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Autore: Sandie    02/11/2019    3 recensioni
Genzo torna in Giappone lasciandosi alle spalle Amburgo e tutte le sue certezze crollate in pochi mesi.
Ritrovati la sua famiglia e gli amici di sempre, nel suo futuro ci sono le Olimpiadi di Madrid e decisioni importanti che apriranno un nuovo capitolo della sua vita. Un destino che condivide con Taro.
I loro percorsi si intrecciano con quelli di Kumi ed Elena: due ragazze che, come loro, dovranno costruire una
nuova vita, diversa da quella immaginata.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Taro Misaki/Tom
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo XXVII

 

Kintsugi

 

 

 

«Siamo quasi arrivati all'Allianz Arena, signorina.»

La voce squillante e dal tono affabile del giovane tassista riscosse Elena dai suoi pensieri.

Prese la sua borsa e si preparò a pagare il tragitto.

Stava per assistere alla partita tra Bayern Monaco e Amburgo, la più importante per Genzo.

Lei e il portiere stavano vivendo la loro relazione in pianta stabile da quando si erano rincontrati a Bad Tölz. Si vedevano ogni volta che avevano del tempo libero da dedicare l'uno all'altra, e la loro intesa continuava a crescere.

Ricordò divertita una sera di due settimane prima, quando lei e Angelina, per festeggiare il compleanno di Genzo avevano deciso, di comune accordo, di invitare a cena nel loro appartamento i rispettivi fidanzati, l'uno all'insaputa dell'altro.

Per pura casualità Genzo e Mattias erano giunti quasi in contemporanea davanti al portone del palazzo. Il giovane impiegato aveva così scoperto con sbalordimento che il portiere del Bayern Monaco era il ragazzo di Elena.

Passato il momento di iniziale stupore, i due uomini avevano familiarizzato, regalando così alle loro fidanzate una serata splendida, tra chiacchiere e risate.

 

Il taxi si fermò a poca distanza dai cancelli dello stadio.

Con il sorriso ancora sulle labbra, Elena tornò al presente, diede all'autista quanto dovuto e scese.

Era l'ultima giornata prima della pausa invernale. Poi ci sarebbero state tre settimane di vacanza, prima del rientro a Monaco per l'inizio del girone di ritorno.

Il Bayern aveva già guadagnato il titolo di "campione d'inverno" e sperava di poter allungare il suo vantaggio in classifica, visto che nella stessa giornata le altre due contendenti al titolo, lo Stoccarda di Müller e il Werder Brema di Schester e Margus, si sarebbero scontrate tra loro. Genzo giocava per la prima volta contro la squadra in cui si era formato come calciatore e in cui aveva militato fino alla stagione precedente. Era passato poco più di un anno dalla gara che aveva cambiato completamente il corso della sua vita.

«Voglio che tu venga a vedere questa partita, Elena.» le aveva detto lui alcune sere prima, durante una passeggiata serale per il centro di Monaco.

«Sei teso?» le aveva chiesto lei.

«Certo, l'Amburgo è la squadra in cui sono cresciuto e diventato un professionista. E per la prima volta giocherò contro i tifosi che mi hanno sostenuto fin da ragazzino. Ma voglio che tu ci sia soprattutto perché, in fondo, è cominciato tutto da lì. La messa fuori squadra da parte di Zeeman, la mia decisione di tornare in Giappone, il nostro incontro. Tu hai facilitato la mia scelta di venire a giocare qui.»

 

Fuori dai cancelli, tra la cospicua folla di tifosi con sciarpe, cappellini, bandiere e striscioni, vide un uomo dai tratti giapponesi, elegante nel suo completo grigio. I capelli brizzolati e gli occhiali dalle lenti fumé non lasciavano dubbi su chi fosse.

Nel frattempo anche lui notò la sua presenza e le rivolse un sorridente cenno di saluto.

«Signor Mikami!» rispose lei, avvicinandosi.

«Ciao Elena.»

«Anche lei qui a vedere Genzo contro l'Amburgo?»

«Già. Ti stavo aspettando.»

«Me?» chiese, un po' stupita.

«Sì. Genzo mi ha detto di prenotarti il posto accanto al mio.»

«Ha invitato qualcun altro, oltre a noi?»

Tatsuo scosse la testa e le sorrise.

«Andiamo.»

 

Elena si accomodò sulla poltroncina riservata per lei all'Allianz Arena.

Era in tribuna e non in curva, ma non aveva rinunciato alla sua sciarpa con colori e scritte del Bayern Monaco.

Osservò gli spalti, gremiti dagli euforici e appassionati tifosi bavaresi, ma anche il gruppo dei sostenitori amburghesi si stava facendo sentire.

La sua contemplazione venne interrotta dalle parole di Mikami.

«È arrivato il grande giorno: Genzo affronta per la prima volta la squadra in cui ha costruito la sua carriera di calciatore. Per lui era importante che ci fossi anche tu.»

«Genzo parla di me con lei?» non si trattenne dal chiedergli.

Tatsuo annuì. «Fin da ragazzino, ha passato più tempo con me che con i suoi genitori. Io ho assecondato e poi condiviso la sua passione per il calcio, cercando di aiutarlo, per quanto mi fosse possibile, a far emergere il suo talento. È un ragazzo riservato, ma non esita a parlare di ciò che gli sta più a cuore con le persone di cui si fida.»

Con un occhio sempre rivolto al campo, in cui le due squadre stavano compiendo gli esercizi di riscaldamento, le raccontò di quando erano arrivati in Germania, gli innumerevoli episodi in cui erano stati scambiati per padre e figlio, la decisione dell'allenatore di tornare in Giappone e lasciare che Genzo intraprendesse un percorso di integrazione più autonomo.

Le descrisse l'emozione di quando, dopo due anni, l'aveva ritrovato cresciuto e maturato, sia dal punto di vista fisico sia da quello caratteriale.

«Ma non l'ho mai visto tanto forte e determinato come ora. Credo sia anche merito tuo.»

Elena piegò le labbra in un sorriso, senza rispondere. Faticava a trovare parole che non suonassero banali o sdolcinate.

Ma Mikami era pienamente convinto di ciò che aveva appena affermato e anzi, lo ribadì.

«Lui in campo sembra un blocco di granito, in realtà è un ragazzo sensibile. Sapere che ci sei tu a vederlo da qui, gli darà la fiducia necessaria a giocare con concentrazione, come se di fronte a lui ci fosse una squadra qualsiasi. Vedrai che giocherà un'ottima partita.»

 

Le due squadre entrarono in campo, insieme all'arbitro e ai guardalinee.

I cori dei tifosi si fecero più accesi. Quelli del Bayern sottolinearono con un boato di entusiasmo il nome di Genzo, il primo pronunciato dallo speaker che stava elencando le formazioni e via via i nomi di tutti gli altri giocatori.

Il portiere era ormai acclamato quasi quanto Schneider.

Non mancarono i tifosi amburghesi che lo apostrofarono come "traditore", rivolgendogli dei fischi alla sua entrata in campo. Ma la maggior parte di loro era consapevole che il portiere se n'era andato per motivi indipendenti dalla sua volontà.

In ogni caso, la sua popolarità, già alta in Germania, in quei mesi era cresciuta esponenzialmente in tutta Europa. Tra Bundesliga e Champions League, le sue parate lo stavano consacrando come uno dei migliori portieri del mondo.

Molti cronisti e commentatori si erano occupati di lui sia nelle trasmissioni televisive sia nelle testate giornalistiche, ed era ormai solo questione di tempo prima che venisse scoperta la sua relazione con Elena, sebbene fossero fin lì riusciti a viverla con discrezione.

