Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: hikaru83    01/11/2019    5 recensioni
La storia di Sherlock e John, il modo in cui si sono incontrati, tutto ciò che hanno vissuto, la conosciamo bene. Molti di noi avranno rivisto la serie abbastanza volte da citare le frasi senza che le altre persone riescano a capire, ma neanche ci importa, noi sappiamo (e se il nostro interlocutore abbassa la media di intelligenza dell'intero quartiere non è nemmeno colpa sua). E molti di noi hanno avuto problemi con il modo con cui l'hanno conclusa (per ora). E allora che fare? Allora ho deciso che la storia provo a scriverla come vorrei fosse andata, magari grazie a qualcuno che ha sempre osservato ma non abbiamo mai visto. Qualcuno che come noi era sempre con loro, ma al contrario nostro ha potuto cambiare le carte in tavola.
Rivivremo la storia, e basterà cambiare una cosa, per cambiare un sacco di cose.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi qui anche oggi, sta volta dopo tutta l'attesa con cui vi ho ammorbato non potevo farvi aspettare ancora.

Un grazie per la parte medica a Susanna, almeno in questa ff so di non aver scritto cose inverosimili ed è tutto merito tuo!
Buona lettura!





Dalla tua parte




2 Gennaio 2015
Londra
Alba
 


Riprede i sensi quando sono già nel traffico di Londra.

Prima di aprire gli occhi, ha osservato le luci che colpivano le sue palpebre per qualche minuto. Ha cercato di capire perché si sta muovendo e dove si trova. Il torpore dovuto ai sonniferi le rende difficile rendersi conto di cosa sta accadendo. Inoltre, abituata a essere sempre a rischio, è pronta a scattare e uccidere appena i sensi, sempre allerta, fiuteranno un pericolo.

«Ben svegliata. Fra non molto saremo dal Capo.» La voce serena e calma di Anthea le fa tornare in mente tutto quello che è accaduto ore prima. Dov’è, con chi è e perché si stanno muovendo.

Lei non risponde, se non con un cenno. Sente la confusione ancora nella testa, i pensieri non sono chiari; deve riprendersi ancora del tutto. Almeno stanno arrivando da Myc, che le spiegherà ogni cosa. Magari la cosa non è così tragica come quella ipotetica che la sua mente sta partorendo.


Quando la macchina si ferma e apre la portiera, non sono però dove si aspettava di arrivare. Non nella villa di Holmes, non nel giardino curato. Sono davanti a un ospedale. Un ospedale militare controllato dai servizi segreti.

Il panico si impossessa di lei. Appena vede Mycroft, si alza di scatto cercando di raggiungerlo, rischiando di inciampare nei suoi stessi piedi.

«Calma, ragazzina, calma. È fuori pericolo. Sta riposando,» le dice mentre la prende al volo evitando di farla finire per terra.

Lei si aggrappa a lui, terrorizzata per John. Cosa vuol dire “fuori pericolo”? È stato dunque in pericolo di morte e nessuno l’ha informata prima?

«Non è andato tutto come speravamo. La cosa positiva è che ora entrambi hanno capito che razza di donna sia Mary. La cosa negativa è che, anche se John l’ha colpita, lei è riuscita a scappare.»

«Lei è scappata e John è in ospedale? No, le cose non sono proprio andate come volevamo.» Il tono di voce è amaro, come il sapore che sente in bocca.

«Ti racconterò tutto,» promette l’uomo. «Ma non vuoi vedere John, prima?» le chiede con voce gentile.

Lei sa che in parte si sente in colpa, e non vuole aumentare il peso che porta. L’ha già fatto quando ha saputo che Mary era incinta, e anche quando ha trovato la lettera. Sa che per lei ferire Mycroft è davvero semplice, e non voleva farlo. Non ancora una volta. «Certo.»


I corridoi bianchi tutti uguali, piani di scale e ascensori d’acciaio si susseguono mentre li attraversano per raggiungere la stanza in cui è ricoverato John. Le sembra di star percorrendo la strada più lunga.

Quando arrivano davanti alla porta giusta, Mycroft la ferma. «È stato colpito alla spalla. Non è cosciente, ma il medico mi ha assicurato che l’operazione è andata bene. Hanno asportato il proiettile senza gravi conseguenze. Ho dato io il consenso per operarlo. Volevo aspettarti, ma mi hanno fatto capire che era meglio operare subito, quindi...»

