Capitolo settimo
Donc voila pour qoui j'ma bat
Quoi qu'il arrive aujourd'hui
je suis pret a
la vivre ma VICTORY
Pour atteindre mon objectif je suis pret a mourir VICTORY
Il suffit d'un moment (ohh), il suffit de rien (ohh)
Pour arriver à ma VICTORY
Quoi qu'il arrive aujourd'hui
je suis pret a la vivre VICTORY
VICTORY, Moi rêver je n'ai que sa…
(“Victory” – Soprano)
Quando Rinaldo Albizzi e gli altri
rientrarono a Firenze, ci fu grande agitazione. Sulle prime, alcuni pensarono
perfino che, proprio come la Signoria aveva temuto, l’uomo avesse messo in
piedi un’armata e fosse tornato per assediare la città. Solo che, a guardar
bene, la cosiddetta armata era ben
poca cosa (e, cosa ancor più strana, portava le insegne dei Medici…), inoltre
lo stesso Albizzi, suo figlio Ormanno e il giovane Uberti apparivano provati e
stanchi. Quasi tutti erano sporchi di sangue e portavano addosso il segno di
una battaglia, in particolar modo Giovanni, che aveva una spalla bendata, il
volto sempre più pallido e cerchi neri sotto gli occhi.
Quella specie di armata Brancaleone, tuttavia, aveva creato tanto allarme che il
Gonfaloniere aveva immediatamente convocato una riunione e aveva chiesto al
gruppo di presentarsi al Palazzo della Signoria al più presto. Rinaldo Albizzi doveva
spiegare per quale motivo si era ripresentato a Firenze dopo poco meno di una
mezza giornata di esilio…
Giovanni era in condizioni pietose, si
sentiva la febbre e la testa che gli pulsava dolorosamente allo stesso ritmo
della spalla ferita, ma sapeva di non poter mancare alla seduta della Signoria,
era lui che doveva far capire al Gonfaloniere Guadagni come stavano le cose.
Sì, probabilmente la ferita si era infettata per via della lunga cavalcata, ma
avrebbe avuto il tempo di farsi curare più tardi, una volta che Messer Albizzi
fosse stato al sicuro nel suo palazzo e la Signoria avesse cominciato a
indagare, possibilmente su Andrea Pazzi!
“Messer Albizzi” esordì il Gonfaloniere,
“esigo una spiegazione immediata. La Signoria vi ha risparmiato la vita per
rispetto al vostro amico, Sua Santità Eugenio IV, e ha commutato la pena di
morte in esilio. Voi, tuttavia, siete partito questa mattina e oggi pomeriggio
siete di nuovo qui. Qual è il vostro piano? Non abusate della nostra
misericordia o ve ne pentirete.”
“Vi chiedo perdono, Messer Guadagni, il
pensiero di oltraggiare la Signoria è ben lontano dalla mia mente. Se sono qui
oggi è per un motivo molto grave, altrimenti mi troverei già nei pressi della
sede scelta per il mio esilio, come sarebbe stato giusto” dichiarò Albizzi,
nella sua miglior interpretazione di umile
servitore della Repubblica. Una volta tanto gli sarebbe servita…
“E quale sarebbe questo motivo così grave?”
“Messer Guadagni, e voi tutti, Messeri…
dovete sapere che io e mio figlio siamo stati assaliti a tradimento nel bosco.
Ci è stata tesa una vile imboscata ed è solo grazie alle… alle… alla scorta che
mi è stata gentilmente concessa da
Messer Cosimo de’ Medici” riprese Rinaldo, facendo un notevole sforzo per
pronunciare quelle parole che gli bruciavano in gola come acido… “solo grazie
alla scorta e al coraggio del giovane Uberti se siamo ancora vivi.”
