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Autore: RLandH    04/11/2019    1 recensioni
[ SPOILER MANGA| Spoiler capitolo 156| Legravalima!centric + comparse non sempre apprezzate dei suoi fratelli e la molesta presenza di Lord Geelan| Teorie varie ed eventuali su Musica| Ed io che tento di fare lo studio di un personaggio e probabilmente fallisco]
Legravalima le stava concedendo già troppi giorni di vita, infiniti, giorni di vita, un’aberrazione come quella avrebbe dovuto essere già stata estirpata dal mondo, come ne era stato di Lord Geelan.
Una creatura nata con un dono così pericoloso.
Il potere degno di una regina, ma ovviamente ancora una volta Legravalima veniva privata del suo diritto, questa volta non da un dio o da un nobile troppo stupido per realizzarlo, ma da una popolana, un’emerita sconosciuta nata come uno scherzo della natura.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Lewis, Musica, Peter Ratri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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La verità è che ho scritto questa OS molto di fretta – troppo di fretta – perché l’ultimo capitolo mi aveva ispirato moltissimo e non sapendo cosa sarebbe successo nel successivo volevo muovermi prima che venisse confermata o smentita la mia idea e le mie teorie (tipo chi è Musica, se è la stessa fanciulla maledetta di settecento anni prima, che relazione può esserci tra lei e l’arciduca, cose che ho comunque lasciato molto vaghe).
Se io fossi brava nello scrivere questo sarebbe lo studio di un personaggio, ma io non lo sono, quindi sono solo frammenti di una mente non sempre lucida.
Si, ci sono anche la simpatica Crack-ship con Lord Geelan (perché io sono una persona molto, molto, strana).
Per comodità ho deciso di usare Esso per il  *fhdif*, insomma avete capito …
Buona Lettura
 

La Regina ha fame
 

In fondo, la gola ci rivela che siamo così affamati ed assetati che potremmo divorare il mondo intero e non trovare mai serenità. Ogni uomo porta con sé un’insaziabilità che può essere solo il segno o di una condizione maledetta o dell’esser stati fatti per qualcosa di più grande del mondo intero.
[Andrea Lonardo]

 
 

“Non lo vuoi vedere?” la domanda di suo fratello l’aveva colta di sorpresa, ma lei si era limitata a guardarlo e poi aveva chinato il viso su quella cosa, “No” aveva detto poi secca, “Non ci serviva” aveva stabilito poi secca e disgustata, “Siamo già troppi” e quell’ultimo commento lo aveva fatto lanciando uno sguardo velenoso a suo fratello.
“Sempre dolce, Legravalima” aveva schioccato l’altro senza il minimo impacciato, mentre teneva tra le mani quell’orrida creatura che suo padre si era così applicato nel donarli, siccome non bastava avere Leuvis, ne doveva avere anche un altro.
“La dolcezza, fratello, aspettala dagli umani” aveva commentato lei con rancore, un giorno avrebbe succeduto a suo padre, no, non sarebbe stato facile e non sarebbe stato indolore – almeno per suo padre – ma sapeva già che avrebbe dovuto vivere ogni giorno da quel momento guardando con timore e preoccupazione verso quei due, inutili bocche da sfamare.
 
“Così il re è morto, lunga vita alla regina” aveva sentito ridere suo fratello, mentre lei osservava con gusto e gioia il trono, Lord Ivrek l’aveva condotta lì e l’aveva incoronata, si era seduta sì per un momento, ma non abbastanza per goderne a lungo e come era d’uopo.
Perché era perfetto, era nata ed aveva vissuto fino al momento in cui avrebbe potuto occupare quel posto, non sarebbe stata debole e morbida come suo padre, no lei sarebbe stata una regina elegante e degna di quel titolo.
Non aveva potuto d’altronde mai potuto scegliere altro, unicamente quel ruolo, quel trono, avrebbero potuto eguagliare la sua fame.
Aveva ancora lì nel palato il sapore delle dolciastri carne di suo padre, aveva ancora l’ampia gonna sporca di sangue, ma Legravalima era ben lontana da essere sazia.
“Sonju, ora, non c’è più nostro padre dietro cui nascondersi” aveva risposto solamente lei, guardandolo un ultima volta, attenta, un passo falso ed anche lui sarebbe scomparso da quel mondo.
 
