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Autore: Sky_Star    21/11/2019    5 recensioni
Un bar, una discussione, la nostalgia di casa, i ricordi del passato e le riflessioni sul presente che affiorano in una fredda notte d'inverno, il tutto sotto l'egida di una stella molto particolare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kazue Natori, Mick Angel, Ryo Saeba
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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“E ora, una notizia che ha destato grande interesse in tutta la comunità scientifica mondiale. Questa notte la cometa 137P/Hope passerà vicino alla Terra, un evento che non si verificava da più di cinquemila anni. Secondo gli esperti, sarà possibile seguire il suo percorso anche a occhio nudo da molte zone del Giappone. Si prevede un cielo terso intorno alle tre di notte, l’ora in cui Hope apparirà nei cieli di Tokyo…”
 
“Hey, yankee, un altro shot?” chiese il barista, sovrastando la voce della speaker del telegiornale.
“Vai” esclamò Mick, facendo un cenno con la mano. “Uno anche per il mio amico” disse poi, indicando l’uomo accanto a lui che stava ancora sorseggiando il suo drink.
“No… non mi va…” bofonchiò quello con scarsa convinzione, buttando giù l’ultimo sorso e appoggiando con forza il bicchiere sul bancone.
“Ma cos’hai questa sera?” chiese Mick, guardandolo di sbieco. “Sei più silenzioso del solito… non che mi dispiaccia non sentire le tue cazzate, per una volta.”
Il barista spinse due shot di vodka colmi fino all’orlo verso i due uomini che li presero e li tracannarono in un unico sorso.
Mick stava per tornare all’attacco, determinato a capire cosa non andasse nel suo amico, ma fu interrotto da un’affascinante giovane donna che, ancheggiando, si interpose tra loro. 
“Come state stasera, ragazzi?” domandò con tono civettuolo, lanciando i capelli dietro le spalle con fare sensuale. “Di cosa parlate?”
La ragazza era molto giovane, tra i diciotto e i venticinque anni. Non era molto alta, caratteristica comune per le giapponesi, ma il fisico snello, strizzato in un vestitino molto aderente, catturava l’attenzione. I suoi capelli erano lunghi e rossi, di un colore troppo acceso per essere naturale, gli occhi erano scuri e allungati, il viso era piccolo e regolare. Nel complesso, era una visione assolutamente attraente.
“Buonasera, bellezza” esordì Mick quando la ragazza si appoggiò al bancone. “Sei in anticipo… al telegiornale hanno appena detto che la cometa passerà di qui solo alle tre di stanotte!”
La ragazza ridacchiò lanciandogli un’occhiata maliziosa mentre, alle sue spalle, il suo amico sbuffava scuotendo la testa.
“Permettimi di illuminarti la serata, allora” propose lei mordendosi il labbro con espressione vogliosa. “Mi piacciono tanto i biondi affascinanti come te. Sei americano, vero?”
Born and raised, tesoro” rispose lui con un sorriso irresistibile. “Ma sono anche fidanzato. Sei uno splendore, credimi… ma non posso. Sorry, sweetheart.”
Lei arricciò le labbra, un po’ delusa.
“La tua ragazza deve essere molto fortunata” commentò acidamente, voltandosi poi verso l’altro uomo. “E tu, invece? Voglio augurarmi che lo Stallone di Shinjuku non abbia deciso di seguire lo stesso esempio. Sarebbe proprio uno spreco…” La donna allungò una mano e passò le dita tra i suoi folti capelli neri.
“Mi sembrava di averti sentito dire che ti piacciono i biondi” replicò quello, schivando le sue carezze e guardandola con indifferenza.
“Sei geloso, Ryo?” s’intromise Mick. “Non è colpa mia se sono tanto più bello di te, lo sai.”
“Non offenderti” sussurrò la ragazza ignorando Mick e piegandosi sensualmente verso Ryo. “Sei carino tanto quanto il tuo amico… ma dalle voci che girano io sono sicura che qui c’è qualcosa che mi piacerà molto, molto di più, rispetto a…”
“No, non stasera” tagliò corto Ryo.
