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Autore: Kimando714    01/11/2019    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 40 - SPECIAL NEEDS 



 
Continuava a muovere la gamba ritmicamente, picchiettando il piede a terra con nervosismo. Pietro voltò gli occhi verso la finestra, tenuta chiusa nonostante fuori ci fosse sole: era una bella giornata, quella, soleggiata come non se ne vedevano da un po’. C’era ancora freddo, il tipico clima ancora invernale dell’inizio di febbraio, ma per essere le sette della mattinata il sole sembrava già essere alto.
La vibrazione del suo cellulare lo fece girare di scatto, abbassando gli occhi sul display del telefono, già pronto a scoprire chi gli avesse scritto stavolta. Per un attimo credette di vedere sul serio il nome della persona che stava sperando fosse: era stato un attimo fugace, una certezza che gli aveva reso il battito del cuore accelerato. Era bastato chiudere e riaprire le palpebre per rendersi conto che era stata solo un’allucinazione.
Il nome di Gabriele lampeggiava sul display, un messaggio da parte sua con i soliti auguri di compleanno che Pietro stava ricevendo sin dalla mezzanotte di quella mattina. Non ricordava nemmeno chi fosse stato il primo a scrivergli: forse Erika, anche se non ne era sicuro.
Per un attimo ebbe la tentazione di lanciare il telefono sul pavimento, ma cercò di resistere all’impulso: si ributtò sul letto, lungo disteso, piuttosto consapevole che se avesse continuato così avrebbe fatto tardi e perso la corriera. Non che gliene importasse molto, arrivato a quel punto.
Il cellulare, da qualche parte sul materasso, vibrò ancora una volta; Pietro non gli si avvicinò, non subito: gli ci volle almeno qualche minuto prima di decidersi ad allungare una mano e leggere chi fosse l’ennesimo mittente.
Rimise il telefono sul letto un attimo dopo, ancora una volta deluso.
“Forse non si ricorda nemmeno del mio compleanno”.
Sospirò pesantemente a quel pensiero: d’altro canto sarebbe stato logico arrivare a quella conclusione. Non avevano mai festeggiato insieme nessun suo compleanno. Non c’era motivo per cui proprio lui avrebbe dovuto ricordarsene.
Cercò di non sentirsi troppo demoralizzato: in fin dei conti diciannove anni non erano nulla di che. Non era un traguardo come i diciotto, o un nuovo decennio come per i venti. E d’altra parte anche il giorno del proprio compleanno non era nulla di speciale: era un giorno come un altro, monotono e difficile come tutti i precedenti e come tutti i giorni che sarebbero seguiti.
E poi, continuò a chiedersi imperterrito, che senso aveva aspettare gli auguri di compleanno da una persona che non vedeva da più di sette mesi?
Pietro sbuffò tra sé e sé, disilluso e ferito.
“Potrei scrivergli io”.
Per un secondo si chiese se avrebbe avuto senso farlo. Certo, quella sera avrebbe festeggiato in una pizzeria di Piano Veneto, e c’erano alte probabilità che poi lui e gli altri invitati si sarebbero spostati verso il centro del paese per andare ad infilarsi in qualche locale.
Per quanto ne sapeva, c’era il rischio di incrociare Alessio.
Ricordò che, tecnicamente, se mai gli avesse fatto una domanda del genere di punto in bianco, Alessio avrebbe avuto tutto il diritto di domandargli da dove sbucasse fuori Pietro e tutto quel suo improvviso interesse. D’altro canto, anche lui non si era mai fatto vivo in sette mesi.
Pietro si girò di fianco, abbracciando il cuscino e combattendo contro la voglia di lasciarsi andare ad un pianto nervoso.
C’erano così tante cose che avrebbe voluto dirgli, così tante che molto probabilmente non gli sarebbe mai bastato un messaggio per poterle includere tutte.
Forse, si ritrovò a pensare, cercare di reprimere tutto e continuare ad ignorare la loro distanza come se nulla fosse non era stata l’idea migliore. Non se, nella mattina del suo compleanno, si ritrovava in quello stato.
Sarebbe stato facile afferrare il telefono; un po’ meno lo sarebbe stato iniziare a scrivergli qualcosa.
Si rese conto che sarebbe stato solo patetico iniziare un messaggio con un laconico “Mi manchi”, o un altrettanto troppo semplice “Mi dispiace che sia finita così tra noi”.
Troppo patetico, troppo.
Rimase sdraiato ancora per minuti che gli parvero durare in eterno, la tentazione di afferrare di nuovo il telefono che se ne andava a poco a poco, la rassegnazione che prendeva il posto della volontà che l’aveva animato poco prima.
 