«Hai fatto quello che andava fatto,» risponde lei. È spaventata, ma è anche grata a Mycroft per essere rimasto con John ed essersi preoccupato per lui.

«Sherlock è con lui. Separarli è stato impossibile, a malapena sono riuscito a tenerlo buono quando era in sala operatoria.»

Lei gli rivolge un sorriso debole a cui lui risponde grato.

«Farà domande. Cosa gli devo dire?» gli chiede, trovando difficile continuare a recitare.

«La verità, se vuoi. Basta bugie tra noi. Basta.» Sembra che Mycroft al telefono abbia detto la verità. Vuole davvero che questo segreto sia svelato.

Entrano nella stanza e Sherlock si alza di scatto.

«Mycroft, che ci fai qui? Non ho intenzione di andare a casa, te l’ho già detto. E lei chi è?» Una valanga probabilmente sarebbe più discreta di uno Sherlock Holmes in preda a una crisi di nervi.

«Bisogna prendere delle decisioni per il dottore, Sherlock. Per questo lei è qui.»

«Che cosa vuoi dire? Non la conosco. Chi diamine è per poter prendere decisioni per John?»

È allora che lei prende la parola, distogliendo per un secondo lo sguardo da John, immobile e pallido su quel letto anonimo. «Devi essere molto sconvolto, Sherlock, per non averlo capito. In altre occasioni ti sarebbe bastata una semplice occhiata.»

Lo vede osservarla prima di sgranare gli occhi e scuotere la testa. Sembra abbia visto un fantasma. Ma del resto in un certo senso lo era stata sul serio, per tanto, troppo tempo.

«Sì, invece, Sherlock, sono proprio io. Sono Hariett Watson e sono sua sorella.»


Per un perfetto istante l’unico rumore nella stanza fu quello delle macchine che monitorano il riposo di John. Ma fu appunto un solo istante.


«Tu lo sapevi? Ma certo che lo sapevi! Tu e la tua fissa di manipolare gli altri. Come potevi non essere a conoscenza di questo? Da quando? Da quanto tempo nascondete questo giochetto?» È percepibile tanta acredine negli sguardi che lancia Sherlock al fratello. «John aveva bisogno della sua famiglia e tu dov’eri? Sai quanto ti ha cercata? Persino al matrimonio non eri presente. Ti ha invitata, ma tu non ti sei neanche degnata di rispondere. Sai quanto la cosa l’abbia ferito? Riesci a immaginarlo?» Si rivolge a lei con la stessa asprezza riservata a Mycroft, ma lei non si scompone di una virgola. Anzi, trova quasi divertente Sherlock in versione paladino della giustizia. Gli manca una lucente armatura e un destriero immacolato, e l’immagine sarebbe perfetta. È una veste davvero inedita, così spudorata. Grida le sue accuse da lei al fratello senza riuscire a fermarsi. Vorrebbe tanto ridere se non fosse che lui reagirebbe sicuramente male a una sua risata.

«Sherlock, non è il caso di fare tutta questa confusione. Soprattutto se non vuoi che i medici ti allontanino da qui.» Basta quella frase dalla voce calma di Mycroft per fermare il fiume in piena che è diventato il minore degli Holmes.

«Non me ne vado da qui, non importa chi sia lei.» Lo vede avvicinarsi ancora di più a John. Nemmeno per un istante ha staccato la sua mano da quella del dottore, ma ora pare stringerla più forte, come se questo ribadisse che niente e nessuno potrà allontanarlo dal capezzale del dottore.

«Non mi pare abbia detto che te ne devi andare,» precisa lei.

Un leggero sospiro di sollievo proviene da Sherlock mentre le spalle si rilassano impercettibilmente.