Nonostante il rifiuto, Mick intravide la mano libera della ragazza posarsi comunque sui pantaloni neri dell’amico e scivolare lentamente verso l’inguine. Prima che potesse approfondire quella carezza, però, Ryo le bloccò il braccio con decisione, costringendola a fermarsi.
“Non stasera” disse di nuovo in tono perentorio, con uno sguardo così serio che lei si affrettò a ritirare prontamente la mano.
“Sei stata sfortunata, tesoro” cercò di consolarla Mick, dandole una pacca sul sedere e allungandole una banconota. “Vai a berti qualcosa, forza.”
Lanciando a entrambi un’occhiata infastidita, la ragazza afferrò i soldi e batté in ritirata, allontanandosi.
Quando fu lontana, Mick fece schioccare la lingua e scosse la testa.
“Te lo richiedo, cosa ti prende?” incalzò ancora, guardando l’amico con attenzione. “Prima fai storie per bere, poi rifiuti un bocconcino del genere. Dì la verità… stai perdendo colpi, vecchio mio?”
Ryo alzò le spalle, fingendosi indifferente.
“Non sono dell’umore. E poi, quella non era nemmeno il mio tipo” bofonchiò, fissando il bicchiere vuoto davanti a lui.
“Strano… aveva i capelli rossi. Pensavo fosse proprio quello il tuo tipo” lo pungolò Mick senza riuscire a trattenersi. Capì che la sua provocazione era andata a segno quando vide Ryo irrigidirsi e stringere i pugni con forza senza dire una parola. 
“Ho capito, avete litigato di nuovo” disse, avvicinando lo sgabello. “Non negare, te lo leggo negli occhi. È a causa di Kaori che hai questo atteggiamento indisponente da tutta la sera. Cosa le hai fatto, questa volta?”
“Nulla” replicò Ryo sulla difensiva. “Non è successo nulla… e Kaori non c’entra. Perché diamine siete tutti fissati con Kaori? Tu, Miki, Eriko… Quando la smetterete?”
“Mmm… fammici pensare… Forse perché tutti vediamo due idioti che si amano e che per orgoglio si ostinano a farsi del male a vicenda?” domandò Mick con sarcasmo, sbuffando. “Tutto il tempo che passate a litigare potreste spenderlo in modo più costruttivo, ad esempio rilassando i nervi e scop….”
“Smettila” lo zittì prontamente Ryo, cupo. “Tu… voi… non potete capire. È una situazione molto più complessa.”
“No, sei tu che la rendi complessa, for God’s sake!” esclamò l’americano, esasperato. “Cosa c’è di così difficile da capire?”
Ryo si morse le labbra, visibilmente a disagio.
“Che prospettive avrebbe Kaori con uno come me?” chiese improvvisamente con una nota di tristezza che Mick non faticò a cogliere.
“Le stesse che ha ora, vecchio mio. Non mi pare si lamenti troppo, a parte per il fatto che sperperi i vostri soldi in alcol e donne e la tratti in modo indecente” rispose Mick indignato. “Kaori non è una di quelle che guarda il saldo del conto in banca o sogna la casetta con il giardino fuori città. Ti ama per quello che sei… anche se spesso sei solo uno stronzo patentato, lasciatelo dire.”
Ryo non rispose a quella che, lo sapevamo entrambi, era la dura, amara verità.
“Lo so che non sei uno che si sbottona troppo, ma forse è arrivato il momento di dare una svolta alla situazione” continuò Mick, incoraggiato dal silenzio dell’altro. “Non potete sempre aspettare di essere in pericolo di vita per trovare il coraggio di dichiarare quanto tenete l’uno all’altra… dai, è ridicolo!”
“Se si sapesse che è la mia donna, sarebbe sempre in pericolo.”