L'Amburgo, che aveva in panchina un nuovo allenatore e aveva inserito alcuni giovani nella squadra, schierava in porta Schweitzer, confermato dalla stagione precedente e reduce da un buon inizio in Bundesliga.

A guidare il centrocampo era Hermann Kaltz, promosso capitano dopo che l'attaccante Boisler aveva deciso di concludere la sua carriera lì dov'era cominciata, all'Eintracht Francoforte.

Il Bayern Monaco schierava la sua formazione consueta.

L'Amburgo, le cui peculiarità erano la fisicità e l'aggressività, riuscì a contenere gli attacchi del Bayern Monaco nella prima mezz'ora e tentò di rendersi pericoloso in un paio di occasioni, ma Genzo si fece trovare pronto.

Proprio quando gli amburghesi pregustavano un ritorno negli spogliatoi sullo 0-0 Schneider, con un potentissimo tiro di destro, ruppe gli equilibri e canalizzò la gara verso l'ennesima vittoria dei campioni di Germania.

Nel secondo tempo, l'Amburgo riuscì ad avvicinarsi alla porta avversaria solo con una combinazione tra Kaltz e il promettente attaccante brasiliano Amoroso.

Il bel tiro di interno sinistro fu però bloccato con sicurezza da Wakabayashi. Su potente rinvio di quest'ultimo, Karl segnò un'altra rete. A un quarto d'ora dalla fine, Levin portò il risultato sul 3-0.

Genzo distese appena le labbra in un sorriso e salutò i suoi ex compagni di squadra.

Schneider fece altrettanto e poi afferrò la mano del portiere, in una vigorosa stretta di mano.

Era diventato una specie di rito, che compivano dopo ogni partita.

Fin lì aveva portato bene: il Bayern era imbattuto.

Hermann si avvicinò e si parò di fronte a loro, a braccia incrociate e una smorfia imbronciata.

«Vi dovrebbero diffidare per concorrenza monopolistica, altroché! Avete una squadra a dir poco strepitosa, e vi siete presi anche Gen. Praticamente siete blindati.»

«Ammetto che mi piacerebbe battere il record di minuti passati senza subire un gol.» affermò Genzo, senza scomporsi.

«Sempre il solito Gen, sicuro di sé al limite della superbia. Certo che tra voi due è una bella lotta a chi gonfia di più il petto.»

I tre ragazzi scoppiano a ridere.

«Ehi, questa sera me lo devi dire.» ricordò Karl, rivolto al portiere.

«Devi dirgli cosa?» chiese Hermann, incuriosito.

«Chi lo ha convinto a venire al Bayern. È da quest'estate che me lo domando.»

«Non è stato il vostro infallibile procuratore?» replicò il centrocampista, alzando un sopracciglio.

Karl scosse la testa. «È stato proprio lui a dirmi che è merito di un'altra persona.» insistette, tornando a guardare Genzo.

L'interessato chiuse gli occhi e fece un sorriso. «Ancora un po' di pazienza, ragazzi.»

«Ehi, a questo punto voglio saperlo anch'io, Gen! In fondo, abbiamo giocato insieme fino all'anno scorso.» esclamò Hermann, incamminandosi con i suoi due amici d'infanzia verso il tunnel degli spogliatoi.

 

Genzo fu il primo ad arrivare nel piazzale esterno allo stadio, senza aspettare i suoi compagni. Ad attenderlo, c'erano Mikami ed Elena.

L'allenatore lo salutò con una pacca su una spalla, Elena lo abbracciò.

«Congratulazioni, Numero Uno.» gli sussurrò, dandogli poi un bacio sulle labbra.

«Schneider, mi sa che ci siamo persi qualcosa!»

La voce di Kaltz li fece sobbalzare e scostare bruscamente l'uno dall'altra.

Il centrocampista annuì più volte con aria saputa e un sorriso malizioso, senza tuttavia nascondere l'ammirazione per Elena.

Anche Karl sorrideva divertito, seppure in modo meno plateale.

I due ragazzi salutarono Tatsuo e tornarono a rivolgere la loro attenzione alla giovane coppia, che decise di prendere in mano la situazione.

«Vi presento Elena. La mia ragazza.»

«Ciao ragazzi. Ero curiosa di conoscervi.» disse, tendendo la mano, ricambiando la stretta e la presentazione.

«Anche noi.» rispose Hermann.

«Così è lei.» constatò Karl, senza smettere di sorridere.

«Non ci posso credere: Genzo Wakabayashi si è trasferito a Monaco per amore.» rincarò la dose il centrocampista.

«Diciamo che è stato un felice incrocio di circostanze.» replicò il portiere, cercando di nascondere il lieve imbarazzo, sotto lo sguardo divertito di Elena e di Tatsuo.

 

Trascorsero una piacevole serata.

Karl e Hermann ascoltarono con interesse e commentarono con bonaria ironia il racconto di come Genzo ed Elena si fossero conosciuti proprio in Giappone e di come lui avesse preso proprio a Madrid una delle decisioni più difficili della sua vita.

 

Era quasi mezzanotte quando salutarono Karl. L'aria era pungente, la luna piena dominava il cielo scuro.

Elena si strinse a Genzo, mentre camminavano per Marienplatz.

Il freddo era una scusa sempre valida per accostarglisi, e lui non le negava mai il suo braccio passato attorno alle spalle.

«Che ne dici di andare insieme in Giappone per una settimana, dopo le feste natalizie?»

«Volentieri! Così andiamo anche a salutare lo zio. Domani però devi accompagnarmi al mercatino di Natale.»

Genzo alzò gli occhi al cielo e sorrise. «Sissignora.» scherzò, prendendosi in risposta una lieve gomitata.

 

I due ragazzi avevano deciso di comune accordo di trascorrere separatamente la prima parte del periodo festivo. Genzo avrebbe accettato l'invito della famiglia Draxler a trascorrere con loro il Natale, mentre Elena sarebbe tornata a Roma. Lì la ragazza avrebbe trascorso il suo Natale con i genitori e con la nonna paterna, poi sarebbe tornata a Bad Tölz a festeggiare il Capodanno con la famiglia della madre.

Genzo sarebbe forse volato a Londra a raggiungere il fratello, la cognata e i nipoti.

Per nulla al mondo Annie avrebbe rinunciato a trascorrere i giorni di festa con i suoi genitori e sua sorella, che non vedeva da quasi un anno, e nemmeno ad assistere ai fuochi d'artificio sulle rive del Tamigi, tra i rintocchi del Big Ben e le luci, i colori e suoni del Big Eye, e il rito annuale accompagnato dall'ormai storica canzone "Auld Lang Syne".

 

Taro, all'aeroporto "Charles de Gaulle", si stava preparando a salire sul volo per Narita.

Aveva quasi benedetto quella sosta, e non certo perché la prima parte della stagione fosse andata male. Anzi: la realtà aveva superato di gran lunga le sue aspettative più rosee.

Il Paris Saint Germain aveva chiuso il girone d'andata al primo posto e aveva superato senza grosse difficoltà il girone eliminatorio della Champions League.

Taro era diventato uno degli idoli della tifoseria e la sua intesa con Pierre Leblanc aveva dissipato ogni dubbio sulla capacità di coesistere in campo dei due calciatori più talentuosi.

Il giovane giapponese era sempre stato tranquillo su questo e lo aveva dichiarato anche nella conferenza stampa di presentazione: la sua collaborazione con Tsubasa aveva sempre esaltato le abilità di entrambi. Sarebbe stato così anche con Leblanc.

I fatti avevano dato ragione a lui e all'allenatore della squadra campione di Francia.