Era fame, incontrollabile, insaziabile.
Anche piena fino all’orlo, Legravalima non avrebbe potuto fare altro che volerne ancora di più, ma non era la quantità, era la qualità, qualcosa che andava al di là della sua logica, qualcosa a cui tendere senza riuscire a soddisfarlo mai.
“Oh dolce sorella” aveva sentito la voce di Leuvis sgradevole come solo lui poteva essere, la sua maschera era un sorriso ampio e sornione, come lei poteva immaginare era nella bocca sotto, “Non disturbarmi e più di una volta ti ho detto di rivolgerti a me come: sua maestà” aveva detto secca lei, sollevando la coppa di vino con indifferenza.
Si era raccomandata ad Ivrek che nessuno venisse a disturbarla ne le sue damine con i loro modi da cinciallegre, ne nessun altro nobile e soprattutto nessuno dei suoi fratelli, ma come non vi era da dubitare Leuvis era incontenibile.
Era giunto con la maschera ancora fresca del vermiglio rosso del sangue, “Porto buone nuove e buon cibo” aveva detto solare, alle sue spalle Lord Ivrek era muto ed ascoltava diligente e poco in la c’era lui, Legravalima si era beata di quell’odore come se fosse stato il più dolce degli aromi.
Un umano vivo ed era così tanto tempo che non ne aveva uno così vicino, l’acquolina nella sua bocca era stata inevitabile.
“Improvvisamente Leuvis potresti divenire una persona che merita la mia stima” aveva detto, posando il bicchiere ed abbandonando pcibo per avvicinarsi, predatoria all’umano.
Troppo magro, troppo piccolo, troppa poca carne.
Non l’avrebbe soddisfatta, non abbastanza.
“Perdonami sorella, ma non è lui il cibo che ti ho portato” aveva detto divertito suo fratello, “Ma lui” e nel dirlo aveva tirato una sonora pacca sulle spalle, “Te ne porterà molto” aveva ghignato.
 
Niente più guerre,
Niente più sangue.
Cibo per tutti.
Cibo sempre.
Cibo di ottima qualità per la sua ottima corte e per la sua ottima vita.
Un inutile, piccolissimo, screzio: rinunciare alla carne migliore.
Non doveva essere uno scotto così grande, ne aveva mangiati di umani, anche il migliore dei migliori, non era poi così tanto diverso dagli altri.
Deliziosi ovviamente, più erano svegli più lo erano, Legravalima gli avrebbe coltivati apposta perché lo fossero, bellissimi fiori da cogliere nel suo giardino e l’avrebbero saziata.
Avrebbe solo dovuto buttare la rosa più bella del suo bouquet.
Era un sacrificio accettabile e mai più carne insipida.
Però era così indegno che anche una regina dovesse accettare delle condizioni.
Indegno.
“Questo è contro natura” Sungjo era cresciuto, ma rimaneva sempre un inutile bambino monello, sempre affamato, come lei si, come anche Leuvis, ma non era di cibo, non era la carne a sfamarlo, era il brivido lungo la schiena, in quello i suoi due fratelli erano uguali.
Ma Leuvis riusciva ancora ad avere una visione più ampia.
Cibo migliore, di migliore qualità.
Niente più grossi  uomini dalla mente stupida e le carni dure, avrebbe avuto solo cibo squisito, tenero e utile.
Utile come Sungjo non poteva essere.
“Allora non mangiarlo” aveva stabilito lei secca, “Stupido fratello” aveva aggiunto, “Se non puoi apprezzare un così meraviglioso pasto, allora scompari, regredisci, levati dai nostri occhi” e nel dirlo aveva sollevato la coppa, colma di vino e con gli occhi aveva mangiato quel cervello così invitante, così buono, che l’aspettava.
 