*
 
La serata era limpida e fredda esattamente come Pietro se l’era aspettata: nessuna nuvola che minacciava pioggia, solo il cielo stellato e la temperatura che faceva venir voglia di non uscire affatto di casa.
Aveva seguito l’esempio di Filippo: nulla di troppo clamoroso per festeggiare. Gli era bastata una semplice cena con pochi amici, in una pizzeria non troppo distante dalla stazione di Piano.
-Allora, come ci si sente ad essere così vecchio?- Alberto lo afferrò improvvisamente per le spalle, stritolandogliele in un modo che fece venir voglia a Pietro di girarsi e scrollarselo malamente di dosso.
Erano le dieci di sera, ed era anche il momento del dolce: una candela accesa si stagliava in cima al profiteroles che Pietro non vedeva l’ora di assaggiare. Oltre ad Alberto gli si erano riuniti intorno tutti gli altri, schiamazzando. Era un bene che la pizzeria, durante la settimana, non fosse particolarmente affollata e che il loro tavolo fosse in ogni caso piuttosto distanziato dal resto della sala.
-Vuoi che ti presti delle stampelle?- proseguì Alberto, causando qualche risata in Filippo e Gabriele, seduti di fronte a Pietro – Sai … Ormai l’età avanza. Potrebbero tornarti utili-.
-Le stampelle le lascio volentieri a te, Gabbani- Pietro si voltò indietro verso l’altro, guardandolo il più malamente possibile. Lasciò perdere Alberto, voltandosi verso Erika, seduta di fianco a lui e impegnata a trattenere a stento una risata: le dette un veloce bacio a stampo, prima di tornare a concentrarsi sulla torta.
Soffiò sulla candela, spegnendola al primo colpo: solo allora partirono l’applauso e gli schiamazzi dal resto della tavolata. Pietro si sforzò di sorridere: stava festeggiando il suo compleanno, con i suoi amici, la sua ragazza, e non c’era nulla che poteva voler di più di quanto quella serata già gli stava offrendo.
Cercò di soffocare il ricordo delle prime ore di quella stessa mattina in quella convinzione.
 



-Hai già un’idea su dove andare a passare il resto della serata?-.
Pietro alzò gli occhi su Caterina subito dopo aver ingoiato l’ultimo pezzo di torta che gli rimaneva nel piatto. Quella domanda poteva apparire piuttosto casuale, ma il tono studiato che Caterina aveva usato non gli era del tutto passato inosservato. La guardò per alcuni secondi in silenzio, osservandola mentre, dall’altra parte del tavolo, gli rivolgeva un sorriso tutt’altro che smaliziato.
Per un attimo ricordò le parole che lei e Nicola gli avevano rivolto una settimana prima, al Caffè della Piazza: quella era solo l’ennesima prova che avessero in mente qualcosa di piuttosto specifico per lui.
-L’improvvisazione è l’idea migliore- alzò le spalle, indifferente – Magari eviterei solo il Babylon-.
Aveva pensato a lungo, quella mattina, a cosa sarebbe potuto succedere se si fossero davvero presentati là, magari di fronte ad Alessio. Era giunto alla decisione che andare al Babylon e incrociarlo, senza mai avergli scritto una singola volta in sette mesi, non era l’idea migliore di sempre.
Giulia, seduta accanto a Caterina, sbuffò sonoramente:
-Non l’avrei mai detto che non avresti voluto andare là- disse con tagliente ironia, senza nemmeno alzare gli occhi su di lui.
Lo sguardo di Erika, invece, Pietro se lo sentì incollato addosso. Non si girò verso di lei, ma poteva scommettere che lo stesse fissando incuriosita, a tratti confusa.
Se voleva chiedergli qualche delucidazione, però, non fece in tempo: Nicola prese la parola un attimo dopo.
-Puoi stare tranquillo- disse, con calma – Durante la settimana di solito non suonano dal vivo-.
Pietro si strinse nelle spalle, ancora poco convinto nonostante l’assenza di esitazioni nel tono di Nicola:
-Ne sei sicuro?- chiese ancora.
Nicola annuì subito:
-Lo sono-.
Pietro per un attimo si ritrovò quasi a voler cedere. D’altro canto, se gli altri volevano andare là, non poteva fermarli: la maggioranza vinceva sempre.
-In ogni caso noi abbiamo un’idea su dove andare- la voce di Filippo lo distrasse da quei pensieri. Pietro arcuò un sopracciglio, incuriosito:
-Spara- lo incitò, ma da Filippo ricevette solo un ghigno astuto ed un silenzio piuttosto eloquente.
-Tu non lo scoprirai fino a quando non saremo arrivati- fece Giulia, immediatamente. Per un attimo Pietro credette di aver capito male o di essersi perso un passaggio.
-State scherzando, spero- mormorò, spostando lo sguardo su tutti i suoi amici, uno alla volta. Dalle loro espressioni capì che no, non stavano affatto scherzando.
Caterina non fece altro che confermargli quella sensazione:
-Per niente- schioccò la lingua, il sorriso divertito che le si allargava sulle labbra – Proprio per niente-.
 