Anche il cannoniere Louis Napoléon aveva tratto beneficio dalla loro visione di gioco, classe e inventiva: facendosi sempre trovare pronto a ricevere i loro passaggi, aveva segnato in quasi ogni partita. Era in vetta alla classifica dei marcatori di Ligue 1 e della Champions League e contendeva a Karl Heinz Schneider e a Kojiro Hyuga il titolo di giocatore più prolifico in Europa.

I giornali, le emittenti televisive e i siti Internet specializzati si erano riempiti di servizi, articoli e fotografie dedicati alla "corazzata PSG" e soprattutto a quelli che i giornalisti avevano soprannominato, senza troppa originalità, i "quattro moschettieri", comprendendo il centrocampista nigeriano Ochado.

Ma era soprattutto lui, il nuovo fuoriclasse venuto dall'Estremo Oriente, a suscitare la curiosità e l'entusiasmo dei tifosi e degli appassionati. I giornalisti lo cercavano continuamente per intervistarlo, per conoscere sempre più aneddoti sulla sua storia, sulla sua amicizia con gli altri quattro "giapponesi d'Europa" Tsubasa, Wakabayashi, Hyuga e Aoi, e sulla sua vita privata.

Taro non si lamentava. In fondo, aveva lavorato senza risparmiarsi proprio per arrivare lì dove si trovava ora, e se possibile ancora più in alto.

Ma temeva che tutta quella popolarità, giunta in così breve tempo e senza essere molto preparato a gestirla, gli avrebbe dato alla testa, facendogli perdere il contatto con la realtà.

In quei mesi, non aveva lasciato passare un solo giorno senza parlare con suo padre, sua madre o Kumi. Era soprattutto quest'ultima a mancargli: la sua allegria e dolcezza lo avevano aiutato a non lasciarsi travolgere dalla prima ondata di notorietà giunta con le Olimpiadi.

E ogni sera, a casa o in un locale con alcuni amici, si ritrovava a pensare che più o meno in quello stesso momento, Tsubasa trovava Sanae e i loro bambini ad aspettarlo, e Genzo usciva con Elena.

Mentre lui e Kumi erano divisi da migliaia di chilometri e due continenti praticamente interi … forte fu il loro abbraccio, appena sceso dallo Shinkansen che da Narita lo aveva portato alla stazione di Nankatsu. 

 

I due pranzarono a casa dei Misaki, dove Taro ebbe il piacere di vedere un'accresciuta familiarità tra suo padre e Kumi, dovuta certamente al fatto che si erano incontrati altre volte, in quei mesi. Aveva anche notato un netto miglioramento negli ultimi lavori della ragazza, frutto dei consigli datile da Ichiro.

«Sai cos'è successo? Quando ho detto ai miei genitori che avevo un ragazzo, loro mi hanno risposto che sapevano già tutto.» gli confidò lei, mentre la accompagnava a casa.

«Sapevano tutto?»

Kumi sorrise e diede un'alzata di spalle. «Già. Sai com'è: Nankatsu è piccola. Ci hanno visti uscire insieme e così la voce si è diffusa fino ad arrivare a loro.»

«Spero almeno che non abbiano pregiudizi nei miei confronti. So che tuo padre non vede di buon occhio i mestieri considerati "precari".»

Lei scosse la testa. «Mi ha soltanto detto che vuole conoscerti, appena possibile. Ma se temi che abbia qualcosa da obiettare, puoi sempre dirgli quanto guadagni al Paris Saint Germain.» scherzò, con un'aria apparentemente candida.

Taro alzò un sopracciglio. Passò un braccio attorno alle spalle di Kumi e la attirò contro di sé. «Stai diventando impertinente.» finse di rimproverarla, mentre lei rise, fingendo di volersi liberare dalla sua presa.

 

I genitori di Kumi erano entrambi seduti a tavola, intenti a guardare un telefilm alla tv, quando i due ragazzi entrarono in casa.

Taro venne accolto con cordialità sia da Reiko sia da Shinji.

La madre di Kumi si premurò subito di preparare un tè, mentre il padre gli fece alcune domande, inerenti soprattutto il suo lavoro di calciatore.

La conversazione si svolse in un clima disteso e a tratti fu persino divertente, come la ragazza si ritrovò a constatare, piacevolmente sorpresa.

Shinji e Reiko avevano ascoltato Taro con interesse e avevano risposto alle sue poche e discrete domande.

Kumi gioì dentro di sé e la sua soddisfazione traspariva anche all'esterno, poiché i suoi occhi brillarono e le sue labbra faticarono a trattenere un sorriso.

Sul tavolo era appoggiata la rivista edita dalla Uchiyama Shoten, la terza ormai in cui i suoi disegni erano stati pubblicati.

«Hai dato un'occhiata?» chiese a suo padre, facendo cenno con lo sguardo al periodico.

Shinji annuì. «Non disegni male.» fu la sua laconica risposta.

Reiko alzò gli occhi al cielo, mentre Kumi fece una smorfia tra il rassegnato e il divertito.

Taro sospirò sommessamente e fece un lieve sorriso.

«La Uchiyama Shoten punta molto su di lei.» affermò.

Shinji sollevò lo sguardo sul ragazzo e fece un cenno d'assenso.

In realtà, gli aveva fatto uno strano effetto vedere il nome della figlia pubblicato in calce a delle tavole che, doveva ammetterlo, denotavano uno stile pulito, bello da vedere.

«Ci hai pensato tu ad aprirti la strada.» disse poi, rivolto a Kumi. «Anche se volessi, non potrei fare nulla per fermarti.»

«Vuol dire che non cercherai più di dissuadermi, e non dirai più che vado dietro a delle stupidaggini?»

Shinji la guardò, poi chiuse gli occhi e annuì. «Sei mia figlia ed è giusto che mi limiti a vigilare su di te, senza mettermi di traverso.»

«Non mi sembri ancora convinto.» replicò.

«No, non lo sono. Ma è soltanto perché sei ancora giovanissima, con un futuro in costruzione. So che stai studiando con impegno al tanki-daigaku, non stai puntando tutto solo sui manga. Il tempo dirà se sarà quella la tua strada.»

Sul volto di Shinji non c'era più contrarietà né risentimento. Era finalmente, l'espressione di un padre semplicemente preoccupato per il futuro di sua figlia, perché desiderava vederla felice, e non costretta a soffrire per dei problemi evitabili con la consapevolezza che la vita non era una passeggiata di salute per nessuno e con il senso di responsabilità che ciò doveva comportare.

«Grazie papà. Sono felice che tu capisca, anche se ancora non approvi.»

«Sai Kumi, questo tuo ragazzo … mi piace.» affermò guardando Taro, che sorrise di rimando. «È tranquillo, giudizioso, con la testa sulle spalle. Perdonami se ti sono sembrato ostile, ma questo è forse il periodo più difficile per un papà e una mamma che vedono i propri figli diventare grandi. Ogni genitore si chiede cosa sarà dei propri figli, e questo è il periodo in cui decidete cosa fare della vostra vita. Ma le tue scelte mi suggeriscono che posso avere fiducia in te.»

 

Il nuovo anno era arrivato e il terzo giorno del mese aveva portato con sé il ventesimo compleanno di Elena.

Due giorni dopo la festa con famigliari e amici a Bad Tölz, era all'aeroporto di Monaco di Baviera, dove salì sull'aereo che l'avrebbe portata a Narita.

Giunta a destinazione, vi trovò Carlo ad aspettarla.

Il maestro vide l'immagine di una ragazza così bella e radiosa, nonostante la stanchezza dovuta alle molte ore di volo, da rimanerne commosso.

