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Autore: Doux_Ange    06/11/2019    0 recensioni
Partendo dal titolo con una citazione del nostro Capitano in 'Scegli me!', una serie di one-shot per raccontare come, in molte puntate, la storia tra Anna e Marco sarebbe potuta andare diversamente.
I capitoli saranno in parte presi dall'altra fanfiction che ho scritto, 'Life-changing frenzy' relativamente alle parti immutate.
*Grazie alle mie brainstormers, Federica, Clarissa e Martina!*
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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UNA QUESTIONE PERSONALE

 

La mia mattinata, cominciata in modo tranquillo come tutte le altre, ha avuto un risvolto che al solo sentirlo mi ha fatto venire un groppo in gola che non credo riuscirò a togliermi tanto presto, insieme al vago senso di nausea che il mio corpo ha istintivamente messo in atto alla notizia che mi hanno appena dato.

Mi hanno telefonato dalla Caserma per informarmi che un ingegnere edile, teoricamente ai domiciliari per il crollo di un palazzo da lui progettato, è stato trovato morto nello studio del suo avvocato. E l'avvocato è il mio ex-migliore amico. Sì, proprio quello che si è portato a letto la mia futura sposa.

Non so con che spirito mi sto recando allo studio, ma di certo devo mostrarmi impassibile. Anna e il Maresciallo non devono sapere. Nessuno sa di questa storia, fa ancora terribilmente male e l'idea di dover rivedere Simone mi fa ribrezzo, ma so che non posso tirarmi indietro.

Arrivato sul posto, raggiungo il Capitano, impegnata a parlare con Cecchini e Don Matteo. Mi volto brevemente verso la targhetta affissa fuori dalla porta con su scritto 'Studio Legale Castagnati', deglutisco e chiedo subito informazioni su come si siano svolti i fatti, senza salutare nessuno.

È Anna a rispondermi. “Don Matteo ha trovato l'evaso nello stanzino delle scope. Riteniamo che si stato aggredito e poi spinto giù dalle scale, morto sul colpo, poi il corpo è stato trascinato nello stanzino. Il tutto dovrebbe essere successo tra le dieci e mezzanotte.” Mi spiega con precisione.

“Simone Castagnati l'avete avvisato?” Domando, con la speranza che non debba essere io a farlo.

“No, non ancora perché non era in studio, stiamo andando nel suo ufficio.” Nega lei, prima di corrugare le sopracciglia e tornare a guardarmi, confusa. “Come fai a sapere che si chiama Simone? Il nome non c'è scritto, lo conosci?”

Mi rendo conto con le sue parole di essermi già tradito da solo. Volevo far finta di nulla, e invece ho già fatto un passo falso, e lei è troppo attenta per non accorgersene. Tu non vuoi che lei lo sappia, quindi vedi di fare attenzione.

Evito completamente di risponderle, optando per entrare nello studio. Gli altri mi seguono immediatamente.

 

Entrare lì mi fa venire un'altra ondata di nausea che trattengo a stento.

Ignoro Anna, che mi lancia un'occhiata indagatrice, spostandomi per la stanza cercando di lasciar fuori le questioni personali e concentrarmi sull'omicidio, quando un portafoto su un mobile attira la mia attenzione: è rivolto verso il basso, probabilmente caduto durante qualsiasi cosa sia successa qua dentro, così prendo un fazzoletto e lo sollevo.

La bile torna prepotentemente in bocca alla vista della mia ex fidanzata e del mio ex migliore amico abbracciati e felici, protagonisti di quell'immagine recente.

La rimetto giù con astio, prima di rivolgermi ad Anna.

“Convochiamo Castagnati.” Le dico, asciutto.

“Io avverto la famiglia,” risponde a voce bassa, incerta.

Dimmi che non hai già capito che c'è qualcosa che non va. Fai finta di non aver notato niente di strano. Ti prego.

 

Quando Simone arriva in caserma, lascio che sia Ghisoni a farlo accomodare in ufficio. Io aspetto che rientri Anna: anche se non deve sapere niente, voglio comunque che sia lì con me. Non voglio restare solo con lui, e magari la sua presenza riuscirà a calmarmi come le altre volte.

Lei finalmente arriva, una strana espressione in viso, e insieme a me e Cecchini si dirige dietro la sua scrivania.

“Avvocato Simone Castagnati,” si presenta lui, alzandosi e porgendo loro la mano.

“Capitano Anna Olivieri,” risponde Anna in tono cortese, “il Maresciallo Cecchini... PM Nardi.”  Quando lui fa per stringermi la mano, io non mi muovo dalla mia posizione, in piedi a braccia conserte accanto al tavolo. Lui ha almeno la decenza di abbassare lo sguardo.

“Si sieda,” gli dico soltanto.

Anna è perplessa, lo so, e io per primo non mi sto controllando come mi ero ripromesso di fare, ma è più forte di me.

“Allora, Lei è... l'avvocato di David Guarini... Micol Guarini però ci ha detto che ultimamente non andavate molto d'accordo.” Inizia l'interrogatorio il Capitano.

“Un momento... Lui voleva dichiararsi innocente e rischiava di farsi quindici anni. Io l'ho convinto a patteggiare e... alla fine abbiamo discusso, è vero, però poi lui si è reso conto che la mia era la strategia migliore-”

“Eh no, se era innocente no,” lo contraddico io freddamente. Non è una cosa strana, quella che ha detto, però per me potrebbe dire la qualunque ed essere in torto a prescindere. Non posso passargliela, non dopo quello che ha fatto.

Anna mi guarda, cercando di capire che sto facendo, ma io resto impassibile. Non mi importa se pensi che stia esagerando, tu non sai come stanno le cose.

“Beh... con una scossa del terzo grado quel centro commerciale non avrebbe dovuto avere nemmeno una crepa, invece è crollato completamente, e infatti si sono resi conto che mancava la gran parte del ferro dal cemento armato. E l'unico responsabile del cantiere era David Guarini.”

“Si può sapere di quanti soldi stiamo parlando?” Domanda Cecchini.

“Duecentomila euro, più o meno, l'appalto era intestato alla ditta della moglie di David e al suo socio.”

“Ludovico Foti, noi l'abbiamo incontrato,” ricorda il maresciallo ad Anna, che annuisce.

“Perché quella sera David, un evaso, è venuto nel suo ufficio?” Chiedo io con lo stesso tono di prima.

Lui fa un gesto nervoso, esitando a rispondere,

“Cos'ha fatto alla mano?” Indaga allora Anna, che ha notato una cosa che anche a me era sfuggita: una fasciatura alla mano sinistra.

“...Avevo dimenticato i documenti in studio... e l'ho trovato lì,” ammette con riluttanza. “Gli ho dato gli incartamenti del processo e lui se n'è andato.”

“Perché non ci ha avvertiti subito?”

“Perché mi aveva minacciato! Ho avuto paura.”

“Oppure perché l'ha seguito e ucciso.” Ribatto io. Paura, certo.

Lui si riscalda subito. “Ma cosa dici, Marco? Non puoi pensarlo veramente!” Mi domanda, stupito. Non osare chiamarmi più per nome. Siamo sconosciuti, ormai.

