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Autore: Moony16    28/10/2019    2 recensioni
Berlino non era ancora una città sporca di sangue quando Caroline vi arrivò contro la sua volontà in quell'estate del 1940, quando nessuno avrebbe potuto immaginare la piega che avrebbe preso la storia. Con sè, solo una nuova identità, un nuovo nome, la stella di Davide finalmente strappata via dai vestiti e una vita intera lasciata alle spalle.
L'accompagna Joseph, un giovane ufficiale delle SS, il perfetto ariano, uno di quei uomini che potrebbe benissimo stare tra le figurine che la ragazze si passano tra i banchi di scuola, in una rivista del partito nazionalsocialista o in un volantino che incita alla guerra, per riprendersi il "Lebensraum", lo spazio vitale tedesco.
Cosa li lega? Nulla in realtà, se non un'infanzia passata insieme e un debito che pende sulla testa del giovane come una condanna.
***
LA STORIA E' INCOMPLETA QUI, MA LA STO REVISIONANDO E RIPUBBLICANDO SU WATTPAD NELL'ACCOUNT Moony_97, DOVE LA COMPLETERO'
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
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Caroline, man mano che le settimane scorrevano, si sentiva sempre più triste alla notizia di dover lasciare Berlino. Non se n’era neppure resa conto ma in quei mesi si era affezionata alle vie affollate, alla sua stanzetta troppo fredda, al fiume che scorreva placido fuori la finestra. Si era sentita accolta e rinata in quella città così frizzante e piena di vita. E poi aveva conosciuto un sentimento nuovo, durante quell’estate fatta di gelati e passeggiate, di baci sotto la pioggia. Sentiva una fitta al petto ogni volta che ripensava a Dimitri, il ragazzo con gli occhi blu che l’aveva incantata con la sua sfacciata dolcezza. Si sentiva terribilmente in colpa per tutto quello che gli stava facendo, eppure non riusciva ad allontanarsene. Ogni volta che ripensava a capodanno stava male fisicamente, per questo aveva provato a rinnegare il fattaccio, ma non ci riusciva. Non riusciva a non sentirsi una donna della peggiore specie quando lui la baciava quasi con riverenza. Lei che lo metteva in pericolo in maniera così plateale e poi lo tradiva con un ufficiale nazista. 
Stava male ogni volta che guardava Joseph. Non voleva più vederlo, non voleva più avere nulla a che fare con lui, voleva solo un po’ di pace e sapeva che non gliela avrebbe mai concessa. Sentiva di essere arrivata al limite della sua sopportazione. Joseph era un’altalena emotiva, sempre pronto a ferirla in qualche modo, con uno schiaffo o con un bacio. Aveva provato a giustificare sé stessa, ripetendosi che era ubriaca, che si era lasciata trasportare dalla loro recita, che da bambina aveva avuto qualcosa di molto simile ad una cotta per lui. Ma sapeva che erano scuse, solo scuse, dannate stupidaggini. Lei aveva voluto quel bacio, chissà come e chissà perché, lo aveva desiderato. E si odiava per questo.
Sapeva che Joseph probabilmente stava passando un inferno simile al suo, ma lei faceva finta di non capire. Le bastavano i suoi scheletri, non voleva sopportare anche quelli di lui.
Caroline, con questi sentimenti, aveva imballato la maggior parte delle cose di Joseph ma aveva fatto ben poco con le proprie. Non poteva andarsene, non voleva, il suo unico desiderio era rimanere in quella casa e ogni qual volta sarebbe stato possibile vedere Dimitri. Immaginava come sarebbe stato bello passare le fredde sere di Febbraio con una cioccolata e Dimitri accanto a lei nel divano del salotto che non le era permesso usare. Avrebbero ascoltato i vinili e lei gli avrebbe insegnato a ballare, e poi si sarebbero baciati. L’avrebbe baciata con la bocca che ancora sapeva di cioccolata e toccata con le grandi mani callose per il lavoro che svolgeva. 
Ma sapeva che erano fantasie. Come avrebbe fatto a convincere Joseph a lasciarla andare?
La risposta l’aveva ottenuta una mattina bianca di neve da Dimitri. Si erano visti e come ogni volta da quando avevano saputo del trasferimento non facevano che toccarsi. Non riuscivano a non mantenere un contatto fisico, con le mani, con le labbra, anche solo con un lieve sfregamento della caviglia di lei nella gamba di Dimitri, mentre erano seduti. Parlavano poco e si fissavano continuamente, incerti su cosa dire ora che il loro tempo era finito. Ma quella mattina Dimitri era radioso e i suoi occhi sembravano molto più chiari del solito. Non fece che parlare e parlare, stordendola con le sue chiacchiere e donandole un buon umore che ormai da qualche settimana aveva perso quasi del tutto.