Ricordava l'aria spenta e il sorriso un po' forzato con cui lo aveva salutato poco meno di un anno prima. Si era ripromesso di aiutarla a riprendere in mano le redini della sua vita, ed Elena aveva saputo fare anche di più: una volta smesso di contemplare le macerie del suo passato, aveva costruito una vita tutta nuova.

Appena scioltasi dall'abbraccio di suo zio, Elena notò una figura conosciuta passare accanto a loro, diretta verso l'uscita.

Elena le andò dietro, raggiungendola dopo pochi, rapidi passi.

«Kumi!»

La ragazza si arrestò di colpo e si voltò, con il sorriso luminoso che le apparteneva.

«Elena!» le prese le mani e si lasciò abbracciare.

«Ho accompagnato qui Taro.» le confidò. «È ripartito da poco per Parigi.»

Elena si strinse nelle spalle, dispiaciuta.

«Accidenti. Se fossi arrivata mezz'ora prima, avrei potuto salutarlo.»

«Beh, magari ci ritroviamo tutti insieme la prossima estate, a stagione finita.»

«Sarebbe splendido.»

«È un'ottima idea, e poi ormai il Giappone è la terza casa di Elena.» commentò Carlo, che le aveva appena raggiunte, trascinando con sé il trolley della nipote.

Le due ragazze sorrisero.

«Siete venuti qua in treno?» chiese l'uomo.

Kumi annuì.

«Allora possiamo andare tutti alla stazione, così facciamo il viaggio insieme.» propose Elena, con l'approvazione di entrambi.

 

Genzo passò a prendere Elena a casa nel pomeriggio del giorno seguente al suo arrivo.

Avrebbero cenato insieme a Hiroji e Annie.

Il cielo era bianco e l'aria molto fredda. I meteorologi avevano previsto possibili nevicate, ma i due ragazzi avevano troppa voglia di passare la serata insieme, e Genzo in particolare voleva introdurre Elena nella sua famiglia.

Annie era sempre stata dalla loro parte.

Hiroji, dopo l'iniziale scetticismo per non dire opposizione, si era mostrato disponibile a conoscerla.

Giunti a villa Wakabayashi, Elena venne accolta con un sorriso da Hitomi e con gentilezza da Hiroji, e con affetto da Annie.

Kenichi la salutò con educazione e con un bel sorriso, mentre Aiko dapprima la guardò con un'espressione seria, per poi sciogliersi in una smorfia allegra non appena Elena si inginocchiò davanti a lei e la salutò.

Genzo osservò la scena con compiacimento e soddisfazione: Elena era stata accolta con l'affabilità e simpatia che si era aspettato.

Keisuke, tornato a Boston per trascorrere alcuni giorni di vacanza con alcuni suoi amici, aveva già mostrato e dichiarato a Madrid, la sua approvazione.

Rimanevano solo i suoi genitori, a quanto pareva ancora arroccati sulla loro posizione.

«Non preoccuparti, Genzo. È solo questione di tempo.» lo aveva rassicurato Annie, e il ragazzo in cuor suo sperava di non dover attendere ancora per molto.

 

Dopo nemmeno mezz'ora dall'arrivo, Genzo e Hiroji uscirono in giardino a giocare a calcio con Kenichi che, piazzatosi davanti alla porta con il giubbotto già indossato e il pallone tra le mani, li aveva reclamati a gran voce.

Elena rimase nel salotto con Annie e la piccola Aiko, seduta sul tappeto a baloccarsi con i suoi giochi.

Dall'esterno giungevano le urla e le risate dei tre Wakabayashi, misti all'abbaiare di John.

Le due donne si guardarono e si misero a ridere.

«Manca ancora un po' di tempo alla cena. Ti offro una tazza di tè e un knickerbocker glory.» le propose la giovane inglese.

«Scusa l'ignoranza, ma … cos'è il knickerbocker glory

«Potrei anche descrivertelo, ma con le sole parole non renderei l'idea e soprattutto non gli renderei giustizia.» rispose, facendole un occhiolino prima di sparire in cucina.

Dopo dieci minuti, Hitomi entrò reggendo un vassoio su cui spiccavano due alti bicchieri di vetro contenenti gelato alla crema e frutta disposti a strati alterni, intrisi di sciroppo alla ciliegia e coronati da un'amarena sciroppata e una cialda a spicchio.

Pochi istanti dopo Annie ritornò. Hitomi aveva appena collocato i due bicchieri sul tavolo, ringraziata da Elena.

«È una coppa gelato.» commentò ingolosita.

Annie assentì. «È una delle cose più squisite che esistano. Purtroppo qui in Giappone non riesco a trovare dappertutto locali dove si fanno e così ho imparato a prepararmeli da sola. A proposito, mesi fa ho assaggiato il tuo strüdel: è meraviglioso! Per caso sai fare altri dolci?» le chiese, sedendosi di fronte a lei e brandendo il suo bicchiere.

«Qualche torta e i biscotti.»

«Bene. Se ci stanchiamo di fare le insegnanti, potremo metterci in società e aprire una pasticceria.» scherzò.

«Chissà.» stette al gioco, con un'alzata di spalle e tuffando il lungo cucchiaio nel suo gelato.

 

Poco tempo dopo, mentre chiacchieravano sedute sul divano, Aiko si alzò e si mise a camminare, barcollando leggermente. Ormai aveva imparato a compiere sempre più passi senza cadere, raggiugendo un buon equilibrio.

La bambina piantò le manine sul divano e fece pressione per cercare di salire.

Elena, vedendola sbuffare per lo sforzo, tese le braccia.

«Che c'è, piccolina? Vuoi venire qui?»

La tirò su, delicatamente.

Rise e se la ritrovò in braccio, dove ristette tranquilla.

Annie le guardò, divertita.

«A volte fa così anche con Genzo. Quando lo vede seduto qui, si avvicina e pianta le mani e lo guarda finché lui non se ne accorge e la prende in braccio. E poi se la tiene sul petto finché non si addormenta.»

Elena socchiuse per un breve istante gli occhi e sorrise intenerita nell'immaginare il suo ragazzo mentre teneva la nipotina tra le braccia.

«Sì … le braccia di Genzo danno un senso di protezione.» disse, addolcendo il tono della voce. Poi arrossì leggermente, rendendosi conto di aver rivelato qualcosa di intimo.

Ma Annie sorrise compiaciuta.

«Lui mi ha raccontato quello che sente quando ti vede, quando siete insieme. Ti assicuro che non c'è paragone con quello che mostrava quando era legato ad Asami. Erano belli da vedere, ma niente di più. Ora che ci penso, lui non ne parlava mai.»

Elena sorrise, guardando Aiko che cercava di afferrarle una ciocca dei suoi lunghi capelli. «La nostra storia è iniziata da pochi mesi, e ho una grande voglia di viverla.»

Annie fece un cenno d'approvazione. «A me piace vedere le persone felici, Elena. E tu puoi rendere felice Genzo e lui fare altrettanto con te.»

 

Era quasi l'imbrunire quando Genzo, Hiroji e Kenichi rientrarono dal loro pomeriggio di giochi all'aperto.

Erano tutti e tre ansanti e divertiti, con i giubbotti sporchi di terra e le facce sudate.

«Chi ha vinto?» chiese Annie.

«Che domande. Io, ovviamente.» rispose Hiroji.

«No, io!» obiettò Kenichi.

«Ma cosa state dicendo? Se ve le ho parate tutte.» ribatté Genzo, tranquillamente, suscitando i mormorii e gli scuotimenti di dita del fratello e del nipotino.

