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Autore: Rosette_Carillon    11/11/2019    0 recensioni
Per lei non c’era posto più sicuro di quella casa di suore. E una suora era proprio ciò a cui tante persone l’avevano paragonata, ma non le sue studentesse, per loro era semplicemente ‘La Santa’. Non sapeva se quel soprannome fosse dovuto alla sua pazienza, o ai suoi modi di fare. Forse semplicemente al suo aspetto fisico: lei stessa si era trovata somigliante a una di quelle sante dipinte nelle chiese, nei musei. Immobile, quasi irreale, distaccata dal mondo, come se non ne facesse davvero parte
[pre femslash]
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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                                                              Il diavolo e l’acqua santa

 





 
 
 
 
 
 
 
 
Un corvo dalle lucide piume nere si poggiò sopra una lapide storta, il cui nome inciso sulla pietra era stato in parte cancellato dal tempo. Il gracchiare dell’animale risuonò fra le tombe del cimitero. Un grande gatto dal pelo rossiccio attraversò lo stretto sentiero, senza fretta, con passo lento e felpato, ed entrò in una casa.
Beth inspirò l’aria fresca del mattino rallentando di poco il passo.
Stava arrivando l’autunno e con esso le prima nebbie che avvolgevano il mondo, sfumandone i colori e rendendolo misterioso anche agli occhi di chi aveva sempre camminato lungo quelle strade.
La fermata dell’autobus era proprio davanti alla chiesa, vicina alle scalette alla fine del camposanto. Avrebbe potuto accettare l’alloggio offerto ai docenti del College, la richiesta le era stata rinnovata anche quell’anno, ma lei, per la seconda volta, aveva gentilmente declinato, preferendo la St. Brigid House, doveva aveva abitato da studentessa.
Doveva prendere l’autobus ogni giorno, ma a lei andava bene così. Aveva tempo per stare sola con se stessa e con i suoi pensieri.
Per lei non c’era posto più sicuro di quella casa di suore. E una suora era proprio ciò a cui tante persone l’avevano paragonata, ma non le sue studentesse, per loro era semplicemente ‘La Santa’. Non sapeva se quel soprannome fosse dovuto alla sua pazienza, o ai suoi modi di fare. Forse semplicemente al suo aspetto fisico: lei stessa si era trovata somigliante a una di quelle sante dipinte nelle chiese, nei musei. Immobile, quasi irreale, distaccata dal mondo, come se non ne facesse davvero parte.
Jo Acland, invece, l’aveva sempre paragonata alle modelle dei preraffaeliti, a Elizabeth Siddal, ma non aveva mai capito in che senso. Forse solo per il colore dei suoi capelli.
Dal canto suo, Beth si era sempre sentita piuttosto vicina a Brigid, non la santa, ma la dea del fuoco: focolare, ispirazione, forgia. Forse, in un’altra vita, era stata irlandese, e aveva vissuto a Kildare; ma in quella vita casa sua era la pacifica cittadina di Argyle.
Se n’era innamorata anni prima, quando l’aveva conosciuta con gli occhi da studentessa del Saltram College, e aveva deciso che quella sarebbe stata casa sua, che la sua vita sarebbe stata lì, che il filo raggomitolato del suo destino si sarebbe svolto fra quelle strade, quei parchi, quelle case e che, in un certo senso, sarebbe ritornato al punto di partenza, riportandola fra i corridoi del College, ma in una veste nuova.
La prima volta che aveva messo piede in quel college, si era aspettata un ambiente decisamente elitario, e severità da parte del corpo docenti. Non si era mai sbagliata tanto in vita sua: in quell’università per aspiranti Mary Poppins aveva trovato un luogo che poteva chiamare casa, e a cui aveva sentito di appartenere fin da subito.