Lancio un'occhiata di sbieco ad Anna, e capisco immediatamente che ogni dubbio sul mio eventuale coinvolgimento è svanito di fronte a quelle parole.

“Lei è in stato di fermo.” Dico, rivolto a Castagnati con una nota di macabra soddisfazione nella voce.

Lui ride amaramente, ma non mi smuove dalle mie convinzioni. “Sarai contento, adesso.”

“Maresciallo, se ne occupa Lei? Grazie...” Lo prega Anna con un filo di voce.

Non farlo. Non farmi rimanere da solo con te. Non voglio trattarti male, per favore.

Simone si alza,  lanciandomi uno sguardo sprezzante, che io ricambio con tutto l'odio che riesco a concentrare, notando che anche Cecchini è confuso dal mio comportamento.

Voi non potete capire.

 

Non appena escono chiudendo la porta, Anna non attende un altro istante, ma la sua voce è gentile.

“Mi vuoi spiegare?” Domanda, cauta. “Chi è quell'uomo? Perché ti chiama per nome?”

Io mi rifiuto di guardarla. Mantengo gli occhi bassi, perché so che se li alzassi e incontrassi i suoi adesso, finirei per dirle tutto. Ma lei non deve sapere. Non deve. Fa troppo male perfino pensarci.

“È un sospettato di omicidio,” replico freddamente. “Il resto non ti riguarda.”

L'ufficio diventa improvvisamente troppo stretto, mi sento come se mi mancasse l'aria, perciò vado via immediatamente senza voltarmi indietro.

So che ho sbagliato, che lei ha chiesto solo perché preoccupata dal mio comportamento, ma io resto fermo sulla mia idea.

Non ce la faccio, ad aprirmi. Dalla mia bocca non uscirà una parola.

Anche a costo di farmi odiare di nuovo.

 

Non appena mi lascio alle spalle il portone della caserma, le cose non migliorano, anzi.

Federica è lì e sta aspettando me, ne sono sicuro. Ha appena visto portar via Simone, e sarei disposto a giurare che vorrà qualche tipo di aiuto.

Dopo quello che mi avete fatto, per me non esistete più.

Lei si volta, e si avvicina a me in tutta fretta. “Simone non ha fatto niente e tu lo sai bene!” Esordisce con prepotenza.

“Io sto facendo solo il mio lavoro-”

“No, tu così gli stai distruggendo la vita!”

Mi fermo immediatamente, girandomi a guardarla. Come ti permetti, di dirmi una cosa del genere? Io gli starei distruggendo la vita?

“Voi non vi siete fatti grandi problemi, non è vero?” Le dico, la mia voce intrisa di disprezzo.

“Marco, per favore...” Fa allora lei in tono di supplica. È finito il tempo in cui bastava una tua occhiata a farmi cedere. Una parola a farmi cambiare idea. Le preghiere non servono a niente.

Fa per prendermi il braccio, ma io mi ritraggo immediatamente, come scottato.

“No! Non mi toccare!” Rispondo con rabbia.

“Marco, per favore, ascoltami... Marco, la nostra storia non c'entra niente... Ti prego...”

No. non implorare il mio perdono per voi dopo che mi avete pugnalato alle spalle.

“Io non posso fare niente per lui.” Chiudo la conversazione aspramente, sperando che capisca una volta per tutte che deve sparire dalla mia vita, e andandomene via.

Ho bisogno di stare solo, e di scaricare la rabbia che provo.

 

Vorrei solo smettere di stare così male.

 

Anna's pov


 

Dopo che Marco va via, insieme all'occhiata gelida e a quel tono glaciale che non aveva mai usato nei miei confronti e che mi ha fatto davvero male – più di quanto mi sarei io stessa aspettata – cerco di mettere da parte le questioni personali e di concentrarmi sul caso.

Non che la situazione migliori, anzi.

Questo caso è maledettamente simile a quello che io stessa ho vissuto sulla mia pelle quando ero solo una bambina.

E, come allora, sono assolutamente certa che l'accusato sia in realtà la vittima della situazione, e che è innocente, come ho già riferito a Cecchini.

Con il maggior distacco possibile, inizio a indagare anche sul conto dell'avvocato Castagnati.

Quello che scopro non mi sorprende poi molto: Marco lo conosce eccome, visto che risulta nella sua stretta cerchia di amicizie – sono stati colleghi di corso all'università, ma posso affermare con una certa sicurezza che si conoscessero da prima, visto lo stesso paese di provenienza, che entrambi si sono trasferiti qui a Spoleto nello stesso periodo, e che giocavano insieme a calcetto, fra le altre cose.

Ripenso alla scena di poco fa in piazza, della reazione di Marco alla vista della sua ex che lo aspettava giù per qualche motivo, e al suo strano comportamento stamattina allo studio di Castagnati, e mi viene istintivo fare due più due. Non posso avere la certezza di cosa sia realmente successo, ma l'atteggiamento di Marco quando abbiamo convocato l'avvocato qui in ufficio è di sicuro legato alla sua ex, Federica.

Mi rendo conto che questa storia fa soffrire anche lui, e che non riesce a controllarsi quanto dovrebbe. Non so esattamente come dirglielo, ma capisco che stia male, e forse è meglio che resti fuori dalle indagini il più possibile. Anche perché, se si lascia condizionare, rischia solo di peggiorare le cose e commettere un errore lavorativo terribile. E io non posso lasciarglielo fare.


 

Marco's pov 

Più tardi ricevo una chiamata da parte di Anna, che si rifiuta di dirmi cosa vuole per telefono. Io sto ancora uno schifo per ieri, e la sua telefonata non mi aiuta. Le rispondo seccato che la raggiungerò in ufficio appena possibile.

Dopo una mezz'ora mi presento lì.

Entro senza bussare, e senza mascherare il mio fastidio. “Beh? Cosa c'è di così importante che non potevi dirmi al telefono?”

“Vieni...” mi invita lei, schiarendosi la voce. “Ho fatto delle ricerche su Castagnati. So che eravate compagni di corso all'università e che andavate a calcetto insieme.”

Non ci posso credere. Cos'hai fatto?! Come hai potuto? Ti ho detto che non erano affari tuoi.

“Ah! Ma stai indagando su di me?” Le chiedo, incredulo.

“Ti ho visto prima con la tua ex! Non so cosa sia successo ma io credo che c'entri Castagnati!” Spiega, una vaga nota di rimprovero nella sua voce. Quindi mi hai anche spiato? Non ti devi intromettere, Anna. Non provocarmi.

“Quindi stai insinuando che io l'ho messo in stato di fermo per un fatto personale!”
“No, sto dicendo che forse questo è un caso che ti coinvolge un po' troppo!” Alza il tono lei.

“Io so distinguere i fatti dalla vita privata, e sei tu quella che si lascia coinvolgere!” Rispondo furioso. Io so mettere da parte il personale, lei invece si lascia sempre influenzare, e la sua insinuazione assurda mi fa arrabbiare.

Oppure la tua rabbia è dovuta al fatto che sai che in fondo ragione. E che l'hai messo in stato di fermo per vendicarti. Che ti sei lasciato trascinare dal dolore. Che hai lasciato che i tuoi tormenti avessero la meglio sul buonsenso.