Poi si accorse che Elena stava tenendo tra le braccia Aiko.

Quell'immagine gli scaldò il cuore.

Le sorrise intenerito, e la ragazza ricambiò.

«Su, andate a darvi una ripulita, che tra non molto è ora di cena.» li esortò Annie.

La donna, nel vedere Genzo avvicinarsi a Elena, fece segno a quest'ultima di darle in braccio la bambina.

Il giovane ringraziò la cognata con lo sguardo e si chinò sullo schienale del divano, arrivando quasi a sfiorare l'orecchio della fidanzata.

«Tra un quarto d'ora sali in camera mia. È importante.»

 

Elena bussò alla porta della stanza di Genzo all'orario convenuto.

«Cosa devi dirmi?» gli chiese, dopo che l'aveva fatta entrare.

«Ho un regalo per te.» disse, mostrandole una scatola rettangolare, in velluto violetto.

Elena la prese dalle sue mani e la aprì.

I suoi occhi si spalancarono per la meraviglia.

Un braccialetto in oro …

«È bellissimo.» disse.

Lo tolse dalla protezione in ovatta e lo agganciò intorno al polso destro.

Poi passò le braccia attorno al collo di Genzo. «Grazie.» mormorò, per poi dargli un bacio sulle labbra.

Rimasero a guardarsi per alcuni istanti, come a voler esprimere qualcosa che ancora non riuscivano a dirsi con le parole.

«Manca poco, è meglio scendere.» disse lui, a bassa voce ed Elena fece un cenno d'assenso, scostandosi controvoglia e seguendolo al piano inferiore.

 

Quella serata fu motivo di grande soddisfazione per Genzo, e non solo perché Hitomi aveva preparato un'eccellente cena giapponese.

La governante e Annie avevano unito le loro forze e abilità e avevano realizzato una grande, meravigliosa torta alla crema pasticcera, cioccolato e frutti di bosco, con la quale stupirono e quasi commossero Elena, che non si aspettava di festeggiare il suo compleanno anche a villa Wakabayashi.

Sia Hiroji sia Annie l'avevano trattata come una di famiglia. Se per la cognata aveva pochi dubbi, non era altrettanto certo della buona accoglienza del fratello. Era stato gentile, si era informato con discrezione su di lei, aveva ascoltato con interesse i suoi interventi durante la conversazione. Ed era stata pienamente accettata anche dai bambini, soprattutto Aiko che ogni tanto mostrava di volersi fare prendere in braccio da lei.

 

Dopo la cena, si riunirono tutti nuovamente nel salotto.

Elena guardò l'orologio. Il momento del ritorno a casa si avvicinava.

«Papà, guarda come nevica!» gridò Kenichi, eccitato, indicando la finestra.

Hiroji si alzò raggiunse il bambino, seguito da Annie e poi da Genzo ed Elena.

Il giardino era completamente imbiancato e i fiocchi cadevano rapidi.

«Non credo sia prudente incamminarsi, Elena.» disse Annie.

La ragazza guardò fuori dalla finestra. Effettivamente, se fosse stata a casa di suo zio, difficilmente sarebbe uscita: c'era già molta neve per terra e altra ne stava continuando a cadere, nulla lasciava presagire potesse smettere a breve.

«In questa villa ci sono diverse stanze per gli ospiti. Puoi rimanere qui a dormire. Così domattina potrai assaggiare i miei famosi biscotti al burro e scaglie di cioccolato.» disse, strizzandole un occhio.

«Per me non ci sono problemi.» disse Hiroji.

«Neanche per me.» affermò Genzo.

Elena li guardò, a braccia conserte. Poi annuì.

«Va bene. Avviso mio zio.»

Prese il suo smartphone e chiamò Carlo, che approvò subito la decisione della nipote.

Dopo poco, Hitomi le fece strada verso la stanza che Genzo le aveva fatto assegnare.

Era grande e molto bella, con un letto matrimoniale.

C'era un'ampia finestra con dei pesanti tendaggi color crema, e una scrivania appoggiata alla parete opposta. Un ampio armadio e una specchiera erano collocati a poca distanza dal letto, e c'era perfino una porta comunicante con un bagno.

Alle pareti, erano appese alcune antiche stampe giapponesi.

 

In attesa di avere da Annie un ricambio per la notte, fece una lunga doccia.

Aveva da poco finito di spalmare una crema per il corpo, quando sentì bussare alla porta.

Indossò una vestaglia bianca e andò ad aprire.

Trasalì leggermente quando vide Genzo con un pigiama rosa e grigio tra le braccia.

«Aiko fatica ad addormentarsi e Annie è dovuta rimanere in camera, così sono venuto io.» spiegò.

Elena annuì, con un sorriso. Si sentiva stranamente agitata. Prese il pigiama dalle mani di Genzo, ma le scivolò dalle mani e finì per terra.

«Scusami.» disse, inginocchiandosi prima che lo facesse lei e recuperando l'indumento.

«No, figurati. Sono io che ho le mani di pastafrolla.» ridacchiò imbarazzata, prendendolo dalle sue mani e posandolo sul ripiano della specchiera.

Genzo non accennava a muoversi.

Elena lo guardò, ma non disse nulla.

Quella tensione si faceva sempre più forte …

Sulle sue labbra, la smorfia divertita aveva lasciato il posto a un sorriso ammirato, e gli occhi la contemplavano con riverenza e desiderio.

Elena gli sorrise di rimando. Ormai aveva smesso di distogliere lo sguardo, da quando aveva capito che non doveva né voleva più difendersi da ciò che provava per lui.

Genzo chiuse la porta alle sue spalle.

Pochi passi e fu di fronte a lei.

Le afferrò delicatamente le braccia e la attirò a sé.

Si avvicinò con il viso, le loro labbra si unirono.

Genzo prese ad accarezzarle il viso, a sfiorarle il collo e le spalle. Poi percorse quella stessa pelle con le labbra, mentre le mani andarono a sfiorarle i seni e ad accarezzarle i fianchi, facendola fremere.

La sua pelle così chiara … era liscia e morbida, emanava un profumo delicato che gli andò alla testa.

«Elena … mai come in questo momento io …» mormorò rauco, prima di posarle un altro bacio, tra la base del collo e la spalla.

Lei socchiuse gli occhi e sospirò.

Se avesse potuto scrutare all'interno del suo corpo, avrebbe visto il suo cuore pulsare impazzito e il suo sangue scorrere come la rapida di un fiume.

 

 

All alone with you

Makes the butterflies in me arise

Slowly we make love

And the earth rotates

To our dictates

Slowly we make love

 

 

Non cercò di fermarlo quando afferrò uno dei lembi della cintura e lo tirò lentamente, fino a sciogliere il nodo, per poi sfilarla.

La vestaglia si aprì, rivelandogli parte del suo corpo.

Le mise le mani sulle spalle e il sottile indumento di seta cadde, lasciandola nuda.

Percorse il suo corpo con lo sguardo, poi iniziò ad accarezzarlo, come se lo stesse modellando con cura.

Le sue mani erano grandi, e calde.

Elena si accorse di tremare, per il piacere e per l'emozione.

Gli serrò i polsi con le sue dita, costringendolo a fermarsi.

Lui la guardò interrogativo, e vide quel sorriso da monella che ormai gli faceva perdere la testa, distenderle nuovamente le labbra.

«Ti stai prendendo troppi punti di vantaggio.» sussurrò, mentre cominciava a sbottonargli la camicia.

Lui la osservò mentre lo spogliava con lentezza, con occhi traslucidi e assorti.

Fece scorrere i lembi della camicia e la fece scivolare dalle spalle, come aveva fatto con la giacca, qualche mese prima a Madrid.

