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Autore: Urban BlackWolf    11/11/2019    3 recensioni
Come la vite, ogni essere umano ha un lato esposto al sole ed uno all’ombra. Un lato più caldo ed uno più freddo, che non sempre riescono a convivere, anzi, che spesso e volentieri cozzano l’uno contro l’altro creando dissonanza, una profonda lacerazione interiore che rende tutto confuso e complicato.
Come la vite, ogni essere umano porta frutto e lo dona agli altri, ma a seconda delle stagioni e delle cure ricevute, lo fa generosamente o meno.
Come la vite, ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato, spronato e protetto per dare il meglio di se, senza soffocamenti o costrizioni.
E come la vite che allunga i tralci verso la pianta accanto, anche gli esseri umani sono alla costante ricerca dell’anima affine alla quale potersi tendere ed intrecciare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Starlights, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Scacco alla regina

 

Rimasero sedute sul cofano della loro auto senza parlare per un’infinità di tempo. Haruka con le gambe raccolte e la fronte poggiata alle ginocchia e Giovanna a guardare apaticamente il sottobosco indecisa o meno sul da farsi. Lei conosceva perfettamente l’identità di Michiru, come sapeva chi fosse il suo compagno. Sapeva cosa aveva spinto la donna alla fuga e quali fossero i suoi progetti futuri, ma da li a dirlo alla sorella era tutta un’altra cosa. Sempre sul chi vive, la maggiore aveva infatti paura di essere fraintesa e considerata addirittura come una specie di traditrice.

Sospirando pesantemente guardò di soppiatto le spalle ricurve dell’altra. Da quando era tornata alla masseria, con la bionda aveva sempre dovuto camminare sulle uova, muovendosi e parlando il meno possibile per paura che l’acredine che vedeva ancora nei suoi occhi non saltasse fuori alla prima occasione. Era una vigliacca e ne era perfettamente consapevole, ma con la gara alle porte non potevano permettersi discussioni di alcun tipo. Ed ora in questa specie di gioco a due era entrata una terza persona; la bionda. Le carte in tavola erano state totalmente rimescolate e se possibile rese ancora più confuse.

La corsa è fra qualche giorno e se le rivelassi tutto non soltanto mi prenderebbe a pugni, ma cosa più importante, perderemmo la poca affinità che abbiamo ritrovato. In più ho promesso a Michiru che non avrei detto nulla a nessuno, Haruka in tesa, pensò sentendosi stretta fra due fuochi. Da una parte la sorella. Dall’altra la forestiera.

Volendo aiutare la prima cercando di non rivelare cose che intimamente le aveva confessato la seconda, cercò una strada che andasse bene per entrambe. “Senti Haru, mi sembra di aver capito che di tutte le scoperte sconvolgenti che hai fatto sulla nostra ospite, quella che ti infastidisce di più sia riferita al suo presunto compagno.”

“Non è affatto presunto, credimi.” E con una vorace stretta alla bocca dello stomaco la bionda rivide nella piega della mente le foto che ritraevano quella coppia bellissima e perfettamente assortita.

“Penso che prima di fracassarti la testa dovresti chiedere a Kaiou se si considera ancora legata o meno a lui.”

La minore alzò allora lo sguardo aggrottando la fronte. “Cosa intendi dire?”

“Intendo dire che a pensarci su, sembra molto strano che in tutte queste settimane lontano dal suo compagno, Michiru non abbia mai manifestato tristezza o voglia di mollare tutto per tornarsene tra le sue braccia. - Vedendola attenta continuò rimarcando il concetto. - Perché una donna di quel calibro, con una carriera scintillante, una solidità economica invidiabile, il corpo di un uomo a stringerla tutte le sere, ti avrebbe chiesto di rimanere qui, in culo al mondo, a sgobbare tutto il giorno insieme a persone estranee totalmente diverse da lei?”

“Non lo so! Per noia?”

“Oddio, sembri Minako!” Scendendo dal muso dell’auto si sfilò il sopra della tuta per allacciarselo alla vita.

“Dai retta a me! La tua Michiru è una donna con le idee molto chiare! Forte ed equilibrata. Non ha bisogno di un uomo per sentirsi realizzata e sa perfettamente cosa vuole dalla vita, altrimenti non sarebbe diventata un Primo Violino. Ora, lasciamo perdere il perché si sia voluta allontanare dal suo mondo e concentriamoci su quanto si trovi bene nel nostro.”

Tornando a nascondere il viso tra le pieghe della sua tuta, Haruka non rispose subito. In effetti la logica di Giovanna non faceva una grinza. Chiunque sano di mente non lascerebbe mai amore e carriera se non spinto da qualcosa di gravoso.

“Sta di fatto che è quello che è!”

“Cosa? Una violinista di fama mondiale o… una donna impegnata?”

“E’ quello che è, punto e basta!” Tornandole davanti con un balzello, la bionda si diede dell’idiota per aver anche solo pensato ad una dea inarrivabile come quella.

Giovanna conosceva quell’espressione tra l’avvilimento e l’impotenza che grazie al cielo poche altre volte le aveva visto addosso e decise di alzare l’asticella. Accettandone le conseguenze soffiò un laconico e definitivo vigliacca e fece per risalire in macchina.

La reazione non tardò e fu irruenta come sempre. “Sarebbe a dire?!”