Non voglio sentire altro, non sopporto di sentirmi dire quelle cose, e mi dirigo a passo spedito verso la porta, mentre lei mi fa una domanda che gela dentro. “Sì, forse, ma io cerco la giustizia e la verità! Tu che cerchi?”

Sbatto violentemente la porta andando via.

Non ci provare, Anna. Non è una cosa che puoi capire. Non voglio dirti che hai ragione perché ammetterlo significherebbe essere sconfitto di nuovo. E lui è colpevole. Lasciami in pace.

 

***

 

Il mattino dopo ho un pensiero fisso in mente: andare a trovare Simone in carcere, e non per discutere del caso.

Quando arrivo, mostro il mio tesserino alle guardie, che mi danno il permesso di entrare e incontrarlo senza problemi.

Lui è sorpreso, ma si siede comunque di fronte a me.

“Non credevo che saresti arrivato a tanto.” Dice dopo qualche istante.

Io faccio un verso sprezzante. “Detto da te mi fa veramente ridere, sai.”

“Marco, ti ho fatto una bastardata, lo so... ti chiedo scusa.”

Sapessi che me ne faccio delle scuse.

“Quando giocavamo a pallone e io ero davanti alla porta e tu non me la passavi... Quella è una bastardata. Sei il mio testimone di nozze e la sera prima vai a letto con la mia fidanzata... Capisci, ho difficoltà, a chiamarla bastardata.”  Gli dico con il mio miglior tono sarcastico.

“Avevamo bevuto...” Cerca di spiegarsi lui, come se bastasse quello.

“Ah, scusami, io non avevo capito! Potevi dirmelo subito!” Gli dico, sempre con ironia dilagante, e lui finalmente cede.

“Io la amo! Va bene, io la amo! È per questo che devo stare qui dentro?”

“No, è perché tu sei sospettato e potresti inquinare le prove.” Gli spiego, come se fosse un bambino di cinque anni un po' duro di comprendonio.

“Ma quali prove?! Perché avrei dovuto ucciderlo?” Ma che bella recita.

“Provo, eh? Forse perché il PM che ha seguito le indagini era una tale Flaminia Vanzetti... ti dice qualcosa, questo?”

“Siamo stati insieme soltanto per due mesi!”

“Magari per farle un piacere... magari avete bevuto anche con lei, non so, hai convinto il tuo cliente a patteggiare così tutti contenti. Tranne il tuo cliente, che l'ha scoperto, s'è incazzato e tu l'hai buttato giù dalle scale.”

“Non è andata così... non è andata così!”

“Va bene, sentiamo cosa dice il giudice.” Rispondo, alzandomi e andando via, se possibile più arrabbiato di prima.

 

***

 

Vorrei andare via ma mi chiamano per andare in caserma, perché avrebbero scoperto qualcosa. Metto da parte per un attimo i miei sentimenti, ho bisogno di fare il mio lavoro come si deve.

Entro nell'ufficio di Anna e con molta riluttanza mi siedo e ascolto. Lei apre un computer portatile.

“Sono le telecamere del cantiere,” mi spiega, “un'altra intuizione notturna del Maresciallo.”

“David Guarini, 22:07,” continua lui ignorando l'occhiataccia. Avviano il filmato che mostra l'uomo scavalcare la recinzione del cantiere, fino a quando torna indietro.

“Ha sfruttato il cantiere per togliersi le manette,” commento, “lui lo conosceva, sapeva che lì avrebbe trovato gli strumenti adatti.”

“Sì, ma c'è dell'altro,” spiega il Capitano. “è rimasto dentro quaranta minuti, poi è uscito con questa.” Precisa, indicando una borsa visibile nel video. “Che c'è dentro? Cosa cercava al cantiere?”

Quando io non rispondo, lei continua, alzandosi in piedi e mettendosi a camminare avanti e indietro per l'ufficio. “Ragioniamo: invece di scappare, lui torna al cantiere, ed è un rischio. Dopodiché è andato dal suo avvocato, altro rischio. Per me c'è solo una spiegazione: lui stava indagando, e se indagava vuol dire che non era il colpevole del crollo!” Esclama, ma io non la vedo come ragione possibile. “Questo è un altro motivo per avercela col suo avvocato, che poi l'ha ucciso per coprire un suo errore.”

“Quale errore?” Domanda allora lei con un tono freddo che non riesco a non notare.

“Castagnati e la PM che stava lavorando sul caso hanno avuto una storia insieme. PM e avvocato difensore non possono lavorare sullo stesso caso se si frequentano abitualmente, tantomeno se hanno avuto una storia insieme, ma Lei forse dovrebbe saperlo.” Spiego io indispettito ad Anna, e sì, è una frecciatina alla sua relazione col pretino-avvocato.

Lei non è contenta della mia osservazione. “Sì, si chiama infedele patrocinio, ma non è grave, Castagnati al massimo avrebbe avuto un richiamo.” Mi contraddice, ed è la goccia che fa traboccare il vaso. Non sopporto che anche lei mi vada contro.

Mi alzo in piedi, al limite della collera. “Sì, ma è un movente o no? Ma io ti devo ricordare forse che è il PM che deve dettare la linea d'indagine?” Le dico guardandola dritta negli occhi. Lei non si ritrae né abbassa lo sguardo, ed è una cosa che mi fa innervosire ulteriormente.

“Io sto seguendo gli indizi, solo quelli.” Mi risponde a tono.

Non mi contraddire. Non te lo lascerò fare. Devono pagare per quello che hanno fatto.

“Va bene, hai due giorni di tempo e poi la fase istruttoria è chiusa. Continua a perder tempo, brava!” Sibilo con astio, prima di andare via furioso.

Simone è colpevole. Lo è.

 


 

Anna's pov


 

Marco va via, furibondo, di nuovo.

Cerco di trattenermi con tutto l'autocontrollo che riesco a racimolare.

Leggere la rabbia nei suoi occhi mi ha ferita, un'altra volta, e non perché ha dubitato della mia obbiettività, ma perché continua a non volersi fidare di me.

Io sto cercando di essere il più imparziale possibile, anche se non sempre riesco, e vorrei solo dare giustizia alla famiglia di quell'uomo, confermare l'innocenza di un padre agli occhi di sua figlia.

Perché Guarini è innocente, di questo sono certa.

E l'odio di Marco, che sta sfogando anche su di me nonostante io non c'entri nulla, sta rischiando di farmi esplodere.

“Senta...” mi riporta alla realtà Cecchini. Avevo dimenticato fosse qui, immersa com'ero nei miei pensieri. “Mmi servirebbe un permesso di mezz'ora per la questione del camper, si ricorda?”

“Vada,” glielo accordo.

Lui annuisce dirigendosi verso la porta, ma prima di uscire si volta verso di me.

“Signor Capitano?”

“Sì?”

“Perché il pm ce l'ha con Lei? Anche ieri s'è messo a urlarle contro.”

Mi sembrava strano, che finora non avesse chiesto.

“Non ce l'ha con me, maresciallo, è solo convinto delle sue idee, come al solito.” Minimizzo. Dallo sguardo che mi rivolge, capisco che non mi crede.

