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Autore: Eevaa    17/11/2019    4 recensioni
• Dopo otto lunghi anni dall'ultima battaglia contro Thanos, Peter trova finalmente il coraggio e il modo di mettere a posto le cose. Tuttavia riuscirà a sistemare anche il conflittuale rapporto con se stesso? •
Peter aprì gli occhi nuovamente, serrando la mandibola più forte. Non avrebbe mai dimenticato, non lo aveva mai fatto.
E, proprio per quel motivo, realizzò solo in quel momento come avrebbe dovuto agire.
Non aveva mai potuto farlo per se stesso, ma ora l'avrebbe fatto per Lei.

[TonyxPeter] [Spoiler!Endgame] [Spoiler!Far From Home]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Morgan Stark, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà della Marvel.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

 
 

HIGH
HOPES

 
CAPITOLO 7 – JUST SCARED OF NEVER FEELING IT AGAIN
 


•••


L'immaginazione di Peter era sempre stata contaminata da un preponderante senso di colpa. Sempre.
Ogni qualvolta che la sua mente prendeva il volo o se ne andava a spasso per mondi e situazioni creative, il Peter razionale che albergava in lui lo aveva sempre acchiappato con una ragnatela e costretto a tornare con i piedi per terra.
Beh, a parte nei suoi sogni. E quello aveva tutta l'aria di esserlo, perché da troppi secondi stava percependo sulle sue labbra un sapore che aveva sempre fatto parte solo della sua fantasia. E il suo raziocinio non stava facendo proprio un bel niente per scuotere la testa e tornare alla realtà.
Era un sogno. Per forza! Oppure Tony si sarebbe già staccato, avrebbe già scansato le mani dalle sue guance bollenti e sarebbe già tornato a compiere azioni di quotidianità. E lui si sarebbe dato dell'idiota per aver anche solo osato immaginare uno scenario del genere.
Eppure quelle sensazioni erano così... vivide. Quel sapore era così forte, l'odore di dopobarba della pelle di Tony non l'avrebbe colpito così intensamente e il suo stomaco non si sarebbe messo a fare le contorsioni di un circense del Cirque du Soleil, se si fosse trattato di un sogno.
Avrebbe dovuto aprire gli occhi e comprendere, capire. Ma la paura di schiuderli e trovarsi nella sua stanza - solo e sudato per un semplice sogno – non era affatto ciò che desiderava. Avrebbe voluto rimanere lì per l'eternità a godersi ciò che per anni aveva immaginato e che in quel momento sembrava così... reale.
Peter approfondì quel contatto beandosene in ogni sfaccettatura, percependo sulle papille gustative un sapore nuovo, un sapore che lo mandava in estasi e che lo rendeva leggero e pesante allo stesso tempo.
Solo quando Tony, dopo chissà quanti secondi, decise di rompere quel contatto per poter contemplare ciò che di bello aveva di fronte, Peter fu costretto a realizzare che l'impossibile fosse appena divenuto possibilità.
Aprì gli occhi e si accorse che non fosse alcun sogno, di alcuna immaginazione. Era sul piano del reale, perché le iridi color cioccolato di Tony, velate e luccicanti, viste da così vicino possedevano nuove sfumature che la sua immaginazione non avrebbe mai potuto creare.
Trattenne il respiro nel vederlo lì, ancora con le labbra schiuse, le gote arrossate sotto il pizzetto ispido e le mani che ancora gli sfioravano le guance. Era qualcosa che aveva desiderato in modo ingiustificato per anni, qualcosa che aveva tentato di tenere solo per sé e qualcosa che l'aveva fatto sentire sciocco e irrazionale. Un desiderio che aveva sempre ritenuto ai margini della follia. 
Era accaduto. Lì, in quel laboratorio, con sottofondo il bip incessante del saldatore. Non era giusto che fosse accaduto. 
Per Peter, fu come essere gettato nelle acque più gelide del Mare del Nord. Si allontanò con uno scatto e ruppe quel magico filo dorato che li aveva tenuti uniti fino a quell'istante. Si allontanò con il respiro affannoso e il panico pronto a mettergli le mani attorno al collo. Prese distanza e vide lo sguardo di Tony corrucciarsi indispettito.
«P-Pete?» 
«Oh no... no, no, no!» farneticò Peter, allontanandosi ancora di più, urtando accidentalmente uno dei carrelli per gli attrezzi, ribaltandolo. «Signor Stark, non... questo... non deve accadere» continuò, prima di avviarsi a ritroso verso l'uscita, spaventato più che mai.
No, non era pronto ad accettare che le cose tra loro cambiassero. Tony non sapeva quanto lo avesse amato, da sempre. Quello che per il suo mentore era stato un semplice bacio dettato da chissà quale voglia spasmodica, per Peter aveva significato un mondo intero e no, non poteva illudersi.
Non doveva illudersi, o ci avrebbe sofferto troppo. Non voleva perderlo di nuovo.
«Ma che... aspetta! Io... scusami, Peter, non volevo metterti a disagio» tentò di fermarlo Tony, in preda al panico, sentendosi un completo e perfetto imbecille. Mosse un paio di passi, ma le sue gambe tremavano. 
«No... m-mi dispiace! Mi dispiace!» biascicò Peter e, divorato oramai dalla paura, sparì oltre la porta automatica. 
Tony si lasciò cadere
 con un tonfo sulla sedia girevole e si portò entrambe le mani nei capelli.
Cosa diavolo aveva appena combinato!?