“Abbiamo capito tutti che ti sei innamorata di lei e adesso che hai scoperto che è etero e ha una vita totalmente diversa dalla tua, che fai? Scappi?!”

“E cosa dovrei fare, sentiamo!”

“Combattere per quello che vuoi! O devo pensare che quello che provi per Michiru sia solo un fuoco di paglia? L’ennesima Formula tre gettata nel cesso dalla tua paura?” Serrando la mascella si preparò al colpo che però con sua grande sorpresa non arrivò.

Haruka rimase a fissarle le iridi, ma non si mosse. Tremava di collera, ma non alzò un dito. Ardeva come un tizzone, ma non le gettò contro improperi o chissà cos’altro. Questo spinse la maggiore a chiederle se veramente volesse onorare i sentimenti che provava per la violinista.

“Haru… se non fai qualcosa rimarrai con il rammarico di esserti lasciata scappare un’occasione per essere felice. E dai retta a me, sarebbe un peccato mortale.”

“Parli come se Michiru provasse qualcosa per me.” Un tono improvvisamente sottilissimo, speranzoso e delicato, stridente con la durezza che traspariva in quel momento dal suo viso.

“E’ solo che guardo le cose da un punto di vista privilegiato. Da fuori, il vostro rapporto è molto particolare. Non è di lavoro ed è diverso dall’amicizia. Se vuoi la mia modesta opinione… credo che dovresti provarci.”

“E lasciare anche quello che ho? Non ci penso proprio Giovanna!”

“Lo vedi che hai paura!”

Sbottando Haruka calciò il battuto sotto la suola del suo scarponcino. “E anche se fosse?! Si, ho paura! Sei contenta adesso?! Quando sono con quella donna ho paura di muovermi, di respirare, di espormi, perché tengo troppo a lei e non sopporterei di perdere anche il poco che ho ora.”

“La soluzione è dunque darsela a gambe? Sono due giorni che la eviti. Non fa che chiedermi se ha fatto qualcosa di sbagliato, se ti ha offesa, se ce l’hai con lei! Ho cercato di glissare, ma non è stupida e ha capito benissimo che c’è qualcosa che non va. Non dovresti trattarla così. Non è giusto.”

“Ma credi che non lo sappia? Pensi che sia tanto bastarda da non rendermi conto di quello che sto facendo!? Ma io con i sentimenti non ci so fare, lo sai. E’ già un miracolo che con lei mi sia aperta. So che non sarei in grado di gestire qualcosa di più. Faccio già tanta fatica così.”

“Il tuo problema Haruka è che tendi ad essere sempre troppo diffidente e così facendo non fai vedere agli altri la parte più bella e profonda di te. Ma quella donna è diversa. E’ leale ed onesta e non credo ti ferirebbe se ti aprissi.”

A quelle parole l’altra sorrise sardonica. “Forse non mi sono spiegata Giovanna. Sono io che in un rapporto tendo a ferire scappando. E’ sempre stato così e non voglio farlo anche con lei.”

Poggiando gli avambracci sulla parte terminale del tettuccio la sorella se la guardò dalla frangia castano chiara. “Non paragonare lo spessore di Michiru con una Bravery qualsiasi e smettila di dire fesserie. Parlale. Se non ti senti di provarci perché non la ami veramente, va bene, ma rimanere bloccata per paura di un rifiuto o di chissà quale altre conseguenze, non lo posso accettare. Non da te."

Giovanna la vide alzare la testa e guardare il cialo. Era proprio il timore di perdere il rapporto costruito con Michiru in quelle settimane a farle intuire quanto Haruka tenesse a lei. Ma la bionda non aveva ancora capito che anche nel cuore della forestiera era sorto un qualcosa di bello, forse ancora un po’ confuso, ma certamente sincero e profondo.

Sbirciando l’ora sul quadrante del suo orologio la maggiore riportò entrambe all’ordine. “Dopo colazione voglio andare a controllare la serra. Dobbiamo finire il percorso e riportare l’auto al capanno se non vogliamo che le altre si accorgano di qualcosa.”

Mugugnando la pilota si ricompose chiudendosi il colletto della tuta ed afferrando decisa la maniglia aprì la portiera piazzandosi al posto di guida.

 

 

Verso l’una del pomeriggio Michiru uscì dal ciclo di produzione con il cuore pesante. Sedendosi un attimo sul muretto del parcheggio guardò in direzione della masseria che s’intravedeva in lontananza indecisa se tornare per pranzo o meno. Oltre al fatto che Haruka si stesse comportando in maniera stranissima, era riuscita finalmente a parlare un po’ con sua madre, la quale, messa al corrente da quella serpe velenosa di Seiya della loro rottura, aveva dato veri e propri cenni di squilibrio. Conoscendo il desiderio della signora Kaiou di vedersi allargata la famiglia, il moro era stato tanto astuto da evitare di parlare dell’improvvisa battuta d’arresto avuta dalla carriera della figlia, concentrandosi invece sulla fine della loro relazione. Ed erano stati tutti un o figliolo, ti comprendo benissimo, ed incoraggianti stai pur tranquillo caro, parlerò io con Michiru. Così, alla prima telefonata fatta dalla giovane donna alla madre si erano aperte le cataratte del cielo ed una serie di pianti e strepiti l’avevano accolta al primo, ciao mamma, come stai.