“Certo, perché finora è sempre stata al sicuro, vero?” replicò l’americano sarcasticamente, scuotendo il capo. “E comunque, quale sarebbe la tua soluzione? Lasciarla andare, spezzarle il cuore e passare il resto della tua vita a tormentarti per il tuo amore perduto? O aspettare di avere settant’anni, sperare che tutti i tuoi nemici siano schiattati e solo a quel punto dichiararti? Fammi capire…”
Ryo si voltò verso di lui, infastidito dal tono che aveva usato.
“Ma si può sapere a te cosa interessa, Mick?” sbottò con rabbia. “Sono i miei problemi, non i tuoi.”
“È qui che ti sbagli, Saeba” esclamò Mick, sentendo che iniziava ad alterarsi per la testardaggine dell’amico. “Kaori non è importante solo per te, ricordatelo! Io mi sono fatto da parte con lei ma… se avessi saputo che avresti continuato a comportarti da codardo, forse non avrei rinunciato tanto facilmente!”
Lo sguardo incendiario che Ryo gli rivolse non lo preoccupò minimamente. Sapeva di essere nel giusto: Kaori era stata la prima donna a significare qualcosa di concreto per lui eppure, proprio per amore, si era arreso. Non era mai stato un uomo altruista, ma era stato disposto a fare un passo indietro per permetterle di stare con la persona che amava. La stessa persona che, in quel momento, cercava ogni scusa per tirarsi indietro.
“Sai cosa ti dico, Saeba? Mi hai rotto con queste stronzate. Me ne vado” sbottò, lanciando qualche banconota sul bancone. “Ecco, ti offro anche il prossimo giro. Chissà che non ti schiarisca le idee e ti faccia realizzare la cazzata che stai facendo prima che sia troppo tardi. Good night, my friend.”
 
Mick afferrò il cappotto e, pochi secondi dopo, si ritrovò fuori dal locale.
Quella notte l’aria era particolarmente pungente, ma il cielo era limpido e cosparso di stelle luminose e le strade, per quanto fosse ancora relativamente presto, non erano affollate quanto si sarebbe aspettato da uno dei quartieri notturni per eccellenza.
Meglio così, si disse. Non era in vena di chiacchiere, non dopo la discussione con Ryo. Santo cielo, quell’uomo poteva essere davvero testardo a volte.
Mick si fermò sul marciapiede, attendendo accanto al semaforo rosso mentre guardava senza particolare attenzione le auto che sfrecciavano davanti a lui. In quel momento, un enorme banner pubblicitario installato sul palazzo di fronte si accese improvvisamente, costringendo l’uomo a coprirsi gli occhi per non rimanere abbagliato dal fascio di luce bianca. Le futuristiche insegne luminose della città non erano così diverse da quelle di Times Square, pensò mentre il semaforo scattava sul verde.
Da quando si era stabilito a Tokyo non aveva mai trovato molto tempo per pensarci ma, ultimamente, si ritrovava spesso a ricordare la sua vita negli Stati Uniti. 
Il Giappone era diventato il suo paese ormai e, forse, trasferircisi era stata la scelta migliore che avesse mai fatto: aveva un lavoro “normale”, per quanto così si potesse definire; una donna che lo amava; un gruppo di amici su cui poteva contare. 
Eppure, ogni tanto si sentiva un po’ ristretto in quella città così contraddittoria, divisa tra modernità e tradizione. Sentiva la nostalgia per quell’ideale di libertà tipicamente americano, così difficile da applicare alla rigidità della società giapponese. 
C’erano delle sere in cui, passeggiando da solo, si sentiva alienato, circondato da ideogrammi, voci e suoni che percepiva ancora come estranei.