I vendicatori presenti alla festa di Natale non ci avevano fatto troppo caso al fatto che Peter e Tony fossero spariti per ore. Thor e Quill avevano trovato modo di sfidarsi a un semplice gioco strategico da tavolo fino alle quattro del mattino e Morgan, assonnata, si era addormentata sul divano prima che potesse rendersi conto della tarda ora.
Bruce la riportò in camera in braccio e, solo quando lei – mezza addormentata – domandò dove fosse finito suo padre, il dottore si rese conto che Tony e Peter fossero assenti da quando erano andati in laboratorio a lavorare al nuovo controller.
Diede un bacio sulla fronte alla ragazza e poi, incuriosito, scese con l'ascensore fino al seminterrato alla ricerca di risposte. Ma, quando entrò e vide Tony con le occhiaie fino alle caviglie e una compulsiva voglia di mettere a soqquadro l'intero laboratorio per produrre nuovi aggeggi del tutto inutili, capì che dovesse essere successo qualcosa.
Bruce si appoggiò allo stipite della porta con le braccia conserte e guardò l'amico trotterellare nervoso in giro per la stanza in modo casuale, senza scopo. Questi ignorò la sua presenza e brontolò frasi sconnesse adornate di imprecazioni.
«Tony? Stai cercando qualcosa?»
«No! Niente!» rispose, nel tentativo di arpionare con due grosse pinze un bullone di un grosso marchingegno color platino, intimando poi a Ferro Vecchio aiutarlo.
«Mi sembri in difficoltà» constatò Bruce, con le labbra strette in un'espressione di disappunto. Era risaputo che quel genio di Tony Stark fosse solito bazzicare il laboratorio fino a tarda notte, ma il giorno di Natale, alle quattro del mattino, quello sì... era un po' strano. Soprattutto a causa di quegli scatti nevrotici.
«Affatto. Rogers lo è. Dobbiamo farlo visitare» propose Tony, lanciandosi alle spalle la pinza e percorrendo la stanza a grandi falcate per mettersi a lavorare a qualcos'altro, senza obiettivo.
Bruce sgranò gli occhi. «Rogers? Cos'ha?!» Aveva visto Cap durante la cena e non aveva affatto l'aria di essere una persona in difficoltà.
Tony interruppe ogni operato e rimase immobile con lo sguardo fisso davanti a sé per qualche secondo. Poi, come colpito da una geniale intuizione, si voltò verso Bruce e lo indicò con un cacciavite.
«Si è rincoglionito» rispose lapidario, poi iniziò ad armeggiare con un vecchissimo modello di casco.
Brucce alzò le sopracciglia e scosse la testa, con un sorrisetto. Se conosceva almeno un poco Stark e Rogers, era pronto a scommettere che avessero discusso. Era perdurata già fin troppo quella pace!
«Tu dici?» domandò, incrociando le braccia al petto con finta sorpresa.
Tony sbuffò, poi aprì con le dita un ologramma raffigurante dei nuovi materiali e li fece scorrere con poco interesse. Solo pochi giorni prima, Captain Stranamore era giunto proprio in quel laboratorio fingendosi un grande esperto di relazioni sociali e gli aveva intimato di “aprire il suo cuore” a Peter. Il risultato? Un completo disastro. Maledetto vecchiaccio e maledetto il giorno in cui aveva deciso di dargli retta.
«Oh sì! Completamente andato! Kaputt! Temo possa essere l'inizio di un declino cognitivo. Oppure forse lui dispensa consigli di merda perché è un completo incapace, o peggio perché vorrebbe affossarmi. E io che pensavo che avessimo oramai dissipato i rancori! A questo punto preferirei ipotizzare un deterioramento fisiologico neuronale. Ha una certa età, del resto. Quanti anni ha, oramai? Centosettanta? Duecento?» farneticò Tony, selezionando funzioni a caso dall'ologramma del computer e destinandoli alla saldatrice. Non sapeva nemmeno cosa stesse facendo, in realtà. E perché.
«Stark... di che diavolo parli?» domandò Bruce. Sì, era evidente che Cap e Ironman avessero qualche malaffare in sospeso. Come se fosse una novità!
Tony rizzò la schiena, indispettito. Perché diamine ne stava parlando? Tanto nessuno avrebbe potuto risolvere i suoi problemi, men che meno Shrek. Non aveva certo bisogno di altri consigli di merda!
«Niente. Niente di niente! Se vedi Rogers, prenotagli una visita dal neuropsichiatra» sibilò velenoso, incamminandosi poi ad ampie falcate verso l'uscita. «Vado a dormire!»
Bruce lo guardò allontanarsi. Sospirò, ma non si sorprese affatto del comportamento del suo collega: il bipolarismo Stark era una di quelle caratteristiche che quasi gli erano mancate.


 


L'ultimo dell'anno sopraggiunse e trascorse in fretta come un temporale estivo, e con lui anche la celebre e consueta festa con le premiazioni del grande torneo del miglior supereroe. 
Ma, sebbene la “giuria tecnica” fosse ben più che propensa a dare a Peter dei punti bonus per aver riportato indietro Tony Stark il precedente settembre, i numeri parlavano chiaro: i danni subiti portavano Spiderman dritto dritto in seconda posizione nella classifica.
La gioia di Thor – e il suo lungo e incomprensibile discorso durante la festa di Capodanno – si tramutò ben presto in un'interminabile gara di rutti tra lui e i Guardiani della Galassia.
Il tasso alcolemico della serata superò la soglia della decenza addirittura prima dello scoccare della mezzanotte, ma Morgan insistette con il padre che fosse oramai abituata a cotanta ebbrezza. Voleva festeggiare a tutti i costi l'arrivo del 2032 e registrare quanti più filmini imbarazzanti di zio Thor per poterlo ricattare durante l'anno a seguire. Su questo Tony non ebbe nulla da obiettare, anzi contribuì a immortalare lo stato indecente in cui versavano i suoi colleghi. Supereroi, si facevano chiamare! Di Super, in quel momento, avevano solo la Tennent's.
La musica alta e assordante, ma non riuscì affatto a coprire il rumore altisonante dei suoi pensieri catastrofici. Non era riuscito a nascondere un'espressione di completo disappunto nel vedere Peter sparire subito dopo la premiazione con la scusa di andare a pattugliare. Seppur vero che - durante la notte di San Silvestro - Manhattan diventasse sempre un covo di tragedie, secondo Tony quella fuga era un altro dei suoi trecentosettantadue modi di evitare di condividere con lui l'ossigeno. 
E quindi, quando intorno all'una di notte Morgan decise che fosse giunto il momento di andarsene a dormire, Stark non si tirò indietro dall'accettare i drink gentilmente offertogli da Thor. “Antiche ricette di Asgard”, aveva detto. Beh, sicuramente un ottimo modo per mettere a tacere le proprie elucubrazioni mentali.
Che fosse stata un'idea di merda se ne rese conto solo il mattino successivo, quando si risvegliò ancora mezzo intontito sul divano della sala ricevimenti della T.S.M.A.F, con addosso gli occhi intrisi di disappunto di Steve Rogers. Desistette dalla gran voglia di mandarlo a quel paese solo per quieto vivere – dato che, inoltre, era ancora arrabbiato con lui per avergli dato il consiglio peggiore di tutta la sua vita.
Non fece nemmeno in tempo a bersi un caffè nero e bollente in santa pace che la chiamata di Nick Fury gli ricordò che, dannazione, quello stesso pomeriggio sarebbe giunto al quartier generale per discutere delle ultime novità sul caso HIDESTAGE. Gli rammentò di radunare quanti più Avengers possibili e chiuse la discussione con un eloquente invito a far eliminare la foto che quell'imbecille di Peter Quill aveva caricato sul loro gruppo Telegram. La raffigurazione pittorica di Tony Stark intento a dormire scomposto sul divano con una cravatta annodata in testa alla Rambo non avrebbe affatto giovato alla credibilità di quell'incontro.

