Ovviamente, la scatola con le istruzioni era stata abbandonata per terra.

    «Fratellone.»

    «Dimmi.»

    «Sono bianche, si sporcheranno di nuovo e mamma le ha appena lavate, lo sai?»

    «Non c’è molta scelta...» borbottò Kojiro, studiando l’attaccapanni. «Ci sono le mutande viola coi fantasmi, se vuoi.»

    «Scherzavo, queste vanno benissimo.»

    Osservò di nuovo le mutande, poi di nuovo suo fratello, che a sua volta stava fissando la paperella ormai abbandonata a se stessa. Non stava pensando a niente di particolare.

    «Pensi che dovrei prima indossarle, vero?»

    Kojiro sbatté le palpebre e fece le spallucce. «Mi pare più comodo.»

    Naoko annuì. Indossò malamente le mutande, riprese ad armeggiare con l’assorbente, attaccò correttamente le ali, le tirò su e si coprì con l’asciugamano. Saltò allegra fuori dalla vasca, il volto tutto soddisfatto.

    «Ecco fatto! Per quanto lo devo tenere?»

    «Non saprei... finché non lo senti pieno?»

    «Che vuol dire?»

    «Forse devi vederlo come un pannolino...»

    «Ma ti pare che io sia una poppante??»
    «Chi diavolo ti ha insegnato a parlare così?!»

    Dal basso del suo metro e trenta scarso, Naoko squadrò il suo fratellone con aria sfacciata. Le si leggeva negl’occhi la domanda:
«Te lo devo proprio spiegare?»
    Se Kojiro non voleva i suoi fratellini attorno quando andava a giocare calcio, il motivo era presto detto: non voleva che prendessero le sue brutte maniere. Almeno a casa cercava sempre di contenersi un minimo e di dare il buon esempio. Sospirò rassegnato. Sperava almeno non diventassero tutti e tre turbolenti come lui.
    «Facciamo che lo tieni finché non torna mamma. Quindi... due ore?»
    «E poi basta?»

    «Beh, no... lo dovrai cambiare.»

    «COME CAMBIARE?!»

    «Te l’ho detto di pensarla come a un pannolino!!»

    «Ma è scomodo e mi prude!»

    «Devo preoccuparmi se le prude? Si può essere allergici agli assorbenti?? Mica sta roba è scaduta?! Chiamo la pediatra?»
    Nel mentre, Naoko gli tirava il braccio. «Allora? Quanto tempo dura questo schifo?»
    «Una settimana... più o meno.» Ormai stava citando la sua insegnante di educazione sessuale a memoria.
    «E poi basta?»

    «No, piccolina. D’ora in poi ti verrà una volta ogni mese... mi pare.»

    «Per sempre?»

    «Beh, non per sempre sempre...»

    «Per un mese?»

    «Un po’ di più.»

    «Un anno?»

    «Ancora di più.»

    «Non dirmi che...» le piccole fessure di Naoko si spalancarono, rivelando gli occhi nocciola, sconvolti. «Devo diventare una vecchina perché smetta?!»

    «Praticamente.... sì.»

    Naoko s’accasciò sul pavimento.

    «Dai, non fare così...» borbottò Kojiro tirandola su

    «NELLA LETTERINA CHIEDERÒ A BABBO NATALE LA VECCHIAGGINE!»
    «Si dice vecchiaia, tesoro.»

    «È LA STESSA COSA!»

    «Per l’amor del cielo, speriamo non diventi così isterica ogni volta che le viene il ciclo...»
    D’un tratto, si sentì bussare alla porta del bagno.
    «NAOKO, STAI FACENDO LA PUPÙ?!»

    «NO!»

    Il fratello maggiore buttò la testa all’indietro, chiedendosi da chi avessero preso pure quella brutta abitudine.
«Ma perché devono sempre urlare?»
    «CI POSSO ANDARE IO?? MI SCAPPA LA PIPÌ!!»
    
«NO!»
    «PERCHÉ?!»
    «PERCHÉ HO DETTO DI NO!!»
    Senza accorgersi d’essersi risposto da solo, prese la bacinella e la svuotò in fretta nella vasca da bagno, che stappò, facendo scendere tutto nello scarico. Buttò il pigiama sporco nella lavatrice e salvò la povera paperella dall’oblio, lasciandola ad ammirare il paesaggio del bagno dall’alto dell’armadietto.

   
«Che velocità.» commentò Naoko.
   
«FRATELLONE!»
    Kojiro sbatté lo
shoji di cattiveria, facendo sussultare i due bimbi. Le urla di prima mattina no, specie dopo quell’epopea, che era ancora in corso.
   
«Masaru. Piantala di urlare.»
    Imperativo.

    Il bambino annuì e, a salti piccoli, cercò di entrare nel bagno. Il fratello maggiore lo seguì con sguardo severo: peccato non fosse un gufo e non potesse girare la testa oltre i novanta gradi. Sembrava che i suoi fratelli potesse tenerli sotto controllo solo fulminandoli di cattiveria o alzando la voce. Non si divertiva molto a farlo, ma quando ci vuole, ci vuole.

    «La posso fare nel vasino anche da solo.» borbottò Masaru.

    «Prego.»

    A questo giro, lo
shoji scorse molto più tranquillo. Kojiro e Naoko s’incamminarono verso la cameretta, uno per pulire, l’altra per rivestirsi. Nel breve tragitto, la più piccola si ricordò di una cosa.
    «Fratellone, le hai buttate le mie mutandine nella lavatrice?»

    «No, sono rimaste nella bacinel—» Il rumore dello scarico riecheggiò per il corridoio. I due fratelli si voltarono lentamente, con le facce incredule e in testa lo stesso pensiero. «ODDIO, MASARU!»