Michiru ci aveva messo più di un quarto d’ora per prendere finalmente la parola e sentenziare senza mezzi termini, che la fine del suo rapporto con Kou era stata l’ovvia conseguenza dei suoi continui tradimenti e di tutta risposta aveva trovato una ferrea ed inimmaginabile arringa difensiva a vantaggio dell'ex compagno.

“Ho sempre soprasseduto sulle scappatelle di tuo padre. Sono uomini. Porta pazienza.” Si era sentita dire e Michiru era partita in quarta portando quella che in principio si era prospettata come una delicata conversazione tra madre e figlia, su una vera e propria discussione.

Non mi ero mai permessa di sbatterle il telefono in faccia, si rammaricò socchiudendo gli occhi alla luce mentre un’ombra alla sua sinistra avanzava lambendole le gambe.

“Michiru…” La voce un po’ nodosa di Minako la portò a voltarsi verso il viso contrito della biondina.

“Speravo di trovarti da sola. E’ dall’altro giorno che … - Un sorso d’ossigeno. - ... volevo chiederti scusa.” Non era stato poi tanto difficile.

Ma presa da altri pensieri Michiru non rispose costringendola ad essere un tantino più precisa. “Per l’uscita in cucina. La macchina…”

Già, la macchina. Haruka era stata abbastanza chiara in merito alla spiacevole sparata che Minako aveva avuto nei suoi confronti.

“Spero tu abbia capito che con la storia della moto di tua sorella non c’entro nulla.”

“Si.”

“Allora…, scuse accettate.”

Visibilmente più sollevata, non tanto per essere stata in qualche modo perdonata, quanto per avere adempiuto all’ordine impartitole dalla maggiore, la biondina fece dietro front quando Michiru le bloccò il passo con un’affermazione a dir poco stridente.

“Sai, io ti invidio.” Certo, sembrava assurdo detto da una donna che in vita sua aveva sempre avuto il meglio, ma quando Minako voltò il busto per guardarla, vide una tale sincerità nel suo sguardo che la lasciò continuare.

“Non fraintendermi, non è invidia maligna la mia. E’ solo che alle volte mi piacerebbe avere quello che hai tu.”

Senza parole l’altra scrollò le spalle non capendo e toccando un paio di volte il cemento del muretto, la più grande la invitò a sedersi al suo fianco. Reticente, ma con una curiosità dilagante, Mina accettò. Così Michiru Kaiou, che sotto quel frangente non si era mai aperta con nessuno, nemmeno con lo stesso Seiya, rivelò a quella ragazzetta che mal la digeriva la profonda lacerazione che aveva sin da piccola.

“Non c’è denaro o successo che possa comprare l’affetto di una famiglia e pur amando tantissimo i miei genitori e sapendomi amata, non posso che invidiare quello che hai tu con le tue sorelle. Sai, non l’ho mai detto a nessuno, ma sono stata adottata. Lo scoprii accidentalmente a sette anni e da allora non passa giorno che non mi chieda perché chi mi ha messo al mondo non mi abbia tenuta. Beninteso, ormai sono una donna fatta che può immaginarsi scenari di ogni genere, dalla mancanza di denaro, alla giovane età, ma da qui ad accettare di essere stata scartata come un pezzo di mobilio fallato, be… ce ne corre.”

Minako ingoiò a vuoto. La sua storia era molto simile a quella del suo Yaten. Anche lui aveva alle spalle una situazione famigliare molto complessa che a tutt’oggi lo faceva soffrire. Era stato cresciuto da Max e Rose, che per lui era stati più che zii e da anni aveva trovato nei Tenou una famiglia, ma non era raro, soprattutto sotto le feste natalizie, trovarlo seduto in disparte a rimuginare su qualcosa di oscuro e doloroso.

“Perché mi stai dicendo tutto questo?”

“Francamente non saprei. Forse perché non essendoti molto simpatica vorrei che tu sapessi che il mio modo di fare, spesso freddo e distaccato, non è dettato dalla superbia o dall’arroganza di sapermi chissà chi, quanto dalla scarsa fiducia che ho nelle persone. Non ci vuole certo uno psicologo per capire che il sentire di dover dimostrare sempre più del dovuto, sia la logica conseguenza della paura che provo di non essere accettata e ben voluta. Ecco perché t’invidio; puoi essere te stessa senza inibizioni e il tuo legame con le tue sorelle è talmente forte che faresti di tutto per proteggerle.”

Questa volta Minako afferrò e quasi arrossendo puntò l’azzurro delle iridi a terra. “Mi dispiace, ma lo trovo naturale.”

“Lo so, anzi, lo immagino. Però Mina, quello che vorrei che tu avessi ben chiaro è che non farei mai del male a nessuna di voi ed in particolar modo ad Haruka.”

“Magari non volontariamente e di questo ne sono felice, ma gliene farai. - Togliendosi da quella scomoda situazione la ragazza si alzò aggiustandosi la gonna con un paio di schiaffetti. - Ed io cercherò d’impedirtelo a qualsiasi costo.”

“Pensi davvero che tua sorella sia così fragile?” Chiese seguendola.

“Si! Almeno dal punto di vista sentimentale. Tu non la conosci, non sai quanto possa amare profondamente e quanto questo in passato l’abbia portata a soffrire. Per lei è tutto o bianco o nero. Dà l'anima in qualsiasi tipo di rapporto ed il fatto che tu non le abbia voluto dire chi sei e da dove vieni, mi fa pensare male.”