L’aria fuori dalla pizzeria era fredda come se fosse tarda notte. Pietro alzò gli occhi al cielo, osservando le stelle che ne ricoprivano il manto blu: era una bella serata, limpida come non succedeva da tempo.
-Sei nervoso, per caso?- la voce di Erika lo costrinse a riportare gli occhi su di lei. Si stavano incamminando tutti verso le auto, pronti a spostarsi verso il centro del paese – verso il posto a cui Caterina aveva alluso fino a quel momento, senza mai lasciarsi scappare un singolo dettaglio a cui Pietro poteva appigliarsi per provare ad indovinare.
-Cosa te lo fa pensare?- chiese di rimando ad Erika, stringendole la mano in una presa un po’ più salda. Mancavano pochi metri alle auto di Filippo e Nicola: le avrebbero usate entrambe, dividendosi, per il breve viaggio.
Erika gli lanciò un ghigno malizioso:
-Ti sta sudando la mano- lo prese in giro, senza nemmeno sforzarsi per trattenersi dal ridere. Pietro sbuffò sommessamente, scuotendo il capo.
Erika non aveva tutti i torti, e quel che più lo infastidiva era che non c’era un reale motivo per sentirsi agitato: la sua era solo una sensazione irrazionale, che però non riusciva a scrollarsi di dosso da quando erano usciti dalla pizzeria.
Pietro si avvicinò allo sportello posteriore dell’auto di Nicola, la più vicina a lui: l’auto era stata appena aperta, e non attese oltre per salirci. Non appena aprì lo sportello si sentì tirare indietro da due mani che lo avevano afferrato per i vestiti.
-Non provare a salire subito!- Giulia gli urlò addosso, mantenendo la presa e impedendogli di fare qualsiasi mossa – Prima devo coprirti gli occhi-.
Pietro si girò indietro verso di lei, per quanto gli fosse possibile:
-Seriamente?- sbottò, ad occhi sgranati.
Si girò intorno, cercando di attirare l’attenzione di qualcun altro: nessuno stava facendo caso allo scambio di battute tra lui e Giulia, come se fossero tutti perfettamente a conoscenza del particolare del dover essere bendato.
-Molto seriamente- Giulia lasciò andare la presa solo per mettersi a rovistare brevemente nella propria borsa – Avanti, girati-.
Pietro prese un sospiro profondo prima di farlo, soffocando le imprecazioni che avrebbe rivolto volentieri a Giulia. La vide tenere in mano un pezzo di stoffa nero, molto probabilmente ciò che avrebbe usato per bendarlo.
Si morse il labbro inferiore, innervosito, ma non sottraendosi alla morsa di Giulia.
 