La sua vita al Saltram College era cominciata per volere della vecchia zia che l’aveva cresciuta, una donna all’antica e dalla mente chiusa. ‘Una come te non se la sposerà nessuno’ le aveva detto, non essendosi mai resa conto che fosse trascorsa da tempo l’epoca in cui il matrimonio era necessario per le donne. ‘Studia e cerca di provvedere a te stessa. ’
Beth non era fiera dei motivi che avevano spinto l’anziana signora a considerarla ‘inadatta per il matrimonio’, ma non poteva certo lamentarsi del risultato ottenuto: la sua liberà, St. Brigid House, tutte le persone che aveva conosciuto in quegli anni.
Il cielo sopra di lei cominciò a diventare grigio, e il vento, che aveva cominciato a soffiare dall’alba, diventò più forte. Fece appena in tempo ad entrare nell’edificio, prima che la tempesta scoppiasse alle sue spalle, e una violenta pioggia si riversasse su Argyle e sul Saltram College.
Attraverso le finestre del corridoio, vide gli alberi scossi dal vento che, impotenti piegavano i loro rami semispogli.
Sistemò la gonna e allentò la cinta del cappotto poi, stringendo la tracolla, si avviò verso l’aula in cui aveva la prima ora di lezione. Con la coda dell’occhio, scorse la figura di Jo avviarsi verso il fondo dell’atrio, e verso il corridoio che portava alla saletta dove il corpo insegnanti faceva pausa fra una lezione e l’altra.
Più tardi sarebbe andata lì anche lei, per rilassarsi e sedersi al suo solito posto: la comoda poltrona accanto alla finestra, quella con davanti un tavolino rotondo, perfetto per poggiarvi sopra una fumante tazza di tè. Al momento, però, le sue studentesse l’attendevano per la lezione di psicologia infantile.
Sentì dei passi affrettati alle sue spalle rallentare all’improvviso. Sorrise: aveva una mezza idea di chi si trattasse. C’erano docenti che pensavano che Miss Vaughan non sarebbe mai arrivata alla laurea, lei non era d’accordo.
Attraversò tutto il corridoio, passando oltre l’aula in cui era attesa, e ed entrò nei bagni: avrebbe dato alla studentessa cinque minuti per entrare in aula e sedersi al suo posto.
Le sembrò già di sentire la critica carica di disappunto della collega di comunicazione e linguaggio << così la incoraggi solo a mantenere quel comportamento. Se non è capace di essere affidabile e badare a se stessa, come potrebbe mai badare a un neonato? >>
Beth non era dello stesso avviso. Certo, Miss Vaughan aveva ancora molto su cui lavorare, ma ci sarebbe arrivata.
                                                                              *
Fu l’aroma avvolgente del caffè a precedere l’arrivo di Jo, come spesso accadeva.
La donna si sedette silenziosamente sulla poltrona libera accanto al tavolino vicino alla finestra, davanti a Beth.
Fuori pioveva ancora, e il vento non si era calmato. Dalla finestra si poteva vedere con quale violenza si stesse accanendo contro il povero gelsomino che, assieme al glicine, era intrecciato al pergolato.
Jo tolse rossetto e specchietto dalla borsa, e si sistemò il trucco con movimenti lenti. << Dì un po’ angioletto, pensi di tornare a casa tutta sola sotto il diluvio universale? >>
<< Non andrò certo a piedi: prendo l’autobus. >>
<< Hai intenzione di teletrasportartici dentro? >>
<< Ho l’ombrello. >>
Jo, il rossetto in una mano e lo specchietto nell’altra, roteò gli occhi. << Ti do un passaggio. >>
<< Non- >> lo sguardo dell’altra la interruppe.
<< Giuro che non mi farò vedere dalle tue amate suorine. >>
<< Oh, non è quello il problema. >>
<< Dici di no? Mi sembrano abbastanza vecchie da poter morire di paura. >> Sorrise, un largo sorriso bordeaux che le illuminò gli occhi << per loro sono praticamente l’anticristo. >>
Il tempo non accennò a migliorare per tutta la giornata. Argyle rimase coperta da una spessa coltre di nubi, che rovesciarono acqua e fulmini sopra i suoi tetti.