«Elly ho pensato ad una soluzione» aveva detto infine sotto un pino carico di neve, in un angolo del parco, e Caroline capì il perché dell’allegria e delle chiacchiere: era allegro perché pensava di aver trovato una soluzione e parlava tanto perché sapeva che non avrebbe potuto dire in un luogo meno isolato quello che invece aveva bisogno di esprimere. Lei però non aveva molte speranze.
«sai com’è Joseph, Dima» lui annuì raggiante.
«si, lo so. È per questo che abboccherà. Ascoltami» e poi cominciò a spiegare la sua idea, e man mano che parlava il sorriso sulle labbra di Caroline si allargava. Alla fine lui la guardava negli occhi con aria soddisfatta e lei non riuscì a non trattenersi dal saltargli al collo e baciarlo, facendolo ridere tra le sue labbra. 
***
Joseph era sempre più preoccupato con il passare del tempo. Caroline era la sua fidanzata ufficiale per tutti, la donna che avrebbe dovuto sposare e il modo con cui aveva ottenuto la promozione. Non poteva presentarla come la cameriera e non aveva scuse per portarla con sé come sua fidanzata a meno che lei non abitasse in una casa diversa dalla sua. E la cosa era fin troppo complicata e dispendiosa. Pensava a questo mentre tornava a casa, così rimase quasi stordito dall’odore di ottimo cibo che proveniva da casa sua e che lo strappò dai suoi pensieri, facendogli brontolare lo stomaco.
Quella sera del venti gennaio, circa tre giorni dopo aver fatto quella chiacchierata illuminante con Dimitri, Caroline aveva preparato lo stinco di maiale arrosto e patate alla bavarese, il tutto accompagnato dal vin brulé. Si era superata e la cena era stata ottima, anche se lei aveva a malapena assaggiato il vino: non le piaceva l’effetto che l’alcool aveva sul suo corpo. La ragazza aveva guardato il soldato mangiare soddisfatto e silenzioso, mentre ogni tanto le lanciava qualche occhiata sorpresa tra un boccone e l’altro. Quando alla fine aveva uscito la torta alla melassa per dolce lui non era riuscito a trattenere un’esclamazione sorpresa.
«Tu stai cercando di prendermi per la gola Caroline. Ammettilo» aveva detto poi davanti un’enorme fetta della sua torta preferita, ben sazio e soddisfatto, le guance arrossate dal vino. Lei aveva ammesso con un sorrisetto colpevole e lui non aveva potuto fare a meno di ridere.
«E ci sei anche riuscita … non mangiavo tanto bene da tantissimo tempo. Chi ti ha insegnato a cucinare così?» lei aveva fatto spallucce.
«Sai che sono sempre stata brava in cucina. Quando lavoravo come cameriera in quella famiglia facevo un po’ di tutto, e così ho imparato» lui aveva annuito.
«Ma a fare questa te lo ha insegnato tua madre, vero?» aveva chiesto con un sorriso indicando la torta. Lei era rimasta in silenzio per un attimo.
«Questa si. Ma non la farò mai buona come lei» aveva un velo di nostalgia palpabile nella voce.
«La fai buonissima, fidati» e, per ribadire il concetto, ne aveva preso un grosso boccone strappandole un sorriso.
«Allora … hai intenzione di dirmi il motivo per cui stai cercando di stendermi con una cena degna di un re?» aveva chiesto sorridendo.
«Joseph … » aveva iniziato incerto, per poi acquisire più sicurezza.
«Io ho bisogno di sapere cosa ne farai di me una volta arrivata a Varsavia. Non puoi certo presentarmi sia come tua fidanzata che cameriera, sarebbe ridicolo e prima o poi qualcuno lo scoprirebbe. E non ci sarebbe un altro modo per vivere insieme, a meno che tu non voglia affittare una casa per me» lui l’aveva fissata stordito. Era esattamente quello che si ripeteva da giorni.
«lo so … sto cercando di trovare una soluzione» aveva infatti risposto senza nascondere più la preoccupazione, come aveva fatto nelle ultime settimane. Ma mancavano solo cinque giorni alla partenza e lui era in alto mare.