Il viaggio in auto non era durato molto, segno che non si erano effettivamente spostati da Piano. Pur provando a tener traccia delle manovre di Nicola alla guida, Pietro aveva dovuto rinunciare a qualsiasi previsione dopo pochi minuti, troppo disorientato per la vista oscurata.
La testa gli girò alcuni secondi quando, finalmente, Nicola parcheggiò l’auto. Sperò che quelli fossero gli ultimi istanti con quella benda addosso a renderlo cieco, ma la voce di Caterina, quasi come se gli avesse letto il pensiero, gli arrivò fin troppo forte e chiara:
-Siamo arrivati- annunciò, dal suo posto sul sedile dell’accompagnatore – Ma dovrai tenerti la benda ancora per un po’-.
-Non dirmi che volete farmi camminare legato- brontolò Pietro, già rassegnato.
Caterina rise appena, seguita da Nicola:
-Credo che sarà esattamente quello che faremo-.
Qualche minuto dopo erano già tutti fuori dall’auto, Pietro in piedi in attesa che qualcuno lo guidasse per poter camminare.
Il percorso a piedi doveva essere stato altrettanto breve, calcolò mentalmente Pietro: nonostante si fossero incamminati a passo particolarmente rallentato, gli ci volle poco per udire in lontananza della musica proveniente da qualche locale – forse lo stesso a cui erano diretti.
Pietro inspirò a fondo, cercando di cogliere qualche parola o frase pronunciata da qualcuno degli altri per cercare di intuire qualcosa. Ebbe scarsa fortuna: forse stavano particolarmente attenti a non farsi sfuggire nulla, e non riuscì a cogliere alcun indizio.
Quando la musica si fece più forte, ora decisamente più distinguibile, accompagnata dal chiacchiericcio di voci sconosciute, capì che dovevano essersi diretti verso l’ingresso del locale scelto.
-Attento alla porta- la voce di Gabriele gli arrivò quasi urlata per farsi sentire sopra la musica, le sue mani che l’avevano afferrato per i fianchi per non rischiare di vederlo inciampare.
-Non fareste prima a togliermi questo dannato coso dagli occhi?- Pietro alzò la voce di rimando, mentre cercava di entrare nel locale, sperando che nessuno lo investisse e di non andare addosso a nessuno a sua volta.
Non riuscì a sentire le rispose confuse che gli arrivarono, ma intuì che, come prima, la sua proposta non avesse ricevuto alcun consenso.
Fece ancora qualche passo, prima che Caterina, davanti a lui, lo bloccasse con un braccio davanti al petto:
-C’è un tavolo libero proprio qui, meglio approfittarne!-.
Pietro annuì, facendosi aiutare a prendere posto. Il volume della musica sfumò a poco a poco, segno che la canzone che li aveva accompagnati fino a quel momento stava finendo. Si rese conto, non troppo a fatica, che quella era musica dal vivo: anche se ci aveva prestato poca attenzione, era piuttosto evidente che dovesse esserci una band che stava suonando nel locale.
Appoggiò il capo alla parete, chiedendosi quando finalmente sarebbe stato libero di togliersi quella maledetta benda e godersi il resto della serata. Cominciava a sentirsi innervosito per quella situazione, ma continuò a non dire nulla: non aveva intenzione di sprecare altro fiato, non quando già sapeva quale sarebbe stata la risposta che avrebbe ricevuto.
Cercò di acuire l’udito, captando più suoni possibili intorno a lui: il chiacchiericcio causato dall’altra gente che doveva essere presente stava sovrastando la musica, sempre più debole. Dopo qualche secondo la canzone terminò del tutto: partirono diversi applausi entusiasti, alcuni particolarmente vicini a lui. Immaginò che qualcuno dei suoi amici si fosse unito all’applauso generale.