Da quella riunione se ne susseguirono tante altre con ritmo bisettimanale, riunioni volte a trovare una qualsivoglia soluzione agli attentati che, imperterriti, si stavano tenendo in tutto il mondo e sempre collegate in qualche modo all'azienda di nuove tecnologie.
Solo durante la terza settimana di gennaio, Peter aveva dovuto sventare tre attacchi alle periferie di New York.
La mente degli Avengers era talmente impegnata alla soluzione di quel caso che nessuno di loro, all'apparenza, aveva fatto caso al radicale cambio di rapporti tra Tony e il suo pupillo. Durante le riunioni, se prima erano soliti togliersi la parola a vicenda per proporre soluzioni analoghe, attualmente entrambi evitavano l'uno lo sguardo dell'altro, e se ne stavano ammutoliti quando uno dei due completava un report.
Nella vita quotidiana le cose non andavano molto meglio: si evitavano come la peste e, solo per non far preoccupare Morgan, di tanto in tanto passavano qualche serata entrambi con lei evitando però in qualsiasi modo confronti diretti. Sorrisi di circostanza, qualche battuta senza capo né coda.
Stark era frustrato. Ci aveva provato, i primi giorni dopo Natale, ad avvicinarsi per poterne quantomeno parlare, ma Peter coglieva sempre la palla al balzo per recarsi a Manhattan e Tony, di conseguenza, per chiudersi nel laboratorio a bestemmiare. Così via via passarono i giorni, poi le settimane, poi più di un mese senza darsi la minima spiegazione riguardo a quanto fosse successo la sera di Natale. Nessun confronto, solo un gran fuggi-fuggi da persone immature che non riescono ad affrontare un discorso.
Durante la riunione del tre febbraio, i vendicatori non furono mai così vicini dal risolvere il caso. Avrebbero però avuto bisogno di tecnologie ancor più all'avanguardia per poter captare e resettare i nuovi super-droni utilizzati negli attacchi, tecnologie che però erano ancora in fase di sviluppo nel Wakanda.
Shuri e T'Challa avevano suggerito a Tony, Bruce e Peter di recarsi in Africa per poterci lavorare insieme e ottimizzare le tempistiche ma, un po' per non lasciare sola Morgan e un po' per rimanere a pattugliare nello stato di New York, Peter convenne che sarebbe stato il caso di rimanere lì. Nessuno ebbe nulla da obiettare, ed effettivamente le sue ragioni avevano senso. Ma Tony riuscì a leggerci tra le righe la completa assenza di voglia di intraprendere un viaggio a contatto ravvicinato con lui.
Fece finta di niente e, la sera stessa, lui e Bruce partirono per il Wakanda fino a data da destinarsi.

 



Quando Morgan uscì dalla porta sul tetto della scuola e intravide Peter seduto al bordo della balaustra - con il cappuccio del parka giallo tirato fino alle sopracciglia - il suo volto si accese di un gran sorriso. Non era raro che l'andasse a prendere dopo le lezioni e, dato che Happy era partito la sera prima per l'Africa, quella era senz'altro una buona occasione per farlo. La T.S.M.A.F non era raggiungibile in modo rapido con i mezzi. 
Peter adorava andare a prendere Morgan dopo la scuola, un po' meno essere tormentato dalle ragazzine delle medie per sessioni fin troppo moleste di autografi; proprio per quello le aveva mandato un messaggio intimandole di trovarsi nel solito posto.
Le sorrise e sollevò un sacchetto di In-n-out contenente le migliori schifezze take-away della Grande Mela.
Dopo aver scelto un eccellente parapetto per poter osservare la città viva senza essere notati, si misero entrambi a cavalcioni per gustarsi un bollente e filante cheeseburger doppio cheddar.
Erano momenti magici, imperdibili. Parlarono di scuola, di musica, di quanti ragazzi Morgan avesse dovuto tenere alla larga nelle ultime settimane – lei era ancora piccola per avere il ragazzo, questa era la scusa che rifilava a chi troppo la tampinava - e delle riunioni segrete tra S.H.I.E.L.D e Avengers. La ragazza rise a crepapelle alla perfetta imitazione di Nick Fury montata da Peter, il quale si appoggiò una fetta di lattuga sull'occhio e iniziò a elencare con ostentato disappunto tutte le ottemperanze degli Avengers. 
Parlarono di quanti disastri avesse già combinato il piccolo Anakin alla T.S.M.A.F, tant'è che Stephen Strange era stato costretto a chiudere a chiave tutta la sua ala medico-scientifica. Adoravano tutti quel gatto, ma non era l'incarnazione della leggiadria e la delicatezza. Forse era davvero un Flerken. 
Morgan scattò un selfie con Peter tenendo l'ultima patatina in bocca e poi, dopo aver accartocciato il contenitore e cacciantolo dentro il sacchetto in carta, sospirò in dimostrazione dell'appagamento e la pienezza che tutte quelle schifezze le avevano donato.
Sorrise mesta nell'osservare i piccioni volare sul cornicione del palazzo di fronte, un fitto raggio di sole penetrò dalle nuvole grigie e la colpì in pieno volto. Corrucciò lo sguardo e, finalmente, si decise a vuotare il sacco. Quale migliore momento per farlo?
«Quindi, zio Peter... da quant'è che sei innamorato di mio padre?» domandò candidamente.
A Peter andò di traverso la Coca-Cola. Iniziò a tossire, lacrimando dagli occhi e sforzandosi in tutti i modi di riconquistare una certa padronanza . Ma come...?
«Ma che cazzo s-» bofonchiò Peter, rendendosi conto che Cap gli avrebbe fatto sciacquare la bocca col sapone, nell'udirlo esprimersi in quel modo di fronte a una dodicenne. «Morgan, ma cosa dici?! Non è assolutamente vero!»
La ragazza si passò una mano tra i capelli castani e sollevò le sopracciglia con fare ammiccante.
«Ah, no?»
Peter si sentì sull'orlo di un collasso. Quasi i suoi sensi di ragno si anestetizzarono per il battito troppo accelerato del proprio cuore.
«No, santo cielo. Come ti vengono in mente certe cose?!» soffiò il ragazzo, con le dita talmente strette intorno al bicchiere da farne straboccare il contenuto. 
«Beh, è più che palese» commentò Morgan, con un sorriso che le evidenziava le due fossette sulle guance arrossate dal freddo.
«Non...» farfugliò lui, sbuffando aria bollente e fumo di vapore acqueo. «Non lo è! Tra me e tuo padre non ci sarà mai niente. Mai! Siamo solo amici, ok?» continuò, nel tentativo di convincere forse più sé stesso che Morgan. Cielo, come avrebbe fatto a mentire se nemmeno lui era convinto delle proprie affermazioni?
Morgan si strinse nel giaccone verde e infilò il naso nella sciarpa. «Amici che non si parlano da un mese?» incalzò.
«Ma cos... Morgan, adesso stai esagerando» si spazientì Peter.
Sapeva che prima o poi qualcuno si sarebbe accorto del bizzarro comportamento tenuto da lui e Tony, ma che proprio fosse la figlia a portare a galla la questione, quello proprio no. Per lo più con argomentazioni e supposizioni al limite del veritiero.
«Guardami negli occhi e dimmi che non è così» insistette Morgan, ma Peter scattò in piedi con un balzo. Quello era troppo.
«Ok, questa conversazione finisce ora! Ti vieto di aprire bocca. Andiamo a casa» disse lapidario lui, infilando il bicchiere nel sacchetto con così tanta foga da romperlo. Azionò la tuta da Spiderman fin sopra il volto per evitare di farsi cogliere in flagrante rossore, e per di più con gli occhi lucidi. Era fin troppo sensibile all'argomento Tony, in quel periodo.
Morgan si imbronciò e corrugò la fronte, come faceva suo padre nei momenti di rabbia.
«Ma-»
«HO DETTO BASTA!»
Peter la prese per la vita e, senza più dire una parola, iniziò la sua folle corsa in direzione di casa.