Cosimo e Lorenzo si guardarono, molto
turbati. Cosimo rifletté che Giovanni era stato previdente a chiedere una
scorta per Rinaldo (e che Rinaldo doveva essersi sconvolto davvero tanto per
ringraziarlo pubblicamente, davanti a tutta la Signoria!), c’era stato davvero
un attentato contro di lui e con ogni probabilità il responsabile era veramente
Andrea Pazzi.
Il Medici pensò anche, tra le altre cose, che
se solo Giovanni non fosse stato così saggio o se lui non avesse concesso le
sue guardie, gli Albizzi sarebbero morti e dell’attentato sarebbe stato
incolpato lui! Eh, già, perché chi altri poteva avere motivo di rancore nei
confronti di Albizzi? E così Pazzi si sarebbe liberato di entrambe le famiglie
con un sol colpo…
Era una vera fortuna che Giovanni avesse
insistito tanto, che avesse perso talmente la testa per Rinaldo da pensarle
tutte pur di proteggerlo… ed era stato saggio anche lui, un paio di anni prima,
ad avvicinare il giovane Uberti ad Albizzi, sebbene non potesse immaginare che
si sarebbero legati così tanto!
“Spiegatevi meglio, Messer Albizzi: vorreste
dirci che dei sicari vi hanno assalito a tradimento nel bosco? Che qualcuno
avrebbe pagato degli uomini per uccidere voi e vostro figlio?” domandò
Guadagni, al quale la cosa iniziava a interessare davvero.
“E’ così, Messer Guadagni” rispose Albizzi.
“Qualcuno voleva che la mia famiglia fosse distrutta per sempre.”
Un mormorio di orrore percorse la Signoria: a
volte il fare drammatico di Rinaldo Albizzi era davvero efficace e quella era
una di quelle volte!
“Messer Guadagni, mio padre sta dicendo la
verità” intervenne Ormanno. “Uno di quegli uomini, anche quando le guardie
avevano ormai ucciso quasi tutti i suoi compagni, ha comunque tentato di
colpirmi con una freccia. Sono vivo solo perché il giovane Uberti, qui
presente, mi ha protetto… ed è stato colpito al mio posto.”
Il brusio dei presenti si fece ancora più
forte. Chi poteva odiare tanto gli Albizzi da volere la morte di un ragazzo? E
il giovane Uberti era rimasto coinvolto… era veramente uno scandalo e il
Gonfaloniere avrebbe dovuto scoprire il nome del responsabile!
Intanto Cosimo e Lorenzo avevano notato il
malessere di Giovanni e, dopo che Ormanno aveva parlato, ne avevano compreso il
motivo.
“Perdonatemi, Messer Guadagni” disse il
Medici. “Vorrei esprimere tutta la mia solidarietà a Messer Albizzi per ciò che
è accaduto e dichiarare che mi impegnerò in prima persona a indagare per
scoprire il colpevole. Ma chiedo anche che la riunione sia sospesa per dare il
tempo a Messer Uberti di ricevere le cure necessarie: come potete vedere, sta
male e adesso sappiamo che è stato ferito per salvare la vita del giovane
Ormanno.”
Il Gonfaloniere avrebbe accettato di buon
grado di sospendere la seduta per permettere le cure necessarie a Giovanni, ma
fu Andrea Pazzi che intervenne, verde di rabbia e con l’espressione di chi ha
appena mandato giù un limone intero.
“Messer Guadagni, non fatevi ingannare da
tutta questa messinscena. E’ chiaro che Messer Albizzi sta usando l’increscioso
episodio che gli è accaduto come scusa per rientrare a Firenze dopo averne
perso ogni diritto” esclamò. “Non nego che sia stato aggredito e che lui e suo
figlio siano scampati alla morte solo grazie alla scorta, ma dimentichiamo
forse che Messer Albizzi aveva assoldato dei mercenari per impadronirsi del
potere e che poi, caduto in disgrazia, non ha potuto pagarli? Con ogni evidenza
sono stati proprio loro ad aggredire gli Albizzi. Non c’è alcun mistero da
risolvere. La Signoria è lieta che Messer Albizzi e suo figlio siano sani e
salvi, ma ora è il momento che lascino Firenze per sempre. Non ci faremo
impietosire da favole inventate solo per giustificare un ritorno in città che
non ha ragion d’essere!”