“Forse sì, però... Forse è questo caso che vi sta facendo litigare più del solito, però visto che lui sembra non essere tanto lucido, potrebbe provare a farlo ragionare Lei... In genere ci riesce,” mi dice semplicemente, prima di andare via e lasciarmi sola con i miei pensieri.

E, dopo una lunga esitazione, capisco che il maresciallo ha ragione, che Marco ha bisogno d'aiuto e so anche che, forse, sono l'unica a poterglielo dare.

Anche se significa farmi male per l'ennesima volta in questi giorni.


 

Marco's pov 

Passo tutto il giorno a cercare di sbollire la rabbia.

Rabbia nei confronti di Federica, che aveva detto di amarmi e poi mi ha tradito.

Nei confronti di Simone, il mio migliore amico che mi ha pugnalato alle spalle.

E nei confronti di Anna, che mi ha sbattuto la verità in faccia sul mio desiderio di vendetta.

Lei fra tutti, che non ha nessuna colpa reale, è la fonte principale del mio astio in questo momento. Ne ho fatto un capro espiatorio, sì, perché detesto l'idea che abbia intuito qualcosa. Che abbia cercato di capire perché ce l'ho tanto con Simone.

 

Non può capire cosa significhi, trovarsi faccia a faccia con le persone che amavi di più e che invece ti hanno fatto più male in assoluto. È impossibile non lasciarsi condizionare, se qualcosa ti riguarda in prima persona. Come per quel ragazzino tradito dal suo migliore amico diventato un bullo... mi sono rivisto in quel tradimento, e ho agito di conseguenza anche se ho provato a non farlo.

Pensaci un attimo, però. In passato non ti sarebbe importato di nulla, ti saresti limitato a fare il tuo lavoro senza vederci niente dietro. È Anna che ti ha portato a riflettere, che ti ha fatto capire che a volte la sensibilità aiuta molto di più del rigore. Forse dovresti usarla anche stavolta.

Scuoto la testa. Non va così. Anche se questo fosse vero, lei ha comunque sbagliato a indagare su di me e non rispettare quello che le avevo detto, di non impicciarsi.

E non potrà mai capire cosa voglia dire trovarsi davanti a un caso che ti riguarda così da vicino.

 

Ho appena finito di sparecchiare a casa quando qualcuno bussa alla porta.

Chi può essere, alle dieci di sera passate?

“Arrivo,” dico, e quando apro mi ritrovo davanti proprio la persona che non vorrei vedere in questo momento: Anna.

Lei mi saluta con un sorriso incerto, che io non ricambio. Anzi, cerco di farle intendere che la sua presenza non è gradita, visto che è più brava a capire i sottotesti che le richieste esplicite.

“Posso entrare?” mi chiede dopo qualche secondo.

Io le rivolgo un'occhiata gelida. “Se è per il caso, guarda, non abbiam niente da dirci, nessuna proroga-”

“Non devo parlarti del caso,” mi interrompe. “Mi fai entrare?”

Bene, quindi non capisce nemmeno i no. Mi sposto per farla passare, senza nascondere il mio sdegno.

Si ferma all'ingresso, senza procedere oltre, posizionandosi di fronte a me.

“Posso fare qualcosa per te? Vuoi sederti, vuoi un bicchiere di vino? Dimmi.” Le chiedo, con finta cortesia che so non essere passata inosservata.

“No, resto in piedi, faccio subito.” Rifiuta. Io annuisco, in attesa che mi dica cosa vuole e vada via.

Marco, smettila. Non ha senso che tu la stia trattando così solo perché ha capito e cercato di aiutarti.

Abbassa lo sguardo. “Volevo raccontarti perché... ho scelto di fare il carabiniere.”

Cosa...? Sul serio? Con tutto il rispetto, cosa vuoi che me ne importi? Ora meno che mai.

“Adesso?” le chiedo freddamente, senza celare il mio disinteresse.

“Sì, Marco. Adesso.” Il suo tono è grave, e mi rendo conto immediatamente che ci dev'essere un motivo. Abbiamo aperto l'argomento tante volte, ma non mi ha mai detto nulla al riguardo. Se ha scelto di farlo adesso, deve avere una spiegazione più che valida, non è una che dice cose  a caso. Basta questo pensiero a farmi calmare all'istante. “Okay... ti ascolto.” Rispondo, stavolta più pacato.

Anna incrocia le braccia e inspira a fondo, prima di iniziare.

“Mio padre aveva una piccola fabbrica di scarpe, e un giorno venne accusato di evasione e appropriazione indebita. Avevo dieci anni...”

Il suo sguardo si fa distante, la voce incrinata. Io non so che pensare, restando ad ascoltare senza dire nulla.

“Ma mi ricordo... mi ricordo i poliziotti che entrano in casa alle cinque di mattina, che aprono tutti i cassetti e che si portano via tutto, i documenti, i computer...” Solleva lo sguardo, e il dolore che ci vedo dentro mi fa venire l'ennesimo groppo in gola. “Mi ricordo gli sguardi della gente quando uscivamo in strada... le paroline sussurrate, i mezzi sorrisi... C'erano anche quelli che ci chiamavano ladri.” Ladri. Come hanno detto alla ragazzina figlia dell'uomo morto e a sua moglie. “Alla fine mio padre non è più uscito di casa. Se ne stava tappato in camera a guardare fuori dalla finestra...” continua, e capisco che sta cercando di trattenere le lacrime a tutti i costi, il suo tono di voce è inconfondibile. “Poi un giorno è uscito... e non è tornato più. Si è... si è buttato dal tetto della fabbrica.”

Suo padre si è suicidato.

Adesso sì che mi sento davvero uno schifo, sento la bile risalire crudelmente in bocca. Per tutto questo tempo l'ho accusata di non sapere cosa volesse dire sentirsi direttamente coinvolti come credevo di essere io, e invece lei in questi giorni ha dovuto rivivere la stessa situazione di quand'era bambina. Ha rivisto suo padre morire negli occhi di quella ragazza. Ha risentito le accuse false della gente dalla bocca di altri.

Ma ha fatto comunque il suo lavoro. Non ha lasciato trasparire nulla. Invece io ho combinato un casino senza pensare a niente se non a me stesso.

“Mi dispiace, io non ne avevo idea, scusami...” provo a dirle, la mia voce che si incrina, anche se so che le mie scuse, dopo che l'ho trattata in quel modo, non servono a nulla. “È una cosa terribile... scusami, non-”

“Sai qual è la cosa più brutta?” Mi interrompe, e stavolta il suo dolore si percepisce forte come un pugno allo stomaco. “Era innocente. Solo che se ne sono accorti troppo tardi.”

Quelle parole restano sospese nell'aria per qualche istante, ma fanno il loro effetto dentro di me come una bomba.

Con mio estremo orrore, noto una lacrima sfuggire al controllo generalmente ferreo di Anna, e la osservo rotolare giù lungo la sua guancia, avvertendo nello stesso istante un lancinante dolore al petto, come se fosse una lama intenta a trafiggermi.

La prima è seguita presto da altre, e lei abbassa in fretta lo sguardo, quasi vergognandosi per quello sfogo involontario.

Senza pensarci, allungo la mano, interrompendo il percorso di quell'acqua salata sul suo viso smunto.