Quando giunsero alla T.S.M.A.F, Peter lasciò Morgan all'ingresso - senza nemmeno salutarla - per andare a chiudersi nel suo laboratorio e lei, delusa e amareggiata, camminò ad ampie falcate verso gli ascensori per poter recarsi nella sua stanza, mettersi le cuffie e suonare la chitarra elettrica a tutto volume.
Era arrabbiata con Peter per averle urlato contro, era arrabbiata con se stessa per aver insistito troppo in affari che, sapeva, non fossero poi del tutto suoi, ed era triste per la situazione che si era andata a creare.
Le venne da piangere, ma cacciò indietro le lacrime e si morse il labbro inferiore. 
Amava suo padre e Peter più di ogni altra persona al mondo, ed era stata così felice di vederli sereni insieme, di aver passato del tempo con loro nei mesi passati. Quelle giornate in montagna non se le sarebbe mai dimenticate ed era certa che ci aveva visto giusto: tra quei due era successo qualcosa. Ed era altrettanto certa che provassero qualcosa l'uno per l'altro, l'aveva visto da come si guardavano, da come si parlavano.
A chi volevano darla a bere? Lei era Morgan H. Stark, dannazione! Non le sfuggiva mai niente, tantomeno che quei due non si parlassero per davvero da quel fottutissimo week end.
Solo gli Dei potevano sapere quanto lei desiderasse che tornassero quantomeno a parlarsi, a comportarsi in modo normale ed essere la famiglia di cui lei aveva bisogno. Tuttavia era evidente che avessero dei seri problemi di comunicazione. Gli adulti erano loro, diamine! Possibile che si comportassero come bambini?
Morgan camminò accigliata oltre la cucina, il corridoio e il salotto, rimuginando e sforzandosi di non cedere all'effimero pianto di un'adolescente frustrata fino a quando, proprio dalla stanza della televisione, delle voci fin conosciute echeggiarono in una grande risata.
I Guardiani della Galassia erano tornati alla base dopo un mese nello spazio. Beh, se non altro almeno qualcuno si sarebbe sforzato di farla ridere un po', quella sera a cena.
Fece per proseguire oltre, quando un'idea malsana le balenò in testa. Thor conosceva molto bene suo padre, e Quill era davvero in ottimi rapporti con zio Peter. Entrambi erano persone degne di fiducia, ma anche con quel briciolo di sana follia che in quei casi non era da buttare nel cestino.
Entrò nel salotto mordicchiandosi l'unghia del pollice, accolta dai saluti calorosi di alcuni dei Guardiani, i quali non avevano perso tempo nel saccheggiare la dispensa di schifezze e mettersi davanti ai videogiochi.
Morgan si lanciò sul divano incrociando le gambe, ma non dovette attendere molto a lungo prima che qualcuno si accorgesse del suo muso lungo.
«Ehi, piccolo umano femmina, cos'è quell'orribile faccia scura?» domandò Drax, con la consueta delicatezza di una bastonata sui denti.
Morgan sospirò e si accoccolò meglio sul divano, cercando il coraggio per poter esporre i suoi dubbi. Le avrebbe fatto comodo parlare anche con Mantis e Gamora, ma forse erano a riposare nelle loro stanze. La piccola Neytiri faceva sempre passare a Quill e la sua compagna delle gran nottate in bianco.
«Ecco... forse avrei bisogno di un consiglio!» esplicò lei, ottenendo così la completa attenzione dei Guardiani. 
«Che succede, principessa?» domandò dolcemente Thor, mettendo in pausa la partita e fissandola con i suoi occhi di colori differenti.
«Si tratta di papà e di zio Peter. Non si parlano da un mese!» 
I Guardiani si scambiarono occhiate eloquenti, più che intenti però a non lasciarsi andare in spiegazioni che avrebbero però potuto turbare la ragazzina. Beh, tutti tranne Rocket.
«Oh, accidenti. Lo sapevo che tra quei due stava nascendo qualcosa. La si annusa lontano un chilometro, la puzza di testosterone!»
Le reazioni esasperate dei suoi compagni giunsero silenziose; lo ammonirono con lo sguardo, oppure alzarono gli occhi al cielo, oppure allargarono le braccia con eloquenza. 
«Era proprio necessario?» sibilò Quill tra i denti. Ok che lo avevano capito tutti che tra Tony e Peter ci fosse qualcosa, ma era davvero il caso di farlo capire anche alla bambina?!
«Tranquilli ragazzi, ho dodici anni ma so benissimo riconoscere certe cose. Il punto non è questo, però! Il punto è che dobbiamo trovare assolutamente il modo di farli riavvicinare!» spiegò Morgan.
Gli eroi rimasero di stucco, ma tirarono un gran sospiro di sollievo per non aver creato blocchi della crescita o qualsiasi altro trauma infantile alla piccola Stark.
«Uhm, scommetto solo che gli ci vuole una piccola spintarella» ponderò Thor, nel tentativo di acuminare il pensiero carezzandosi la lunga barba bionda.
«Uhuh, mi piace! La checca isterica e l'egocentrico. Sì, potrebbero funzionare» fantasticò Quill, nell'immaginare una possibile relazione tra il suo amico Ragno e Stark. Sarebbe stato davvero felice se Peter fosse riuscito a trovare qualcuno per lui: erano anni che gli parlava di quanto tutti i ragazzi che frequentava fossero scialbi o non adatti.
«Ok, ma come possiamo fare? Nemmeno riescono a parlarsi» rammentò Morgan, interrompendo le fantasie dei suoi consiglieri.
«Li chiudiamo in uno stanzino» propose Drax, convinto.
«Peter ha i superpoteri, idiota, ci metterebbe un attimo a evadere» berciò Rocket di tutta risposta.
«Idea! Li facciamo sbronzare!» suggerì Thor.