Michiru sospirò. “Tua sorella ha accettato subito la cosa, ma posso capirti. Questo non depone a mio favore.”

“Esatto. Comunque mi fa piacere che tu abbia cercato di spiegarti. Adesso scusa, ma devo rientrare.”

Il dire tutto ad Haruka. Perché non l’aveva ancora fatto? Guardò le spalle di Minako mentre si allontanava. Forse quella ragazza aveva ragione. Forse era arrivato il momento di aprirsi e tornare ad avere un passato. Anche se scomodo come il suo.

 

 

Mamoru prese il libretto di circolazione ringraziando il corriere. Salutando tornò a guardare l’ennesima macchina agricola acquistata dal vecchio Kiba nell’ultimo anno. Un pezzo costoso. Estremamente costoso. Costoso e a suo giudizio totalmente inutile. Con mezza proprietà ancora provata dai danni dell’ultimo temporale, il giovane non poteva non chiedersi cosa il padre avesse in mente. Non avevano certo problemi economici, ma in un’attività come la loro il denaro andava speso con coscienza. Perché il padre si ostinava ad aumentare il parco macchine invece d’investire riparando lo sfacelo che l’acqua aveva provocato? Ettari ed ettari strappati alle radici di piante ormai indebolite dal sole. Detriti trascinati nelle piane come giocattoli privi di consistenza ancora sparsi sui sentieri. Mine vaganti pronte ad intasare l’alveolo già provato del torrente al prossimo nubifragio di una stagione dal clima ormai fuori controllo.

Cos’è che Mamoru non riusciva ad afferrare? Certo, con quell’uomo non aveva mai avuto un buon rapporto, soprattutto da quando la madre aveva deciso di abbandonare la famiglia per rifarsi una vita con un uomo a suo dire più degno dell’ambizioso Kiba, ma gli affari, il senso vischioso della terra insito in ogni buon viticoltore che si rispetti, li aveva sempre tenuti intrecciati come viticci. Ma se adesso anche questo iniziava a vacillare, cosa sarebbe rimasto della loro famiglia? Niente. Assolutamente niente e Mamoru lo sapeva.

Nervoso rientrò in casa non prima d’aver gettato uno sguardo alla porzione del tetto dove gli operai stavano ancora lavorando. Altre spese. Ma questa volta necessarie. Dirigendosi sparato verso lo studio del padre bussò ed attese. Dalla parte opposta nessuna risposta.

“Papà?” Entrando cercò di smorzare l’urgenza di sapere il perché di quell’acquisto inutile.

Nello studio però non trovò nessuno. Vuota la poltrona dove il genitore era solito accomodarsi con un quotidiano, il sigaro ed un buon bicchiere di rosso. Vuoto il retro della scrivania da dove guidava i suoi affari.

Avevo capito che oggi sarebbe rimasto alla masseria, pensò avvicinandosi al piano in frassino notando alcuni estratti bancari e li, al conto degli zeri, l’uomo ebbe un sussulto.

 

 

Chiudendo l’armadietto dove teneva ripiegata la sua tuta da rally, respirò profondamente l’aria intrisa dell’odore di grasso impastato alla terra della rimessa. Tutto intorno ai suoi piedi le tracce del trattore e del piccolo cingolato dalla benna pesante. Era quello l’oro della sua masseria, quello, la cantina e la terra che si estendeva tutta intorno. Ma vuoi per la gara, vuoi per i suoi problemi personali, Haruka sapeva di non stare prendendosi cura di nessuna di loro.

Sentendo il tubare di un paio di tortore appollaiate sull’acciaio di una delle travi tralicciate che portavano la lamiera della copertura, la bionda provò a scacciare il senso di vergogna che stava provando da quando aveva capito di stare fallendo nella gestione della vigna. Non aveva fatto che sbagliare inanellando casini su casini. In più ci si era messo di mezzo il tempo ed infine… la folle scelta di gettarsi tra le mani di una specie di strozzino. Giano non era altro che questo; uno strozzino maledetto che invece di prestarle del denaro a tassi da capogiro, le aveva chiesto qualcosa di ben più importante, ovvero la vita. Sua e delle sue sorelle. Si, perché se lei e Giovanna avessero fallito, tutto sarebbe andato a puttane e ai guai che già avevano, se ne sarebbero aggiunti altri. Questa volta insormontabili.

Dita arroventate le fasciarono la bocca dello stomaco strizzandoglielo come una spugna umida. Avrebbe voluto svagarsi, ma non parlando. Questa volta Haruka Tenou sentiva d’aver bisogno di una tregua, di uno sfogo molto meno nobile di quattro chiacchiere con un’anima affine. Voleva bere, voleva non pensare e soprattutto voleva la pelle di qualche donna che l’aiutasse a spegnere il cervello per qualche ora.

“Che bestia che sono. - Si disse ridendo di se. - Veramente poco dignitosa se paragonata ad una dea della classica.”

Quanto poteva starci male! Le parole di Giovanna non avevano fatto altro che entrare nella ferita inflittale da Bravery e se possibile allargargliela ancora di più. Ed ora bruciava così tanto pensare a Michiru.

“Mia sorella ha ragione su tutta la linea. Sono una vigliacca e sballarmi con alcol e sesso non farebbe che peggiorare le cose. Ora devo essere concentrata sulla corsa. Ma non lo sono e non lo sarò se continuo a fuggire da Michiru.”