«Beh io ho un’idea» aveva detto lei con un sorriso che le andava da un orecchio all’altro. Un sorriso che a Joseph non piacque per nulla.
«Tu andrai a Varsavia e io farò la fidanzatina innamorata che aspetta che tu prendi un congedo per sposarla. Qui a Berlino. In questa casa. Diremo a tutti che aspettiamo un tuo congedo per sposarci e prenderci una vacanza da passare in luna di miele e che nel frattempo io devo organizzare il matrimonio» aveva detto, gli occhi che le brillavano per un’idea che considerava magnifica e che Dimitri aveva avuto la brillantezza di escogitare.
«Questa guerra, se continua così, finirà prima che tu possa tornare a Berlino. E io sarò libera di sparire dalla circolazione»  lui era stato in silenzio per tutto il tempo. Sapeva che lei aveva ragione, ma non voleva ammetterlo.
«E cosa diremo quando chiederanno perché non ci siamo sposati prima?»
«quello che abbiamo detto fin’ora: il lutto dei miei genitori era troppo fresco. Cosa per’altro vera. E poi tu hai dovuto occuparti della partenza, non potevi pensare anche ad un matrimonio» aveva detto lei tutto d’un fiato. Sembrava avesse programmato tutto alla perfezione, ed effettivamente era quello che aveva fatto, sotto proposta di Dimitri. Lui, che l’aveva implorata di convincerlo a tutti i costi. Joseph aveva finito la sua torta silenzioso, riflettendo bene su tutte le implicazioni di una simile scelta. Non voleva separarsi da lei, ma effettivamente sarebbe stato il modo migliore di fare chiarezza nella sua mente sconvolta dalla sua vicinanza, per tenerla al sicuro e smettere di sentirsi in colpa, per continuare la sua vita come aveva fatto prima di portarla con sé. Una vocina gli diceva che niente sarebbe potuto essere come prima, ma l’ignorò. Se sarebbe servito a fare un po’ di chiarezza sarebbe andata bene, senza contare che anche lei probabilmente ne aveva un gran bisogno. Dalla notte di capodanno non lo guardava quasi più in faccia, sfuggiva sempre a fare qualcos’altro quando lui era nei paraggi, lo evitava come la peste. Aveva notato che lavorava senza sosta, come se non volesse pensare a qualcosa di terribile. Era anche dimagrita un po’.
«Resterai qui a due condizioni, altrimenti troveremo un altro modo» lei si era messa sull’attenti, le orecchie tese.
«T iscriverai al partito e frequenterai le riunioni. Se sei la mia fidanzata è quello che ci si aspetta da te, qualcuno potrebbe insospettirsi altrimenti» lei aveva annuito, abbattuta ma consapevole che fosse necessario.
«Se torno a Berlino prima della fine della guerra, ci sposiamo. Tu organizzerai davvero un matrimonio, ti farai fare l’abito e tutte quelle stupidaggini lì» lei era rimasta paralizzata.
«Stai scherzando spero» aveva detto oltraggiata. Questo non era assolutamente in programma.
«E sentiamo, che scusa useresti se tu abitassi qui a casa mia per preparare il nostro matrimonio, e poi non avresti neanche l’abito? E se, una volta qui, io non ti sposassi?» lei boccheggiò.
«Ma tu non vorresti mai sposare un’ebrea» lui fece un gesto noncurante con la mano.
«Io non vorrei sposarmi punto e basta. Ma voglio fare carriera e per questo ho bisogno di un matrimonio. Non avremo figli, ma nessuno dovrà sapere che non abbiamo consumato, può capitare che non si riescano ad avere figli in un matrimonio»
«E quando per avanzare di carriera mi chiederai dei figli? E se, quando lasciassi questo paese non potrei sposarmi con nessuno perché l’ho già fatto con te?» aveva detto lei in panico. Lui aveva sollevato gli occhi al cielo, scocciato.
«Sarà Emma a sposarmi, non tu. Quando riprenderai il tuo vecchio nome non risulterai sposata con nessuno. E poi non consumeremmo, quindi non sarebbe neanche valido, senza contare che è solo un’ipotesi. Accetti?» Caroline pensava solo a come avrebbe dovuto dire una cosa del genere a Dimitri.
Cerca di restare qui ancora un po’, qualsiasi sia il costo. Non si era aspettata una cosa del genere, eppure … sapeva che Joseph aveva ragione.
«Accetto» affermò controvoglia.