Morgan si portò le dita sulle tempie, massaggiandosi. «Ma perché ci provo...» Forse non era stata poi un'idea così geniale rivolgersi a quel branco di bambini troppo cresciuti.
«Già, pezzo di alcolizzato, il giorno dopo la sbronza potrebbero tornare peggio di prima» lo ammonì Quill.
«Forse dovresti dare a tuo padre il benestare, magari lui si sta facendo le paranoie per te» propose un poco più saggiamente Rocket, dopo essersi arrampicato sul divano per sedersi accanto alla ragazza, sorridendole con delicatezza.
«Nah, scommetto che reagirebbe come ha fatto Peter: intimandomi di farmi gli affaracci miei» sbuffò lei, chiudendosi a riccio e poggiando il mento sulle ginocchia, delusa. Forse non c'era una soluzione ai problemi e avrebbe davvero dovuto farsi gli affari propri.
Tuttavia, proprio quando stavano per perdere ogni speranza di cavarne un ragno dal buco, una vocetta roca si levò dalla sedia più lontana nella stanza.
«Io sono Groot!»
Tutti sbarrarono gli occhi. Tutti tranne Morgan, la quale non aveva capito nulla di cosa diavolo avesse detto l'albero.
«Ehi! Grande idea!» esultò Quill a bocca aperta.
Una grande, grandissima idea.

 


Gli affari in Wakanda si erano conclusi in poco più di sei giorni, e gli eroi americani avevano lasciato la regione con la promessa di tornare entro due settimane a recuperare i progetti ultimati. Shuri ci avrebbe lavorato giorno e notte, poco ma sicuro.
I nemici attaccavano con dei super droni? Beh, loro avrebbero risposto al fuoco con il fuoco con degli iper droni, per giungere così fino alla radice del problema e quindi alla mente degli attentati.
Erano stati giorni di brainstorming molto proficui, e Tony era certo che Nick Fury non lo avrebbe più disturbato per qualche tempo. Aveva bisogno di rilassarsi e, possibilmente, di prendersi un momento di pausa da tutto e da tutti.
Non che da Peter ci fosse bisogno di prendersi pause: erano in pausa da almeno un mese e mezzo. Ma forse gli avrebbe fatto bene passare un fine settimana lontano da lui senza dover pensare nemmeno al lavoro.
Le Hawaii erano senz'altro un buon posto per distendere i nervi.
Quando il jet privato di Happy giunse alla T.S.M.A.F, quel pomeriggio, trovò Morgan ad attenderlo e fu come una benedizione del cielo. Era l'unica persona che avrebbe voluto vedere e della quale aveva sentito una morbosa mancanza. L'abbraccio di sua figlia fu come una piacevole ventata d'aria fresca, ma non ci volle molto per accorgersi che Peter avesse accuratamente evitato di farsi trovare alla base per il loro ritorno.
Provò una certa delusione e una certa rabbia, ma cos'altro poteva aspettarsi?
Tuttavia, quando Peter tornò a casa quella sera e si accorse della presenza di Tony al quartier generale, non riuscì proprio a trattenere il suo cuore dal danzargli nel petto. Quella situazione aveva del ridicolo, ma proprio non trovava via d'uscita, modo di parlarci e risolvere la situazione.
C'era sempre qualcosa che lo frenava, nonostante con tutto il suo corpo desiderasse riavvicinarsi a lui e magari riprovare quella meravigliosa sensazione che aveva provato nel farsi baciare. Ma la sua mente gli aveva imposto quel veto e non era davvero il caso di infrangerlo. Ancora sperava che le cose tornassero come prima così, per magia.