Non era stato affatto semplice abituarsi a vivere in un paese così diverso dal suo e imparare a relazionarsi con un popolo che, almeno inizialmente, lo guardava con sospetto, facendolo sentire un diverso. Lo aveva vissuto soprattutto quando aveva aperto l’agenzia investigativa: durante i primi mesi, molti clienti giapponesi venivano ma, se Kazue non c’era, diventavano diffidenti e finivano per tirarsi indietro ancora prima che lui potesse decidere se accettare o no il caso. Era una questione culturale, Ryo e Kaori glielo avevano spiegato un’infinità di volte. 
Conquistare la fiducia della sua nuova patria si era dimostrato un lavoro faticoso e, a tratti, frustante, e ogni tanto il ricordo di quella fatica gli tornava in mente, facendogli pensare con malinconia agli Stati Uniti.
Mick imboccò la strada principale, lasciandosi alle spalle il quartiere a luci rosse. Camminare per le strade solitarie era sempre un buon modo per schiarirsi le idee e, dopo una discussione che aveva avuto con Ryo, sapeva di averne bisogno. Inevitabilmente, le parole del suo amico gli tornarono in mente, così come il tono infelice che con cui le aveva pronunciate.
 
Che prospettive avrebbe Kaori con uno come me?
 
Mick non poteva negare che, per anni, si era chiesto la stessa cosa. Si era domandato se forse non avesse sbagliato a rinunciare a Kaori, se forse lui non avesse potuto darle di più rispetto a quello che Ryo avrebbe potuto offrirle. 
Era certo che, se Kaori fosse stata la sua donna, non l’avrebbe lasciata a casa da sola per restare ad arrovellarsi il cervello in uno squallido bar. L’avrebbe amata, ricordandole ogni giorno quando fosse bella e preziosa, non insultata e derisa per paura di dimostrare i propri sentimenti. Le avrebbe dato la protezione necessaria e mai, mai avrebbe pensato che lasciarla andare potesse essere un modo per salvarla. Si sarebbe occupato di lei dal primo all’ultimo giorno, di questo ne era sicuro.
Ma, alla fine, aveva capito che questo non sarebbe mai bastato a renderlo l’uomo ideale per lei. Perché lui non era Ryo Saeba. 
Non avrebbe mai potuto competere con Ryo per il cuore di Kaori. 
Quei due condividevano un vissuto in cui lui era un estraneo: la morte del fratello di Kaori li aveva uniti creando un filo invisibile che li teneva legati, incapaci di allontanarsi troppo l’uno dall’altra.
Era stata Kaori a mostrargli cos’era davvero, l’amore.
Fino a quel momento, aveva visto tante donne dichiararsi innamorate dei propri uomini, per poi, però, cadere ai suoi piedi quando le seduceva. L'amore non era che un sentimento sciocco ed evanescente, per lui.
Lo stoico affetto di Kaori per Ryo, invece, gli aveva dimostrato che si sbagliava completamente. Si trattava di un sentimento così solido che poteva essere scalfito dai litigi e dalle delusioni senza mai essere distrutto completamente. La tenacia di quella donna aveva lasciato Mick a bocca aperta come mai nessun’altra era riuscita a fare prima. 
L’ammirazione, poi, si era pian piano trasformata in qualcosa di più profondo. Aveva iniziato a desiderarla davvero, fisicamente e mentalmente, frustrato dal confronto continuo con Ryo e dalla consapevolezza che non avrebbe mai avuto una minima speranza di essere amato da lei.
Alla fine era stato costretto ad arrendersi e a farsi da parte, cercando però di incanalare i propri sentimenti nell’amicizia. Difficile, certo, ma non completamente impossibile. Amare vuol dire anche volere la felicità di qualcuno nonostante tutto e Mick si era ripromesso di aiutare Kaori a raggiungere la propria, anche se essa non comprendeva lui. 
E così avrebbe fatto, che quel testone di Saeba collaborasse o no.
Immerso in queste riflessioni, Mick era giunto davanti alla porta di casa. Girò lentamente la chiave ed entrò nell’ingresso. L’appartamento era buio e silenzioso: come sospettava, Kazue doveva essersi addormentata. 