“È uno sconsiderato” aveva provato Lord Iverk a giustificarlo, così portato per mantenere la pace, “Ma è giovane” aveva provato.
“Mio fratello è uno sciocco!” aveva ringhiato lei, Songju ovviamente, non era potuto rimanere fermo, aveva tentato di far fuggire degli umani, pochi, abbastanza perché si potessero riprodurre e lui potesse gustarsi della carne come giusto fosse.
Un’eresia.
“Cambiare le proprie abitudini può essere difficile” aveva provato l’altro calmo, “Siamo una specie in continua evoluzione, Lord Ivrek, se mio fratello si rifiuta di adeguarsi, allora sarà il caso che si estingua” aveva profetizzato lei.
Lo aveva sempre saputo da quando era venuto al mondo e Leuvis gli aveva dato il primo pezzettino di un cervello, estratto e conservato sottosale apposta per lui, che quei due, i suoi due preziosissimi fratelli non sarebbero stati altro che problemi.
“Perfino Leuvis si è addomesticato” aveva aggiunto, “L’arciduca è più saggio e vissuto” aveva provato l’ambasciatore, “Eppure cacciava umani da prima che quel moccioso venisse anche solo concepito” aveva detto secca lei.
Sapeva che quello che muoveva Songju era la fama, la sua stessa, solo che lui non aspirava al cibo più elitario, lui voleva qualcosa che potesse definire una sua conquista, come Leuvis.
Erano un clan di guerrieri il loro, di combattenti, il diritto del sangue valeva più di ogni cosa.
Anche Legravalima era arrivata al trono così, ma lei era più furba di quei due e la sua fame non poteva essere soddisfatta con una buona caccia.
“Se non mi contraddirà mai più, potrei rivalutare la mia condanna all’esilio” aveva concesso alla fine, sapendo poi se ne sarebbe pentita.
I nobili forse l’avrebbero considerata troppo morbida, ma di una regina che manda a morte il suo stesso sangue, nessuno avrebbe mai avuto fede, ma solo paura e la paura era utile, ma a volte mortale, incuterla o provarla che fosse.
Inoltre: nessuno avrebbe mai sospettato di nulla, nessun nobile lo avrebbe saputo.
 
“Lord Geelan è un demone molto elegante” aveva stabilito Lord Bayon, fin troppo serioso per essere un così avvezzo compagno di scorribande di suo fratello.
“Lo siamo tutti” aveva risposto la regina, cauta e calma, mentre una musica stucchevole si dipanava per la sala, da ogni lato, da ogni angolo, i membri delle famiglie erano giunte per celebrare il Cuvitidala.
Il bambino scelto, il migliore, veniva proprio da uno degli allevamenti di Lord Geelan, un quindicenne dall’aria sveglia, avevano detto, ma in quel momento tutto pareva che quello, i suoi occhi erano grandi e vuoti.
Però il suo odore …
Legravalima aveva provato una goccia sola del suo sangue, una dama lo aveva punto con una spilla ed ancora macchiata l’aveva offerta a lei.
Così indecente che non potesse mangiarlo, era lei la regina, una regina non avrebbe dovuto nulla a nessuno, neanche ad un dio.
Lord Geelan sorrise verso di lei, si era certamente elegante, era forse anche affascinante.
 
“Mi assicuro che i bambini siano sempre stimolati al meglio” aveva detto con incredibile calma l’uomo, capelli chiari come neve ed un sorriso rassicurante, “E felici” aveva aggiunto, “I bambini felici rilasciano endorfine che rendono la carne di una dolcezza senza precedenti” aveva confidato.
“Ho imparato tutti i loro nomi ed ogni anno invio per ognuno di loro un regalo il giorno della festa dei bambini” aveva confidato, “Come un anonimo benefattore” aveva confidato, un po’ tronfio di se e della sua perfezione.
Lord Geelan era certamente elegante.
Lord Geelan era certamente affascinante.
Lord Geelan era certamente bello, così tanto da rubare gli occhi ad ogni fanciulla ovunque andasse.
E sopra ogni cosa Lord Geelan era noioso, in una maniera così imbarazzante, da aver spinto Legravalima a voler passare più tempo con i suoi ignobili fratelli.
 
“È così noioso” aveva stabilito lei con un certo disagio, osservando il resto della tavolata, erano le sue dame, scelte tutte dal suo medesimo clan e dalla sua zona, per non favorire nessuno delle altre famiglia, tutte rigorosamente gradevoli alla vista ed educate come si deve.
“Eppure ovunque non si fa che tesserne le sue lodi” una aveva ridacchiato.
“Lo so” la risposta era stata secca e disinteressata, aveva concesso anche troppo a Lord Geelan.
“Qualcuno dice che sarebbe un ottimo re consorte” aveva aggiunto una delle sue dame con un sorriso così divertito e felice, da sembrare ancora fresco di innocenza, forse lo era.
“Che Esso  mi abbia in gloria, se avessi mai la sgraziata idea di maritarmi non sarebbe di certo con una persona così … insulsa” aveva detto secca.
Un marito spesso voleva dire figli, un marito e dei figli volevano dire: nemici, pretendenti per il suo trono e Legravalima non ne voleva.
Suo padre era stato così sciocco a metterne al mondo ben tre, ma suo padre era debole ed inconsistente come il burro, la sua belle era gracile e morbida come quella dei bambini, peccato il suo cervello non così tanto brillante.
Un figlio, per una regina, era un memorando senza pietà della fine inevitabile e Legravalima non aveva intenzione di morire per molto tempo ancora.
Magari mai.
“Ho sentito qualcuno nel popolino dire addirittura che Lord Geelan dovrebbe essere il re” la dama che lo aveva detto era stata una sua compagna da molti anni, immemori, non era più una primula e la freschezza sul suo viso cominciava a scemare, ma aveva un sorriso aguzzo ed una lingua velenosa, fino a quel momento Legravalima ne aveva apprezzato l’esistenza.
“Perché il popolo è stupido e corre dietro al primo lord che promette loro che potrà renderli migliori” aveva detto secca lei, “Ma noi siamo migliori e dobbiamo rimanerci” aveva detto bruciante.


