Serie TV > Riverdale
Segui la storia  |       
Autore: Ginevra1988    19/11/2019    1 recensioni
Jughead Jones abita orgogliosamente nella roulotte di suo padre, perché nessuno, tanto meno gli assistenti sociali, possono controllare la sua vita o dirgli cosa farne. Peccato che non abbia un lavoro. O qualsiasi tipo di entrata. E adesso, Jugghy?
What if che cerca di fare i conti con la realtà dei fatti, ambientato poco dopo l'inizio della seconda stagione, prima che la trama prendesse una piega quanto meno fantasiosa.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non c’è balsamo più lenitivo della presenza
affettuosa, discreta, leale,
di persone non obbligate da ragioni di ufficio o di Stato.

Luigi Luisi
 

 
Quarto capitolo
Il balsamo lenitivo



 
 
  Archie sembrava non volersi staccare più da Jughead, che dovette implorarlo di sciogliere l’abbraccio.
  “Sto bene, Archie, davvero.”
  Il suo amico si allontanò, ma rimase comunque sulla sedia poco distante, i pugni serrati e gli occhi fissi su di lui. Fuori dalla finestra i fiocchi della prima neve scendevano allegri e Jay stava preparando dosi generose di cioccolata calda. Era la prima volta che Jughead riusciva ad alzarsi dal letto negli ultimi tre giorni; la febbre era passata, ma aveva ancora bisogno di diversi antidolorifici al giorno e non poteva starnutire senza che il fianco sinistro gli facesse vedere le stelle. Gli ematomi sul viso lo facevano assomigliare ad un panda e il naso era ancora parecchio gonfio, ma finalmente riusciva ad aprire tutte e due gli occhi.
  Betty era rimasta al suo capezzale in tutti i momenti in cui non era a scuola; Jay l’aveva avvertita la mattina dopo il pestaggio, non senza vive quanto inutili proteste da parte di Jughead. Betty in versione preoccupata era qualcosa di asfissiante, ma tirava fuori anche il suo lato più dolce.
  Da Betty ad Archie il passo era stato breve, anche se a lui era stato concesso di vedere Jughead solo quando il ragazzo si sarebbe rimesso in piedi.
  “Jug, cosa diavolo è successo?” chiese Archie.
  “Se riesci a farglielo dire ti preparerò una scorta decennale di biscotti allo zenzero” commentò acidamente Jay mentre metteva davanti ai ragazzi due tazze fumanti di cioccolata. “Sarà la centesima volta che glielo chiedo.”
  Jughead scambiò una breve occhiata con Archie, poi abbassò lo sguardo, concentrandosi sui marshmallow che Jay aveva aggiunto nella tazza davanti a lui.
  “Credimi, Jay, non lo vuoi sapere…”
  Lei ridacchiò, tra l’offeso e il divertito.
  “Sono stati i Serpents, vero?” Archie aveva messo il punto interrogativo alla fine della frase, ma quella somigliava molto di più ad un’affermazione; Jughead proprio non riuscì a mentire con scioltezza al suo amico. Il silenzio divenne una risposta eloquente.
  “I Serpents?” chiese sbalordita Jay. “Perché mai la banda di tuo padre dovrebbe farti una cosa del genere?”
  Jughead giocherellò distrattamente con il manico della propria tazza.
  “Jug…” lo incalzò Archie; in qualche modo la presenza dell’amico infuse nel ragazzo un po’ di coraggio, quel tanto che bastava per affrontare Jay. Alzò finalmente lo sguardo su di lei.
  “Perché ho scelto te” disse d’un fiato.
  “Cosa?” boccheggiò la donna. Jughead annuì e raccontò brevemente la telefonata con suo padre, poche ore prima che tre motociclisti adulti e muscolosi se la prendessero con lui. Jay ascoltava incredula, il volto bianco e teso, le mani abbandonate intorno alla propria tazza; quando lui terminò, lei abbassò lo sguardo e serrò le dita attorno alla ceramica. Jughead lasciò passare qualche istante di silenzio teso, poi la domanda che gli covava dentro da giorni gli sfuggì dalle labbra.
  “Perché ti chiamano Red Mama?”
  Jay chiuse gli occhi e le guance avvamparono, non di imbarazzo, piuttosto pensò Jughead, di rabbia. E non si sbagliava.