Si sfilò lentamente le scarpe e appese il cappotto all’attaccapanni vicino alla porta, dirigendosi poi verso il corridoio che portava alla camera da letto.
Da lontano, si fermò ad ammirare l’unica donna che poteva chiamare veramente "sua".
Kazue era sdraiata su un fianco, seminuda, con i lunghi capelli neri sparsi sensualmente sulle lenzuola rosso scuro. Abbracciava un cuscino, quello di Mick, avvolgendolo al proprio corpo come avrebbe fatto con il corpo del suo fidanzato, segno che, addormentandosi, aveva sentito la sua mancanza.
Sempre osservandola da lontano, Mick cominciò a sbottonarsi la camicia, pensieroso. Amava Kazue? Sì, certo. Era un amore diverso da quello che aveva provato per Kaori, più fisico, più magnetico. Kaori era un’incognita che restava nel mondo delle possibilità, Kazue era la certezza che poteva toccare con mano.
Una era pura e innocente, l’altra sensuale e romantica. Due completi opposti che doveva avere nella sua vita, per essere felice. 
Kaori aveva salvato la sua anima, un giorno, su una nave, impedendogli di perdersi completamente.
Kazue aveva salvato il suo corpo, permettendogli di continuare a vivere sulla Terra, ridandogli la speranza che le crisi di astinenza gli avevano succhiato via.
 
Ricordava ancora con una certa vergogna quel periodo in cui aveva lottato tra la vita e la morte, quando il giorno era indistinguibile dalla notte: nella sua anima si susseguivano rabbia, calma, dolore, gioia senza un preciso schema logico. Ogni suo movimento era imprevedibile e passava dalla docilità alla violenza con estrema facilità.
Si svegliava felice ma due minuti dopo aveva l’istinto di uccidere. Passerà, diceva il vecchio Doc con tono paziente. 
La sua forza eccessiva, unita agli scatti violenti, aveva reso necessario legarlo al letto per evitare che facesse male a sé stesso e agli altri. 
Nei momenti di lucidità, Mick sentiva tutta la vergogna per le condizioni in cui si trovava, incatenato come un animale malato al letto. Piangeva, quando era sicuro di essere da solo. Il dolore fisico poteva sopportarlo, ma non l’umiliazione per quello che era diventato. Una bestia, lo spettro di sé stesso.
Kazue, la bella infermiera con i capelli lunghi, era stata l’unica ad avere il coraggio di avvicinarsi e a trattarlo ancora come un essere umano.
Lui, ferito, aveva cercato di allontanarla all’inizio. Con rabbia le aveva rivolto ogni tipo d’insulto, dettato dalla Polvere degli Angeli che si impadroniva del suo cervello, ma la ragazza non si era lasciata scalfire da quelle parole. 
Prima timidamente, poi sempre con più audacia, Kazue era riuscita a stabilire un rapporto con lui.
Con il passare dei giorni, Mick aveva notato che le sue crisi erano meno violente, se lei era nei paraggi. Era come se una parte di lui volesse dimostrarle che era in grado di controllarsi. 
Tenendo a bada gli spasmi aggressivi che si impadronivano del suo corpo, era sicuro che non avrebbe rischiato di farle del male inavvertitamente.
Il nome di Kaori, ripetuto come un mantra nelle prime ore di ricovero, aveva lentamente smesso di affiorare dalle sue labbra.
“Kazue…” aveva mormorato una notte, sentendo la febbre salire a dismisura e le sue braccia cominciare a tremare. “KAZUE!”
E Kazue era apparsa al suo fianco, accarezzandogli il viso e parlandogli con tono dolce e calmo, dicendogli che presto sarebbe passato tutto, che sarebbe tornato sano come prima.
Poi, le crisi avevano iniziato ad affievolirsi. Lui aveva cominciato a vedere Kazue in un modo diverso, notando come i suoi bellissimi capelli neri catturavano la luce del sole. Aveva iniziato a percepire già nel corridoio il lieve profumo floreale che era solita indossare o a percepire il rumore dei suoi passi.