Gli si accostò e gli accarezzò le spalle e il petto, per poi premere le labbra all'altezza dello sterno. Avvertì i suoi muscoli contrarsi a contatto con la sua bocca.

Sorrise e gli sfiorò la pelle con altri baci.

Genzo fremette. Quel gioco gli provocava eccitazione e impazienza allo stesso momento.

Elena si staccò e sollevò la testa.

Gli sorrise, dolce e seducente a un tempo.

Non voleva più controllare, frenare e respingere le sue sensazioni e i suoi desideri.

Voleva viverli nella loro interezza, relegare ricordi ed esitazioni e lasciare agire soltanto il cuore, che ormai la supplicava di amare e lasciarsi amare di nuovo.

«Voglio fare l'amore con te.» gli soffiò sulle labbra, facendogli udire le stesse parole che lui si era trattenuto dal pronunciare.

A Genzo sembrò che il cuore si fosse fermato nel momento in cui Elena aveva pronunciato quelle parole. Sul suo volto si dipinse un sorriso di pura emozione.

La sollevò e la distese sul letto.

Si liberò degli indumenti che ancora indossava e si stese sopra di lei, che gli accarezzò nuovamente le spalle e il petto, prima di ricevere il suo bacio.

Elena avvertì la bocca di Genzo scendere, iniziando a percorrere il suo corpo, con delicatezza ma anche con l'intenzione di non risparmiarne un solo centimetro.

Raggiunse i seni e vi si soffermò, soprattutto sulle sue sommità.

La sentì ansimare, mentre gli infilava le dita tra i capelli.

Con le dita accarezzò piano le sue cosce, risalendo fino a sfiorare la sua intimità.

Affondò nella sua morbidezza e calore.

Elena inarcò la schiena e soffocò un gemito contro la sua spalla.

La sua bocca scese ancora, sul suo ventre.

Poi avvertì un tocco diverso, per lei completamente nuovo.

Umido e morbido.

Ardente.

Ogni altro tipo di percezione venne annullato. Quasi non sentì nemmeno le sue stesse dita stringersi con forza attorno al lenzuolo.

Poi lui risalì, fino a incontrare di nuovo il suo viso.

La accarezzò dolcemente e la baciò di nuovo, facendo scorrere le mani lungo i fianchi.

Elena gli passò le mani attorno alla schiena e fece scivolare le gambe attorno al suo bacino mentre entrava in lei.

Genzo posò la testa nell'incavo tra la spalla e il collo, beandosi del calore e del profumo del suo corpo, sperando di perdersi dentro di lei il più a lungo possibile.

 

Rimase sdraiato sopra Elena, con il volto affondato tra i suoi capelli.

Era inebriato. Sconvolto. Non avrebbe saputo dare un nome alla sensazione che gli aveva invaso il sangue e il cuore.

Per la prima volta, si sentì privato di ogni energia.

Elena prese ad accarezzargli la nuca.

«Non andare in camera tua. Rimani qui.» gli sussurrò, sfiorandogli la tempia con un bacio.

Lui alzò la testa abbastanza perché vedesse il suo sorriso, dolce come non l'aveva mai visto nessuno oltre a lei.

 

Deboli raggi di luce entrarono nella stanza.

Elena e Genzo dormivano abbracciati, coperti dalle pesanti lenzuola.

Alcuni di essi si posarono sul viso della ragazza, svegliandola.

Aprì piano gli occhi, focalizzando il volto di Genzo, ancora addormentato.

La sua espressione era così serena e persino dolce, che non si sentì di svegliarlo.

Lo contemplò, pensando alle sensazioni vissute poche ore prima: così intense da poterle descrivere solo con una serie di aggettivi … si era sentita amata, desiderata e voluta nel corpo oltre che nello spirito.

Gli accarezzò piano una tempia, poi mise a sedere sul letto e raccolse le gambe contro il petto. Guardò fuori dalla finestra.

Aveva lasciato le tende discoste, constatò con una piccola smorfia divertita, appoggiando il mento su una mano.

Il cielo era di un azzurro molto chiaro e aveva smesso di nevicare.

Si alzò e si avvicinò alla finestra.

Il sole brillava sopra un giardino coperto da un grande manto bianco, in cui John quasi si confondeva.

«Genzo! Guarda che meraviglia!» esclamò spontaneamente, facendolo svegliare.

Il ragazzo si tirò su, facendo scivolare il lenzuolo dal suo petto. Si passò le dita tra i capelli e sugli occhi e si voltò verso la giovane insegnante.

«Quale? Quella affacciata alla finestra o quella fuori?» chiese, con un sorriso malizioso.

Elena arrossì, rendendosi conto solo in quel momento di essere completamente nuda.

«Tutti uguali voi uomini. Quando vedete una donna nuda vi mettete a fare i buffoni.» gli rinfacciò, cercando di nascondere l'imbarazzo.

Genzo sogghignò e si alzò dal letto, offrendole a sua volta la sua immagine senza veli. «Mentre voi donne commenti non ne fate mai, vero?» la punzecchiò.

Elena per tutta risposta, gli fece una linguaccia.

Genzo era sempre più divertito dal suo atteggiamento. Adorava quando faceva la risentita, ed era certo che lei lo avesse capito.

Fosse stato per lui, l'avrebbe afferrata e stesa di nuovo sul letto.

Ma l'orario segnato sulla sveglia digitale posata sul comodino lo sconsigliava.

«Meglio prepararci e scendere. Se siamo fortunati troviamo Annie e Hitomi che preparano la colazione.»

«Prima mi serve una doccia.» ribatté però lei, allontanandosi dalla finestra e accostandosi al letto. Poi lo fissò.

«A te no?» aggiunse, con una smorfia da monella.

Genzo sorrise e lasciò cadere sul letto gli indumenti che aveva appena recuperato.

La colazione poteva attendere qualche minuto in più …

 

Fortunatamente quando arrivarono, nessuno era seduto a tavola.

C'erano stati dei contrattempi, dovuti al fatto che Hiroji e Kenichi erano andati a giocare con la neve, con John che si divertiva a fare da disturbatore.

Hitomi e Annie erano ancora indaffarate nei preparativi ed Elena si offrì di dar loro una mano, unendosi all'andirivieni tra salotto e cucina.

«Buongiorno.» esordì Genzo.

«Ah, sei a casa Genzo? Avevo visto la tua stanza vuota e pensavo fossi uscito a correre.» lo accolse la cognata. Poi guardò alternatamente lui ed Elena e sorrise a entrambi.

Genzo chiuse gli occhi e sorrise di rimando, Elena fece altrettanto ma arrossendo leggermente.

Nel frattempo, Hiroji e Kenichi erano rientrati.

Il dirigente si tolse il giubbotto e la sciarpa e strizzò un occhio a Genzo.

Elena e Annie si rivolsero vicendevolmente una smorfia di rassegnazione.

Uomini …

  

Yasuhiro rientrò nella stanza in cui alloggiava con la moglie, in un ryokan di Kurokawa.

Il loro soggiorno alla stazione termale nell'isola di Kyushu era ormai agli sgoccioli.

I rapporti con gli Ujimori si erano fatti più freddi e tesi in quegli ultimi mesi, dopo la rottura tra Genzo e Asami.

La giovane ereditiera sosteneva di essersi sentita comunque tradita, anche se durante la loro storia non c'erano stati rapporti fisici tra il suo ex fidanzato ed Elena.

Era un'umiliazione il fatto di essere stata lasciata per una ragazza di ceto sociale inferiore, straniera, che aveva usato chissà quali arti sottili per sedurlo.