Per la notte quando si era coricata aveva chiesto alla dama di farle compagnia, aiutarla a disfare le trecce ed indossare abiti più nobili.
“Ne sei attratta?  Da Lord Geelan, intendo” aveva chiesto alla toletta, con calma, mentre guardava il suo riflesso senza il minimo briciolo di scherzo.
La sua dama, con le sue luride dita nei suoi capelli, aveva sorriso accomodante, “Ha certamente un fascino invidiabile” aveva ammesso, “Più del mio promesso” aveva riso, “Lei, sua maestà? Ne parla sempre male” aveva valutato, “Ma sempre con una certa frequenza” aveva notato divertita, con quella sua lingua serpentina.
Si era forse mangiata un rettile?
“Forse se fosse meno patinato” aveva concesso la regina.
Ma se fosse meno perfetto, non vorrebbe mai essere mio compagno, ma me, aveva pensato, forse avrebbe potuto però regalarli un ebbrezza degna di una regina, il sapore del sangue, della caccia e dello scontro, che entrambi i suoi fratelli piagnucolavano tanto.
“Avresti sicuramente figli bellissimi” aveva commentato la dama, forse c’era scherno nella sua voce, forse no, ma quelle furono le ultime parole che rivolse alla regina, le ultime che pronunciò in quella serata e le ultime della su vita.
Nel suo morbido letto, circondata da farfalle, Legravalima si gustò una cena che la lasciò soddisfatta come non capitava da parecchio.
 
“Dividere le nostre porzioni, che impudente richiesta” aveva gracchiato Legravalima osservando ancora disgustata la sedia dove era stato seduto Lord Geelan durante il consiglio.
“Come se potessimo privarci di qualcosa che Esso stesso ci ha dato per darlo agli altri” aveva aggiunto acre.
Era già costretta a privarsi della migliore carne del raccolto, ogni anno ed ora le veniva chiesto di togliersi dalla bocca ciò che era suo?
Quanto ancora volevano offenderla?
“Lord Bayon non lo trovava così irragionevole” aveva commentato suo fratello, guadagnando la sua stizza, “E allora dividi il desco nella sua casa e non nella mia” aveva detto sprezzate a Leuvis, che senza vergogna aveva riso di lei.
Un giorno lo avrebbe gustato, si sarebbe mangiato ogni sua piccolo osso.
Suo fratello non aveva neppure presenziato all’incontro eppure era già stato informato, perché tutto sommato tutti amavano l’arciduca, non dimenticavano quanti umani durante la guerra erano periti per la sua lama, quanto cibo aveva portato e che eccellente lavoro svolgeva.
E poi era secondo in linea di successione.
Molti si leccavano le labbra aspettando che facesse la sua mossa verso di lei, ma Legravalima sapeva che non sarebbe mai successo.
Era profondamente più forte di Leuvis e a suo fratello nulla del governo poteva interessare, voleva solo divertirsi, ritrovare quegli stimoli che aveva perduto.
Era Songju il problema, che non riusciva a lasciare andare uno stile di vita che tutti presto si erano guardati di abbandonare.
Usciva, dava la caccia agli animali e poi tornava all’ovile per nutrirsi degli uomini, di malavoglia, consapevole che fosse l’unico modo per non degenerare, senza curarsi minimamente di mettere imbarazzo sua sorella, la regina.
Lo sapete no, il principe Songju mangia animali?’ ghignavano tutti alle sue spalle.
Se la fame di Leuvis non era un problema quella di Songju lo era, una così ostinata fame poteva essere troppo ambiziosa, se avesse persistito con il suo desiderio di cacciare.
“In vero sua maestà Lord Geelan è fin troppo pretenzioso ed cupido” aveva concordato Lord Ivrek, anche lui sedeva al suo desco, perché di tutti Legravalima apprezzava la voce ed il consiglio, “Ma una soluzione urge di essere trovata” aveva ammesso.
Il cibo non era sufficiente, per la prima volta in trecento anni, dall’inizio del sistema degli allevamenti.
“Lasciamo che si mangino tra loro” aveva stabilito secca, “Il problema è Lord Geelan, così lucente, così disgustoso” aveva aggiunto.
“La sua bontà d’animo si sta rivelando un veleno piuttosto pericoloso, si” aveva concordato il suo ambasciatore.
 