  “Al contrario di quanto ti vuol far credere FP, io non ho nulla da nascondere” sibilò Jay scostandosi di scatto una ciocca di capelli scivolata davanti al viso; si alzò quasi rovesciando la tazza di cioccolata e andò dalla cucina alla piccola sala, dalla quale ritornò con un annuario in mano; lo sfogliò e trovò in fretta la pagina che stava cercando. Voltò il libro verso i due ragazzi e mostrò loro una foto a tutta pagina: un ragazzo castano in smoking teneva per la vita una ragazza sorridente, dai capelli tinti di rosso fuoco e un vestito chiaro e morbido che cadeva su un evidente pancione. Jughead ci mise un po’ a riconoscere in quella ragazza una Jay al ballo del suo ultimo anno e qualcosa di ghiacciato strisciò sotto la sua pelle: dov’era finito quel bambino?
  “La storia ha inizio qualche anno prima, ma è in questo punto che Jaqueline Brennan è diventata Red Mama” cominciò asciutta Jay. “E non è difficile capire come mai” aggiunse tamburellando un dito a metà tra i capelli rossi e il pancione. Sospirò stizzita, ma riprese a parlare con tono calmo e misurato: “Mia madre mi ha avuta per sbaglio. La sua vita era un casino e non è mai riuscita a mettere insieme abbastanza forza di volontà per farmi adottare. Mia zia e suo marito si sono ritrovati in casa una bambina, senza che fosse loro reale intenzione avere figli, tanto meno quelli di qualcun altro, ma tant’è; mi hanno presa e fatta crescere proprio qui, dove abitiamo noi adesso.”
  Jay si fermò un attimo e sbatté più volte le palpebre.
  “Ho sviluppato un senso di… restituzione. Non posso dire che i miei zii mi abbiano fatto sentire voluta, ma a loro modo mi hanno voluto bene. Sono grata di quello che ho ricevuto, sono conscia di quello che mi manca, e so quello che sono in grado di dare. Più o meno quando avevo quindici anni ho cominciato a fare volontariato alla mensa dei poveri, poi in quello che è diventato il primo nucleo dell’Assistenza alle Fragilità. Volevo andare in mezzo alle persone sole, volevo toccare con mano la sofferenza e cercare di alleviarla, volevo sfamare chi non aveva da mangiare e regalare un sorriso e un abbraccio a chi non aveva nessuno al mondo. E’ così che sono finita in mezzo ai Serpents – ed è così che ho conosciuto John.”
  Jay passò il dito sul volto del ragazzo castano; Jughead cercò di ricordare dove avesse già visto quel viso ma quell’immagine continuava a scivolare ai lati della sua memoria senza che lui riuscisse a fissarla.
  “Era poco più grande di me, ma non andava a scuola da qualche anno, genitori inesistenti. Era un Serpent. Tra di noi, beh… è stato speciale” la voce di Jay si incrinò appena, ma lei diede un colpo di tosse e si ricompose immediatamente. “Incontrare me gli ha cambiato la vita. Senza che io facessi nulla di particolare, John è tornato a scuola, si è rivolto ai servizi sociali per un sostentamento e… ha lasciato i Serpents. Ho rubato un membro alla banda e mi sono guadagnata in tenera età un marchio indelebile.”
  Jay ridacchiò fra sé e sé, come se quello fosse un merito di cui vantarsi; Jughead cambiò posizione a disagio, mentre Archie rimase inchiodato ad ascoltare il racconto della ragazza.
  “E poi all’ultimo anno di liceo ho scoperto di essere incinta” gli occhi le si riempirono di lacrime, ma lei proseguì ignorandole. “John era al settimo cielo, disse che appena dopo il diploma si sarebbe trovato un lavoro e tutto sarebbe andato bene. Io ero scombussolata, ma ero felice: avevo la possibilità di creare quella famiglia che mi era tanto mancata. I miei zii diedero di matto, ma io fui irremovibile: quella bambina era l’unica nella mia vita ad essere sangue del mio sangue, e non me ne sarei separata per nulla al mondo.”