Pietro sbuffò appena, ora piuttosto incuriosito dal posto in cui si trovavano:
-Si può sapere almeno perché devo rimanere bendato anche se siamo già arrivati?- sbottò, alzando la voce abbastanza per riuscire a farsi sentire.
-La sorpresa che abbiamo in serbo dovrà attendere ancora un po’- la voce di Giulia lo raggiunse piuttosto nitidamente, nonostante il chiacchiericcio di fondo – E poi così ti godrai di più la musica-.
Pietro annuì rassegnato, senza la reale voglia di controbattere.
-Le canzoni ti piaceranno, vedrai-.
Anche se non poteva vederla in faccia, Pietro ebbe l’impressione netta che Caterina si stesse rivolgendo proprio a lui.
-Cosa te lo fa pensare?- le chiese, sinceramente curioso – E soprattutto, conosci già la scaletta?-.
-Non tutte le canzoni che verranno suonate, ma sì- ammise lei – Prova ad ascoltarle attentamente, qualcuna potrebbe anche colpirti particolarmente-.
-Se lo dici tu- si ritrovò a mormorare Pietro, scettico. Sperava che i prossimi minuti passassero il prima possibile, il disagio che si faceva sempre più palpabile.
La canzone successiva iniziò pochi secondi dopo la fine di quel breve scambio di battute. Rispetto alla precedente, a Pietro parve di udire una prominenza della tastiera.
Non aveva nient’altro a cui prestare attenzione, oltre a concentrarsi sulla musica: dopo qualche nota il ritmo della canzone si fece più nitido, e cercò di ricordare se la conosceva o meno. Era di sicuro una ballad anni ’90, e si ritrovò a chiedersi se fosse davvero “I do it for you” o se si stesse confondendo.
I minuti successivi sembrarono più brevi di quel che in realtà erano. Chiunque stesse suonando era bravo, o perlomeno piacevole da ascoltare; trovava gradevole anche la voce del cantante, anche se non la trovava molto simile a quella di Bryan Adams. Il timbro del cantato aveva qualcosa di famigliare che Pietro non riusciva a cogliere del tutto.
Era come se l’avesse già sentita, come se la conoscesse già, senza però riuscire a ricordare dove potesse averla già ascoltata o a chi potesse appartenere. 
Rimase nel limbo del dubbio per tutto il resto della canzone. Di nuovo, quando terminò, partì l’acclamazione dai frequentatori del locale: Pietro pensò quasi di unirsi al coro, ma tenne le mani ferme, abbandonate sopra le proprie cosce.
Ci furono di nuovi secondi senza musica in sottofondo; gli parvero minuti piuttosto vuoti, quasi noiosi. Si ritrovò sinceramente incuriosito dalla canzone che sarebbe venuta dopo: come Caterina aveva predetto, il genere da cui la band stava pescando gli stava piacendo.
Sentì i suoi amici parlare tra di loro, talmente a bassa voce che non riuscì a cogliere nemmeno una parola di quel che stavano dicendo. Incrociò le braccia contro il petto, trattenendo a stento un respiro profondo, rimanendo in attesa.
Il chiacchiericcio al loro tavolo si bloccò di nuovo, quando qualche secondo dopo riuscì a distinguere nettamente il suono di una chitarra elettrica levarsi sopra il resto degli altri rumori del locale.
Pietro si rimise in ascolto, la melodia cupa e ritmata con la stessa aria famigliare della canzone precedente. Si sentì piuttosto malinconico nel seguire le note della chitarra.
 