Nonostante il livore, Pazzi aveva parlato in
tono calmo e ragionevole e qualcuno tra i presenti cominciava a lasciarsi
convincere. Un lieve sorriso increspò le labbra dell’uomo, tanto più che aveva
notato quanto stesse soffrendo Giovanni e, con il suo intervento, aveva evitato
che la seduta fosse sospesa per soccorrerlo.
Aveva un conto in sospeso anche con quel
piccolo intrigante…
Ma Giovanni, per quanto debilitato,
febbricitante e sofferente, quando sentiva parlare Andrea Pazzi vedeva rosso.
Quasi dimenticò il dolore alla spalla ferita e il pulsare in testa mentre gli
rispondeva per le rime.
“Messer Pazzi, mi secca veramente dovervi
dare ragione, anche se solo su un punto della vostra disamina” rispose,
cercando di mantenere ferma la voce. “Sono stati davvero i mercenari ad assalirci, solo che… non so voi, ma io trovo
enormemente strano che dei mercenari vogliano uccidere un uomo che deve loro
del denaro. Come potevano sperare di ottenere i soldi che volevano se avessero
ucciso Messer Albizzi e suo figlio? I mercenari si muovono solo per un guadagno
e qui non ne avrebbero avuto alcuno. A meno che, certo, qualcuno non li avesse pagati appositamente per eliminare
Rinaldo e Ormanno Albizzi!”
La risposta di Giovanni provocò un boato
nella Signoria: la sua logica non faceva una piega. Adesso tutti, compreso il
Gonfaloniere, erano convinti che qualcuno avesse pagato i mercenari per
assassinare gli Albizzi. Nonostante l’esilio, Albizzi era pur sempre un nobile
fiorentino e la Repubblica non poteva tollerare che qualcuno avesse
deliberatamente pagato dei sicari per attentare alla sua vita.
C’era di che essere impiccati, per una cosa
del genere…
“Messer Albizzi, ho preso la mia decisione:
il vostro esilio è rinviato fino a quando la Signoria non avrà scoperto il
mandante dell’attentato contro di voi” dichiarò il Gonfaloniere. “Quando avremo
catturato e punito il colpevole, ripartirete per Ancona, questa volta in piena
sicurezza e senza nessuno che minacci la vostra vita o quella di vostro figlio.
Il Bargello si occuperà delle indagini e, nel frattempo, voi potrete tornare
nel vostro palazzo, sorvegliato dalle guardie. Non fatemi pentire della mia
decisione, Messere…”
“Non lo farò. Vi sono immensamente grato,
Messer Guadagni” rispose Albizzi.
Cosimo e Lorenzo si avvicinarono subito a
Giovanni per verificare le sue condizioni.
“Sei ferito? Faccio chiamare subito un
dottore che si prenda cura di te” disse Cosimo. “Vieni a Palazzo Medici e…”
“Giovanni verrà a palazzo con me e sarà
curato dai miei dottori” intervenne
Rinaldo, attirando il ragazzo a sé e scostando Cosimo come se fosse un moscone
fastidioso. “E’ stato ferito per salvare mio figlio ed è mio dovere prendermi
cura di lui!”
“Ma anche noi vogliamo sapere…” iniziò a
protestare Lorenzo, ma Cosimo lo fermò prendendolo per un braccio e rimase a
guardare Rinaldo che si allontanava sostenendo Giovanni tra le braccia,
accompagnato da Ormanno e scortato da alcune guardie della Repubblica.
“Lascialo fare. Sono convinto che Rinaldo
farà tutto il possibile perché Giovanni guarisca… e non solo perché ha salvato
la vita di suo figlio” disse.