Lei spalanca gli occhi verdi e confusi, inchiodandoli nei miei.

Io non riesco a pensare coerentemente, so solo che non riesco a distogliere lo sguardo dal suo, ancora colmo di un dolore che avverto forte come se fosse il mio, il calore della sua guancia sotto le mie dita, in contrasto con il freddo delle lacrime.

Capisco che è venuta qui per cercare di aiutarmi, farmi comprendere l'errore che stavo commettendo, e che involontariamente si è sfogata con me come non faceva da chissà quanto.

Non so per quanto tempo restiamo così, ma a un certo punto è lei a interrompere il contatto visivo, abbassando di colpo lo sguardo, e arrossendo.

Mi rendo appena conto del suo mormorio - “Io... è meglio che vada...” - e del suo chiudersi la porta alle spalle, ancora troppo scosso dal suo allontanamento improvviso.


 

Resto ancora immobile per qualche istante, e l'unica cosa che riesco a pensare è che sono un egoista. Che non ho capito niente. E che il mio problema, rispetto al suo, in un caso del genere è insignificante.

 

Mi lascio cadere a peso morto sul divano, ancora troppo sconvolto da quello che ho appena saputo, da quello che è successo.

Mai, mai avrei immaginato che dietro una decisione lavorativa del genere si nascondesse un motivo tanto grave. Avevo intuito che al padre di Anna fosse accaduto qualcosa, ma adesso le parole di Giovanni quella volta in ufficio acquistano tutto un altro significato. 'Non mi stupisce che proprio tu voglia farmi suggerire a un innocente di autoaccusarsi... dopo quello che è successo a tuo padre.' Mi ricordo lo sguardo ferito di Anna, e il suo 'niente' quando le chiesi cosa intendesse dire lui.

Giovanni lì non aveva capito nulla sul suo comportamento, pur sapendo del suo passato.

Io ho sbagliato senza sapere, e possibilmente è anche peggio.

Non riesco nemmeno ad immaginare quanto possa esserle costato raccontarmi quella storia. Doverla rivivere per l'ennesima volta nel giro di pochi giorni. E mi rendo conto di essere ancora più idiota, perché lei stava passando l'inferno ma ha pensato ad aiutare me e cercare di farmi ragionare, e io l'ho trattata malissimo solo per paura.

Non so nemmeno paura di cosa, a questo punto, visto che proprio lei non mi ha mai giudicato. Anzi, con me ha avuto il coraggio di mostrarsi fragile, anche poco fa, e io continuo a non riuscire a raccontarle di me.

 

Adesso capisco perché mi ha detto quelle cose. Un uomo innocente è stato ucciso proprio perché tentava di difendersi da un'accusa sbagliata. Il suo avvocato aveva cercato per lui il male minore, ma non riusciva ad accettarlo e ha reagito, indagando per conto suo e finendo comunque per essere ammazzato da qualcuno che ancora non sappiamo.

Quello che suo padre non ha avuto modo, o il coraggio, di fare. Si è chiuso in casa quando non è riuscito più a sopportare le ingiustizie della gente, senza potersi difendere. Si è tolto la vita quando non ha più trovato vie d'uscita per dimostrare la sua innocenza.

Non posso pensarci, a quello che ha passato Anna. Era così piccola quando le è accaduto tutto questo. L'irruzione delle forze dell'ordine in casa è già orribile per una persona adulta, figuriamoci per una bambina di quell'età. Senza contare l'arresto del padre e la gente che mormora senza poi nascondersi tanto, senza sapere dove stia la verità.

E poi il suicidio... come si fa, a dare una notizia del genere? Presentarsi e dire che un marito, un padre si è ucciso per un errore giudiziario?


 

Adesso capisco anche la sua reazione, quella volta in cui Giovanni la accusò di voler far suggerire a un innocente di dichiararsi colpevole, quando in realtà era l'esatto opposto, dopo quello che era successo a suo padre. Quando le chiesi a cosa si riferisse lui, mi rispose solo 'niente'.

Non si fidava ancora di me, e la comprendo benissimo.

Io ho fatto di peggio, adesso, perché ho avuto paura. Non ho voluto raccontarle nulla di Simone e Federica solo per paura, quando invece avrei evitato un sacco di problemi a entrambi se l'avessi fatto. Anche perché so di potermi fidare di lei. E niente me l'ha dimostrato come la storia che lei stessa mi ha confessato poco fa.

 

Se c'è una cosa che non voglio, è quella di rovinare la vita alla gente.

Nemmeno quella di Simone, se è vero che è innocente. E la famiglia di quell'uomo ha bisogno di giustizia. Abbiamo accertato la sua innocenza dall'accusa che aveva portato alla sua incarcerazione, ma adesso bisogna capire cosa lui avesse scoperto che ne ha provocato la morte. Dobbiamo trovare il colpevole, quello vero.

E in fondo so già che non è Simone.

Mi metto immediatamente al lavoro.

 

Anna's pov


 

Vado via da casa di Marco come scottata.

Mi sento... frastornata, confusa, in crisi, quasi in colpa con me stessa.

Sono andata da lui con l'intento di spiegargli che accusare un innocente e farlo finire in carcere è sempre sbagliato, e che le conseguenze possono essere disastrose, ben peggiori di quanto uno può anche solo immaginare... e invece, quando mi ha accolto con quella freddezza che aveva iniziato a riservarmi in questi giorni, ho smesso di pensare razionalmente, e ho finito per raccontargli di papà.

Non era quello che volevo fare, non avevo intenzione di dirglielo, e invece le parole mi sono uscite di bocca senza che le potessi fermare.

Anche quando Marco mi ha quasi schernita mostrandomi il suo disinteresse sulla ragione per cui avessi deciso di diventare un Carabiniere, non mi sono bloccata.

Anzi.

Gli ho rivelato tutto. Anche quello che non avevo mai voluto ammettere ad alta voce...

L'irruzione dei poliziotti in casa. Il terrore di quei momenti. Lo sgomento di non capire cosa succede.

Ero piccola, ma mi ricordo tutto come se fosse successo ieri.

La paura mia e di Chiara quando sono entrati in camera nostra e hanno svuotato i cassetti, buttando tutto per terra, come se fossimo i più pericolosi criminali in circolazione.

Sono cose che non si possono dimenticare.

Così come è impossibile scordare il dolore di mio padre. Che cercava di spiegare, invano, la sua estraneità ai fatti. Che non ne sapeva niente, di quell'ammanco di denaro. Di dove fossero finiti i soldi. Di dove fosse finito Lisi.

Nessuno gli ha creduto, e la gente ha cominciato a mormorare. Fino a chiamarci apertamente ladri quando ci vedevano in giro.

Mamma ha iniziato a uscire solo negli orari in cui sapeva che i negozi sarebbero stati meno affollati. Io e Chiara abbiamo smesso di frequentare i giardinetti perché gli altri ragazzini ci additavano e le mamme impedivano loro di giocare con noi o di rivolgerci la parola.

Papà si è chiuso dentro.

Non solo in casa, ma anche in se stesso.

Parlava appena, sorrideva a stento. C'era sempre silenzio. Oppure mamma che cercava di non farsi sentire mentre piangeva, e tentava di rassicurarci che 'sarebbe andato tutto bene'.