Lord Dozza era raccapricciante, volgare, imbarazzante eppure si era presentato a lei come il più gradito degli ospiti, con la soluzione a tutti, tutti, i suoi problemi.
Demoni il cui sangue era in grado di rendere la degenerazione impossibile.
Quasi un sogno.
Una fanciulla maledetta che di luogo in luogo raccoglieva seguaci.
Una regina magnanima, mentre quella che sedeva legittima sul trono lasciava la sua gente morire di fame.
“E Lord Geelan ti ha incaricato di trovarli?” aveva domandato Legravalima ancora una volta, guardando quel nerboruto demone, in ginocchio, davanti a lei, dove era giusto che fosse, dove tutti avrebbero dovuto essere.
“Perfetto” aveva gorgogliato Legravalima all’ennesima conferma di Dozza.
“Ovviamente Lord Geelan aveva intenzione di usare questa abominevole creatura contro di me” aveva riportato a tutto il consiglio poi, con estrema novizia, “Si sarebbe mostrato come il salvatore, con una folla inneggiante non avrebbe mai potuto sottrarsi poi alla loro fedeltà così comprata” aveva soppesato.
“Pensavamo che Lord Geelan fosse il più santo tra noi, invece non era che un cospiratore, così amato e con così tanti accoliti quanti ne stava raccogliendo non avrebbe poi che tentato di detronizzarmi” aveva aggiunto.
Nessuno degli altri lord lì presenti aveva creduto ad una sola parola, neanche Legravalima ci credeva, eppure nessuno di loro osò difenderlo o contraddirlo.
Lord Geelan era affascinante, elegante e buono, come poche creature che erano venute al mondo, ma aveva l’indisponente dono di renderlo evidente, di sbandierarlo con ogni suo gesto e la maledizione di rendere gli altri inadeguati.
Nessuno di loro poteva competere con il così illustre e perfetto, così tanto accettavano di privarsi di chi era in grado di farli vergognare.
Ovviamente non lei, Legravalima voleva solo sbarazzarsi di un uomo che le era scomodo, di un uomo che si faceva amare troppo dalle persone sbagliate.
“Quindi quale è la pena decidete di infliggere, sua maestà, per un così vile tradimento?” avevano chiesto.
“Che sia condannato all’esilio e che degeneri fino a che anche il suo aspetto esteriore non rimarchi l’interiore, un’immonda bestia troppo affamata per realizzare di star mangiando anche i suoi amati cari” aveva sentenziato e lo aveva fatto con gusto.
Quasi meglio di un pasto.
Aveva dato a Dozza il posto che un tempo era stato di Geelan, senza favore dei nobili ma senza che questo le interessasse per nulla, infondo si era guadagnato il suo posto nella medesima maniera in cui Legravalima lo aveva fatto: senza chiedere il permesso, guadagnandolo con l’astuzia e la forza.
Era qualcosa che poteva rispettare.
Inoltre Dozza era volgare e marcio, abbastanza sgradevole perché il suo popolo non lo amasse e perché nessuno delle atre famiglie provasse la ben che minima ispirazione verso di lui.
Un messaggio per la gleba: uno di voi è arrivato al mio fianco; ed un messaggio per i nobili: potreste scomparire come polvere.
Alla fine di quella giornata aveva stretto a se la maschera che un tempo aveva adornato il viso bellissimo di Lord Geelan per guardala con soddisfazione ed una sola punta di rammarico.
“Se tu fossi stato giusto un pizzico meno noioso” aveva commentato, spezzandola, “Avresti potuto darmi almeno un momento di folle passione” e nel dirlo aveva riso.
Dopo Lord Geelan non si fecero più menzione di Re alla corte, nessun genere di re.
 