«Dai non fare quella faccia. Un buon compromesso non lascia contento nessuno, e tu ci guadagni certo più di me: sarai libera di scorrazzare per Berlino come meglio ti pare. Ti farò avere dei soldi alla posta e ovviamente sarebbe opportuno se ogni tanto mi scrivessi. Sai, per salvare le apparenze e dirmi che ci fai con i miei soldi» aveva detto in tono scherzoso, sebbene pensasse quello che diceva.
«Ti scriverei a prescindere …» disse, ed era sincera. 
«Allora non è del tutto vero che mi odi» commentò lui, sempre con tono scherzoso.
«Ma neanche tu mi odi» lui si era bloccato un attimo.
«io non l’ho mai pensato, né mai detto. Odio quello che sei, non te, è una cosa completamente diversa» aveva affermato solenne, prima di accendersi una sigaretta. Lei non seppe come ribattere, così rimase in silenzio, incerta su come continuare la conversazione. 
«Fumi sempre di più. Non avevi questo vizio prima, è diventata routine» si lamentò lei, cambiando discorso.
«Tu hai mai fumato?» chiese lui, curioso. 
«No, mai. Non mi piace l’odore che fa» aveva risposto lei orgogliosa. 
«Vieni qui» ordinò allora Joseph, con voce calma e carezzevole. Sembrava più un invito. Lei gli si accostò insicura.
«Cosa c’è?» gli chiese in imbarazzo in piedi davanti a lui, imperioso nella sua vestaglia blu. Le fece segno di sedersi sulle sua ginocchia con un sorriso sincero sul viso. Sembrava rilassato, quindi decise di assecondarlo. Dopotutto, non c’era niente di male. Lui le strinse la vita con la mano sinistra, mentre i loro visi erano a pochi centri menti di distanza e Caroline si ritrovò a tremare. Ricordò per un attimo cosa aveva provato quando aveva avuto quelle mani e quelle labbra su di sé, poi però strinse le palpebre per scacciare via i ricordi e le sensazioni dolceamare che ne derivavano. Joseph la fissava, sempre con il suo sorriso rilassato, che aveva il potere di ammaliarla, sebbene lei non volesse ammetterlo neppure a sé stessa.
«Il fumo rilassa i muscoli. Il sapore mi piace, anche se all’inizio ti brucia la gola. Prova» aveva parlato con un tono carezzevole, poi le portò la sigaretta all’altezza delle labbra. Lei la fissò incerta, ma anche curiosa.
«Devi aspirare come se ti prendessi uno spavento. Dritto nei polmoni. Prova» la guardava divertito. Così Caroline accostò le labbra alla sigaretta e fece come le era stato detto, ritrovandosi piegata in due a tossire, gli occhi lucidi e la bocca impregnata di un sapore strano, amaro. Lui rideva, continuando a tenerla stretta per il fianco.
«Come fai a fumare questa cosa?» chiese con la voce ancora gracchiante, mentre lui continuava a sghignazzare.
«E smettila di ridere, non c’è niente di divertente» commentò offesa. Lui diede un altro tiro alla sigaretta e le soffiò il fumo in viso. Lei riprese a tossire e si alzò dalle sue gambe guardandolo oltraggiata.
«Tieni quella cosa lontana da me!» lui non smetteva di ridere per la sua reazione, mentre lei si era diretta verso il lavandino per sciacquarsi il viso.
Joseph aveva ripreso a fumare il suo tabacco continuando a ridere di tanto in tanto.
«Dai, non puoi dire che non fosse una scena comica» aveva detto sempre ridendo e alla fine aveva contagiato anche lei con la sua ridarella.
E poi, un’altra sera era passata.
***
La stazione era gremita di gente che correva in tutte le direzioni e Caroline, che in quel momento non si staccava da Joseph neanche di un centimetro, non aveva proprio idea di come avrebbe dovuto fare per tornare a casa una volta che lui fosse partito. Era vestita con abiti scuri e pesanti e un cappello di feltro sulla testa per ripararla dalla neve.