Trascorsero altri due giorni dal ritorno di Tony e Bruce dal Wakanda e, stranamente, tutto era tranquillo a Manhattan. Nessun attentato, niente di niente. Tony ebbe quasi il profondo desiderio di anticipare il suo viaggio alle Hawaii di un giorno e così, quella fredda mattina di febbraio, si avviò verso la cucina per proporre a Morgan un cambio di programma ma, non appena le porte dell'ascensore si aprirono, il dolce e strafottente viso del Bimbo Ragno gli apparve davanti come un'apparizione mistica. Il cuore a mille.
Si fecero un cenno di saluto distratto, più che intenti a incamminarsi ognuno nella propria direzione ma, proprio in quel momento, un boato e delle urla concitate si levarono appena fuori la porta d'ingresso. Si voltarono entrambi con ansia, facendosi poi segno di avviarsi in fretta e furia a capire cosa diavolo fosse successo.
Rocket entrò nell'edificio con la fronte sudata e gli occhi iniettati di panico.
«EHI! Ehi, voi! Emergenza! ALLARME! Degli alieni sono appena arrivati sulla Terra! Proprio qui nel cortile!» urlò il procione, sbracciandosi e invitando i due supereroi a raggiungerlo.
«Rocket, calma, non sono i soliti droni? Non avete anche voi il sistema di riconoscimento Giu Le Maschere?» domandò Peter, dopo aver premuto il comando della sua tuta per lasciarsi avvolgere da essa, pronto a combattere. Dannazione, un attentato proprio fuori dalla T.S.M.A.F non se l'aspettava proprio!
«Certo che ce l'abbiamo, idiota! Non sono droni, non c'è tempo da perdere! Quill ha tentato... ha tentato di salvarla ma lo hanno rapito... INSIEME A MORGAN!» urlò Rocket, in preda al panico. E il panico, naturalmente, colse anche i due supereroi.
«COSA!?» gridarono all'unisono Tony e Peter, scattando poi insieme a gran velocità verso l'esterno.
Rocket, correndo a loro fianco, gli intimò di salire sulla navicella per correre all'inseguimento delle astronavi nemiche.
Tony aveva il cuore in gola. Non poteva essere vero! Non potevano aver rapito la sua Morgan. Cosa diavolo stavano facendo quella manica di idioti?! Possibile che non ci fosse stato nessuno - oltre a Starlord - pronto a combattere?
Peter, Rocket e Tony salirono sulla navicella dei Guardiani, trovandoci dentro Groot pronto a salpare alla volta dell'atmosfera. Non fecero nemmeno in tempo a sedersi per allacciarsi le cinture, perché il portellone si chiuse e la nave partì a tutta velocità verso il cielo.
Peter si ancorò al terreno con una ragnatela, e acchiappò Tony allo stesso modo per non farlo cadere all'indietro.
«MA SIETE IMPAZZITI? E SE CI SERVISSERO RINFORZI?» urlò poi.
Tony ebbe come l'istinto di vomitare. Si era ripromesso che non sarebbe mai più salpato per lo spazio, non dopo quello che aveva subito al ritorno da Titano. Il solo pensiero lo uccideva, ma per Morgan quello e altro.
Tuttavia Peter aveva ragione: perché diamine non avevano aspettato che anche qualche altro Avenger salisse sulla nave? Sarebbero riusciti a far fronte a una nuova minaccia solo in quattro?
La pressione diminuì dopo una manciata di secondi e, neanche il tempo di rendersene conto, si ritrovarono in orbita nel cielo scuro della via lattea. Tuttavia, al contrario di quello che i due eroi si aspettarono, la navicella rallentò fino a ritrovarsi a galleggiare appena fuori dall'atmosfera terrestre.
«Ma che vi dice il cervello?! Oramai siamo qui, inseguiamoli!» berciò Tony, per intimare al comandante di procedere all'inseguimento dei nemici ma, di tutta risposta, Rocket scoppiò in una fragorosa e irritante risata. «Che diavolo hai da ridere, furetto? Ti sembra il momento di scherzare?!» grugnì, con il cuore in gola e l'intensa sensazione di nausea.
Rocket, di tutta risposta, fece però apparire sugli schermi della nave una foto raffigurante la signorina Stark, Quill, Thor e Drax nella cucina della base intenti a fare colazione.
«Siete proprio due boccaloni! Morgan sta bene, guardate, ci ha inviato proprio ora un selfie!» spiegò Rocket, ingrandendo la foto e mettendo in luce il dettaglio del dito medio di Quill rivolto alla fotocamera.
«Temo di non capire» sibilò Tony a denti stretti, comprendendo però più che bene che si trattasse di un falso allarme. Ciò che non capiva, però, era che cazzo si fossero bevuti per anche solo pensare ideare una cosa del genere.
«Ma che razza di scherzi sono?! Che droghe spaziali avete assunto, stamattina, al posto del caffè? Forza, riportateci subito giù. Ne discuteremo a terra» sbuffò Peter, rabbioso, anche se rincuorato dal fatto che Morgan non fosse in pericolo. Oh, ma gliene avrebbe cantate eccome appena giunto sulla Terra. Gli era quasi venuto un infarto, dannazione!
«Spiacente, ho ordini di non farvi scendere da qui fin quando non avrete parlato» espose Rocket, mostrando tutti i denti aguzzi in un sorriso compiaciuto.
E, solo in quel momento, sia Tony che Peter realizzarono cosa fosse successo. Peter aveva assai temuto che la discussione interrotta con Morgan non fosse affatto finita lì, ma non credeva sarebbe potuta arrivare a tanto pur di farli chiarire.
Mentre Tony, beh, non aveva mai sospettato niente fino in quel momento. Le cose si fecero d'un tratto cristalline. Del resto Morgan era figlia sua, e la perspicacia l'aveva senz'altro presa da qualcuno.
«Brutti figli di-» ringhiò Tony, trattenendosi a stento dal compiere un furetticidio.
«Facci scendere. Subito!» ordinò imperativo Peter, poi si avvicinò minaccioso a Groot e ai controlli per tentare di comprendere come si comandasse quell'affare.
«Io sono Groot!» esclamò però l'albero, allungando le braccia e colpendo entrambi i supereroi al centro del petto per spingerli oltre la sala comandi, con prepotenza. Atterrarono nella sala di riposo con un tonfo, poi Groot procedette con la chiusura ermetica del portellone per imprigionarli.
«TI TAGLIO LE RADICI!» urlò Stark, inveendo contro l'albero. Si alzò di scatto e iniziò a picchiare contro il portellone chiuso. Avrebbe benissimo potuto indossare di nuovo la sua tuta e scagliare un raggio verso la porta ma, trovandosi nello spazio aperto, meglio evitare di danneggiare una nave spaziale che li teneva in vita.
Peter sbuffò e tirò un forte calcio a una delle sedie, inclinandola, poi iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza.
Tony lanciò qualche altra maledizione e bestemmia nei confronti dei due Guardiani dalla Galassia nella sala comandi, non del tutto certo però che riuscissero a sentirlo. Aveva tutta l'aria di essere insonorizzata. 
Il silenzio calò in quella stanza per più di un minuto, il silenzio opprimente dello spazio e una navicella con i motori spenti. E, proprio per quel dannato silenzio, Tony si ritrovò ai bordi di un attacco di panico.
Avrebbe dovuto fare qualcosa, qualsiasi cosa per non rivivere quel dannato ricordo. E, piuttosto, si sentì pronto ad affrontare l'argomento spinoso con Peter.