Michiru. Prima di tutto doveva affrontare la forestiera o quantomeno cercare un atteggiamento conciliante.

Rimuginando sul da farsi iniziò a cercare una latta d’olio quando sulla porta comparve una figura alta e longilinea. “Ti stavo cercando!” Esordì mentre la bionda imprecava sfondoni al cielo.

“Mi hai trovata… Pensa che culo!”

“Sempre del tuo solito umore nero, vedo.”

“Che vuoi che ti dica? Sarai tu a farmi questo effetto Bravery!” Trovando la latta fece saltare il tappo con la punta di un cacciavite.

La moretta entrò nella rimessa socchiudendo la porta scorrevole. Gesto che non sfuggì all’altra.

“Cosa vorresti fare?”

“Nulla di quel che pensi e che vorresti. - Avvicinandosi le chiese dove fosse la sua rivista. - Mamoru dice che ce l’hai tu.”

Haruka sogghignò iniziando a ravvivare l’olio con ampi movimenti circolari. “Vuoi iniziare una collezione?”

“Fai poco la spiritosa. E’ mia e la rivoglio.”

“E se l’avessi gettata nella spazzatura? In fin dei conti è quello il suo posto.”

Sussurrandole all’orecchio sinistro Bravery cambiò improvvisamente atteggiamento. “E privarsi dell’opportunità di fantasticare su quella donna mentre ti trastulli fra le lenzuola del tuo letto? Non credo proprio.”

Scattando il collo finalmente la bionda la guardò negli occhi. ”Bada a te Kou e stai attenta a ciò che dici!”

“Ma per carità! Lungi da me offendere l’idea contorta che ti sei fatta di quella donna. - Disse alzando le braccia in segno di resa mentre arretrava di un passo. - Comunque la rivista la rivoglio. Se non ci avessi fatto caso parla anche di mio fratello.”

“Al diavolo te e lui!” Sbottò andando all’armadietto.

Aprendolo di furia estrasse la rivista semi nascosta sotto la tuta e porgendogliela le diede dell’infame.

“E perché scusa? Non ho fatto altro che cercare di far capire ad un’amica che non vale la pena di struggersi per la grande e talentuosa Michiru Kaiou. In più, se permetti volevo tutelare l’unione che mio fratello ha con lei.”

“Che gran brava sorella! - Ma prima che Bravery riuscisse ad afferrare la rivista, Haruka alzò il braccio continuando ferale. - Ricordati bene una cosa; non siamo amiche. Non lo siamo mai state. Tu sei solo una che mi scopavo un paio d’anni fa e non venirmi a dire che tutto d’un tratto t’interessa la vita privata del tuo gemello, perché sappiamo entrambe che non te n’è mai fregato niente!”

La moretta incassò e con altrettanta ferocia restituì il colpo al mittente. Soprassedendo a fatica dal rispondere all’offesa personale, si gettò in acque torbide che sapeva di poter gestire. “A si? Una sorella che non tiene al fratello lo ascolterebbe quando si sfoga perché la sua dolce metà non è in grado di dargli un figlio?”

Haruka ebbe un fremito rimanendo spiazzata. “Che diavolo… Cosa c’entra…”

“Nulla. Era solo per farti capire cosa lega me e Seiya. Che poi sarebbe quello che lega te e le tue sorelle. Perciò evita di sbandierare l’affinità che c’è nella famiglia Tenou, perché come vedi… c’è anche nella mia.”

“Certo.., me lo hai detto solo per questo. Tieni…, riprenditi questo schifo e vattene!” Gettandole la rivista sul petto prese la latta dimenticata sul pianale ed andò verso il piccolo cingolato.

“Voglio sapere una cosa. Ti rode che sia famosa o che mio fratello se la sbatta da anni? - Bravery vide la schiena dell'altra irrigidirsi e proseguì con estrema goduria. - Un uomo dalla testa ai piedi, che le ha sempre saputo dare ciò che la nostra dea dell’archetto gli chiedeva.”

“Finiscila…”

“Mentre tu che cosa sei? Cosa vuoi? Cosa pensi di potere offrire ad una donna come quella?”

“Bravery!” Sbattendo la latta sul mezzo, Haruka le si avventò contro spingendola sul mattonato a vista del muro.

Ma la mora continuò implacabile nonostante la destra dell’altra stretta al collo della maglietta. “Dunque non ti da fastidio l’aver scoperto che sia famosa, quanto che sia etero.”

“Sei una lurida bastarda! Hai aspettato il momento giusto per farmelo sapere, vero?! Cosa credi che non mi sia accorta che questa rivista sia di due anni fa?!”

“Complimenti. Non ti scappa proprio niente vedo.”

“Perché non te ne ritorni a Portland? Che cazzo vuoi da me?!”

Quasi in debito d’ossigeno l’altra stirò le labbra. “O suvvia Tenou. Devo forse farti un disegnino? Io so cosa vuol dire avere le tue mani addosso e so apprezzare quello che puoi offrirmi. Lei… NO.”

“E’ questo quello che vuoi?! - Schiacciandola con maggior forza al muro, Haruka le slacciò con rabbia il bottone dei pantaloncini. - E’ questo che smani tanto?”

“Tu non sai quanto. - Soffiò avvertendo dita estranee infilarsi tra la pelle e la stoffa degli slip. - Lo sapevo che prima o poi ti avrei avuta.”