«Racconterò tutto quello che c’è da raccontare appena John si sveglierà e sarà stabile, se vorrà vedermi. Ma sappi una cosa, Sherlock: io avrò sbagliato – è evidente che è così – ma anche tu. Se non avessi fatto di testa tua, decidendo per lui e volendo fare tutto da solo, ora non saremmo in questa situazione. Lo so che non vuoi sentirtelo dire, ma l’errore è stato di tutti noi. Ci siamo sempre comportati come se John fosse una vittima da proteggere, dimenticandoci che lui è un cazzo di medico militare. È un cecchino. Ha salvato vite, ma ne ha tolte anche parecchie. Sa uccidere, probabilmente in più modi di quanti ne conosciamo noi, e non ha bisogno di babysitter che si occupino di lui. John ha passato tutti questi anni accanto a te, tra assassini e criminali per sua scelta. Non è una vittima accidentale, non ci è finito per caso. Ha visto cosa comportava essere il tuo coinquilino e non solo gli è andato bene, ma gli piaceva un sacco. Ha deciso di entrare nell’esercito per sua scelta, nessuno lo ha costretto. Poteva fare il medico qui, al sicuro, poteva specializzarsi e diventare uno di quei chirurghi strapagati, ma ha deciso di sporcarsi le mani. Lo ha fatto perché voleva farlo. E noi, anche se abbiamo sempre fatto tutto credendo realmente di fare la cosa giusta, abbiamo sbagliato. Perché non abbiamo rispettato le sue scelte, non abbiamo rispettato lui. Io non farò mai più un errore simile, e tu?»

Non aspetta la sua risposta. Sente il telefono vibrare nella tasca dei pantaloni e guardando il display un moto d’odio prende il sopravvento su tutti gli altri sentimenti per un lungo secondo. Si volta verso Mycroft, facendogli vedere il cellulare prima di uscire dalla stanza per rispondere.

“Moran” – quel nome che aveva imparato a odiare – lampeggia sullo schermo.


«Ehi, cominciavo a credere che non avessi più bisogno di me,» trova la forza di rispondere con voce ferma, quasi annoiata.

«Invece ora ne ho davvero bisogno.» La voce è affaticata, come se faticasse a parlare.

Non riuscì a impedirsi di gioire del suo dolore.

«Cos’è successo?» solo ora si rende conto che non sa davvero cos’è accaduto a quella donna. Mycroft ha detto che è ferita, ma non ci ha seriamente dato peso. L’unico di cui le importa è steso nella stanza che ha appena lasciato.

«Il dottore mi ha colpita al fianco.»

«Il dottore? Mi avevi detto che lo avevi sistemato.»

«Speravo fosse così, ma ora dovrò farlo, definitivamente. Devono morire. Mi vuoi ancora aiutare?»

Sente crescere in lei la rabbia. Quella donna riesce a far uscire il lato peggiore di lei.

«Non devi neanche domandarmelo,» riesce a rispondere. «Ma prima devi farti curare. Conosco una persona, se vuoi. Un chirurgo davvero bravo, con una scarsissima deontologia professionale. Diciamo che per soldi non si fa problemi. Mi deve un grande favore, ti riceverà subito.»

«Sarebbe fantastico. Intanto potresti cercare di entrare nelle grazie degli Holmes.»

«Hai idea di come fare?» Non può impedirsi di domandare cosa ha in mente questa volta.

«Entra nel loro giro. Ti posso far avere una falsa identità in pochi giorni. Cerca di farti amica l’assistente dello spilungone. Quella tizia non mi pare faccia altro che fare shopping e giocare con il cellulare.»

«Non credo che sia così semplice.» Anthea è molto di più, ma è essenziale che tutti credano che sia solo una bella ragazza che accompagna Mycroft in giro per gli appuntamenti.

«Lo è. Gli Holmes sono spariti con il dottore. Non so dove l’abbiano portato; sono dovuta fuggire per non essere presa; ma so di averlo ferito, forse anche gravemente, ma sicuramente se c’è una possibilità di salvarlo faranno in modo che avvenga, Cristo! Sherlock è ancora vivo nonostante gli abbia sparato quasi al cuore. Ancora non me ne capacito.»

«Questa è una cosa che non smetterò di rinfacciarti di tanto in tanto.» La sente sbuffare dall’altra parte della linea. Non sa se è per coprire una risata, o per il dolore che ridendo la ferita deve averle mandato lungo il corpo. Ovviamente spera nella seconda ipotesi.

«Comunque, con gli Holmes fuori gioco, sono certa che riuscirai a farti una nuova amica senza grandi problemi. E una volta che sarà dalla tua parte, riuscirai a scoprire dove diamine sono finiti tutti.»