“Che vuoi dire? Ti fidi di Rinaldo, adesso?
Hai già dimenticato quello che ti ha detto su nostro padre?” insisté Lorenzo.
“Non credo che sia stato Rinaldo ad
avvelenare nostro padre, ha detto quelle parole solo per ferirmi… ma oggi in
lui ho visto qualcosa di più, qualcosa che non vedevo da molti, da troppi anni”
riprese Cosimo, pensieroso. “Se esiste una possibilità che Rinaldo torni ad
essere l’uomo che era un tempo, prima dei rancori e della sete di vendetta…
ebbene, sarà proprio grazie all’affetto di Giovanni e a ciò che lui stesso
prova per Giovanni, anche se forse non lo ha ancora capito.”
Sarà… secondo me la verità è che Rinaldo è più rilassato
perché si porta a letto il ragazzino, avrebbe
voluto obiettare Lorenzo, ma preferì soprassedere. In fondo quello che contava
era che Albizzi non volesse più danneggiarli e, tutto sommato, anche Giovanni
sembrava contento così.
“Piuttosto, dobbiamo scoprire chi ha tentato
di uccidere Rinaldo e suo figlio” dichiarò Cosimo. “La cosa riguarda anche noi
perché, se l’attentato fosse riuscito, la nostra famiglia sarebbe stata la
prima ad essere sospettata. Chi vuole la morte degli Albizzi vuole anche la
nostra rovina. Manderò Marco Bello a indagare. Chissà, è perfino possibile che
il colpevole sia anche colui che ha avvelenato nostro padre…”
Mentre Cosimo e Lorenzo pianificavano ciò che
avrebbero dovuto fare per scoprire la verità, Rinaldo e Ormanno erano stati
scortati al loro palazzo dalle guardie della Repubblica; Albizzi sosteneva
quasi tutto il peso di Giovanni, che ormai camminava a fatica, e non appena
furono giunti a casa l’uomo incaricò un servitore di andare immediatamente a
chiamare un dottore. Le guardie si disposero a sorvegliare tutte le uscite di
Palazzo Albizzi, ma Rinaldo non aveva nessuna intenzione di fuggire, anzi,
accompagnò Giovanni nella sua stanza e lo fece mettere a letto. Il ragazzo
aveva ormai la febbre alta, ma non aveva perso il caratterino.
“Avete visto, Messer Albizzi? La Signoria vi
ha dato ragione, indagherà sul mandante dell’attentato e, dalle proteste di
Andrea Pazzi, credo anche di sapere già chi sia…” gli disse, con voce solo un
po’ più debole del solito, ma con lo stesso piglio sbarazzino. “Quando vi dico
che dovete fidarvi di me… voi non mi date mai retta e invece io…”
“Adesso però stai un po’ zitto” lo interruppe
Albizzi, prendendolo tra le braccia e baciandolo a lungo, ripetutamente, con
intensità, con tutta la passione e il desiderio che poteva dimostrargli,
assaporandolo e rubandogli il respiro. Per tutto il giorno quel ragazzino lo
aveva aiutato, favorito, aveva salvato la vita a lui e a suo figlio mettendo a
repentaglio la propria e adesso Rinaldo voleva solo stargli vicino, averlo
tutto per sé, ammettendo finalmente che anche lui lo amava come non gli era mai
accaduto prima. Giovanni si perse in quel bacio infinito, lasciandosi avvolgere
dal calore e dall’ardore di quell’uomo che troppe volte, in quella
interminabile giornata, aveva temuto di perdere.
Poco più tardi arrivò il dottore, che si
prese cura con molta attenzione della ferita del ragazzo, la pulì ben bene, vi
spalmò un unguento, cambiò le fasciature… ma con un’espressione sempre cupa sul
volto. Quando ebbe finito, fu lo stesso Rinaldo ad accompagnarlo fuori dalla
stanza perché voleva parlare con lui.