“Sta zitta.” Ringhiò ansante mentre permetteva alle mani della mora di sbottonarle la camicia.

“Togliti quella donna dalla testa, non fa per te.”

“Zitta…” Ripeté annaspandole nell'invavo del collo mentre con violenza le afferrava i capelli legati alla base della nuca.

Strappatela da cuore Haruka. Cancellala dalla tua vita, pregò Bravery sentendo le labbra calde di Haruka catturare voraci le sue.

 

 

Quando mezz’ora prima Usagi le aveva chiesto la cortesia di cercarle Haruka non avrebbe mai creduto che la cosa sarebbe finita con il prendere contorni epici. Era stata dappertutto; al silos, alla Prima, poi in casa e nuovamente fuori. La biondina le aveva assicurato di averla vista gironzolare sul retro della masseria proprio prima d’iniziare a preparare la cena, ma visto lo scarso risultato con il quale stava svolgendo la sua commissione, Michiru stava sul punto di gettare la spugna.

Non mi stupirei se si stesse divertendo alle mie spalle nascondendosi da qualche parte, pensò ancora offesa per il comportamento omertoso messo su dalla bionda. Camminando lentamente sul brecciolino si guardò intorno. Solo un ambiente non aveva ancora controllato; la rimessa. Non era solita andarci, non le piaceva, ma per scrupolo scrollò le spalle avanzando verso il grande portone scorrevole. Forse avrebbe potuto essere un’occasione per parlarsi e finalmente iniziare a capirsi.

Questi buoni propositi l’accompagnarono alla struttura dai laterizi rossi fino a quando il portone metallico non solcò il binario aprendosi di colpo e di li tutto cambiò. Michiru si fermò di riflesso mentre gli occhi si posavano sulla siluette di Bravery, che uscita madida di sudore come dopo una sauna, se la guardò sorpresa. La mora ebbe un attimo di titubanza prima di esplodere sulle labbra arrossate un sorriso estremamente compiaciuto. Si guardarono: le pozze nere dell’una a fondersi con quelle cobalto dell’altra. Poi una terza figura. Haruka emerse dal buoi della rimessa mentre con lo sguardo basso armeggiava con un’asola della sua camicia. E non ci volle molto perché Michiru capisse quello che era appena successo.

Passandole accanto Bravery le annunciò d’aver chiuso la partita. "Io ottengo sempre ciò che voglio mia cara Michiru."

Impietrita la violinista non rispose. Fissa su Haruka attese che la mora si allontanasse a sufficienza per comunicarle che la sorellina la stava cercando.

“Sembra una cosa abbastanza urgente.” Disse e mossa da un inspiegabile moto di delusione e tristezza, fece per andarsene.

L’altra scattò per bloccarle il passo. “Aspetta Michiru! - Le si parò davanti con un senso di colpa pari a quello di un assassino. - Non…” Ma nel guardare il viso dell’altra il fiato le morì in gola.

Uno sguardo di pietra le strappò il cuore dal petto.Non cosa? Non è successo niente? Non è come credi? Non rappresenta nulla? Non vale nulla? Cosa diavolo poteva dirle per scagionarsi da una colpa che poi colpa non era affatto?

Rendendo gli occhi a due fessure, Kaiou aggiunse a quel non mozzato, il suo pensiero. “Non c’è niente da dire! L’unico mio rammarico e te lo dico con il cuore, è che tu lo abbia fatto con una dona da nulla come quella.”

Scansandola fece un paio di passi quando avvertendo il calore della destra di Haruka che stava per afferrarle il braccio si voltò come una tigre. “Non ti azzardare a toccarmi con quella mano! Non dopo quello che le hai fatto!”

Uno schiaffo morale talmente violento che costrinse la bionda a bloccare il respiro e a stringere i pugni fino al bianco delle nocche.

 

 

Imprecò Haruka. Imprecò, tacque ed imprecò ancora. Stretta nella consapevolezza di avere rovinato tutto, affamata dalla vergogna d’aver ceduto ad un bieco turbine fatto di rabbia, prostrazione ed eccitazione. Imprecò parole amare e ruvide, dolorose al pari di una flagellazione su una pubblica piazza. Imprecò e lo fece da sola, davanti alla sua auto, mentre nel silenzio del capanno finiva di modificarne l’alettone in vista della gara.

Non ti azzardare a toccarmi con quella mano! Non dopo quello che le hai fatto!”

Michiru aveva capito tutto molto rapidamente. Era una donna sveglia e lo avrebbe fatto anche senza il sorrisetto di sfida lanciatole da Bravery o la marcata espressione colpevole che la bionda aveva messo su appena incontrato il suo sguardo. Fino a quel momento il cobalto degli occhi della forestiera l’avevano sempre accarezzata dolci ed affettuosi, dopo quell’episodio invece, erano diventati freddi e scostanti.

Il sesso con Bravery era stato veloce e sotto certi versi brutale. Haruka l’aveva presa senza neanche domandarsi che cosa stesse facendo. Le braci che covavano nel profondo della sua femminilità da quando Michiru era entrata a far parte della sua vita, erano state rivitalizzate dalla mora con estrema furbizia. Premendo sull’eterosessualità della violinista, Bravery aveva costretto Haruka a riflettere sul fatto che tra loro non avrebbe mai potuto esserci altro che una semplice amicizia e questo le aveva gettato addosso un senso d’impotenza che una rubacuori sfrontata come lei non aveva mai avuto se non da ragazzina.