Remember me when you're the one who's silver screened 
Remember me when you're the one you always dreamed 
Remember me whenever noses start to bleed 

Remember me
Special needs
 
Sentì chiaramente Caterina, evidentemente seduta accanto a lui da quel che poteva intuire, cantare a bassa voce accompagnando la voce del cantante. Per un attimo, dopo aver riconosciuto la canzone, ebbe la tentazione di fare lo stesso, ma si trattenne: c’era di nuovo la stessa sensazione di inaspettata famigliarità con quella voce che lo spingeva ad ascoltarla e basta, alla ricerca di un nome o un viso a cui associarla.
Era una bella voce, si ritrovò ad ammettere.
Cristallina, intonata ed adatta alla canzone, e maledettamente famigliare.
 
Just nineteen, a sucker's dream
I guess I thought you had the flavour
Just nineteen, a dream obscene
With six months off for bad behaviour
 
Non seppe con esattezza cosa fosse stato a fargli scattare, come un clic, la consapevolezza che stava cercando da minuti interi. Forse il modo in cui la voce del cantante aveva modulato le ultime parole del ritornello, forse semplicemente la conoscenza finora inconscia che aveva finalmente preso il sopravvento.
Ricordava, anche se a fatica e solo vagamente, dove aveva già sentito cantare quella voce, e per un attimo non poté fare a meno di darsi dell’idiota per non esserci arrivato prima.
Era stato un giorno piovoso dell’anno precedente – San Valentino, ne era quasi sicuro-, mentre camminavano fianco a fianco sotto lo stesso ombrello per ripararsi dalla pioggia.
“Gli avevo chiesto di continuare a cantare anche quel giorno”.
 
Remember me when you clinch your movie deal
Think of me stuck in my chair that has four wheels
Remember me through flash photography and screens

Remember me
Special dreams
 
Per un attimo Pietro ebbe la tentazione di strapparsi di dosso la benda. Sentì il bisogno di vedere, di avere una prova concreta con i suoi stessi occhi, anche se sentiva già di avere la certezza di trovarsi al Babylon e stare ad ascoltare Alessio. Non aveva davvero bisogno degli occhi per saperlo.
Stava per alzare la mano verso il viso, ma si bloccò un secondo dopo; si morse le labbra con indecisione, la mano ancora appoggiata sopra la propria coscia, stretta in un pugno.
Si chiese cosa avrebbe fatto una volta essersi tolto quell’ostacolo che lo rendeva cieco: se ne sarebbe andato senza dir nulla agli altri? Senza nemmeno dare una spiegazione ad Erika? Rimanere lì a fissare il vuoto, rifiutandosi di girarsi verso Alessio?
Erano mesi che non provava la sensazione di posare gli occhi su di lui. Era stata una cosa talmente lontana da lui fino ad un secondo prima, che per un lungo attimo fu la ragione che lo spinse a pensare davvero di portare la mano alla benda e farla finita.
Rimase fermo ancora una volta, la voce di Alessio che continuava a cantare: era una pugnalata dritta nel petto ad ogni parola. Il dolore si stava espandendo così tanto da fargli persino dimenticare la rabbia che poteva provare verso i suoi amici – gli stessi che lo avevano rassicurato che non ci sarebbe stato Alessio al Babylon quella sera.
S’immaginò togliersi il foulard di Giulia dagli occhi, alzarsi in piedi ed andare davanti ad Alessio, dimostrargli che, suo malgrado, era lì anche lui quella sera. Riusciva persino a vedere nitidamente l’espressione sorpresa che gli si sarebbe dipinta in volto, ben più meravigliata di quanto non lo era stato lui nel ricordare di chi fosse quella voce che lo aveva accompagnato fino a quel momento.
 