    La porta venne fatta scorrere per l’ennesima volta e a questo giro rivelò un bambino intento a salutare la tazza del water.

    «Bye, bye!»

    Kojiro gli si avvicinò stanco e visibilmente confuso. «È tutto a posto?»

    «Eh? Sì.»

    Naoko fu invece meno calma e prese il fratellino per le spalle: «DOVE SONO LE MIE MUTANDE??»

    Completamente ignaro di tutto ciò che era accaduto prima, Masaru fece le spallucce e con un sorriso contento indicò la tazza. «Ah, le ho buttate nel vasino.»

    «COSA?! PERCHÉ??»

    «Beh, perché le cose sporche vanno giù per il vasino, no?»

    «Masaruuu!! Non ci devi mettere le mutande nel vasino... SPECIE SE SONO LE MIE!!!»

    Kojiro dovette appoggiarsi sul muro per un attimo.
«Questa cosa non sta accadendo davvero...» Si passò una mano sul volto e non sapeva se mettersi a ridere o a piangere. «Preghiamo che non si intasi lo scarico...»
    «CI DEVI SOLO FARE LA PUPÙ E LA PIPÌ, HAI CAPITO??» continuò a rimproverare Naoko imperterrita, mentre Masaru faceva finta di impugnare una spada o qualcosa del genere. «E SMETTILA DI GIOCARE CON LO SCOPINO!»

 

 

***

 

 

    «Posso darti una mano, fratellone?»  
    «Quanto ti fa impressione il sangue, Takeru?»

    Il bambino sull’uscio fece le spallucce. «Non tanto. È a Masaru che fa schifo.»

    Entrò in camera e prese ad armeggiare col futon. «Certo che è una gran bella macchia... sta bene?»

    «Niente di preoccupante.»

    «Dici che dovremo cambiarlo?»

    «Se non va via, ci faremo un pensiero.»

    «E perché Naoko continuava a urlare prima?»

    «Masaru ha mandato le sue mutande preferite giù per lo scarico.»

    Silenzio. Takeru sobbalzò, trattenendo a stento una risata. La mandò giù a forza e, dopo aver lasciato passare qualche secondo, commentò con un semplice, ma poco convincente: «Ah.»

    «È stata colpa mia.»

    «Tranquillo, capita anche ai migliori.» rispose, appoggiando una mano sulla sua spalla.

    «Ma da quando sono diventato io il fratello da consolare?»
    «È vero! Non fa niente.» confermò una voce sull’orlo dell’entrata. Kojiro si voltò giusto per vedere il viso sorridente e premuroso di Naoko. «Ho altre mutandine carine. Ma non le metterò con questo schifo.» borbottò, giocando con l’orlo dell’abito.
    «Fai bene.»

    «Ma che è successo?» chiese Takeru

    «Non avrò bambini!!» annunciò tutta felice. Takeru la squadrò confuso, mentre Masaru spuntò dal corridoio, urlando: «Certo, altrimenti verrebbe la cicogna!»

    «No, Masaru. Le cicogne che portano i bambini non esistono!»

    «Che cosa?!?»
    
«Me l’ha detto il fratellone prima!»
    Neanche il tempo di respirare che tre paia di occhi puntarono il fratello maggiore, a cui le spalle s’irrigidirono di colpo. Sbatté maldestramente il futon incriminato sulla traversa della finestra e lo abbandonò lì ad asciugarsi.

    «... Mamma ve lo spiegherà meglio.» rispose. Si rifiutava categoricamente di rifare quell’esperienza mostruosa, quindi optò per il cambio argomento. «Avete fatto tutti colazione?»

    La mano di Masaru scattò più veloce della luce. «IO HO APPENA FATTO COLAZIONE! E SAPETE COSA HO CAPITO?»

    «Cosa?» chiesero gli altri tre in un coro poco incoraggiante.

    «Che è molto antipatico scorreggiare in faccia agli amici.»

    Risero tutti di gusto a quella morale così fuori contesto.

    «Me lo segnerò tra le cose da non fare mentre sono agli allenamenti.» commentò Kojiro.

    Guardò teneramente i suoi tre fratelli ridere e prendersi in giro sulle uscite infantili di Masaru, quando un soffio malinconico gli sfiorò la schiena. Senza rendersene conto, stavano crescendo tutti quanti. 
    Masaru - per quante stupidaggini dicesse - avrebbe iniziato l’ultimo anno di asilo e presto sarebbe andato a scuola da solo. Naoko era ufficialmente entrata nella prepubertà. Takeru, tra un paio di brufoli e meno piagnistei, stava per iniziare le medie. E lui, Kojiro, il gran fratello maggiore, si stava allontanando sempre di più, decidendo di perseguire la sua strada e diventando di giorno in giorno sempre più indipendente. Sarebbe arrivato il giorno in cui non avrebbe più potuto godere di quelle piccole gioie e stupidaggini fraterne.

    Si staccò dal muro e prese a scompigliar loro i capelli uno ad uno. «Restate così per sempre, anche quando sarete più grandi, d’accordo?»

    «Va beeene.» rispose Masaru

    «Ok!»

    «Che sono queste smancerie?» chiese Takeru, divertito.

    Kojiro fece una smorfia divertita e li fece uscire dalla camera. «Dai, in cucina.»
    E chiuse lo
shoji.

   










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            N.A.: sono tornata! Ho un paio di oneshot in corso e ho notato che hanno un tema comune, quindi ho deciso di farne una raccolta che aggiornerò pian piano. Ho riletto questa OS un sacco di volte, ma vi prego, se trovate errori e avete piacere, non esitate a farmelo notare! :)
            Alla prossima!

   
 
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