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Autore: reggina    14/11/2019    1 recensioni
Non è tutto oro quello che luccica. All’apparenza i Ross vivono una vita da sogno ma, sotto la superficie perfetta, in realtà non c’è dialogo ma solo incomprensioni e muto rancore.
Nell’arco di un pomeriggio tutto si sgretola. Julian e la sua famiglia si ritroveranno con una realtà tutta da reinventare.
Alla paura iniziale si sostituirà, poco alla volta, la meraviglia di ritrovare dentro di sé le risorse per fare il mestiere più difficile del mondo: il genitore.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jun Misugi/Julian Ross, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amy è stesa sul letto con indosso una maglietta di un paio di taglie più grandi della sua. Sta mangiando il gelato direttamente dalla vaschetta, perdendosi nell’estasi degli zuccheri.

Affonda il cucchiaino e un sentimento di delusione si fa strada tra i suoi pensieri.

Chiude gli occhi per un’istante. La guancia infiamma al ricordo dello schiaffo che Julian le ha mollato ieri ma più di tutto brucia l’offesa subita.

Fino a ieri Amy lo ha guardato con occhi adoranti, come se fosse il re del mondo. Oggi ha la netta sensazione di aver sciupato tutto.

Sospira. Nemmeno il gelato funziona come illusione di una felicità effimera.

Naomi spinge gli occhiali sui capelli e la fulmina con lo sguardo.

“Non serve a niente starsene seduta tutto il giorno a piangere dentro un barattolo di gelato, così non guarirai più in fretta il tuo cuore spezzato. Hai bisogno di sole e di aria fresca!”

Non ha nessuna voglia di uscire di casa ma, come sempre, sua madre dice la cosa giusta per spronare quella faccia carina con lo sguardo perso in un orizzonte lontano.

Amy obbedisce anche se sembra non avere nessuna aspettativa.


Julian è steso a letto immerso nella buona puzza di formaldeide, la stessa di tutti gli ospedali. Una puzza bianca e fredda come l’acciaio.

Il suo è stato un risveglio standard, praticamente all’alba: le luci che si accendono, l’infermiera che lo sveglia, la febbre da misurare…

È una bella giornata di sole. Qualcuno gli ha aperto la finestra e l’aria porta finalmente dentro la sua stanza d’ospedale un po' di profumo, il profumo di resina degli alberi davanti all’ospedale.

Resta in ascolto e ode chiaramente il tramestio del personale medico, porte che si aprono e si chiudono, i campanelli dei malati che hanno bisogno di aiuto, i carrelli delle medicazioni e tanti altri rumori.

Non vuole stare in questo posto. Anche se dorata è pur sempre una prigione!

Ha ancora un terribile dolore al petto e le gambe molli come burro. Trema vistosamente mentre cerca di compiere il gesto così normale, così naturale di rimettersi in piedi.

Ancora una volta quella nota sensazione di frustrazione che avvolge il fallimento, che ha vissuto già tante volte da quando ha scoperto la malattia e in cui si è ripromesso di non cadere mai più, lo aspetta in agguato, sprezzante.

Piange di rabbia ma, alla fine, la sua ostinazione ha la meglio e, dopo vari tentativi, riesce a rimettersi in piedi.


Amy cammina senza meta, senza pensare di arrivare da qualche parte e sono soltanto i suoi piedi a condurla in una sorta di pellegrinaggio per le strade dell’hinterland di Tokyo che culmina in una sosta in quel simulacro di affetti, di ricordi e di sentimenti.

È il campo da calcio in cui si è consumato il dramma del giorno prima.

Il tabellone graffiato segna ancora il risultato di vittoria per 5-4 della New Team, le porte bianche sono mangiate dalla ruggine e le zolle di terra smosse dalla pioggia.

Rimane immobile tra i fili d’erba bagnati, poi sobbalza: c’è qualcuno appoggiato allo schienale di una delle panchine.

È lontano ma ha una fisionomia e una postura così familiari che la ragazza accelera il passo per raggiungerlo, tradendo una certa urgenza.

Quando arriva a pochi passi di distanza sente il respiro affannoso dell’altro.