Fosse stato per lei, quel passaggio non l’avrebbe accettato, ma si era fatto davvero tardi. L’ora di cena era passata da un pezzo, e Jo, non sapeva come, lo sapeva.
Erano andate a cena assieme, al ristorante indiano vicino alla fermata dove avrebbe dovuto prendere l’autobus. Il cibo l’aveva riscaldata, nel fisico e nello spirito, e quel chai l’aveva davvero messa di buon umore.
Poi Jo l’aveva accompagnata a casa.
<< A che ora è il coprifuoco, sorella? >>
<< Alle dieci e trenta. >>
<< Però! Che vitalità! >>
<< Sono suore. >>
<< E tu con loro stati bene. >>
 Non era un semplice commento, Jo voleva una spiegazione, voleva capire perché lei stesse bene in quel mondo fatto di donne che avevano rinunciato alla vita per qualcosa di superiore, qualcosa in cui credevano ciecamente e che lei non condivideva.
Nessuno capiva quanto lei si sentisse protetta in quell’ambiente, e quanto avesse bisogno di quella protezione.
<< Perché non dovrei? >>
<< Ah, non sei nemmeno credente. >>
Beccata. << Come lo sai? >> chiese sulla difensiva, sentendosi in colpa.
<< Intuito. Hai la faccia di una che sa come usare un calderone, piuttosto che una Bibbia… >>
Beth fece per dire qualcosa, poi cambiò idea e si limitò a stringere le labbra in una sottile linea.
L’unica luce ancora accesa nella casa era quella dello studio della Madre Superiora. Era una luce calda, l’unica ancora accese nel buio, che splendeva in quella notte senza luna.
La facciata era interamente ricoperta da un piante rampicante che, per via dell’autunno, aveva cominciato a cambiare colore: parte delle sue foglie erano ancora verdi, ma la maggior parte erano gialle e rosse.
Jo sollevò la testa verso l’alto, verso quella luce << che fa Suor Rottenmeier ancora in piedi? >>
Beth roteò gli occhi <> mormorò in risposta.
<< Esatto. Non è tardi per la sorella? O è presto? I vostri orari non li capisco. >>
<< I loro orari non sono nulla di particolare, solo un altro modo di scandire la giornata e la vita. Ed è una fortuna che Suor Angela sia ancora in piedi, altrimenti io non potrei rientrare. >>
<< Ti ospiterei io. >>
Beth rise e scosse la testa << sono una persona complicata. >>
<< Nah…nah, non lo sei. >>
L’altra fece per ribattere ma, ancora una volta, cambiò idea e preferì tacere. << Meglio che vada. >>
<< Ehi, >> la prese una mano per fermarla, ma subito lasciò la presa, temendo di esserci concessa troppe libertà. La verità, era che non riusciva a capire Elizabeth Coleridge e, le poche occasioni in cui le era sembrato di aver ottenuto qualcosa, si rendeva conto di non aver capito nulla. Quella donna la stupiva sempre. << Aspetta. >>
<< Se mi chiudono fuori, ti toccherà ospitarmi sul serio. >>
<< Resta ancora. >>
Beth le rivolse uno sguardo interrogativo.
<< Andiamo, non sono mica Satana, e sono anche gentile con le studentesse. Anche io ne ho protetto qualcuna. >>
<< Io non- >>
<< Oh, dai, si vede che Miss Vaughan ti piace. >>
<< Jo! È una mia studentessa! >>
<< Non intendevo certo quello! Si può sapere che fai con le suore? >>
<< Jo! >> sibilò infuriata, pronta a urlare, prima di fare un respiro profondo e, per la seconda volta, prendere le sue cose pronta a scendere dall’auto.