Joseph la teneva per mano e lei sentiva il suo calore irradiare attraverso i guanti nella sua mano gelata. Il ragazzo era in alta uniforme, il nero in contrasto con il colorito pallido e gli occhi grigi lo facevano sembrare ancora più bello e le ragazze lo fissavano sfacciate al suo passare, ma Caroline sapeva che in maniche di camicia e con i capelli spettinati rendeva di più. La stazione era piena di militari di rango più o meno elevato, con le famiglie, la fidanzata o gli amici a salutarli. Era un vociare triste quello che si sentiva man mano che ci si avvicinava al treno che avrebbe portato Joseph a Varsavia. C’erano donne che piangevano, bambini che si rincorrevano incuranti di tutto, voci gravi di uomini. Caroline non riuscì a fare a meno di stringere a sé il braccio forte del soldato, a cui era aggrappata con tutte le sue forze. Lei aveva insistito per accompagnarlo, sostenendo che era quello che una brava fidanzata avrebbe fatto, ma non era solo per quello e lui aveva capito. Era la seconda volta che si lasciavano davanti ad un treno, e forse quella volta, se i piani fossero andati in porto, sarebbe anche stata l’ultima. La prima volta lui aveva dovuto ringraziare la famiglia della ragazza se era ancora in vita, adesso invece i ruoli si erano invertiti. Joseph provava una strana sensazione di deja-vù di cui avrebbe volentieri fatto a meno. Sapeva che gli sarebbe mancata e, anche se non lo avrebbe confessato neppure sotto tortura, in fondo era felice di averla aggrappata al suo braccio e di poterla vedere un’ultima volta dal finestrino del treno che lo avrebbe condotto lontano da casa per un tempo indefinito. Casa però è dove ci sono le persone che si amano e Joseph sentiva di non averne più una. Aveva definito casa Friburgo, mai Berlino tranne che negli ultimi mesi. E adesso a Varsavia sapeva che avrebbe incominciato da capo.
Arrivarono con un quarto d’ora d’anticipo, il biglietto in tasca. Joseph aveva Caroline spalmata sul suo braccio sinistro, mentre un’enorme sacca militare stava rischiando di fargli cadere il braccio destro per il troppo peso. Davanti al treno aveva posato la sacca a terra, poi si era concentrato sulla ragazza che aveva davanti. Ed era così strano trovarsi entrambi nudi, senza maschere, tra tutta quella gente, il vapore dei treni che li avvolgeva. Caroline, si rese conto troppo tardi, aveva gli occhi lucidi.
«Non merito che tu pianga per me, Caroline. Non farlo» aveva detto, avvicinandosi di più a lei, sussurrando.
Caroline quella mattina si era svegliata con un magone allo stomaco. Era dalla sera prima che ripensava all’addio che stava per dare, e non riusciva a darsi pace, non riusciva davvero a credere che non lo avrebbe mai visto di nuovo. Che lui avrebbe continuato in quella strada di atrocità e di odio, di rabbia e rancore come se non fosse mai successo niente. Non riusciva a convincersi che quello fosse il suo Jo, adesso che stava per lasciarlo. Aveva passato quel tempo con lui quasi dimenticando chi fosse in realtà, accecata da quello che lui era e da ciò che le faceva, ma in quel momento si sentiva esattamente come la bambina che aveva dovuto dire addio al suo migliore amico e che non sapeva se l’avrebbe mai più rivisto.
«Tu mi hai salvato la vita, Jo. Forse, per un po’, l’ho dimenticato. Ma non ora: non so come sarei andata avanti in quelle condizioni» gli rispose, con gli occhi pieni di lacrime. Joseph le stringeva la vita con le mani grandi e costatava che si, era effettivamente dimagrita da quando l’aveva stretta a sé quasi un mese prima. Avevano gli occhi incatenati e Joseph a quelle parole si sciolse come neve al sole. Dopo tutto quello che le aveva fatto, lei era lì, a dirgli grazie.
«E io a volte ti ho trattata come non avrei dovuto. Mi dispiace, Elly, lo sa dio quanto me ne pento ogni giorno. Anche io avevo dimenticato, o non volevo vedere, ma ci sono momenti come questi in cui non posso fare finta di niente. Non potrò mai dimenticare chi sei» si era portato la mano al cuore, come a giurare qualcosa, e lei lo aveva osservato in quel momento che le sembrava tanto solenne quanto fuori luogo. Ma non importava, se era l’ultima volta che si vedevano avrebbero anche potuto smettere di fingere e guardarsi chiaramente in viso.
«Perché nonostante quello che ho fatto, io ti porto qui, dentro di me» aveva detto indicandosi il cuore. Poi ripresosi si era allontanato da lei, come scosso dalla sua stessa rivelazione. Si era girato a guardare il treno che fischiava. Era ora di salire in carrozza, ma non ne aveva nessuna voglia. Lei gli aveva tirato la manica e lui si era voltato trovandola a pochi centimetri. Si torturava il vestito con la mano libera. Voleva dirgli qualcosa, ma non sapeva come dirla. Alla fine prese un grosso respiro e iniziò.