Erano lì davanti a lui, entrambi, secchi e magri, ogni giorno Leuvis somigliava alla loro madre, poche dita sia nelle mani sia nei piedi, così sbagliato, eppure ne mangiava di carne a sufficienza, con suo orrore Sonju le somigliava di più, con gli stessi capelli rossi.
“Pagani” aveva stabilito lei, “Cosi chiamiamo questi fanatici che venerano una finta regina, una ragazzina maledetta” aveva detto.
“E cos’è che vuoi da noi, sua maestà?” aveva domandato Sunju con fastidio, “Dozza ne ha catturati molti” aveva stabilito, “Ma io voglio lei” aveva aggiunto secca, “E per quanto io ne sia degustata, voi siete i migliori cacciatori che ho” aveva sentenziato, bruciante.
Avrebbe dovuto ordinare loro di andare, era una regina, non avrebbe dovuto avere bisogno di giustificarsi in alcuna maniera, anche con i suoi fratelli.
Loro erano nulla, in suo confronto, esistevano con l’unico scopo di essere suoi strumenti.
“Una caccia” la proposta aveva elettrizzato Leuvis, come nessun altra cosa in molto tempo.
“Ma non trucidateli, ne mangiateli” aveva stabilito lei, sollevandosi dallo scrano, “Li voglio vivi, tutti” aveva stabilito orgogliosa, “Voglio organizzare con le loro membra il banchetto migliore che questa sala abbia mai visto”.
 
“Sono confusa” aveva stabilito secca la regina guardando Leuvis, “Voi l’avete trovata eppure avete scelto di non consegnarla a me?” aveva domandato bruciante, arrabbiata.
“Lei ha chiesto del tempo” aveva risposto lui, senza vergogna.
Erano mesi che i suoi due fratelli erano scomparsi.
“Lei osa chiedere?” aveva domandato bruciante.
Legravalima le stava concedendo già troppi giorni di vita, infiniti, giorni di vita, un’aberrazione come quella avrebbe dovuto essere già stata estirpata dal  mondo, come ne era stato di Lord Geelan.
Una creatura nata con un dono così pericoloso.
Il potere degno di una regina, ma ovviamente ancora una volta Legravalima veniva privata del suo diritto, questa volta non da un dio o da un nobile troppo stupido per realizzarlo, ma da una popolana, un’emerita sconosciuta nata come uno scherzo della natura.
“Lei si consegnerà spontaneamente, guidando al macello tutti i suoi seguaci” aveva stabilito suo fratello, “Julius Ratri è rinato come demone, mi stai dicendo” aveva detto rabbiosa, “Chiede solo del tempo” aveva aggiunto suo fratello, “Sonju non le permetterà di fuggire” aveva aggiunto, “Infondo abbiamo una vita così lunga che aspettare del tempo non dovrebbe turbarti” aveva terminato.
“Se io fossi una operaia, stupido fratello, aspetterei questa messianica figura fino alla fine dei tempi” aveva risposto lei, “Ma io sono una regina” aveva sentenziato, “E le regine non aspettano”.
 