«Sembra che non abbiamo altra scelta» sospirò infine, allargando le braccia e gettandosi su una delle due poltroncine arancioni. Invitò Peter a sedersi su quella di fronte ma il ragazzo titubò, poggiando la fronte a una delle lastre di metallo delle pareti.
«Non credo ci sia molto da dire» sbuffò Peter, ad occhi chiusi. Non sapeva se essere arrabbiato, deluso, spaventato o cos'altro.
Di certo non si era svegliato quella mattina con le intenzioni di affrontare un discorso e, anzi, no, quella mattina non si era affatto svegliato! Stava rientrando da una pattuglia, prima di incorrere in quel dramma. Si rese conto solo in quel momento di quanto fosse stanco.
«Ah, no? Proprio niente?» incalzò Tony, con evidente sarcasmo e un pizzico di veleno nella voce. Fece roteare con il piede la poltrona girevole per intimargli di sedersi subito. Non era più un semplice invito.
Peter alzò gli occhi al cielo, provando una fitta al cuore. Era davvero arrivato il momento, alla fine.
«... ok, forse ci sarebbe molto da dire su quello... che è successo» spiegò, avvicinandosi alla sedia e affondandoci con titubanza. «Ma signor Stark, non possiamo lasciare le cose come stanno e basta?»
«Potremmo, a patto che le cose ritornino com'erano fino a due mesi fa, non come sono adesso» propose Tony, gesticolando. Era più che ben disposto a rimanere solo amico di Peter, a patto che fosse un'amicizia vera, sincera. Senza tutti quei filtri e imbarazzi.
«Giusto. Giusto... ottima idea» accettò Pete. Era quello che sperava, no? Semplice. Semplicissimo.
«Bene» concluse Tony, le mani incrociate in grembo e la schiena appiattita contro la poltrona.
«Bene» ripeté Peter, nervoso.
Si guardarono negli occhi per diversi secondi, entrambi con un forzatissimo sorriso di circostanza stampato in volto. Peter iniziò a far ballare il piede, Tony a scrocchiarsi le dita in modo compulsivo. Tanti, troppi secondi di silenzio.
Semplice un paio di palle.
«No, idea di merda» convenne infine Peter con uno sbuffo, sciogliendosi da quella gelida posizione impostata.
«Sì, decisamente». Tony confermò e si passò una mano tra i capelli.
Non sembrava essere affatto una soluzione funzionale. Non per loro che provavano dei sentimenti così... bizzarri. Contrastanti, forse? Beh, ad ogni modo molto forti.
«Ok, parliamone allora» soffiò Peter, con una certa rassegnazione. Affrontare quel discorso avrebbe significato esporsi. Esporsi per davvero.
«Oh, non saprei da dove iniziare. Uh, forse dal fatto che mi hai allontanato come un appestato?» domandò retorico Tony, alzando le sopracciglia e aprendo le mani come se avesse avuto una trovata geniale. Nelle sue parole un pizzico di malcontento.
«N-non è così, signor Stark». Non l'aveva esattamente allontanato perché non voleva baciarlloma del resto avrebbe potuto risultare fraintendibile.
«Ok, ammetto di non aver ricevuto molti due di picche nella vita. Anzi, forse non ne ho proprio mai ricevuti! Caspita, c'è sempre una prima volta in tutto!» cinguettò con finto entusiasmo Tony, divenendo poi più serio. «Ma, detto ciò, mi sarebbe forse piaciuto di più un no, non sono interessato, signor Stark, grazie ma no grazie piuttosto che... questa cosa» concluse, evidenziando con l'indice una linea invisibile avanti e indietro tra lui e Peter.
«Io sono interessato» rispose Peter, quasi indignato.
«Ah! Oh, wow!» disse Stark, con finto stupore. «Hai davvero un modo singolare di dimostrarlo».
«Non faccia il sarcastico con me».
«Chiedo scusa. Bimbo Ragno non apprezza il sarcasmo?» domandò Tony, lapidario, con un sopracciglio sollevato.
«Sembra che lei... che lei sia arrabbiato con me» mormorò Peter, una nota di tristezza nelle sue parole. Quello scambio di battute era stato davvero... troppo da Tony. Se lo aspettava, del resto. Non si era comportato nel migliore dei modi e non gli aveva dato una spiegazione.
Il vero problema era che la sua spiegazione era troppo difficile, troppo complessa da esternare. E cosa avrebbe potuto dirgli? “Sai, sono innamorato di lei da tutta la vita, quindi non voglio fare il suo puntello”? Che pessima idea. 
«No, Pete. Non sono arrabbiato. Ma ho quasi cinquant'anni e una figlia. Non ho più tempo di rincorrere le persone» sospirò Tony, con un sorriso sghembo. Un sorriso sincero da far stringere il cuore a Peter, il quale abbassò immediatamente lo sguardo per perdersi nelle sue All Star nere.
«L'ho delusa?» mormorò, in preda ai sensi di colpa. L'ultima cosa che avrebbe voluto fare era allontanarlo per davvero. Avrebbe solo voluto che le cose rimanessero come quando era tornato. Erano così felici! E poi... poi non voleva essere un peso. Aveva venticinque anni e ben sapeva che il suo mentore ne avesse il doppio. Non che per Peter fosse un problema, ma temeva davvero che per Tony comunque prima o poi lo sarebbe stato.
«Mi hai confuso. Onestamente pensavo ci fosse qualcosa, qui» ammise Stark, indicando sempre la consueta linea retta invisibile che li univa. «Ho visto male?»
Peter sussultò. No, che non aveva visto male. Anzi, ci aveva visto fin troppo bene, ma non era comunque la cosa migliore per loro.
«I-io... io...»
«Peter, sinceramente. Ne abbiamo passate tante, anche di peggiori, oserei dire. Voglio la verità, tagliente o dolce che sia» lo supplicò Tony, oramai stanco di tutti quei preamboli. Non era affatto uno da mezzi discorsi e quella, per quanto gli riguardava, era davvero la frutta. Se Peter aveva da dirgli qualcosa avrebbe dovuto farlo in quel momento. Non oltre. Era stanco, stufo, così stufo che avrebbe solo voluto prenderlo e stringerlo a sé e dirgli che andava tutto bene, ma quello era un problema da risolvere.
Peter, d'altro canto, era stanco anche lui di nascondersi. Non ne valeva più la pena, oramai si erano messi fin troppo a nudo e non c'era più il motivo né il modo di nascondersi. A costo di sembrare un idiota, un insicuro, un coglione.
Così, dopo interminabili secondi di indecisione, Peter prese il più grosso e intenso respiro della sua vita per confessare tutto ciò che non aveva mai confessato ad anima viva. Direttamente al mittente, a una velocità di eloquio elevata.
E il mittente, per tutto il lungo discorso a seguire, si lasciò oltrepassare da una miriade di espressioni tutte da Stark.
«Vuole la verità? Ok. La verità è che ho paura, una paura fottuta. Perché mi ero ripromesso di non dirglielo mai. Ma la realtà è che... che io sono sempre stato attratto da lei. Pensavo che inizialmente fosse una cosa Padawan/Obi-wan, ma poi mi sono reso conto che non fosse propriamente così. Pendevo dalle sue labbra in tutto e per tutto. La sognavo, di notte, e soffrivo perché sapevo che non avrei mai potuto averla come avrei voluto. Insomma, ero solo un ragazzino, e lei era il grande Tony Stark. Tutte le mie compagne di scuola avevano una cotta per lei, insomma! Ah, è stata “colpa” sua se ho scoperto di essere gay. Sì. Anche se poi per conferma sono dovuto andare con una ragazza per capirlo per davvero. E per capire se lei, signor Stark, non fosse solo una mia ossessione. Ah, non lo era, tra parentesi. Mi piacciono solo gli uomini. E no, non era solo una cotta adolescenziale. L'avrei seguita in capo al mondo e l'ho fatto anche in capo all'universo, sono tornato e poi... poi lei è morto.
È morto e io non mi sono mai ripreso, mai. Mi sono dato dello stupido per non essermi goduto appieno quei momenti con lei perché ero troppo impegnato a costruirmi castelli in aria. Mi sono reso conto che quello che avevamo, la nostra amicizia, quando lei era in vita, era qualcosa di prezioso e meraviglioso e quando è morto non avevo più niente tra le mani, se non quei ricordi. Inizialmente ho sofferto nell'apprendere che si fosse sposato, che avesse avuto una figlia. Una famiglia, che poi però è diventata la mia famiglia. Ma lei non c'era più, era morto e ho vissuto di nuovo per anni nell'ossessione che avevo. E sognavo, sognavo di poter avere almeno un attimo, un minuto del tempo che mi era stato concesso di stare insieme a progettare, a combattere, a ridere.
E poi, come d'incanto, è tornato. È qui, e non posso permettermi di perderla di nuovo perché sì, complicando le cose in quel modo la perderei sicuramente. Insomma... lei è vedovo da poco, io sarei solo un passatempo, un chiodo che schiaccia il chiodo. Lei mi vede ancora come un ragazzino e non voglio di certo fare il toy-boy, rovinerebbe tutto. Non voglio rischiare quel che abbiamo a causa di una nottata, signore. Per me va benissimo rimanere amici, come lo siamo sempre stati. Il resto non mi importa, quello che provo lo posso mettere da parte, l'ho sempre fatto e non mi sarà così difficile. Voglio solo far parte della sua vita ed essere suo amico è il modo migliore. La prego, non roviniamo tutto per-»
Tony aveva tenuto il fiato per tutto il tempo e mostrato a Peter tutto il suo stupore, la sua perplessità, il suo sgomento, il suo disappunto quando aveva anche solo osato citare Star Wars per qualcosa di così importante, e la sua rabbia al termine “toy boy”.
Aveva provato più di una volta a interromperlo nel sentire certe stronzate, specialmente nel finale di quel lungo, lunghissimo discorso che era tutto da Peter, ma convenne infine che l'unico modo di metterlo a tacere sarebbe stato uno e uno soltanto. E così, dopo aver alzato per l'ennesima volta gli occhi al cielo, l'aveva preso per il bavero della maglietta trascinandolo verso di sé per farlo entrare in modalità “silenzioso”, azzerando la distanza tra le loro labbra.
E Peter glielo lasciò fare, oramai con la bocca disidratata e la lingua allappata per le troppe parole confusionarie, il cuore a mille e la mente in tilt. Un bacio che durò poco, pochi secondi, giusto per far frenare l'escalation prodotta dalla mente del ragazzo. Poi Tony si staccò, sorridendogli e ammiccando come solo lui sapeva fare.
«Erano più semplici i tempi nei quali per farti stare zitto bastava un cheeseburger» mormorò Tony, tentando poi di avvicinarsi di nuovo ma, come pronosticabile, venne frenato.
«S-signor Stark, ma ha sentito quello che ho detto?» domandò inebetito Peter, non del tutto certo di voler davvero interrompere quella cosa. Gli era davvero difficile, ma il problema non poteva affatto considerarsi risolto. Per niente, a dire il vero.
«Ok, se proprio vogliamo attaccare con le filippiche, allora...» sbuffò Tony, ben conscio che con Peter non sarebbe stato affatto semplice ottenere quello che voleva. Ma, proprio nel momento in cui stava per dare spiegazioni sul proprio conto, la porta della sala controlli si aprì con un sonoro rumore metallico, e Rocket cacciò dentro la testa con occhi gravi.