<< Ehi, no aspetta. >>
<< Si è fatto tardi, noi suore abbiamo un orario da rispettare. >>
<< Non volevo infastidirti- >>
<< Bè, sappi che mi infastidisce enormemente chiunque abbia la pretesa di sapere chi o cosa passi sotto le mie lenzuola! >>
Jo la guardò ammutolita, incapace, suo malgrado, di rispondere. Beth era arrabbiata, no, era furiosa. Dopo quello, ne era certa, non e avrebbe più rivolto la parola, e non per un infantile dispetto: la donna era bravissima ad allontanare chiunque la facesse sentire a disagio. Aveva già i suoi problemi, non ne avrebbe certo aggiunti altri.
<< Io mi riferivo al fatto che credo tu abbia notato che Miss Vaughan porti sempre maglie con le maniche lunghe. >>
Beth, una mano sulla maniglia, l’altra che stringeva la borsetta, rimase paralizzata, non volendo accettare di aver sentito quelle parole. Era un’accusa? Una minaccia? Deglutì a vuoto prima di aprire la portiera e scendere in strada senza nemmeno guardare se stessero arrivando auto, ignorando i richiami dell’altra donna.
Attraversò la strada diretta a testa bassa verso il portone d’ingresso, ancora aperto ed entrò chiudendoselo alle spalle.
L’interno della casa era caldo e accogliente, illuminato da una luce calda e soffusa. Le pareti rivestite in legno, fiori nei vasi che emanavano un delicato profumo lungo il corridoio.
<< Elizabeth? >> Sister Mary Peregrine all’ingresso, il libro dei canti fra le mani, la scrutava preoccupata.
Beth cercò di sorridere, ma le lacrime cominciarono a rigarle le guance, e il sorriso falso che aveva cercato di mettere su non riuscì ad illuminarle il volto. << Sono solo stanca. >>
<< Di cosa? >>
<< Non lo so. Della vita, credo. >>
La giovane suora la guardò interdetta per un momento che le parve interminabile, e che credeva sarebbe terminato con una lezione su come ‘la vita fosse un dono del Cielo, da rispettare e di cui bisognava godere. Un dono che non era concesso rifiutare, perché solo il Signore poter darlo e toglierlo. ’
Mary Peregrine la prese per mano e la accompagnò nella piccola cappella in fondo al corridoio, la cui finestra dava sul giardino. Era una sala piccola, illuminata esclusivamente dalla luce delle candele, con un altare e un unico banco dove ci si poteva inginocchiare a pregare. Alla parete era appeso un quadro che ritraeva la santa patrona d’Irlanda.
<< Guarda quanto e grande il cielo, perditi nella sua grandezza. C’è un potere più grande che muove l’universo, e che non siamo in grado di capire. Spesso ci sembra insensato, ma dobbiamo fidarci, credere che un giorno tutto avrà senso. E ricordare che tutto ha una fine, anche il dolore che proviamo, anche il dolore che non vogliamo smettere di provare perché ci ricorda che, dopotutto, siamo ancora vive. >>
Beth boccheggiò stordita. Per un momento provò il forte desiderio di parlare, di confidarsi con quella suora che aveva sempre sentito vicina, forse per via dell’età, ma non lo fece. Rimase in silenzio ad ascoltare la suora che parlava, a guardare il cielo coperto di nubi grigie, e a pensare a Jo.
C’erano cose, molte cose, del suo passato, che erano conosciute solo da poche persone a cui l’aveva detto. Jo Acland non era fra quelle. E Suor Mary Peregrine, non sapeva se poteva esserci.
Le due donne rimasero a lungo in silenzio, finché la campana non richiamò la suora all’ordine.
Per Beth si era fatto tardi, doveva andare a dormire, altrimenti il giorno dopo non sarebbe riuscita al alzarsi in orario. Per un breve momento, l’idea di darsi malata le attraversò la mente.