“Anche i santi cadono” aveva stabilito Legravalina quando Leuvis si era degnato di tornare, portando con se quella creatura.
Immonda.
Piccola.
Aveva osato lei impersonare una regina tra la gente? Non era degna di lucidare le sue scarpe.
Una cosina minuscola, insulsa, eppure così pericolosa.
“Sunjoo?” aveva chiesto, “Prima o poi tornerà” non c’era divertimento nella voce di Leuvis, mentre con le sue disgustose dita artigliava quella creatura.
E lei nascosta dietro la sua maschera cercava suo fratello.
Sembrava quasi umana, al fianco di un membro dei Ratri sarebbe quasi potuta passare per una di loro.
“Cosa sei?” le aveva chiesto.
“Non lo so, mia signora” aveva risposto quella, tenendo il viso basso.
“Sei morta, ecco cosa sei” aveva detto Legravalima, presto sarebbe scomparsa, sarebbe finita nelle loro pance, con i suoi doni e le sue maledizioni.
“Dovevi vedere il viso dei tuoi adepti così disperati per il tuo tradimento” aveva aggiunto, “Godo sempre quando la gente realizza che anche il più immacolato non è alla fine che un altro peccatore” aveva ghignato.
Lord Geelan, ci sarebbe voluto altro tempo affinché il suo ricordo non fiorisse nella sua mente.
“Oggi vieni a immolarti per le tue aberrazioni. Espierai i tuoi tormenti” aveva sentenziato la regina guardandola, “Ma da donna a donna sappiamo entrambi che gli hai solo venduti, per qualcosa” aveva detto savia.
Non sapeva cosa mai avesse potuto offrire ai suoi fratelli ma era evidente che non vi fosse nulla di buono,  “E scegli di morire perché non puoi conviverci” aveva detto secca.
Come Julius Ratri che aveva portato la pace e da quella sua stessa pace ne era stato poi così consumato.
La carne della fanciulla maledetta fu diversa da qualsiasi carne avesse mai mangiato, umana o meno che fosse, il suo cervello fu sublime.
Quel pasto, consumato fra nobili lì consacrò più vicini a Esso di quanto mai fossero stati.
Se solo avesse potuto dopo quello mangiare anche la carne migliore del creato, allora Legravalima si sarebbe ritenuta davvero sazia.
“Almeno Ivrek da questa storia avrò una vittoria” aveva espresso, leccandosi le labbra sporche di rosso, nella lingua il sapore di quella maledetta aberrazione, così dolciastro, così diverso, quasi stomachevole.
“Sono molte le vittorie che avete ottenuto, sua maestà” aveva sentenziato il suo ambasciatore, con un tono per davvero ammirato, “Uno dei miei fratelli ha mancato il banchetto” aveva commentato, “Perciò vivrà per tutta la vita alle mie dipendenze, supplicando affinché io gli dia quel tanto che basta perché non sia senza raziocinio” aveva ghignato.
E per la prima volta, Legravalima realizzò che da quel momento avrebbe potuto mangiare qualsiasi cosa e sarebbe rimasta sempre bellissima e senziente, che tutto il cibo che avrebbe mangiato, tutte le buonissime prelibatezze di cui si sarebbe cibata, sarebbero stati solo per mero gusto.
La perfezione.
 
“Una bambina” aveva ringhiato Legravalima che si sentiva presa in giro, bruciante.
Leuvis aveva abbandonato la casa natia, preferendo ritirarsi a gozzovigliare con i suoi degni compari, profondamente disgustoso.
“Una bambina” aveva ripetuto ancora quella parola gustandola acre sulla sua lingua, con un bruciante insoddisfazione.
La rivoltante sconosciuta con il sangue maledetto aveva preso tempo per permettere a quell’infame di mettere al mondo un’altra rivoltante creatura come lei.
E Sonju l’aveva aiutata, quell’infame.
Quando non era tornato all’ovile per mesi e Legravalima si era adoperata per scoprire che fine avesse fatto, più speranzosa di vederlo ridotto ad una creatura informe, insana, bestiale, ed invece quel traditore aveva rigettato il suo sangue, la sua famiglia, era diventato pagano e si curava della piccola abominazione messa al mondo da quella ributtante creatura.
Sunjo ha tradito” aveva ringhiato, bruciante, “Mi ha tolto  anche il diritto di esiliarlo” aveva ringhiato.
Quante beffe poteva ancora il fame farsi di lei, “Non lo vedrò mai divenire lo spregevole essere che dovrebbe essere” aveva valutato con rabbia e costernazione, poi si era voltata verso il suo ambasciatore: “Li voglio morti, ambedue” aveva stabilito poi.
Suo fratello l’infame e la bambina maledetta la cui sola esistenza metteva in precario equilibrio tutto il loro mondo, se come sua madre si fosse messa ad elemosinare il suo sangue?
No, inconcepibile.
“Non preferirebbe venissero catturati?” aveva domandato qualcuno, non Ivrek, lui non sarebbe stato così audace, ma lei non ci aveva badato per nulla, dando già le spalle alle consiglio, “No, morti” aveva stabilito, “Cancellati dall’esistenza” aveva ruggito.
Lo aveva sempre saputo dal momento in cui era venuto al mondo che quella creatura con quei capelli così rossi, così simile a lei, sarebbe stato suo nemico.
“Con l’altro vostro fratello?” aveva domandato invece Lord Ivrek, “Leuvis è solo affamato, ma la sua fame non ha smania” aveva deciso secca.
 