«Va bene. Avviso il chirurgo di cui ti ho parlato e ti mando il suo indirizzo. Tu dimmi dove trovare il falsario.»

«Ti mando subito l’indirizzo.» Poi, come se all’improvviso le venisse in mente un particolare che aveva dimenticato, aggiunge: «Una volta sistemati Holmes e il dottore, dovrò occuparmi anche della bambina.»

«Bambina?» Le si gela il sangue nelle vene. «Che bambina?» riesce a domandare, sperando di mantenere un tono sorpreso. Del resto non le ha mai parlato della figlia. Non le ha mai detto molto in realtà, solo di aver trovato il modo di tenere a bada i loro bersagli. «Io non uccido bambini, lo sai.» Su quel punto è stata chiara fin dall’inizio. Anche davanti a Moriarty non ha nascosto questa cosa. È una regola, forse l’unica regola morale che è riuscita a rispettare e a fronte di cui non è mai scesa a patti.

«Lo so, lo so... Hai ancora una coscienza, ma io no. Me ne occuperò personalmente. Del resto è mia. Farò quello che voglio.»

«Tua?» domanda, cercando di farla ragionare. Suvvia, non può davvero voler uccidere sua figlia.

«Già. Non ti ho detto della mia famigliola? Beh, poco male. La farsa è durata anche troppo. Inutile che mi preoccupi ora di lei. Non voglio che intensifichino la protezione per il dottore. Ci sentiamo appena abbiamo novità.»

«D’accordo. È l’idea migliore.» Chiude la conversazione e non riesce a bloccare un conato di vomito che la colpisce in pieno. Riesce ad arrivare a stento a un cestino.


La presenza di Myc dietro di lei la percepisce all’istante. La mano grande, calda e ferma sulla sua schiena è il suo equilibrio fisico ma anche mentale. Le porge un fazzoletto, senza domandarle nulla.
Un’infermiera si avvicina, lei le chiede scusa con lo sguardo, l’infermiera le sorride e la accompagna nel bagno vicino per farle sciacquare la bocca e rinfrescarsi. Nessuna parola, non serve. In mente solo l’odio nei confronti di Moran. Quella donna non ha un minimo di umanità in corpo.

Una volta fuori dal bagno vede Mycroft aspettarla.

«Dalla tua reazione direi che si è superata, questa volta.»

«Non hai idea di quanto. Comunque, so dov’è e posso portarla dove vuoi. Decidi tu cosa vuoi fare.» Il virus che le ha mandato è ancora nel suo telefono e monitorava ogni sua mossa con una precisione di un paio di metri.

«Ha un piano?» domanda Holmes, molto tentato di mettere fine alla cosa, finalmente.

«Vuole che mi avvicini ad Anthea. Che mi insinui nella squadra per scoprire dov’è John.»

«La ferita è grave?» chiede, probabilmente per valutare l’urgenza delle mosse da attuare.

«La voce era stanca ma abbastanza ferma. Certo, non posso esserne sicura, ma non sembrava in pericolo di vita.» Il suono di una notifica la interrompe. «Mi ha mandato l’indirizzo di un falsario. Le ho detto che le avrei mandato l’indirizzo di un medico che...»

«Non c’è bisogno che mi dici altro, ho capito. Fai come hai detto. Voglio catturarla e farle pagare tutto, ma non voglio che tu perda l’occasione di stare vicino a tuo fratello, ora. Prendi tempo e manda avanti il piano.»

«Chiamo il dottore, allora, e le mando l’indirizzo. Poi andrò dal falsario e si comincia l’ultimo atto di questa storia.»

Holmes annuisce. Lei prende il cellulare e compone il numero a memoria. Nel suo lavoro scrivere certe informazioni può essere controproducente.

Bastano pochi squilli prima che il medico risponda.

«Ehi, doc, bella giornata vero? Ho un’amica che ha bisogno del tuo aiuto, e sono certa che non avrai alcun problema a darglielo. So quanto ti prodighi per fare in modo che tutti abbiano le cure adeguate. La mando al solito indirizzo? Molto bene. Ah,» aggiunge, con un tono che sembra totalmente disinteressato ma che ovviamente non lo è per nulla. «Volevo farti i complimenti. Tua figlia sta crescendo davvero bene. La prima del suo corso! Sarete orgogliosi di lei. Tra l’altro sai, quel nuovo taglio di capelli le sta davvero bene.»