Just nineteen, a sucker's dream
I guess I thought you had the flavour
Just nineteen, a dream obscene
With six months off for bad behaviour

 
Non si mosse nemmeno in quel momento, ancorato ed immobile sulla sua sedia. Dubitava che gli altri si fossero accorti di nulla: non aveva mosso un muscolo, nemmeno alzato un sopracciglio, quando aveva riconosciuto Alessio. E dubitava stessero badando a lui, non quando li sentiva così maledettamente presi da quel concerto.
 
Remember me
 
Così come era iniziata, gli altri strumenti lasciarono posto unicamente alla chitarra elettrica. Pietro intuì che la canzone fosse agli sgoccioli. Alessio tacque qualche secondo dopo, sommerso dall’ennesimo applauso.
Qualche secondo dopo portò sul serio la mano al foulard: cedette con poca forza, ridandogli finalmente la vista tanto agognata.
C’era buio nel locale, attenuato solo dalle luci soffuse del soffitto e dietro il bancone, e c’era troppa gente accalcata per poter vedere poco oltre il loro tavolino. Pietro non seppe dire se fosse un sollievo, rendersi conto che non avrebbe potuto vedere Alessio in ogni caso, o l’ennesima delusione di cui avrebbe portato il peso.
Prima che uno qualsiasi dei suoi amici potesse accorgersi del suo gesto, si alzò velocemente: aveva bisogno d’aria, e lì dentro non stava facendo altro che soffocare.
Si rimise la giacca pesante addosso a fatica, cercando di farsi largo tra la folla di gente che si era accumulata nel locale: gli ci vollero diversi secondi, e numerose gomitate, per riuscire a raggiungere la porta che dava all’esterno.
Quando finalmente uscì, sentì un brivido di gelo percorrergli la schiena: anche se sotto i portici della piazza si era accumulata altrettanta gente, non bastava il calore sprigionato dai corpi vicini per sentire di meno la morsa fredda della notte invernale.
Pensò di accendersi una sigaretta: era l’unica cosa che avrebbe potuto farlo sentire un po’ meglio, in quel momento. Fece per infilare una mano nella tasca dei jeans, quando una mano gli si posò delicatamente su una spalla.
Pietro riconobbe quel tocco abbastanza facilmente: era sempre Caterina quella che usava quell’esitante delicatezza per richiamare l’attenzione di qualcuno. Quando si voltò indietro non si stupì affatto di ritrovarsela di fronte.
-Stai bene?- gli chiese subito. Non c’era più traccia della scherzosa malizia che gli aveva rivolto per tutta la serata: nella sua voce c’era timore, forse anche un po’ d’apprensione.
Pietro alzò le spalle, guardando altrove:
-Sì- mormorò semplicemente, senza sentire il bisogno di aggiungere altro. A quanto pareva non si era allontanato così velocemente dal loro tavolo come aveva pensato: Caterina l’aveva raggiunto in meno di un minuto.
Per qualche secondo nessuno di loro disse nulla. Pietro la osservò di sottecchi: gli sembrava piuttosto indecisa su cosa dire e come comportarsi. Teneva le mani rinchiuse nelle tasche della giacca, il viso particolarmente pallido che contrastava con i ricci scuri che le adornavano il volto.
-Lo hai riconosciuto anche con la benda, vero?-.
Caterina non si premurò nemmeno di specificare a chi si stesse riferendo, e Pietro gliene fu grato: era fin troppo evidente di chi stessero parlando.
-Non subito- ammise, a mezza voce – Mi ci è voluto un po’-.
Caterina lo guardò gravemente, l’allegria del tutto sparita:
-E sei arrabbiato-.
Non era una domanda, e Pietro si chiese cosa le desse tutta quella sicurezza per poterlo affermare. In fin dei conti si era sentito così solo all’inizio, ad inganno scoperto, ma l’arrabbiatura era durata talmente poco da non lasciare nemmeno traccia.
-No, non lo sono- replicò, con più convinzione – Sono solo … -.
Si morse il labbro inferiore, senza sapere cos’altro dire.
-Non lo so neanche io cosa sono- si lasciò sfuggire, con un sospiro profondo.
Si sentiva risucchiato in un vortice di sensazioni che non riusciva ancora a decifrare. Solo quella mattina aveva pensato di scrivere ad Alessio, ed ora si ritrovava lì vicino a lui, più vicino di quanto non fossero mai stati in tutti quei sette mesi.
La sola idea di tornare là dentro, però, gli faceva mancare il respiro.
-Lo so che ti abbiamo detto qualche bugia, ma è stata a fin di bene- la voce di Caterina lo distrasse ancora una volta da quei pensieri – E poi penso che gli avrebbe fatto piacere sapere che eri lì con noi-.
Su quell’ultimo punto Pietro non ne era del tutto sicuro: doveva esserci pur un motivo, se Alessio non si era mai rifatto vivo, nemmeno per cercare di riparare le cose.
Forse in fondo era destino che tra di loro non potesse funzionare: c’era stato troppo silenzio, troppi malintesi, anche solo per sperare di recuperare qualcosa.
-Ha una bella voce- si ritrovò a sussurrare Pietro, evitando il più possibile di esternare quei suoi pensieri.
Caterina sembrò capire l’antifona, perché non provò nemmeno ad insistere.
Pietro si schiarì la gola, piuttosto a disagio:
-Solo … - sospirò ancora una volta, alzando gli occhi su di lei – Possiamo andare altrove adesso?-.
Caterina non sembrò affatto sorpresa della domanda: annuì subito, cercando di sorridergli rassicurante. Pietro si chiese che razza di espressione disperata doveva avere dipinta in volto, per convincerla con così poco a lasciare il Babylon ed il concerto di Alessio.
-È il tuo compleanno: decidi tu dove andare- gli rispose, accomodante – Vado a chiamare gli altri-.
Pietro annuì in risposta, grato che non gli avesse detto di seguirla ancora all’interno del bar. La guardò voltarsi ed allontanarsi, risucchiata dalla fiumana umana concentrata intorno all’entrata del Babylon. La perse di vista in pochi attimi.
Tenne gli occhi puntati sull’insegna al neon del Babylon, proprio sopra l’entrata. Acuendo l’udito riuscì a cogliere qualche spezzone della canzone successiva che Alessio stava cantando, senza però riuscire a riconoscerla.
Si chiese, per un lungo attimo, se almeno lui fosse stato a conoscenza della sua presenza lì quella sera. Non si erano nemmeno visti, non fisicamente, anche se avevano condiviso lo stesso spazio per un po’ di tempo: era una cosa strana da pensare, essere stati così vicini senza nemmeno rendersene conto.
Era stato come desiderare di toccare qualcuno oltre un muro, ma riuscendo a farlo solo attraverso la voce.
 