Quando papà si è suicidato, ho odiato mia madre, perché ci aveva mentito.

Aveva detto che si sarebbe risolto tutto, che sarebbe tornato tutto come prima.

E invece papà si era tolto la vita.

Non riuscivo ad accettare l'idea che potesse essere davvero successo.

Che papà, il mio papà, fosse su quel lettino d'acciaio, in una camera mortuaria, e che non l'avrei più rivisto. Che non mi avrebbe più parlato.

Che fosse morto.


 

Non sono mai riuscita a raccontare questa storia a nessuno per intero.

Fa troppo male anche solo pensarci, anche se non mi sono mai arresa, e ho continuato le indagini per conto mio.

Trovarsi di fronte a un caso così simile al mio mi ha devastata. Non so nemmeno io come ho fatto a non lasciar trapelare nulla, quando in ogni istante avrei solo voluto piangere e urlare e scappare lontano.

Non ho mai raccontato di quegli istanti nemmeno a Giovanni.

Perché rivelarli avrebbe significato mettere in mostra il dolore, la debolezza, e non volevo.

Ho sempre dovuto essere forte, anche allora, perché mamma era disperata, Chiara anche, e io non ero da meno, ma loro non sembravano riuscire a reagire. Sono dovuta diventare grande anche se avevo solo dieci anni.

Tutta la mia risoluzione di fare lo stesso, poco fa, invece, è andata in frantumi non appena ho varcato la soglia di casa di Marco, senza un motivo che riesco a spiegarmi razionalmente.

Ancora meno, se penso che ho anche pianto, davanti a lui, per la seconda volta.

In realtà le lacrime non sono riuscita a fermarle, ma di certo non mi aspettavo che lui le asciugasse, in un istintivo gesto di conforto.

Non perché non lo ritenga capace di gentilezza, tutt'altro, con me è sempre stato infinitamente dolce in momenti del genere. È stato un mix di sentimenti, che mi ha lasciata senza fiato. Ho letto nei suoi occhi il mio stesso dolore. La disperazione di sentirsi traditi, e il desiderio di sfogarsi, il bisogno di affetto e comprensione.

Ho sentito una forza inspiegabile attirarmi verso di lui, ed è in quel momento che sono ritornata in me.

E sono scappata.

Mi sono rifugiata in chiesa perché, almeno lì, avevo la certezza che sarei riuscita a svuotare la mente per un po'. Ho sempre vissuto la fede come una cosa privata, e ho sentito all'improvviso il bisogno di pregare, e di cercare conforto.

L'ho trovato nelle parole gentili di Don Matteo.

Forse, nemmeno lui sa quanto mi abbia aiutata.

Ma gli sono immensamente grata di avermi accolta, e capita.

Quando rientro a casa, sento il cuore un po' più leggero.


 


 

Marco's pov

 

Il mattino seguente mi presento in commissariato alle 9.30 in punto. Mi dirigo spedito verso l'ufficio di Anna ed entro come al solito senza bussare, tanto la porta è già aperta.

Lei è seduta davanti alla scrivania, intenta a leggere dei documenti.

“Buongiorno!” La saluto in tono allegro sedendomi accanto a lei, che non ha ancora detto una parola. Vedo che è sorpresa, e ha tutte le ragioni per esserlo: fino a ieri l'ho trattata da schifo senza che lei avesse alcuna colpa, oggi mi comporto come se non fosse successo nulla. Ma capirà, ne sono sicuro. È merito suo.

“Ci sono novità.” La informo sorridendo.

Anna è ancora impassibile. “Di che parli?”

“Del caso Guardini, che altro? Ho ripensato alla tua linea d'indagine... Devo dire che ci sono degli spunti interessanti.” Le confesso, e lei sorride compiaciuta.

“Grazie.” Posa la matita che aveva in mano, in attesa.

“Mi sono chiesto: perché David ha rubato dei documenti che erano già stati esaminati dal tribunale? Perché voleva fare un confronto!”

“Un confronto con cosa?”

Appoggio sul tavolo la cartella di documenti che mi sono portato dietro, lei sposta il portamatite per farmi spazio.

Le mostro alcuni fogli. “Queste sono le bolle di acquisto del ferro, regolarmente firmate da David -  quelle che lui ha rubato – per un totale di duecentomila euro. Queste sono le bolle di uscita della ditta fornitrice del ferro, anche queste per un totale di duecentomila euro.”

Vedo che è confusa. “Quindi? Qual è il problema?”

“Il problema è che la ditta fornitrice ha comprato il ferro per solo cinquantamila euro.” Spiego.

“Quindi tu mi stai dicendo che il ferro che veniva sottratto dal cantiere tornava indietro alla ditta, che lo rivendeva allo stesso cantiere?” Vedo che ha capito perfettamente il punto. “E perché nessuno si è accorto di questa cosa?”

Prendo un altro blocco di fogli, porgendoglielo. “Guarda chi ha rilevato la ditta fornitrice...”

Lei dà una rapida occhiata, prima di lanciarmi uno sguardo divertito. “Vedo che ti sei dato da fare.” Commenta, e un inaspettato senso di orgoglio si fa strada in me.

Ho capito il mio errore, e ho cercato di rimediare. Grazie a te.

...e per te.

 

***

 

È uno spasso vederla spiegare a Don Matteo come per una volta siamo arrivati prima noi ad arrestare il colpevole del furto.

La colpevole dell'omicidio, invece è la responsabile del cantiere subentrata a David. È stato un incidente, dovuto alla paura di perdere il lavoro che le avrebbe garantito la copertura per le sue spese mediche. Un incidente terribile, ma che ha lasciato una famiglia senza un padre, e un altro bambino senza sua madre.

 

La sera resto in giro a pensare. Abbiamo rilasciato Simone, che non c'entrava davvero nulla.

Gli ho anche rivolto le mie scuse per averlo creduto colpevole.

Non significa che siamo di nuovo amici, tutt'altro, ma non volevo avere questo peso sulla coscienza. E quel che è giusto, è giusto.

 

C'è un'altra persona a cui devo delle scuse, però, prima di andare a casa. E che devo soprattutto ringraziare.

So che è un po' tardi, ma spero non le dispiaccia se faccio una capatina a casa sua.

Non ci sono mai stato, in effetti.

Salgo le scale del palazzo e una volta davanti alla porta di casa sua, prendo un bel respiro e suono il campanello.

Glielo devi, Marco. Sai che non è arrabbiata con te, ti ha aiutato anche se tu l'hai trattata male senza un motivo. È il minimo che puoi fare.

La sento rispondere a voce alta dall'interno, “No, Maresciallo, la caldaia continua a non funzionare!” immaginando che sia Cecchini, evidentemente a conoscenza del guasto.

Quando Anna apre, è chiaro che non si aspettava di certo la mia visita.

“Ehi... ciao.” La saluto con un leggero imbarazzo. È strano vederla in una tenuta così... casalinga. Una semplice canotta, pantaloncini corti e piedi scalzi. Decisamente l'ho colta alla sprovvista.

“Ciao,” Ricambia ad occhi sbarrati.

“Ciao... stavo tornando a casa e allora son passato di qua. Vuoi una mano?” le chiedo, riferendomi alla caldaia.