“Ditemi dunque, dottore, il giovane Uberti
guarirà presto?”
Il medico rifletté prima di rispondere,
sempre in tono grave.
“Ho ripulito la ferita e l’unguento
combatterà l’infezione, la febbre dovrebbe abbassarsi presto, ma nei prossimi
giorni voglio tornare a curarlo personalmente e a osservarne l’evoluzione”
disse. “Sapete per caso se l’arma che lo ha colpito era avvelenata, o qualcosa
di simile?”
Rinaldo si sentì gelare il sangue.
“Avvelenata? No, no, credo proprio di no. I
mercenari non usano armi avvelenate, io stesso sono stato ferito, ma erano solo
graffi e non hanno lasciato alcuna conseguenza. Perché mi chiedete questo?”
“Per nessun motivo in particolare, la ferita
non è grave, però si è infettata troppo facilmente e così ho pensato… ma se mi
dite che è stata l’arma di un mercenario a colpirlo allora posso comprendere,
era probabilmente un’arma molto vecchia, rubata a chissà chi, magari sporca e
contaminata” rispose il dottore, cupo. “Dovrò tenere ancora più sotto controllo
quella ferita… tornerò domattina presto.”
Albizzi restò a guardare il medico che veniva
accompagnato fuori da uno dei servitori. Le sue parole lo avevano turbato
molto, ma non voleva pensarci, non in quel momento. Avrebbe fatto di tutto
perché Giovanni guarisse, avrebbe consultato i migliori dottori, se necessario.
Adesso era lui a doversi occupare di
Giovanni, dopo che il ragazzino lo aveva salvato tante e tante volte.
E aveva anche qualcosa di molto importante da
dirgli, qualcosa che non poteva più aspettare.
“Il dottore dice che dovrà medicarti la
ferita per diversi giorni e con molta cura, ma andrà tutto bene, dovrai solo
avere un po’ di pazienza” gli disse, tornando al capezzale del ragazzo e
sedendosi sul letto, vicinissimo a lui. “Piuttosto, volevo chiederti una cosa e
volevo farlo subito. Giovanni degli Uberti, mi vuoi sposare?”
Ecco, il giovane si sarebbe aspettato di
tutto, ma non una cosa del genere e forse per quello la sua reazione fu quella
di sgranare gli occhi scuri e poi scoppiare a ridere, cercando di non agitarsi
troppo perché la ferita gli doleva ancora.
“Scusate, Messer Albizzi” disse, riprendendo
fiato, “ma questa è proprio bellina! No, davvero, non prendetemi in giro, ho
avuto una giornata piuttosto faticosa, come immagino sappiate… Che idea, siete
proprio imprevedibile, ma non lo sapete che due maschi non possono sposarsi? E,
anche nel caso fosse possibile, dimenticate che voi siete già sposato? Accidenti, l’attentato vi ha dato alla testa!”
Rinaldo non si offese per quella risposta,
anzi, scosse il capo ridacchiando: non avrebbe potuto aspettarsi nient’altro da
Giovanni Uberti, era proprio nel suo stile!
“So benissimo che non possiamo sposarci
davvero, e ricordo di avere una moglie, ma è proprio per questo che voglio fare
qualcosa per legarmi a te allo stesso
modo, perché ho capito quanto sei importante per me e voglio che sia tu la
persona che avrò accanto per tutta la vita” spiegò l’uomo, afferrando le mani
di Giovanni e fissandolo intensamente negli occhi. “Sai bene che i nobili si
sposano solo per avere una discendenza, e io ora ho Ormanno. E’ arrivato il
momento di pensare ai miei veri sentimenti.”
Giovanni non aveva più tanta voglia di
ridere, adesso. Un’emozione fortissima lo aveva invaso, come se la febbre gli
fosse salita a mille, ma non era l’infezione… il cuore gli batteva fortissimo e
la confusione di sentimenti e sensazioni quasi lo stordiva.