*
 
Si sedette in auto esalando un lungo sospiro, esausto e sudato come si sentiva dopo ogni concerto. Alessio tenne gli occhi chiusi per qualche secondo, sperando di non venir sopraffatto dalla stanchezza: doveva ancora guidare fino a casa, prima di lasciarsi andare al sonno.
Decise di prendersi qualche minuto di tranquillità, prima di mettere in moto: la prima cosa che fece, oltre a girare la chiave ed accendere il motore per poter accendere a sua volta il riscaldamento, fu attaccare la radio. La tenne a volume medio: era il metodo migliore per non rischiare di addormentarsi alla guida. Canticchiare le canzoni che passavano lo aiutava sempre a concentrarsi e tenere la mente sufficientemente sveglia.
Prese il telefono dalla tasca della giacca, accendendolo dopo averlo tenuto spento per tutta la durata del concerto: era quasi l’una, da quel che segnava l’ora sul display ora illuminato.
Alessio fece per rimetterlo nella tasca quasi subito, ma dovette fermarsi: l’icona di un messaggio ricevuto lampeggiava innegabilmente. Aggrottò la fronte, nel leggere il nome di Nicola come mittente.
Il messaggio gli era stato inviato meno di mezz’ora prima: Alessio si mise più comodo contro il sedile dell’auto, mentre apriva il messaggio per leggerlo.
“Bello lo spettacolo di stasera, eri particolarmente in forma”.
Alessio rise tra sé e sé nel leggere quella prima frase.
“Se te lo stai chiedendo, eravamo al Babylon stasera, anche se per poco”.
Anche se era tardi, e molto probabilmente Nicola era già rincasato – forse addirittura già addormentato- Alessio si apprestò comunque a rispondergli: era strano che non lo avesse avvisato prima del concerto della presenza sua e di Caterina, anche se magari l’avevano deciso all’ultimo. Si chiese se ci fosse stato qualcun altro con loro: dava Caterina piuttosto scontata, ma Nicola non aveva specificato l’identità di nessun altro compreso in quel “noi”.
“Non vi ho visti, c’era davvero un casino di gente stasera” digitò velocemente, senza pause “Con chi eri?”.
Non si aspettava una risposta da Nicola, non prima della mattinata, ma contro sua ogni previsione non fece nemmeno in tempo a posare il telefono prima di sentirlo vibrare.
A quanto pareva era ancora sveglio, il cellulare a portata di mano e pronto a rispondere piuttosto celermente.
“Ero con Caterina, Giulia, Filippo ed altri amici”.
Nemmeno un secondo dopo Nicola gli inviò un secondo messaggio:
“E c’era anche qualcun altro … Il festeggiato della serata. Lo abbiamo portati lì a sua insaputa per il suo compleanno, ma non ha fatto storie quando l’ha scoperto”.
Per un attimo, un lungo secondo pregno d’ansia, Alessio rimase a fissare quell’ultimo messaggio. Rilesse la frase un paio di volte, confuso.
Cercò di ricordare che data fosse – ormai la data del giorno precedente-, ritrovandosi a non ricordare nessuno che compisse gli anni in quei giorni.
Poi ricordò improvvisamente, senza preavviso, e per un attimo credette che Nicola lo stesse prendendo in giro.
Evitò di domandare in che modo lo avessero trascinato al Babylon senza farglielo sapere – si immaginò i suoi amici intrappolare comicamente Pietro con delle corde e portarcelo a forza-, ma non poté reprimere il bisogno di avere delle conferme:
“Pietro era lì?”.
Attese la risposta di Nicola in un misto di ansia ed incredulità.
Forse aveva solo capito male – forse ricordava male che la data del compleanno di Pietro corrispondesse-, o forse Nicola lo stava portando fuori strada apposta.
Rimase a guardare il display in modo febbrile, aspettando un messaggio che potesse rispondere a tutte le domande che aveva in testa in quel momento. Quando il display lampeggiò, segnalando l’ennesimo messaggio ricevuto, si mise meglio a sedere contro il sedile, aprendolo subito e preparandosi a leggerlo:
“Sì, era lì con noi”.
Alessio trattenne il respiro, quasi sospettando di aver letto male. Dovette rileggerlo un paio di volte, prima di proseguire:
“Non gli abbiamo detto che eri tu a cantare, e da dove eravamo nemmeno ti si vedeva … Ma ha apprezzato. E ha riconosciuto la tua voce lo stesso”.
Buttò la testa all’indietro, fino a quando la nuca non toccò il poggiatesta del sedile. Lasciò cadere la mano a peso morto, il display del telefono ora bloccato, le parole di Nicola lontane dalla sua vista.
Non aveva nemmeno la forza di ragionare su quel che era evidentemente avvenuto quella sera, e non credeva l’avrebbe avuta prima di una dormita. Riusciva solo a capire che Pietro era stato al Babylon, quella sera, anche se nessuno di loro ne era stato a conoscenza.
Rimase con gli occhi chiusi per più di qualche minuto, la sorpresa di quella notizia che, ancora per un po’, non avrebbe accennato a calare.
 
 



 
*il copyright della canzone (Placebo - "Special needs") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI

Nuovo capitolo, e nuovo focus su Pietro. La mattina del suo compleanno porta più dubbi del previsto, e Pietro ancora non sembra aver capito se le sue scelte siano state le migliori. La serata prosegue invece con qualche sorpresa: pur essendo stato portato con l'inganno, Pietro si ritrova proprio nel posto che più voleva evitare, a riconoscere la voce di Alessio nonostante tutto. Qualche ora più tardi, invece, è il turno di Alessio di scoprire certe cose avvenute durante la serata, a pochi metri da lui, con non poco shock.

Appuntamento per mercoledì 13 novembre con un nuovo capitolo!

Kiara & Greyjoy

   
 
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