Dalla parte opposta, questo cederle non aveva fatto altro che confermare a Bravery quanto la bionda fosse presa. Faceva male, ma era un fatto che comunque aveva portato al suo scopo. Inoltre il ritrovarsi la violinista davanti agli occhi aveva dato un nuovo senso a tutto quanto. Aveva colto una scintilla di dolore nello sguardo di Michiru che se pur molto brava a dissimulare i propri sentimenti, non aveva saputo chiudere per tempo le porte della sua corazza. Bravery non avrebbe avuto il cuore di Haruka, ma ormai non le importava, perché arrivate a questo punto, l’immaginarsi l’altolocata Michiru Kaiou con l’anima nel fango valeva forse di più del ricordo che aveva della sua passata storia con Tenou. Una vittoria di Pirro che la spingeva ad ipotizzare che dopo quel pomeriggio la violinista non avrebbe più smaniato tanto per trattenersi ancora in quella casa. Se una cosa aveva capito dell’ex di suo fratello, era l’orgoglio smisurato che trasudava da ogni centimetro quadrato di quel bel faccino da schiaffi e quello che la bionda aveva fatto non sarebbe stato perdonato tanto facilmente.

Così passarono i giorni. Bravery ebbe la decenza di sparire dai radar, mentre Haruka continuò ad evitare Michiru. Si sentiva un verme e l’unica cosa che riusciva a mitigare questo stato, era il dedicarsi anima e corpo alla sua auto. Ma per assurdo, più cercava d’estraniarsi da quello che era successo e più finiva per pensarci. Così per sentirsi un poco meglio, la sera prima della gara arrivò a parlarne con Giovanna, che come al solito l’ascoltò lasciandola sfogare.

Nel silos, seduta su una tanica, la maggiore sospirò iniziando a giocherellare con un cavo elettrico. “Dunque hai ceduto…”

“Già… E ora che me la sono fatta mi sento uno schifo.” Ammise allungandole una delle due bottiglie di birra che aveva preso da casa per brindare alla fine dei lavori.

“La sfortuna e' stata quella che Michiru vi abbia beccate. Ecco perché tra voi sembra scesa la cortina di ferro. - Afferrando il collo di vetro posizionò il tappo sul bordo del pianale facendolo saltare con un gesto secco. - Bravery e' stata furba. Erano settimane che ti stava addosso.”

“Ed io cretina ci sono cascata come una polla.” Appoggiandosi al cofano della Mercedes di Kaiou ammise d’aver perso la testa.

“Certo che il fatto della rivista è stata un’azione sottile.”

“Una bastardata.”

“Una bastardata… sottile. Dobbiamo riconoscere che ti conosce molto bene. Ha puntato e sparato proprio là dove sapeva che avrebbe fatto più danno.”

Haruka le diede un’occhiataccia ingoiando avidamente un paio di sorsi. “Se prima non riuscivo a parlarle figuriamoci ora.”

“In fin dei conti non hai fatto niente di male e tu non dovresti sentirti colpevole. Non state insieme e perciò non ha alcun diritto di farti la guerra.”

“Si, ma la sta facendo. Lei mi sta trattando di merda ed io mi sento d’averla tradita, o almeno d’aver tradito l’idea che ho di lei. Di noi. Nella mia testa… Insomma, hai capito, no?”

“Certo che ho capito e posso immaginare che tu ci stia male, perciò dopo la gara dovrai parlarle. Haru non puoi più continuare così. O provi a fartela passare o le confessi tutto…”

“… E mi metto l’anima in pace.” Borbottò pianissimo.

“Non ti tratterebbe da cani se non gliene fregasse niente. Te l’ho già detto il primo giorno che abbiamo messo la macchina su pista; sono convinta che non dovresti avere così tanta paura di un rifiuto.”

“Certo, soprattutto dopo essermi sbattuta un’altra!”

A questo Giovanna non rispose. Non conoscendo affatto Michiru non poteva ipotizzare nulla. Nel lavoro era caparbia e perfezionista, affidabile e puntuale, ma in fatto di sentimenti chi poteva dire se avrebbe o meno soprasseduto al gesto di Haruka.

“E’ ora di andare a dormire. Domani usciremo prima che le altre si sveglino. Ci vestiremo alla rimessa, così da non fare rumore, poi andremo al capanno a prendere la macchina. Max mi ha fatto sapere che ci aspetterà al bivio con la Provinciale.”

“Mi fa piacere che venga anche lui. Mi ricorda il nostro vecchio team.”

“Se papà fosse ancora vivo per vedere che stiamo per gareggiare in una corsa clandestina ci prenderebbe a sberle.”

“Probabile. - Ridacchiò Giovanna alzandosi. - Ma farebbe ugualmente il tifo per noi.”

“Sicuro. - Confermò la bionda allungando verso l’altra il braccio con il quale stava stringendo il collo della bottiglia. - Domani spaccheremo il culo ai passeri.”

“Puoi scommetterci sorella.”

Facendo toccare il vetro finirono di bere, ma quando la maggiore aveva ormai aperto una delle due ante Haruka la richiamò.

“Giovanna…”

“Dimmi.”

“Sono contenta che tu sia ritornata a casa.” E La maggiore non vide più l’acredine nel verde degli occhi di sua sorella.

