Cap.18 Impossibilitato a morire
La luce entrava nello stanzone da una
finestra circolare, al
posto del vetro era sigillata da della carta bianca e sottile.
Kai guardava davanti a sé
con espressione spenta, i capelli
spettinati e i vestiti strappati.
“A che pro ho sconfitto la
strega? Uccidere il vigliacco che
ha voluto la morte del nostro signore non ce lo ha restituito.
Tutti, persino Asano, hanno fatto seppuku. Io ho provato, ma non sono
riuscito. Non posso far parte
dei samurai neanche nella morte.
Non voglio che Isshin debba farlo al
posto mio, è così
giovane, ha una vita radiosa davanti a sé. So che la giovane
Mariko ama lui,
non voglio essere costretto a sposare la mia diletta signorina.
Devo trovare un modo”
gemette.
< So che Mariko aspetta il
nipote di Eddard da lui.
Presto le sue rotondità saranno evidenti. Se penseranno che
è mio, lo odieranno
come mezzosangue maledetto. Se capiranno che mi ha tradito,
verrà disonorata
> rifletté.
“Ōkami, tu ti sei piegato al tuo signore, servendo
il suo nome. Come puoi giudicare la fedeltà che mi lega al
mio?” domandò la
strega.
Kai si
acquattò a
terra e ruggì con forza, abbassando le orecchie.
“Se
il tuo signore
vuole essere servito attraverso trucchi, sterminando innocenti,
entrambi non
valete niente e non siete degni nemmeno della polvere che si posa sulla
tomba
del mio shogun!” gridò.
Da fuori veniva il rumore
gorgogliante di un fiume.
Kai stava seduto nella fessura tra il
muro ed una serie di
scatole di legno. Il viso nascosto tra le mani, il suo respiro era
rarefatto ed
i suoi occhi erano arrossati.
< Tutti sono riusciti a
togliersi la vita, io non ho
potuto neanche questo. Nemmeno l’ultimo omaggio ho potuto
rendere il mio
signore. Maledetto ad essere un demone reietto fino
all’ultimo.
La morte sta ridendo di me in questo
momento, mentre la mia
vita si costella dell’ennesima ingiustizia >
pensò. Strinse le labbra ed
inghiottì un singhiozzo.
Le scatole erano chiuse da delle
corde. L’ambiente,
ricoperto di sigilli magici, era perfettamente pulito.
L’incantesimo lo rendeva
antisettico.
Il pavimento di legno brillava, il
bianco delle pareti dove
erano affissi i sigilli di stoffa era così abbacinante da
abbagliare.
Dei passi sottili risuonarono.
Kai corrugò la fronte,
mentre appiattiva le orecchie da lupo
sulla testa. Sgranò gli occhi, trovandosi davanti un ramo
dai morbidi fiori di
ciliegio, di un rosa che risaltava nell’ambiente magicamente
sterilizzato.
Si alzò in piedi, cadde
pesantemente sulle ginocchia. Il suo
viso arrossato era bollente, i suoi occhi umidi di lacrime erano
febbricitanti.
“…
Shogun…” esalò. Alzò lo
sguardo e vide il bambino davanti
a lui.
La sua bambola, con le stesse
fattezze che avrebbe avuto lo
shogun da bambino, sorrideva.
“T-tu… tu hai
preso vita… I miei esperimenti… hanno avuto
successo” esalò con un filo di voce.
La creazione si sporse e gli porse il
ramo. “Non piangere
più” lo rassicurò.
Kai gattonò fino a lui e
lo abbracciò, spasmodicamente,
mentre i petali che cadevano sul pavimento divenivano immacolati, come
lavati
dalla rugiada.