Al solo pensiero che, fra meno di dieci ore, la sua giornata sarebbe iniziata nuovamente, si sentiva morire. L’esterno appariva decisamente meno sicuro di quel piccolo mondo fatto di donne. La vita nella casa era pacifica, sempre uguale, scandita dai soliti, vecchi ritmi che ormai facevano parte di lei.
L’avventura era qualcosa che l’aveva sempre affascinata, ma non c’era nulla da fare: non faceva per lei.
La tentazione durò solo un momento: non poteva certo nascondersi per tutta la vita dentro la stanza di una casa di suore.
O forse sì? Diventare suora lei stessa. Non aveva la vocazione, non l’aveva mai avuta, ma aveva sempre avuto un gran bisogno della sicurezza che quel mondo poteva darle, al contrario del mondo esterno, reale, frenetico e spietato.
Nel silenzio della sua stanza, alla tenue luce della lampada, mentre si spogliava guardò il suo corpo riflesso allo specchio. Alcune cicatrici che si era procurata erano rimaste, altre erano scomparse, e di alcune si vedeva solo un pallido ricordo. Ma lei le vedeva tutte, e vedeva ancora il sangue scorrere dalle ferite aperte. Vedeva la lama sporca, l’acqua che, lentamente, si tingeva di rosso.
Non poteva fare a meno di chiedersi cosa avrebbe pensato Jo, se l’avesse vista nuda. Come avrebbe reagito, cosa avrebbe detto? Ma, dopotutto, una situazione simile non si sarebbe mai verificata, quindi non aveva senso preoccuparsi.
Però Jo sapeva.
Era stato un caso. Un errore, ma Jo sapeva. Non ne avevano mai parlato. Mai.  Jo non aveva detto una sola parola a riguardo nemmeno la prima volta che le aveva visto le cicatrici sul braccio.
Il cellulare, abbandonato sul letto, vibrò: un messaggio.
Era Jo.
Beth rimase a fissare lo schermo finché quello non divenne nero. Non aveva davvero voglia di leggere ciò che la donna aveva da dirle, tanto meno di pensare a cosa risponderle. Voleva ignorare quelle ultime ore, andare a dormire e dimenticare tutto per svegliarsi il giorno dopo e riprendere con la sua vita.
Forse avrebbe potuto leggere e, se non le fosse piaciuto, ignorarlo dimenticarlo e andare a dormire come se nulla fosse accaduto.
Ma si conosceva abbastanza bene da sapere che non sarebbe mai capitato.
Fece un respiro profondo e si costrinse ad aprire il messaggio prima di avere il tempo di cambiare idea.
Lo sai che sono una persona orribile. E non so relazionarmi con altri esseri umani
Altro messaggio.
In realtà, forse nemmeno con gli animali.
Qualunque cosa tu faccia, non è affare mio. Scusa.
Esatto, aveva ragione: la sua vita non la riguardava. Non le sembrava un concetto difficile da capire, e non le sembrava nemmeno di aver mai dato l’impressione di volere le sue attenzioni.
O forse sì… forse quello l’aveva fatto. Durante le pause si sedevano sempre vicine; lei era l’unica persona per cui Jo si offrisse di preparare il tè, e accettava sempre. Era sempre stata bene in sua compagnia, e non l’aveva mai nascosto.
Rilesse i messaggi.
Aveva imparato che il mondo, a differenza di ciò che insegnava la chiesa, non si divideva in santi e peccatori, che gli angeli potevano cadere, e i demoni essere puniti ingiustamente.
Si abbandonò sul letto, il cellulare ancora fra le mani.
Forse era arrivato il momento che il suo vissuto diventasse affare di qualcuno che non fosse lei stessa o le suore.
Dormi in pace. Rispose alla fine.
La risposta non tardò ad arrivare. Mi stai augurando di morire nel sonno?
Beth rise.
Intendevo dire che non sono arrabbiata.
Oh. Allora buonanotte.
A domani.












 
  
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