Yasuhiro, pur disapprovando la scelta del figlio, non se l'era sentita di schierarsi contro di lui, cosa che aveva irritato i suoi amici e soci.

Le prese di posizione di Annie e Keisuke, seguiti da Hiroji e il rifiuto di Mariko di inimicarsi il figlio minore lo fecero esitare.

Lui e Genzo avevano sospeso i contatti da quattro mesi ormai, da quel pomeriggio di settembre. Ne soffriva, doveva ammetterlo.

Non aveva mai smesso di avere sue notizie tramite Mikami, Hiroji e Keisuke.

E a quanto sembrava, la storia con quella ragazza continuava. Quello che era portato a credere fosse stato un colpo di testa aveva l'aria di essere invece un legame serio.

Lo stesso Mikami gli aveva confidato che Genzo era innamorato di quella ragazza, al punto da voler costruire qualcosa di importante, con lei ed era stato lui il primo a informarlo della sua presenza a villa Wakabayashi.

«Io torno a Nankatsu. Voglio rivedere Genzo e conoscere quella ragazza.» affermò Mariko, risoluta.

Yasuhiro la guardò, senza rispondere.

«A quanto mi hanno raccontato Mikami, Hiroji e Annie, si sono conosciuti quasi un anno fa, quindi non è una storia nata così, all'improvviso. E poi Genzo non affronta niente a cuor leggero. Se l'ha portata nella nostra casa significa che ha intenzioni serie.»

«O che quella ragazza è particolarmente abile.» replicò lui, meno convintamente che in passato.

Mariko sospirò, spazientita.

«Devi essere realista, Yasuhiro. Genzo condivide ormai da mesi la sua vita con lei. Nostro figlio non è mai stato uno sciocco e nemmeno un ingenuo. Si vede che c'è un legame solido a unirli, e se lei è una brava ragazza che studia e lavora per mantenersi, perché dovremmo vedere la loro relazione come una cosa negativa?»

Yasuhiro strinse la mascella e congiunse le mani.

«Almeno incontrala, prima di giudicarla e di farti delle idee così avverse su di lei.»

L'imprenditore alzò gli occhi sul volto dall'espressione risoluta di sua moglie.

Perfino lei, sempre discreta e spesso in sintonia con lui, aveva preso posizione in favore della relazione tra quei due ragazzi.

Una relazione nata dall'amore e non dall'interesse o per un vecchio capriccio, o ancora per consolarsi da una delusione, come aveva affermato Annie la sera di un mese prima, in cui l'aveva affrontato.

 

«Hiroji aveva pochi anni in più di Genzo. Faceste obiezioni quando lui vi disse che intendeva sposare me?»

«No.» ammise.

«Esatto. Perché venivo da una famiglia più che benestante, ero figlia di un consulente finanziario e sapeva che non ci avrebbe perso nulla. Anzi, i suoi affari in Europa ci hanno guadagnato, grazie ai consigli di mio padre. Elena Rulli no, invece, è figlia di un operaio e di una commessa di supermercato, che degradazione per la famiglia Wakabayashi!»

Yasuhiro alzò un sopracciglio.

«Non mi aspettavo questa presa di posizione da te, Annie. Stai difendendo una ragazza che ha rubato il fidanzato a un'altra.»

Annie alzò gli occhi al cielo. «Ve l'ha detto anche Genzo, che non è andata così. E se la mettete in questi termini, allora anch'io ho rubato il fidanzato alla figlia di quell'avvocato. Ma a parte qualche piccola remora all'inizio, non mi ricordo vi siate stracciati le vesti, per il motivo che abbiamo detto, purtroppo.»

«E quanto agli Ujimori … beh, se riescono a buttare a mare quarant'anni di amicizia per questo, allora dal mio punto di vista è meglio perderli che trovarli. Genzo non ha mai promesso nulla né ad Asami né a loro.»

 «A te quella ragazza è simpatica perché ti rivedi in lei.» replicò l'imprenditore, dal cui atteggiamento traspariva una certa esitazione, come se Annie fosse riuscita a scalfire le sue convinzioni.

«Di certo ho maggiori affinità con Elena che con Asami. Siamo due europee conquistate dalla cultura giapponese, per esempio. Abbiamo diverse cose in comune. In ogni caso, ciò che davvero è decisivo è l'amore di Genzo per lei. Proprio come lo è stato quello di Hiroji per me.»

«Inoltre» continuò la nuora «lei non si è mai opposto a che Genzo frequentasse persone di una classe sociale inferiore alla sua, altrimenti non gli avrebbe mai permesso di praticare uno sport come il calcio, cui lo ha avviato uno dei suoi migliori amici, Tatsuo Mikami. Che lei ha conosciuto quando era impiegato nella sua azienda. Un giovane e umile sarariman

 

Era impossibile negare che Annie gli avesse detto cose veritiere.

E ora anche Mariko gli imponeva di dare una possibilità a quella ragazza … a Elena Rulli.

Si mise di fronte all'armadio. Aprì le ante e cominciò a tirare fuori gli abiti da indossare l'indomani.

 

A villa Wakabayashi erano tutti riuniti in salotto a guardare e commentare un film, quando sentirono il suono del grande cancello automatico che cominciava ad aprirsi.

Kenichi e Aiko erano ancora a letto, per il sonnellino pomeridiano.

Pochi minuti dopo, Hitomi tornò dal portico, seguita da Yasuhiro e Mariko Wakabayashi.

Tutti alzarono la testa. Annie e Hiroji si scambiarono un'occhiata.

Gli occhi dei due signori si posarono su Genzo ed Elena.

Il portiere fece cenno alla sua ragazza di alzarsi. Le passò un braccio attorno alla schiena e la condusse verso di loro.

La presentò ai genitori, come sua fidanzata.

«Piacere di conoscervi, Wakabayashi-sama.» esordì lei, facendo un inchino.

La madre di Genzo era una bella donna minuta e di bassa statura, con i capelli castani raccolti in uno chignon. La guardava con occhi neri incuriositi e un sorriso gentile.

Anche il signor Wakabayashi era un bell'uomo, per la sua età. Di statura imponente e corporatura robusta, i lineamenti del viso marcati e severi. Il suo sguardo penetrante e altero la stava esaminando con attenzione, deciso a capire il motivo per cui il suo erede più giovane aveva preferito lei a una ragazza bellissima, sofisticata e altolocata come Asami.

Da parte sua, Yasuhiro dovette ammettere di avere di fronte a sé una ragazza avvenente, molto diversa dalla giovane Ujimori e quindi non paragonabile dal punto di vista estetico.

Un po' più alta della media, vestita semplicemente con un paio di jeans blu e un maglioncino a girocollo viola. Era educata, aveva un portamento aggraziato ed era una buona conoscitrice delle convenzioni e delle norme di cortesia della società giapponese. E soprattutto, per nulla intimorita.

In un'altra situazione, poteva essere abbastanza per far vacillare le sue idee.

Yasuhiro Wakabayashi era un uomo orgoglioso e tradizionalista, ma non era cieco al punto di negare che quella ragazza non sfigurava accanto a suo figlio.

I quattro si accomodarono sui divani, sedendosi di fronte, sotto lo sguardo attento ma discreto di Hiroji e di Annie.

Yasuhiro cominciò a porre alcune domande a Elena, alle quali lei rispose con serenità.

Mariko interveniva, di tanto in tanto.

Poi la conversazione cominciò a vertere sul rapporto della ragazza con il mondo del lavoro e con i soldi, l'argomento che più interessava trattare al signor Wakabayashi.