  Jay si portò una mano alla bocca e lo sforzo di continuare fu evidente; Jughead si sentì improvvisamente molto in colpa per quello che la stava costringendo a raccontare, ma non ebbe il coraggio di fermarla: voleva sapere. Lei trasse un nuovo lungo sospiro.
  “Una mattina, non molto dopo che era stata scattata questa foto, mi svegliai con crampi terribili e… non c’è stato nulla da fare. Ero di sei mesi e per la mia Emily… lei è sepolta qui a Riverdale.”
  “Jay, mi dispiace tanto” sussurrò Archie; lei sorrise e si asciugò le lacrime con gesti frettolosi.
  “Grazie Archie” tossì e riprese fiato. “Ci diplomammo poco dopo. John entrò in un buon college con una borsa di studio e se ne andò a studiare medicina dall’altra parte del paese; non ce la faceva a stare qui. E nemmeno i miei zii; volevano vendere la casa, ma alla fine li ho convinti a lasciarla a me. Nel giro di qualche mese ho perso la mia bambina, il mio ragazzo e la mia pseudo famiglia. Così mi sono buttata anima e corpo sull’Assistenza alle Fragilità. E sono diventata scomoda. Molto scomoda.”
  Una strana luce le brillò improvvisamente negli occhi.
  “Rivolgersi a Red Mama è una vera vergogna per un Serpent o per chiunque altro nel Southside, ma sono pochi quelli che non lo hanno fatto. Toni viene da me regolarmente per qualche vestito nuovo. Tool Boy si è ripulito grazie a me e sono riuscita a trovare i soldi per trattare il diabete del figlio più piccolo. Ho trovato io la madre di Sweet Pea quando è andata in overdose e ho chiamato i soccorsi. Ma ho anche aiutato tante ragazze in difficoltà a scappare da Riverdale e per questo c’è chi mi odia non poco. Ma nessuno mi torcerà un capello, tutti hanno ricevuto qualcosa da me. Non ho bisogno di tenere un ragazzo in ostaggio come garanzia.”
  Jay allungò lo sguardo su Jughead.
  “E prima che tu me lo chieda, sì, ho aiutato anche tua madre a scappare.”
  L’informazione scivolò lentamente dentro la coscienza del ragazzo, quasi fosse ricoperta di miele denso; fu solo dopo qualche lungo istante che riuscì a boccheggiare: “C-cosa?”
  Jay lo guardò a lungo poi aggiunse: “Mi dispiace. Quando… quando ho capito chi eri, quando mi hai detto il tuo nome… avrei dovuto dirtelo subito. Solo, non sapevo come fare.”
  Jughead si sentiva completamente svuotato, come un uovo crudo a cui qualcuno avesse succhiato via l’interno, lasciando solo il guscio. Archie gli mise una mano sulla spalla, delicatamente.
  “Stai… bene?”
  La risposta sincera sarebbe stata no, ma Jughead annuì: cominciava a sentire la testa pulsare di nuove domande. Ne scelse una a caso, decidendo di rimandare le altre a più tardi.
  “E’ davvero a Toledo?”
  Jay sbatté le palpebre un paio di volte, incuriosita dalla domanda.
  “Penso di no” disse alla fine. “Il mio contatto mi dà una base diversa di volta in volta, un indirizzo che io do alle ragazze, ma lì forniscono le nuove identità e le dritte per scegliere una nuova casa. Non credo che le ragazze rimangano mai nello stesso posto che conosco anch’io.”
  Nuove identità, posto sicuro… eppure sua madre non aveva cambiato numero di telefono, non aveva tagliato i ponti con lui, non in maniera categorica quanto meno. Era così difficile credere che lei gli avesse mentito. Eppure…
  “Non vuoi che io vada cercarla?” tentò, non senza una punta di cattiveria. Jay increspò un angolo della bocca.
  “Credi che io sia gelosa di tua madre, Jones? Se ho scelto di condividere una parte della mia casa e del mio cuore con te non è per giocare alla famiglia felice. Tu non sei mio figlio, tu sei libero. L’ho scelto perché so cosa vuol dire sentirsi soli, abbandonati e rifiutati. E penso che nessuno si meriti una cosa del genere. Se posso risparmiarlo anche ad una persona sola, beh, ne sarà valsa la pena.”
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Riverdale / Vai alla pagina dell'autore: Ginevra1988