“Ovviamente non ci sarà una cerimonia, ma il
significato sarà quello di un matrimonio vero e proprio” riprese Rinaldo. “Farò
benedire da Papa Eugenio IV gli anelli nuziali dei miei genitori e poi io
indosserò quello di mio padre e tu quello di mia madre. Chiaramente Sua Santità
non saprà per quale motivo gli chiedo questa benedizione, ma l’importante sarà
ciò che vorrà dire per noi, per la nostra vita.”
E beh, con ogni probabilità Papa Eugenio IV
avrebbe capito benissimo quello che Rinaldo voleva fare, così come lo avrebbero
capito i Medici, Guadagni e la maggior parte della Signoria non appena avessero
visto i due con gli anelli nuziali… ma a ben guardare non importava a nessuno
quello che Albizzi faceva o non faceva in casa sua, bastava che non nuocesse
alla Repubblica!
“Così tu non dovrai più essere geloso di mia moglie, perché diventerai
più importante di lei… lo sei già, in fondo, ma questo te lo proverà ancora di
più. E, proprio come ti dicevo la prima volta in cui abbiamo parlato, Albizzi e
Uberti uniranno le loro famiglie, l’antica nobiltà fiorentina di nuovo insieme”
proseguì Rinaldo, avvicinandosi sempre di più a Giovanni fino a distendersi nel
letto con lui. “Oggi ho finalmente capito quanto tu sia importante per me, tu
mi hai salvato in tutti i modi in cui si può salvare una persona, hai salvato
la mia famiglia… e quando sono con te ritrovo quella parte di me che credevo
perduta per sempre, quel ragazzo sereno che si fidava degli altri e credeva nei
veri sentimenti. Quindi te lo chiedo un’altra volta, e possibilmente non
ridermi di nuovo in faccia: mi vuoi sposare?”
Questa volta Giovanni non rise affatto, anzi,
divenne tutto rosso e imbarazzato, tanto da non riuscire quasi a rispondere. Si
limitò a stringersi all’uomo, nascondendo il viso sul suo petto.
“Sì, Messer Albizzi, sì” mormorò appena, “vi
voglio sposare…”
Rinaldo era intenerito: Giovanni sembrava
sempre avere l’argento vivo addosso, era impertinente, imprevedibile, furbo e
coraggioso, aveva sfidato la Signoria, il Gonfaloniere, i mercenari e Andrea
Pazzi per lui… eppure adesso non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia né,
tanto meno, a chiamarlo per nome!
“Visto che ci sposeremo, magari dovrai
imparare a chiamarmi Rinaldo” lo
prese in giro, attirandolo a sé con cautela, per non fargli male alla spalla. “In
fondo, nel bosco ci sei riuscito…”
“Era l’unico modo per attirare la vostra
attenzione” obiettò Giovanni. “Comunque… beh, sì, ci proverò…”
Non c’era altro da dire, per il momento.
Rinaldo e Giovanni avevano affrontato una giornata terribile e altre ancora li
attendevano, ma ora erano insieme e finalmente avevano trovato il coraggio di
rivelare, anche a se stessi, quello che provavano. L’uomo riprese a baciarlo
intensamente e a stringerlo con passione, fino a fondersi in lui e con lui. Un’emozione
incontrollabile si impadronì di lui, portandolo a dimenticare tutto il resto,
tutto ciò che lo amareggiava e lo rendeva astioso e rancoroso.
Dimenticò
persino Cosimo de’ Medici… L’unione delle loro anime e dei loro corpi cancellò
i ricordi di quella giornata piena di dolore e pericoli e, finalmente, fu come
se l’intera realtà fosse inghiottita dall’oblio per lasciare il posto a un
mondo in cui esistevano solo Rinaldo e Giovanni, Giovanni e Rinaldo…
Gli
altri problemi li avrebbero affrontati il giorno dopo.
Fine capitolo
settimo