«Non ho particolari complessi verso chi è più abbiente di me. In famiglia mi hanno sempre insegnato a non vergognarmi di me stessa e delle mie origini. E che se avessi studiato e lavorato duramente, avrei potuto costruirmi un futuro migliore.»

Yasuhiro fece un cenno d'assenso.

«L'idea di dipendere economicamente da qualcuno mi terrorizza.» soggiunse ancora Elena, proprio mentre lui stava per porle un'altra domanda.

L'uomo, colpito da quella affermazione, alzò un sopracciglio. «Addirittura?»

La giovane annuì, convinta. «Se ho un buon titolo di studio, un buon lavoro e un reddito posso considerarmi una persona indipendente. E anche Genzo lo è. Se c'è bisogno ci si aiuta, ma ognuno conserva la propria autonomia. Suo figlio mi rispetta, mi appoggia e mi sostiene. E anche quando non è d'accordo, non cerca mai di impormi il suo punto di vista.»

 

Genzo raggiunse suo padre, in piedi sul portico a osservare il giardino finalmente illuminato da un bel sole invernale. Una mano in una tasca della pesante giacca, l'altra che reggeva una pipa.

Era orgoglioso di come Elena aveva affrontato quella situazione, capitata in modo improvviso e inaspettato.

«Sei ancora fermo sulle tue posizioni?» gli chiese, senza troppi preamboli, come lui gli aveva insegnato a fare.

«Se ti dicessi che non mi ha fatto una buona impressione, mentirei Genzo, e mi dimostrerei più ottuso di quanto tu avrai certamente creduto.» rispose, con un lieve sorriso, che il giovane ricambiò, suo malgrado.

«E quanto a tua madre … beh, credo si possa intuire, come la pensa.» affermò, guardando verso il salotto in cui Mariko era rimasta a dialogare con Elena.

 

Era ormai quasi mezzanotte. Hiroji e Annie erano da poco saliti nella loro stanza.

I signori Wakabayashi erano ripartiti per Tokyo poco prima del calare della sera, preferendo lasciare i figli e le loro donne da soli.

Genzo ed Elena erano in piedi al centro del salotto, indisturbati poiché anche Hitomi si era ritirata nella sua camera.

«Sei stata splendida, con i miei genitori. Soprattutto con papà, che non è un tipo facile da convincere.»

«Ero pronta anche a dirgli che ho fatto la ballerina in una discoteca, se fosse servito a convincerli che non punto ai tuoi soldi.»

«Temo che avresti rovinato tutto.» commentò, perplesso.

Elena diede un'alzata di spalle. «Come ho detto anche a tuo padre, io non mi vergogno delle mie origini, né delle mie scelte.»

«Dici che sono orgoglioso, ma anche tu non scherzi.» sorrise. Le mise le mani sui fianchi e la attirò a sé.

«Ti dispiace?» replicò lei, passandogli le braccia attorno al collo. La sua voce si era fatta poco più di un sussurro. Le sue labbra sfiorarono quelle di Genzo.

Lui chiuse gli occhi e colmò quella lievissima distanza.

La cinse con le sue braccia e approfondì il contatto, perdendosi nella dolcezza e nel calore della sua bocca.

Quando si staccarono, gli occhi di Genzo si posarono sul grande mobile appoggiato alla parete di fronte.

Sulle mensole erano allineati dei bellissimi vasi in ceramica attraversati da strisce irregolari in oro e argento, alcuni dei quali erano stati ridotti a dei cocci in un periodo collocato tra dieci e vent'anni prima, come non mancava di sottolineare sua madre ogni volta che ne parlava. Era evidente il riferimento all'infanzia dei suoi tre figli.

Se avesse dovuto definire la storia tra lui ed Elena con una parola, avrebbe scelto kintsugi.

Le loro vite precedenti erano state sconvolte da rotture inaspettate. Avevano subìto due separazioni che avevano spezzato il cuore e mandato in frantumi tutte le loro certezze. Erano entrambi arrivati in Giappone per ricostruire la loro vita. E si erano ritrovati a raccogliere i frammenti della loro vita precedente e a realizzare una nuova opera, insieme.

 

 

 

 

***Note***

 

  

In Italia si usa l'espressione "campione d'inverno" per indicare la squadra che conclude al primo posto il girone d'andata del campionato nazionale.

In Germania, l'espressione corrispondente è Herbstmeister, che letteralmente significa "campione d'autunno".

 

I Draxler sono la famiglia di Amburgo che accoglie Genzo dopo che Mikami ha deciso di ripartire per il Giappone. Grazie a loro, il futuro SGGK si è integrato nella società e nella cultura tedesche e ha imparato a comunicare nella nuova lingua.

Sono tra i personaggi introdotti da Takahashi in "Rising Sun".

 

Auld Lang Syne: è una canzone tradizionale scozzese diffusissima nei paesi di lingua inglese, dove viene cantata soprattutto nella notte di Capodanno per dare l'addio al vecchio anno e in occasione di congedi, separazioni e addii (per esempio dai compagni di classe alla fine di un corso di studi, o dai commilitoni al termine del servizio militare, o dai colleghi di lavoro in occasione del pensionamento, o ancora per salutare gli amici conosciuti in vacanza al momento del rientro).

Il titolo della canzone è un'espressione scozzese ormai accolta nei dizionari della lingua inglese, dove è tradotta letteralmente come "old long since", o, in modo meno letterale ma più corretto, "the good old days" nel senso de "i bei tempi andati".

Il testo è un invito a ricordare con gratitudine i vecchi amici e il tempo lieto passato insieme a loro.

In Italia è nota come "Valzer delle candele".

Fonte: Wikipedia

 

Il knickerbocker glory è un gelato a strati (in inglese sundae) molto elaborato e servito in alti bicchieri di vetro a forma conica, e un lungo cucchiaio con cui mangiarlo.

Gli strati possono includere frutta secca (noci, nocciole), meringhe, frutta, biscotti o cioccolato, guarniti con panna montata a sua volta decorata con una ciliegia sciroppata o simili.

Fonte: foodsonengland.co.uk

  

Ultima strofa di "Sign Your Name" ad accompagnare il primo incontro d'amore tra Genzo ed Elena.

Questa è la traduzione:

 

Stare solo con te

Mi fa mancare il fiato

facciamo l’amore piano

E la terra gira

al nostro ordine

facciamo l’amore piano

 

Kintsugi è una parola giapponese che significa "riparare con l'oro".

Si riferisce alla pratica di riparare oggetti (vasellame, statue e così via) specialmente in ceramica, usando oro o argento liquido oppure lacca con polvere d'oro per saldare assieme i frammenti. La tecnica (come si legge su Wikipedia) permette di ottenere degli oggetti preziosi sia dal punto di vista economico (per via della presenza di metalli preziosi) sia da quello artistico: ogni ceramica riparata presenta un diverso intreccio di linee dorate unico ed irripetibile per via della casualità con cui la ceramica può frantumarsi. La pratica nasce dall'idea che dall'imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore.

Il risultato è dare una nuova vita all'oggetto andato in pezzi, impreziosendolo appunto con questi inserti, anziché gettarlo.

Questo, e la considerazione finale di Genzo, spiegano anche il concetto che ha dato il titolo all'intera fanfiction.

Aggiungo due link, per chi volesse approfondire la conoscenza di quella che non è solo un'interessantissima tecnica, ma soprattutto una vera e propria filosofia di vita da cui, secondo me, c'è molto da imparare.

 

E non finisce qui …

Domani, al massimo dopodomani pubblicherò quello che doveva essere l'epilogo … ovvero il capitolo 28 con un epilogo più breve.

A presto, quindi!

Sandie

  
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