Lo sguardo di Mycroft è sorpreso. Non conosce quel lato della sua personalità, quella non tanto velata minaccia travestita da semplice conversazione. Proprio non se l’aspettava da lei.

«Su, dottore, non mi fare queste domande. Te l’avevo promesso che avrei vegliato su di te e sulla tua famiglia. Finché sarai leale farò in modo che nessuno vi faccia del male. A che ora le dico di venire? Oh, è davvero gentile dottore, la ringrazio; e mi saluti sua moglie.» Mette giù senza aspettare una risposta e digita in fretta il nome e l’indirizzo del medico nel messaggio che invia a Moran.


«Devo ammettere che mi hai messo paura,» commenta Mycroft.

«Per un po’ il mio lavoro era uccidere persone. Dovresti sapere di cosa sono capace.»

«So cosa sei in grado di fare. L’ho visto con i miei occhi anche prima di conoscerti. Eri una leggenda nei piani alti, sai, ragazzina?»

«Ma davvero?» chiede lei, lusingata e incredula. Non ha mai pensato di essere così famosa.

«Anche prima di conoscerti sapevo chi eri, sapevo cosa eri in grado di fare, sapevo che eri il migliore agente che avessimo mai addestrato. Poi ti ho conosciuta e ho potuto vedere il tuo lato umano. È stato strano. Per un po’ di tempo non riuscivo a far coincidere l’idea che mi ero fatto di te sapendo quello che eri in missione con l’irriverente ragazzina che non ha problemi a criticarmi, che adora leggere e che si commuove guardando un film.»

Lei sa di essere arrossita, ma finge di non darci peso. «Nessuno può rimanere indifferente guardando Dumbo

«Già, perché tutti gli agenti passano il loro tempo libero a guardare i cartoni della Disney

«Ehi, non osare dire nulla contro i Classici Disney

«No, no, per l’amor del cielo. Ci tengo alla mia vita.» Un sorriso distende le labbra dell’uomo.

«Per quanto tempo John sarà incosciente?»

«Non lo so. Devo ancora parlare con il dottore. Ma tra gli antidolorifici e gli antibiotici, credo ci metterà ancora un po’, perché?»

«Perché devo andare dal falsario, e preferirei farlo sottraendo meno tempo possibile a John.»

«Vuoi andarci subito?»

«Preferirei. Ma non voglio che possa seguirmi qualcuno. Dovrò stare molto attenta.»

«Sono certo che riuscirai a sparire senza lasciare traccia come fai di solito.»

«Sì, in qualche modo lo farò.» Non permetterà mai che qualcuno si avvicini a John, specialmente non ora.

«Non mi hai ancora chiesto come mai ha sparato a John,» le dice.

In effetti è vero, ma è come se già lei lo sapesse. «Ha fatto scudo a Sherlock, giusto? Mi racconterai tutto dopo. Adesso voglio solo sistemare questa cosa con il falsario.»

«Sei peggio di mio fratello. Come lo hai capito?»

«Perché conosco il mio di fratello. Oltre a questo, Sherlock ha lo sguardo di chi si sta dando tutta la colpa. Cosa davvero stupida, tra le altre cose. Non poteva impedire a John di fare quello che voleva. Nessuno può farci nulla con la testa dura che si ritrova...»

«Testa dura? Chissà chi mi ricorda?» la prende in giro lui.

«Davvero non so,» ribatte lei, fingendo di non aver capito.

È strano come Mycroft Holmes, l’uomo che ha tra le mani le scelte del governo britannico, l’uomo che fondamentalmente ispira rispetto e timore a chiunque, riesca sempre a tranquillizzarla. Piccoli sorrisi, battute stupide che riescono nel loro piccolo a mettere un po’ d’ordine nella sua testa e nel suo cuore.

«Quello è il chirurgo che ha operato il dottore,» le dice, indicando un uomo con il camice che sta entrando nella stanza di John.


Si affrettano a entrare. Sherlock non si è mosso da dove era.