“Ehm... forse è meglio,” accetta lei, titubante.

Si sposta per farmi passare, appoggiando la mia borsa a terra all'ingresso.

Io ne approfitto per dare un'occhiata intorno.

“Questa è casa...” mi dice timidamente. Noto un cartone di pizza e una birra sul tavolino davanti al divano, le luci basse. Probabilmente stava guardando qualcosa in tv prima del guasto.

“Fatto seratona, vedo, eh...”

“...Sì...”

Mi guida verso lo stanzino in cui c'è la caldaia, che sembra non volerne sapere di partire.

Dopo un paio di verifiche, riusciamo a venire a capo del malfunzionamento, per un settaggio manuale errato del termostato. Per questa volta si può tamponare senza l'intervento di un tecnico.

Sinceramente, non pensavo che riparare un guasto in una caldaia implicasse ridere così tanto.

Sono molte le cose che non avrei mai immaginato, prima di Anna.

Una volta terminato, torniamo in cucina.

Dopo un'occhiata all'orologio – nessuno dei due si era reso conto che si fosse fatto così tardi – lei mi offre da bere e propone di condividere la pizza che aveva appena cominciato, quando si è guastata la caldaia, e io accetto con un sorriso.

Quando finiamo, la aiuto a metter via tutto, poi ci fermiamo davanti al bancone.

È arrivato il momento.

Inspiro a fondo.

“In realtà, sono venuto qui per un motivo ben preciso, stasera...”

Lei mi osserva, incerta. “Io volevo ringraziarti... davvero. Stavo per fare una di quelle cazzate mondiali...”

Lei alza le spalle, minimizzando la cosa. “Non ti preoccupare, capita a tutti di sbagliare.”

“Eh...” Non proprio quanto ho sbagliato io, però. Io ho combinato un casino perché accecato dal dolore, senza vedere che anche tu stavi male, perfino peggio, eppure non hai mai perso la luce della ragione.

Continuo il mio discorso, con un po' di imbarazzo. “Volevo anche chiederti scusa per come ti ho trattata in questi giorni... non avrei dovuto prendermela con te. So che il mio atteggiamento ti aveva fatta preoccupare e che volevi solo aiutarmi, ma... il desiderio di vendicarmi di Simone mi aveva completamente offuscato il giudizio. Non riuscivo più a ragionare, e tu eri un bersaglio facile, soprattutto perché avevi ragione, e la cosa mi infastidiva. La verità è che...” Torno a guardarla negli occhi, con un mezzo sorriso storto. “Simone era il mio migliore amico, ci conosciamo da una vita, andavamo anche al liceo insieme. Avrebbe dovuto essere il mio testimone di nozze, sai... Ma, come tu stessa hai intuito, in questa storia c'entra Federica. E il motivo è banale quanto doloroso: li ho trovati a letto insieme, la sera prima del matrimonio. Ecco perché non mi sono presentato in chiesa.”

Anna, al sentire la mia confessione, fa un'espressione di puro sgomento.

È a corto di parole.

“Io... mi... mi dispiace... non credevo che...” mormora, senza riuscire a formare una frase coerente. Come la capisco.

“Tranquilla, non potevi sapere.”

“No, davvero, ti devo delle scuse,” biascica, arrossendo. “Non immaginavo che potesse essere un motivo del genere... Pensavo... non lo so nemmeno io che pensavo, a dire il vero, però... Non ti avrei mai detto quelle cose, quella volta, se avessi saputo... non avrei dato a te la colpa di tutto-”

Decido che è meglio fermarla. “Anna, sul serio, sta' tranquilla. Non lo sapevi, e comunque anch'io, dall'esterno, avrei tratto le tue stesse conclusioni. Non mi sono dimostrato molto gentile, all'inizio, quindi era normale fraintendere. Io ho fatto lo stesso con te, lo sai...” Lei annuisce, un po' più serena. “Io ho fatto di peggio, in questi giorni. Ho detto che sapevo distinguere il lavoro dalla vita privata e che eri tu quella che si fa coinvolgere, ma mi sembra evidente che sia piuttosto il contrario, e non solo limitatamente a questo caso. Ma lasciamo perdere, davvero, acqua passata.”

Il suo sorriso mi fa capire che ha accettato le mie scuse, e che possiamo ricominciare come se nulla fosse successo. Forse.

Abbasso lo sguardo per un attimo.

Ripenso a ciò che mi ha confidato di sé, e capisco che è un dono prezioso, e come tale va custodito.

E so che non potrei tornare a pensare a lei come allo stesso integerrimo Capitano che ho conosciuto quel giorno sulla soglia della caserma.

Quando torno a guardarla, noto all'improvviso una traccia di sporco sullo zigomo, probabile capriccio della caldaia di qualche ora fa.

Le faccio un cenno per indicargliela, con un sorriso. Lei recepisce al volo, immaginandoselo, con un po' di imbarazzo.

“Ho qualcosa... ho qualcosa qua...” Fa per pulirlo, senza successo.

Le vado in aiuto. “Posso?”

“Sì, grazie...”

Porto una mano sulla sua guancia, ma quando lei alza lo sguardo per incrociare il mio, tutto il resto svanisce.

 

Non esiste nient'altro, all'improvviso è come se ci fossimo solo noi.

Non so cosa sia successo, so solo che la mia mano a contatto con la sua pelle trema mentre mi perdo in quei suoi magnetici occhi verdi. Nessuno dei due riesce a distogliere lo sguardo, e senza pensare a quello che sto facendo, la bacio.

In quel momento il tempo sembra fermarsi, e l'unica cosa che conta sono le sue labbra morbide a contatto con le mie, la sua mano che sale a sfiorare la mia, abbandonandosi anche lei a quel gesto che mai avrei pensato di fare.

Ho lasciato che l'istinto prendesse il sopravvento, realizzando inconsapevolmente ciò che il mio cuore voleva fare da un pezzo. È tutto così inaspettato, ma meravigliosamente perfetto.

Poi tutto svanisce di colpo quando lei si allontana di scatto, lo sguardo basso, come se si fosse appena resa conto di quanto stesse accadendo.

Resto per qualche istante a guardarla, cercando di elaborare anch'io quanto accaduto.

“Scusa...” sussurro, ignorando il senso di vuoto che mi ha invaso quando lei si è tirata indietro.

Sei un idiota! Non puoi baciarla e poi chiederle scusa! È stato inaspettato per te quanto per lei.

“No, è colpa mia...” mormora Anna, le guance imporporate.

“No, ho sbagliato io... Me ne vado, scusami...” Riesco solo a farfugliare, andando via di corsa e lasciandola lì in piedi in mezzo al soggiorno, chiudendomi la porta di casa sua alle spalle. Solo dopo qualche gradino mi rendo conto di aver lasciato la borsa dentro, e che devo andare a riprenderla.

In pochi istanti il mio cervello e il cuore instaurano una battaglia su chi debba averla vinta.

Non puoi tornare là, fa il cervello, ragionevole, se torni e la guardi negli occhi finirai per baciarla di nuovo e stare male di nuovo.

Non è vero, risponde il cuore, tu l'ami, e quale occasione migliore per dirglielo?