Era passata un’altra cuivitidala, un’altra ed un’altra ancora.
Grace Field House si sta rivelando ormai il miglior allevamento” aveva stabilito secco l’uomo, era alto, emaciato e dolorante.
Legravalima non fiutava neanche una oncia di sangue addosso a lei, nessuna ferita che lo stesse logorando, ma non avrebbe potuto considerarlo in altra maniera se non come un animale morente.
Non somigliava a Julius Ratri ne agli infiniti uomini che nel corso dei secoli – molti – ormai avevano indossato la tiara del custode della promessa.
“Come ti chiami?” aveva chiesto solamente, ignorando quel commento, si poteva concordare, aveva mangiato un bambino ottimo da quell’allevamento, gli facevano arrivare fino ai dodici anni, era perfetto, rimanevano morbidi e puri.
“Peter, mia regina, Peter Ratri” aveva detto incerto l’umano.
Era bello si, grazioso, ma non appetibile, non in quella maniera che avrebbe fatto sbavare di fame qualcuno, certo il popolino se lo sarebbe mangiato, tirandolo a pezzi nudo e crudo, ma a lei sembrava così scialbo.
O certo era libero, sicuramente la sua carne doveva avere un sapore diverso, ma sarebbe stata prelibata?
E poi Legravalima su una cosa concordava con i suoi fratelli, ambedue, non c’era gusto nel cacciare e mangiare una bestia già offesa.
“Sei triste Peter Ratri” aveva sentenziato lei, nessuna inflessione amichevole nella voce.
“Pensieroso mia regina” aveva risposto lui, “Ho raccolto un fardello da mio padre, di cui non mi sentivo pronto” aveva confidato.
“Non ho idea di ciò che tu possa provare, io ho preso la mai corona” aveva detto ruspante, bruciante, “Ma anche lei avrà provato la solitudine del suo ruolo” aveva provato lui.
“No” aveva ammesso candida, “Non è la solitudine che sento” aveva aggiunto.
Solo fame, una fame, che non trovava pace.
Di nessun tipo.
“Solo insofferenza per chi non mi rispetta” aveva ruggito.
Peter Ratri l’aveva guardata confuso, con i suoi grandi occhi azzurri, quelli immaginava dovessero essere buoni, polposi e gustosi da mangiare.
Un solo assaggino magari.
“Ho fratelli minori infami, lord ambiziosi e nemici resilienti” aveva stabilito secca, bruciante.
E Esso che non mi permette di mangiare ciò che sarebbe mio, mio di diritto.
“Sono la regina” aveva stabilito solamente, a se stessa, non al suo umano ed insulso confidente, che sarebbe potuto essere lì come altrove, “Dovrei mangiare io la migliore carne prodotta” aveva stabilito.
 
James Ratri non aveva nulla di suo fratello, di quella sua infelicità intessuta nel volto, nel corpo e nelle ossa, era un uomo bruciante, crudele.
Era umano si, infame certamente, ma più affine a lei.
Come Legravalima aveva usurpato il suo trono da chi era troppo molle per tenerlo, ma era un fratello minore che aveva tradito il maggiore.
Legravalima aveva anche saputo di come si fosse incontrato delle volte con Lord Bayon, nel corso degli anni.
Anche con Leuvis?
“Voleva vedermi sua maestà?” aveva chiesto, sfacciato, senza neanche un brivido di paura a coglierlo, lì dove il suo odiato fratello maggiore era stato un fascio di nervi tesi.
Se anche Legravalima avesse detto a quel giovane che aveva intenzione di mangiarlo, lui probabilmente avrebbe riso sornione alla morte.
“Come sta andando il tuo nuovo allevamento, lambda?” aveva chiesto, aveva provato appena qualche carne, qualche cervello.
Non era male, anzi era ottimo, ma non abbastanza ottimo, non migliore di Grace Field House, non migliore di altro.
Era ormai logorata da quell’unico pensiero: la carne migliore.
Era un suo diritto, perché lei era la regina, perché lei era la più forte, la più bella.
Era suo.
“Bene, sua maestà, ho interessanti soggetti” aveva confidato, “Sfortunatamente abbiamo riscontrato un problema non indifferente però: si consumano in fretta” aveva rivelato James.
“Ho un candidato per te, James, dalla piantagione cinque dell’allevamento di Grace Fields House” aveva stabilito secca, senza nascondere il sorriso più bruciante e lascivo che potesse avere.
La migliore carne di quell’annata, la migliore carne forse mai prodotta, dell’umano più brillante che si fosse mai visto.
Avrebbe dovuto essere offerta alla cuivitidala, ma no, Legravalima avrebbe avuto il suo pasto.
E se Esso avesse avuto da che ridere, allora lei lo avrebbe affrontato, come chiunque altro si fosse palesato davanti a lei.
Non importava.
Perché così Legravalima sarebbe stata sazia.
E la sua sazietà era l’unica cosa che contava.

   
 
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