«Mi spiace interrompervi, signori, ma temo che il tempo a vostra disposizione sia scaduto» spiegò il procione, intimando loro di allacciarsi le cinture. Groot, nel medesimo istante, azionò i motori per tornare alla base.
«Fate sul serio? Avete mosso un'astronave per farci parlare e ora-» protestò Tony, con evidente disappunto.
«Abbiamo un problema vero, questa volta. Sul pianeta Terra. Precisamente nel vostro cortile. E questo non è uno scherzo» puntualizzò Rocket, sedendosi su una delle poltrone accanto a loro, allacciandosi la cintura in cuoio.
«Un attentato?! Collegabile al caso HIDESTAGE?» domandò Peter, preoccupato. Certo che quegli imprevisti accadevano sempre nel momento meno opportuno!
«Oh, no. Credo proprio che la HIDESTAGE sia il vostro minor problema, ora come ora» spiegò Rocket, con voce affranta.
I due guerrieri si guardarono con espressione preoccupata. Cosa poteva essere accaduto di così imminente da costringerli a un atterraggio di emergenza?
Di sicuro nulla di trascurabile o facilmente risolvibile. Alla T.S.M.A.F erano presenti fior fior di supereroi, se erano stati richiamati anche loro allora era palese che la minaccia fosse pericolosa. O era forse accaduto qualcosa a uno di loro? Qualcuno era stato ferito? Qualcuno era stato male?
La mente di Tony si accartocciò su se stessa, quando il pensiero volò verso... Rogers? Cristo, non avrebbe potuto sopporarlo. 
Si aggrapparono con le mani ai braccioli delle loro poltrone e digrignarono i denti nell'avvertire la pressione dovuta all'attrito con l'atmosfera e poi, in meno di cinquanta secondi, la navicella attraccò non con troppa delicatezza da dov'era partita.
Quando il portellone si aprì, Ironman e Spiderman si erano già lasciati avvolgere dalle loro armature. Ma, al contrario della confusione che si aspettarono di trovare, un gran silenzio regnava in quel cortile, un silenzio e un gelo che mise i brividi.
Molti degli Avengers e dei Guardiani, in completo e rigoroso mutismo, li stavano aspettando con volti pallidi e occhi sgranati.
Morgan, più di tutti, aveva l'aria di aver appena visto un fantasma. Rhodey, al suo fianco, la teneva per un braccio con le sopracciglia aggrottate. Tony cercò con lo sguardo Steve, e tirò un grande sospiro di sollievo nel vederlo lì, in piedi, sostenuto da Bucky; le sue ginocchia tremavano, ma non per la fatica.
«Morgan, che hai? Che... che...» balbettò Peter avvicinandosi alla ragazza fiancheggiato da Tony il quale, con la gola secca, appoggiò una mano sulla guancia della figlia, carezzandola e scostandogli i capelli dal volto. Lei sembrava sull'orlo di scoppiare a piangere.
«Maguna?! Piccola... che diavolo è...» balbettò Tony, non riuscendo proprio a comprendere.
E ci capì ancora meno quando, da dietro il gruppo degli Avengers, una voce fin troppo conosciuta si levò tra la folla. Doveva essere un sogno, un'allucinazione. Credette davvero di aver udito male ma Peter, al suo fianco, sgranò gli occhi e impallidì al suono di quella voce troppo simile alla sua, solo un poco più giovane.
«Signor Stark!»



Continua...
 

ANGOLO AUTRICE:
...toc toc? Qualcuno è riuscito a giungere fin qui?
Mi rendo conto che è stato un capitolo lungo e decisamente intenso e intriso di paranoie al limite del ridicolo. Peter, ma cosa diamine mi combini?
Fortunatamente ci ha pensato Morgan a prendere, a suo modo, dei provvedimenti. Vi avevo avvertiti che sarebbe stata un personaggio assai fondamentale.
Purtroppo, però, i guai sopraggiungono sempre nel momento più sbagliato.
E qui non si tratta di guai risolvibili con qualche scazzottata. Questo finale è decisamente da pugno allo stomaco, me ne rendo conto. 
Ve l'aspettavate? A volte ritornano. Qualcuno si era domandato come mai nel primo capitolo avessi così tanto spinto sul fatto che il povero Peter del passato fosse stato lasciato lì in modo molto triste. Beh, sì, a tutto c'è un perché. 
Peter del passato li ha raggiunti, e le sue intenzioni sono piuttosto palesi.
Vi devo dare una notizia, a questo punto... una notizia che potrebbe essere alquanto sconvolgente: il prossimo sarà l'ultimo capitolo.
Ebbene sì, siamo ad un passo da un dramma bello e buono, e nel prossimo capitolo ci sarà la conclusione. Vi avverto: sarà molto lungo, ma le cose si risolveranno. Bene o male, non posso spoilerarvelo.
Conto di pubblicare entro fine novembre, massimo i primissimi giorni di dicembre. Spero di non avervi sconvolto troppo :D
Vi abbraccio e vi ringrazio, come sempre, per avermi seguito fin qui!
Eevaa

 
  
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