«Signor Holmes, la signorina è...?» chiede l’uomo a non appena li vede entrare.

«Sono la sorella del dottor Watson,» risponde lei immediatamente. Poter parlare liberamente della sua vera identità le mette i brividi, non ne è abituata.

«Oh, perfetto, quindi posso parlare direttamente con lei. Se i signori vogliono uscire...»

Sherlock si volta di scatto. Decisamente non è molto d’accordo con la cosa. Mycroft lo osserva e sorride sfinito. Non riesce nemmeno a immaginare come dev’essere stato tenere buono Sherlock per l’operazione.

«Non ce n’è bisogno. Sono certa che per mio fratello loro facciano parte della famiglia tanto quanto me.»

Le spalle di Sherlock si rilassano e torna a prestare attenzione a John, risistemandosi sulla sedia di fianco al letto.

«Ne è sicura?» si premura di chiedere il chirurgo.

«Ne sono più che sicura,» afferma lei convinta.

«Bene, se per lei è tutto a posto, non vedo perché no. Il signor Watson è stato colpito da un proiettile di piccolo calibro. La cosa importante da sapere è che non ha subito gravi ripercussioni. Il proiettile non ha colpito vasi principali o nervi, quindi guarirà senza complicazioni. L’unico lato negativo è che il proiettile si è conficcato nella clavicola e ha creato una frattura. Dovrà tenere il gesso per almeno un mese e fare riabilitazione.» Solleva lo sguardo dalla cartella medica di John e con uno sguardo divertito aggiunge: «E visto che è un collega, so per certo che sarà un pessimo paziente, quindi vi farà dannare. Tenete duro.»

«Sono certa che troverà pane per i suoi denti,» risponde Hariett osservando di sbieco Sherlock. Poi però la sua attenzione è di nuovo su John. «Dottore, era già stato colpito in precedenza a quella spalla. La cosa non può complicare la guarigione?»

«No, i colleghi che l’hanno operato precedentemente avevano fatto un ottimo lavoro, ed era completamente guarito; quindi da questo punto di vista siamo totalmente tranquilli. Quello di cui dovete rendervi conto è che è stato davvero fortunato. La clavicola ha bloccato il proiettile che altrimenti avrebbe preso la succlavia. E quello sarebbe stato fatale.»

«Dottore, però qualcosa non va. Se tutto è andato come doveva andare e l’operazione non ha avuto complicazioni, perché è ancora sedato?» domanda lei, dando voce alla sua preoccupazione, che fino a quel momento ha cercato di tenere a bada.

L’attenzione di Sherlock, che fino a quel momento è stata concentrata solo su John, si sposta sulla conversazione.

«Questo, signorina, non è del tutto vero. Suo fratello si è risvegliato dopo l’operazione. Abbiamo ovviamente aspettato che si svegliasse prima di riportarlo in camera, e non è più sotto sedativi.»

«Ma allora perché non è sveglio?»

«Non ci sono motivi medici. Dal punto di vista fisico è tutto assolutamente nella norma. Ma credo che il suo sonno sia più che altro uno stato mentale.»

«Quindi non si sveglia perché non vuole farlo?» Chiede Sherlock, turbato.

«Può capitare dopo un forte stress o uno shock. La mente è molto più forte di quello che noi riusciamo a immaginare. E comunque c’è anche da dire che è sotto antibiotici e sotto antidolorifici, e per quanto non gli stiamo dando più sedativi, sono ancora in circolo nel sangue. Ci metterà un po’ a smaltirli e per questo ogni persona reagisce in maniera differente. Non c’è da preoccuparsi. Sono certo che nel pomeriggio, massimo in serata, si sveglierà.»

«Quanto tempo dovrà rimanere fermo?»

«Per almeno un paio di settimane, venti giorni. Non deve sforzarsi. Dopo vedremo come si evolve la cosa.»

«Tenere John tranquillo senza fargli fare sforzi per venti giorni? Lo legate voi al letto?» Scherza Hariett, che conoscendo il fratello sa benissimo quanto dover stare tranquillo ed evitare sforzi lo renderà insopportabile e intrattabile.

Il medico ride. Con quella battuta, lei spera di risollevare Sherlock, che sembra terrorizzato dal fatto che John non sia ancora sveglio.