Non posso dirglielo. Non posso. La amo, è vero. Ormai è inutile nasconderlo perfino a me stesso.

Ma lei non ha voluto, ha interrotto quel bacio, interviene il cervello. Si è tirata indietro. È ancora innamorata di Giovanni, per questo ti ha rifiutato.

Non era un rifiuto, contraddice il cuore, forse ha solo avuto paura, non se lo aspettava. Forse non è tutto perduto.

Torno alla sua porta, incerto su cosa fare.


 

Anna's pov


 

Chiudo la porta con dita tremanti, prima di appoggiarmi contro di essa portandomi una mano alle labbra.

Ho baciato Marco.

Cavolo, ho baciato Marco.

Ho... baciato Marco.

I miei pensieri sembrano essersi bloccati su questa consapevolezza. Non riesco a far altro.

Non capisco nemmeno io come mi sento.

Se sul momento ero spiazzata, adesso non lo so più.

Quando mi sono allontanata, l'ho fatto perché la mia testa, come al solito, è tornata a funzionare nell'istante sbagliato, dicendomi che stava succedendo tutto soltanto perché eravamo entrambi scossi, reduci da una situazione particolare che ci aveva emotivamente coinvolti molto, che ci eravamo lasciati trasportare, e che si trattava di un errore. Un errore da cancellare, dimenticare. Chiudere in un angolo della memoria.

Ma adesso... adesso non ne sono così convinta.

Se fosse davvero stato un errore come ho cercato di convincermi, non dovrei sentirmi così.

Se è stato uno sbaglio, non dovrei avere le farfalle allo stomaco solo a pensarci.

Non dovrei arrossire ricordando la sensazione delle sue labbra sulle mie.

Delle sue dita ad accarezzarmi il viso.

Non mi sentivo così da non so più quanto tempo.

Nessuno dei due se lo aspettava, questo sì, però... è stato un bacio vero. Reale.

Ci siamo lasciati trasportare, certamente, ma, conoscendomi, non avrei permesso a me stessa di assecondarlo se non lo avessi voluto davvero, pur non essendone consapevole.

La verità è che non mi sentivo così bene da tanto, troppo, e succede così ogni volta che sono da sola con lui.

Però... però Marco è andato via.

Mi ha chiesto scusa, ha detto di aver sbagliato, ed è andato via.

E l'unica ragione che mi viene in mente per poter giustificare la sua fuga è che lui non ha provato niente.

Avverto il cuore sprofondare al solo pensiero.

Marco non ha sentito nulla, in quegli istanti. Si è pentito di avermi baciata e se n'è andato.

Non capisco nemmeno perché mi sento così scossa, non dovrei stare così male al pensiero che per lui non abbia significato niente.

Per te sì, allora, Anna?

Non mi ero mai permessa di pensarci, convinta che fosse passato troppo poco dalla fine della mia storia con Giovanni. Convinta che tutti i momenti che abbiamo condiviso finora sono stati dettati dalla sua gentilezza e nient'altro.

Non lo biasimo, d'altronde. Ho conosciuto la sua ex, che è praticamente il mio opposto in tutto, e chiaramente non ho nulla della sua donna ideale.

Anche se... non so che darei per vedermelo tornare indietro, bussare alla porta e baciarmi di nuovo. Come in un film.

Ma guardati, tu che i film romantici li odi, sogni una scena così.


 

Mi impongo di darmi una calmata e frenare la fantasia, che sto lasciando correre un po' troppo, adesso.

Smettila di pensarci, è l'unica cosa che devi fare.

Scuoto la testa, ricordandomi della macchia di sporco sullo zigomo.

Non capisco nemmeno quando me la sono fatta.

Mi dirigo a passo spedito verso il bagno con l'intento di lavarla via, quando sento bussare alla porta.

Mi blocco.

Non può essere lui.

Torno indietro, e noto la borsa di Marco per terra, all'ingresso.

Per la seconda volta, il cuore sprofonda.

Se è davvero lui, sarà tornato per riprendersela.

Con tutta la forza di volontà che riesco a racimolare, mi sforzo di non crearmi aspettative, perché non avrebbero senso e finirei per rendere tutto molto più imbarazzante se dovesse esserci davvero lui oltre la soglia.

Mi schiarisco la voce, e apro.

Marco.

Ha lo sguardo puntato a terra, e io voglio limitare i danni, per cui non aspetto nemmeno che parli e mi volto, facendo per prendere la borsa.

Quello che succede negli istanti successivi non riesco a decodificarlo per bene.

So solo che mi sento afferrare delicatamente per i polsi, spingere piano in casa, e la prossima cosa che so è che Marco mi sta baciando.

Oddio.

Sta succedendo davvero.

E decisamente non è un sogno.

Non sentirei quello che sto sentendo, se lo fosse.

E se prima si è trattato di un bacio innocente, questo lo è decisamente meno.

Molto meno.

Qualcuno mi spieghi perché abbiamo aspettato così tanto.

Anzi, no.

Lasciateci continuare.

Non so quanto tempo dopo ci separiamo, so solo che ho difficoltà a ritrovare il respiro.

Ma accidenti, se ne è valsa la pena.

Torniamo a guardarci negli occhi, e quello che leggo nei suoi mi lascia stupita.

“Pensavo te ne fossi pentito...” sussurro. “Non avrei voluto interrompere il bacio, prima, ero confusa... è successo tutto così in fretta, che...”

Sono sconvolta, e a corto di parole. Io!

Lui sorride, accarezzandomi un'altra volta una guancia col dorso delle dita.

Potrei morire ora, e sarei la donna più felice del mondo.

Dovrei smetterla di dire che non mi piace il romanticismo, è chiaro che sono una pessima bugiarda.

“Non mi sono affatto pentito, anzi... Pensavo che tu non volessi, ma ho deciso di tornare comunque indietro perché non potevo lasciare che la paura mi fermasse senza ritentare. Perché mi sono innamorato di te.”

Spalanco gli occhi.

Mi... mi ama?

“E lo so che sei da poco uscita dalla storia con Giovanni, lo capisco che sei confusa, e confesso di esserlo anch'io, però... è la verità. Me ne sono reso conto davvero l'altra sera, quando sei venuta da me, a casa. Avrei solo voluto stringerti tra le braccia e chiederti perdono e non lasciarti più. Prendere per me quel dolore pur di non vederti star male... E lì ho capito.” Inspira a fondo, prima di continuare, senza lasciarmi dire nulla. “Non voglio metterti fretta, e non devi dire niente, adesso... ma volevo comunque che lo sapessi... Io-”

Lo interrompo senza pensarci due volte, baciandolo.

Dalla sua espressione quando ci dividiamo, di fronte al mio sorriso, dire che è sorpreso è poco.

Così glielo dico e basta, anche se io stessa non avrei mai pensato di riuscire ad ammetterlo così presto. Ma è la verità. E non voglio aspettare, solo per paura.

“Ti amo anch'io.”


******

Ciao a tutti!

Stavolta ho fatto presto a scrivere un'altra versione di questo episodio... sempre seguendo gli ottimi suggerimenti di Martina!

Stay tuned, perché ne abbiamo in cantiere degli altri niente male!

A presto,


 

Doux_Ange


 

 
   
 
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