 

 

Haruka si svegliò con le classiche ossa peste. Era crollata appena appoggiata la testa sul cuscino e aveva sognato. Flash confusi, intrecci di visi, di luoghi indefiniti. Azioni. Gli ansimi di Bravery, gli sguardi contrariati e giudicatori di Michiru, Giano e la sua mano stretta alla sua, l’auto che corre saltando dossi e solcando rettilinei con lei che ne tiene saldamente il volante. Una notte, ma in realtà pochissime ore di sonno che la spinsero fuori dal letto ancor prima di sentire suonare la sveglia.

Guardando in direzione del letto della sorella lo vide vuoto e ricomposto. Grattandosi la zazzera s’infilò le pantofole pattinando verso l’armadio. All’esterno solo il richiamo di un Barbagianni.

 

 

Quando aprì piano l’anta scorrevole della rimessa trovò Giovanna che armeggiava con l’interfono integrato di uno dei due caschi. Era già vestita di tutto punto con una tuta identica alla sua. Stivaletti e parte della tuta neri, rosse e bianche le maniche ed il colletto ancora slacciato. Ad Haruka parve di rivederla a diciotto anni, come se fossero improvvisamente tornate indietro nel tempo. Lo svegliarsi prima dell’alba ed il far piano per non svegliare le sorelle, allora piccolissime. L’ansia pre gara, quella morsa allo stomaco tipica di un avvenimento importante. Giovanna che prepara l’attrezzatura e lei che la testa. Tutto come allora, tranne per il fatto che questa volta erano sole.

Sentita la presenza della bionda, la maggiore si voltò sorridendole. “Buongiorno. Pronta?”

“Si, ma ho dormito da cani.”

“Non hai mai riposato bene prima di una gara. Ricordi i calci che mi davi quando eravamo costrette a dormire in camper?”

Haruka storse la bocca guardando l’attrezzatura. “Me n’ero dimenticata.”

“Solo che allora alla mia domanda avresti detto di essere nata pronta.”

“Sarà che sono invecchiata.”

“Sei maturata. Anche il tuo modo di correre è diverso.” E porgendole il casco le chiese di verificare l’arrivo del segnale.

“Vedrai che sarà altrettanto efficace.”

“Su questo non ho dubbi. Ho preparato la colazione. Mangiala finché è calda.”

“Caffè, uova e pancetta?” Chiese indossando il casco.

“Certo. L’apoteosi del colesterolo! Non capirò mai come faccia a piacerti certa roba. Nel cucinarla ho rischiato di vomitarci sopra. Che dici... avrò appestato tutta la casa?”

“Io non ho sentito niente. Usa non se ne accorgerà nemmeno.”

“Mi preoccupa Yaten. Quel ragazzo ha il fiuto di un segugio.”

“Oggi non viene a colazione. L’ho sbattuto al carico pallet. Ne avrà per tutta la mattina.”

“Invece Minako ha in programma di andare a fare la spesa. Perciò abbiamo campo libero. Andremo e torneremo prima di pranzo.” Evitando di menzionare anche i piani di Michiru riprese il casco tornando ad armeggiarci su mentre Haruka si fiondava sulla sua leggerissima colazione.

Una volta finito di mangiare ed indossata la tuta, la pilota prese le sue cose non trovando però le chiavi. “Le hai prese tu?” Chiese guardandola.

“No!”

“Prova nell’armadietto mentre io mi frugo le tasche.” E fece per uscire.

Siamo agitate, la sfotté mentalmente l’altra controllando i ripiani.

“Guarda che qui non ci sono…” Disse proprio mentre la porta d’ingresso cozzava contro lo stipite ed Haruka faceva scattare il pistoncino del lucchetto chiudendola dentro.

“Cosa cavolo…” Arrivando con due salti al maniglione della porta provò a forzarlo verso destra intuendo cosa fosse successo.

“Haruka che stai facendo?!”

“Non ho bisogno di un copilota. Non questa volta.” La voce le arrivò smorzata dall’anta, ma chiarissima ed inequivocabile nel suo assurdo concetto.

“Non dire idiozie! Aprimi!”

“Vedi di star buona e non fare troppo casino. Le ragazze si sveglieranno tra un’oretta e se hai fortuna per le otto sarai fuori.”

“Aprimi ho detto!” Colpendo l’anta con un calcio la fece vibrare.

“Ti ripeto di stare buona o finirai col romperti un piede.”

“Che cos’è questa sceneggiata!? Quando hai deciso di farmi fuori?”

Haruka raccolse tutta la calma possibile rivelandole che nei suoi piani una sorella del quale non si fidava affatto non era mai stata calcolata. "Mi avresti dato il tormento se ti avessi detto subito di no, ma francamente di una come te non so che farmene.”

“Haruka non scherzare. Dai apri questa porta!”

“Non scherzo mai su queste cose Giovanna. Ora da brava rimani li dentro e non tentare di uscire dai finestroni che non hai più dieci anni.”

“Tenou! Se non apri immediatamente questa porta ti assicuro che appena fuori ti spaccho la faccia! - Due spallate ed una serie d’improperi ancor più inutili. - Haruka… Porca puttana… APRIMI! Non puoi correre da sola.”

Ma Haruka era già lontana. Chiavi strette nel pugno destro e casco nell’incavo dell’braccio sinistro si diresse determinata verso il destino che aveva scelto per lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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