«Mi raccomando: è vero che deve stare a riposo, e non deve fare sforzi inutili, ma non è che deve rimanere immobile, anzi. È meglio che si metta in piedi quanto prima, perché noi vogliamo evitare eparina e rischi di embolia, giusto?»

«Direi decisamente che li vogliamo evitare. Appena John si sveglierà e saprà che deve stare riguardato per venti giorni, darà di matto,» continua Hariett.

«Lo immaginavo. Se volete rimanere va bene, ma avvisate le infermiere se notate cambiamenti.»

Hariett aspetta che il dottore sia lontano prima di prendere la parola: «Ascolta, Myc credo sia meglio che io vada. Devo sistemare quella faccenda. Rimani qui o devi tornare in ufficio?»

«Posso rimanere. È chiaro che la cosa sia molto importante. Ha preso in giro tutti e catturarla è diventato primario per l’intera squadra.»

«Perfetto. Se ci sono notizie mi chiami?»

«Ma certo.»

«Fammi capire...» La voce bassa di Sherlock la sorprende. Sembrava non avere alcuna intenzione di rivolgerle la parola. «Tuo fratello è stato appena operato, tu non lo vedi da anni e invece di stare qui con lui, te ne vai in giro per la città come se nulla fosse? Cosa c’è di più importante di John?»

Hariett si volta, sfidandolo con lo sguardo e facendogli capire quanto il suo giudizio affrettato le dia fastidio.

«Primo: tu non hai la minima idea di quanto sia stata vicina a entrambi in questi anni. Secondo: vuoi sapere cosa c’è di più importante di stare qui con John? Semplice! Salvargli la vita, catturare quella donna e fare in modo che non possa più fare del male a nessuno.»

«E tu pensi di poterci riuscire?»

«No, io non penso di poterci riuscire. Io so di poterlo fare. E poi John lo lascio in buone mani.» Si volta verso Mycroft. «Tornerò il prima possibile. Farò un giro largo per evitare sorprese.»

«Se hai bisogno sai che i miei uomini sono tutti a tua disposizione.»

«Lo terrò presente.»

«Da quanto lavorate insieme voi due?» interrompe Sherlock guardandoli, forse davvero per la prima volta, incuriosito.

«Da quanto conosci John?» risponde lei con un alzata di spalle.

La guarda sorpreso.

«Spero che tu abbia intenzione di dirglielo. Perché altrimenti lo farò io. Non voglio più mentirgli.»

«Saprà tutto, e lo saprai anche tu, ma preferirei raccontarlo una volta sola se non ti dispiace.»

Lui annuisce tornando a dare la sua attenzione a John. Lei nota la mano del fratello, ancora stretta tra grandi mani di Sherlock, che non l’hanno lasciata un istante. Sorride mentre si volta pronta a ricominciare la recita.

 
La bettola dove Moran l’ha mandata è talmente tanto in periferia che si è domandata se fosse effettivamente ancora a Londra.

L’uomo, il falsario, è un ometto magro, di un età che può variare tra i cinquanta e i centodieci anni. Lo dimostrano la pelle gialla (probabilmente dovuta alla quantità non indifferenti di sigarette che sembrano comparire magicamente tra le sue dita), gli occhi iniettati di sangue e il viso che ricorda il muso di un topo.

A guardarlo superficialmente non gli si darebbe un centesimo di fiducia, ma lei sa perfettamente come certe persone siano bravissime a nascondere le loro qualità dietro a un aspetto mediocre.

Del resto, se Moran si serve di lui, non ha dubbi che sia uno che sa il fatto suo.

Certo, poteva anche essere una trappola. Forse lei sapeva e voleva ucciderla, ma in cuor suo non si preoccupa della cosa. Sa difendersi. È stata in situazioni più pericolose e il risultato è che lei è lì in quel momento, i suoi avversari non sarebbero stati da nessuna parte, mai più. Ovviamente sta attenta, non è certo una stupida, ma non ha paura.

Ha già la foto pronta. Moran ha spiegato cosa sarebbe servito.

«Ma bene... Finalmente un viso che merita di essere visto. In genere i miei clienti fanno paura.»

«Fossi in te non guarderei il mio viso tanto attentamente. Potrebbe darsi che ti distrai e può capitarti un incidente.»