«Volevo solo augurarti buon viaggio, soldato. Forse andrà tutto a rotoli, e ci ritroveremo davanti un altare. Forse ci rincontreremo in un’altra vita. Lascia però che ti dica una cosa, come amica, come la sorella che ero un tempo. Che uomo vuoi essere? Rispondi a questa domanda e in base alla tua risposta, orienta la tua vita. Puoi scegliere di essere un uomo di successo, ricco, senza scrupoli … o un uomo giusto. Scegli Joseph, e non voltarti indietro» lui era rimasto immobile alle sue parole. Caroline lo fissava negli occhi vacillanti, come aspettando una sua risposta, che non sarebbe arrivata. Che uomo voleva essere? Si stupì nel costatare che non lo sapeva. Lei capì e distolse lo sguardo.
«Era da tanto che volevo dirtelo ma non credo che mi avresti presa sul serio in un altro momento. Mi ricordo di com’eri Joseph, e il bambino che ricordo io era uno dei più buoni che abbia mai conosciuto. Eri adorabile» lei sorrise ripensando per un attimo a com’era.
«Sapevi sempre qual’era la cosa giusta da fare, non importava quanto ci rimettessi. Ti ho trovato tanto cambiato da non poter non pensare: stai riflettendo su chi sei diventato?» Joseph aveva gli occhi bassi. Lei non aveva aggiunto più nulla e su di loro era calato un silenzio imbarazzato, nonostante la stazione tremendamente rumorosa. 
«Scrivimi, Caroline. Voglio sapere come starai» disse guardandola, senza però essere in grado di risponderle altro.
«Lo farò» aveva promesso con un mezzo sorriso, intuendo il suo imbarazzo.
«Devi andare adesso, il treno non aspetta» aveva aggiunto senza convinzione. Lui aveva annuito, poi senza alcun preavviso, si era abbassato e prendendole il viso tra le mani l’aveva baciata, trattenendola sulle sue labbra per un secondo di troppo. Lei lo lasciò fare, senza neanche sapere perché, la morbidezza di quella bocca a stordirle i sensi. 
«Tu invece ricordati di questo, quando vedrai il fornaio che ti aspetta allegro sotto casa» aggiunse, facendo trasparire l’evidente gelosia. 
Si era trattenuto nelle ultime settimane, capendo che c’era poco da fare se si vedevano ancora e che era inutile fare scenate ora che stavano per partire. E adesso che lei sarebbe rimasta lì a Berlino non osava immaginare cosa avrebbe combinato.
«Vi ho visti» aggiunse dopo, cercando di mantenere una voce neutrale. Lei boccheggiò senza sapere che dire.
«Non è stato molto tempo fa, ma ho capito che non avete mai smesso di vedervi. E se quello che ho detto e fatto non vi hanno tenuti lontano, speravo che almeno Varsavia ci sarebbe riuscita. E poi, ho dovuto lasciarti qui» lui abbassò gli occhi. 
Si era sentito semplicemente stanco di tutto. E lei sembrava così felice, mentre quando era in casa era grigia e triste. Non era riuscito a dire niente, non aveva avuto la forza di alzare le mani su una persona così evidentemente tormentata da qualcosa. E sebbene fosse stato immensamente geloso sul momento, poi aveva scoperto di non voler approfondire la questione, di non voler sapere niente. Aveva lasciato perdere, per il quieto vivere.
«Joseph ...» aveva iniziato lei, ma lui l’aveva interrotta.
«Non farmi passare per cornuto, o non potrò più aiutarti. Ricordati che dovremo sposarci se la guerra non finirà presto» Caroline aveva deglutito.
«Lo so» Joseph annuì.
«Bene. Allora arrivederci» aveva detto senza riuscire a sorridere.
«Arrivederci» aveva risposto lei. E poi le aveva dato le spalle, salendo sul vagone sovraffollato e facendosi strada fino al numero che c’era scritto sul suo biglietto. Nel cuore aveva una tempesta, ma l’ignorò. Dal finestrino la poteva vedere mentre osservava spaesata la locomotiva. Avrebbe potuto affacciarsi, ma non lo fece, preferendo guardare senza essere visto. 
Lei rimase lì, con le lacrime a rigarle il viso, fino a quando la locomotiva non partì e si lasciò dietro una scia densa di vapore. 
  
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