Julian usa la panchina come punto di appoggio, proprio come ieri si è sostenuto al palo della porta. Il suo viso smunto e tirato è solcato, per un’istante, da un’ombra che si trasforma in un mezzo sorriso quando cede e si siede di schianto su uno dei seggiolini colorati con un sorriso di sollievo.

“Stai bene?”

Amy è ancora arrabbiata con lui ma, in una frazione di secondo, la preoccupazione prende il sopravvento. Gli si siede di fianco mentre Julian annuisce e inizia a parlare con voce strascicata e roca.

“Quando ero bambino, mia nonna mi raccontava spesso la storia di due amici che camminavano nel deserto. Ad un certo punto iniziarono a discutere e uno dei due diede uno schiaffo all’altro.”

Fa una pausa, si inumidisce le labbra secche e prima di proseguire osserva con cautela Amy, come se temesse di venir preso in contropiede dalla sua reazione.

Lei resta in silenzio, arrossendo lievemente.

“Addolorato, ma senza dire nulla, l’amico che aveva ricevuto lo schiaffo scrisse nella sabbia: oggi il mio migliore amico mi ha dato uno schiaffo . Continuarono a camminare finché non trovarono un’oasi dove decisero di fare il bagno…”

A quel punto la ragazza lo interrompe, prendendo nelle sue la mano livida e ghiacciata di lui. Anche lei conosce bene quel racconto, testimonianza di una forte amicizia e allora continua con voce tranquilla.

“L’amico che aveva ricevuto lo schiaffo rischiò di affogare ma l’altro lo salvò. Quando si fu ripreso, scrisse in una pietra: oggi il mio migliore amico mi ha salvato . Quando era stato ferito lo aveva scritto nella sabbia perché i venti del perdono potessero cancellarlo, adesso che era stato aiutato lo aveva scritto nella pietra perché restasse scolpito per sempre.”

Sono anime in disordine in una luce soffocata da un dolore gemello. <è> Basta un incontro dei loro occhi e questa comunicazione rapida e perfetta trascende ogni parola o azione.


È il tramonto, uno di quelli che irrompono da qualche angolo nascosto del cielo e ti ricordano perché sei vivo, e lo sguardo di Julian è così fragile e radioso che Amy perde ogni orientamento.

“Io ti perdono, Julian!”

La voce della ragazza è tranquilla e pacata come se avesse deciso di buttarsi quel brutto incidente alle spalle per non permettergli di incrinare la loro amicizia.

Julian resta accucciato nel suo angolo di panchina, rannicchiato su sé stesso, tremando come un gattino appena nato. Amy gli si avvicina, tendendo una mano sulla sua fronte scottante. Si sfila il foulard a fiori e glielo annoda intorno al collo.

“Mettiti questo. Hai i brividi.”

Lui sorride al pensiero di essere costretto ad indossare un fisciù poco virile ma non obietta.

“Non sono brividi di freddo.”

Puntualizza. Immediatamente dopo si sente in dovere di spiegarle, con estrema franchezza, i motivi che hanno guidato il suo deprecabile comportamento il giorno prima.

“Non permetterò a nessuno di mettermi in gabbia, nemmeno a te Amy. Capisco che tu sia preoccupata per me ma ho un sogno che mi sono ripromesso di proteggere con le unghie e con i denti. Niente, nemmeno il destino riuscirà a mettermi i bastoni tra le ruote…” I suoi occhi ardono di determinazione. Sembra forte e sicuro di sé ed è questo a dare ad Amy la spinta necessaria a fare la sua scelta: gli sarà alleata.

Avrà la stessa forza di resistere e di sfidare, insieme a lui, tutto e tutti.

“Abbiamo condiviso un segreto inconfessabile e un pizzico di follia, ecco cosa lega due persone per sempre!”

Essere complici è il massimo livello di intimità e ciò che li unisce è molto di più di un’affinità profonda e un rispetto reciproco.

“Ora aggrappati al mio braccio. Devi tornare in ospedale prima che si accorgano della tua fuga e chiamino la polizia!”

   
 
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