«Dovevo aspettarmi un caratterino del genere... Del resto, chi ti ha mandato da me è una delle persone più pericolose che abbia mai incontrato. E ne ho incontrata, di gente pericolosa...»

«Hai quello che mi serve?» chiede lei secca.

«Non puoi aspettare, vero?»

«Se dici tu alla nostra amica comune perché non posso essere operativa da subito, posso aspettare,» risponde allora con un tono quasi divertito. Sa che l’uomo non avrà mai il coraggio di dirglielo, ma sfidarlo a riguardo è esilarante.

«Non c’è bisogno di minacciare. Mi serve solo la tua foto,» dice infatti lui, come previsto.

Lei gliela passa, lui la scannerizza e si mette a digitare al computer.

«Ormai sono rimasti solo i passaporti che mi danno soddisfazioni,» dice, mentre sullo schermo inserisce la foto nel giusto spazio. Dopo poco fa partire la stampa, e la nuova carta d’identità – una tessera lucida e perfetta – è pronta. «Un regalo di un amico,» rivela l’uomo, accarezzando la stampante speciale che è usata negli uffici dell’anagrafe per i documenti.

Lei pensa immediatamente a Moriaty.

Dopo la carta d’identità è la volta della patente. È tutto così dannatamente semplice e capisce la noia di falsificare i documenti. Una volta era un’arte. Ora con il materiale e gli agganci giusti, chiunque può farlo.

Per il passaporto la faccenda è un po’ più complicata, ma lei preferisce aspettare per avere tutto subito. Non vuole dover tornare in quel posto rischiando di farsi seguire.

Per quello, oltre il supporto, è necessario ancora saper falsificare la grafia, la firma, avere o essersi creato il timbro giusto. E anche i timbri di altri Paesi per rendere il passaporto più credibile.

Lei rimane seduta in silenzio a guardarlo lavorare.

Ore dopo, quando anche il passaporto è pronto, lui si gira con aria di sfida.

«Io ho fatto. I miei soldi?»

Lei si avvicina al computer, lui tenta di fermarla. «Se vuoi i tuoi soldi, devo poterteli mandare. Non penserai certo che me ne vada in giro con una somma del genere in tasca?»

«Di solito mi pagano in contanti.»

«Li vuoi o no i soldi?» gli dice mostrandogli, molto casualmente, la pistola che attende solo di essere usata.

Lui indietreggia e annuisce. «Certo certo. Donna di classe, lei,» balbetta, mentre le dà le coordinate di un conto bancario in un qualche paradiso fiscale.

Così, oltre a mandargli un considerevole mucchio di denaro, cosa di cui deve ringraziare Holmes, riesce a cancellare tutto ciò che la riguarda dal computer. Senza che il proprietario del suddetto computer se ne accorga.

È pronta a inviare i soldi quando si volta. «Non che non mi fidi, ma ora potresti darmi i miei documenti?»

Lui è un po’ titubante, ma ha solo voglia che lei se ne vada; inizia a mettergli paura. Glielo legge negli occhi e ne è soddisfatta.

«Ecco. I miei soldi?» cede lui, allungandole il piccolo plico di roba.

Lei osserva i documenti. In effetti sono davvero fatti bene.

«Quel che è giusto è giusto.» Si alza e si avvicina alla porta, sente gli occhi di quell’uomo seguirla. Quindi aggiunge: «Se non vuoi perdere la transazione, fossi in te schiaccerei invio abbastanza in fretta.»

Lui si volta e vede il conto alla rovescia sullo schermo.

Sente che la sta maledicendo e sorride sparendo tra le ombre.





Continua...




Note: Ed eccoci qui, niente sorprese dal punto di vista della misteriosa protagonista, credo che prima o dopo ci siete arrivati tutti, se non l'aveste fatto, è solo perchè sono bravissimaaaa (si certo come no XD) però qui ecco che una sorpresa c'è. E immagino non siate molto allegri per questa sorpresa, vero? Forse ho seguito troppo le orme dei due sceneggiatori infernali e sono diventata crudele anche io.
Comunque eccoci qui, addio trama originale ben venuta fantasia, sperando di far meglio XD
Grazie come sempre per le recesioni e per amare questa storia!
  
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