Gli erano state tolte le cinghie di contenimento e, la prima volta, aveva potuto sfiorarla casualmente quando si era chinata per auscultargli il petto con lo stetoscopio. Aveva temuto che ne fosse infastidita o che si tirasse indietro, ma lei aveva sorriso, guardandolo con i suoi luminosi occhi scuri…
 
Mick si sfilò la camicia e la lanciò nel cesto della biancheria posto nell’angolo del corridoio. A torso nudo si diresse verso la camera da letto e iniziò lentamente a sbottonarsi e sfilarsi i pantaloni, sempre osservando la sua donna profondamente addormentata. I suoi occhi azzurri vagarono nella penombra sulla pelle color avorio di Kazue, sulle ciglia lunghe e nere e sulla piccola bocca a cuore, le cui labbra rosse erano così meravigliosamente invitanti.
Provò a flettere le dita della mano destra, come sempre a fatica, per accarezzarle il viso. I nervi danneggiati non gli permettevano di avere la sensibilità che avrebbe voluto.
Ricordava anche quello, quel momento orribile in cui aveva scoperto che la scossa elettrica che aveva ricevuto gli aveva causato più danni di quanti avrebbe potuto fargliene la droga.
Era accaduto durante la convalescenza, una settimana dopo la fine dell’ultima crisi.

“Kazue” l’aveva chiamata, vedendola entrare con il vassoio del pranzo. “Kazue… c’è qualcosa di strano con la mia mano.”
Lei si era avvicinata e l’aveva presa tra le sue, osservandola con cura, piegandogli le falangi. 
“Non ho sensibilità” aveva mormorato lui in tono sconfitto. “Non sento quasi nulla…”
Lei aveva cercato di rassicurarlo, ma Mick non aveva osato alzare gli occhi, annientato dalla consapevolezza di quello che significava non riuscire ad impugnare un’arma.
Kazue, tenendo ancora la sua mano tra le sue, se l’era posata sulla guancia e Mick aveva percepito qualcosa di caldo e umido. Alzando gli occhi, aveva visto una lacrima solcare il bel viso dell’infermiera e infrangersi tra le sue dita immobili.
Commossa, la ragazza gli aveva detto che non era vero, che non era un uomo finito… che avrebbe potuto fare altro, lei lo sapeva, e lo avrebbe aiutato…
Poi, Kazue aveva condotto la mano di lui dalla guancia al collo e, dopo un attimo di esitazione, sotto la camicetta bianca. Mick era rimasto senza fiato, immobile nel letto, con gli occhi azzurri sgranati dallo stupore fissi su quelli umidi e neri di lei.
Pochi secondi dopo, le loro bocche si erano unite in un bacio passionale e travolgente. Le sensazioni che Mick non aveva potuto percepire con il tatto erano state compensate da quelle che gli avevano trasmesso le sue papille gustative. Lei aveva un sapore buono, dolce, come il miele. 
In quel momento, Kazue sapeva di vita, di speranza, di futuro.
Avevano fatto l’amore in quel letto e così era accaduto il giorno successivo e poi quello dopo ancora, finché Mick non era stato trasferito all’ospedale pubblico per terminare la convalescenza…
 
Mick era ancora fermo davanti al letto a contemplare Kazue, immerso nei ricordi. 
Nel buio della notte una luce nel palazzo di fronte si accese, catturando la sua attenzione. Mick si avvicinò alla finestra e guardò fuori.
Era l’appartamento dei suoi amici. Ryo doveva essere appena rientrato e forse aveva svegliato Kaori. O magari Kaori era rimasta sveglia ad aspettarlo, con un martello in mano e l’espressione furiosa dipinta in volto. 
Mick si chiese se per caso il suo amico avesse riflettuto su quello che gli aveva detto. Il fatto che fosse tornato a casa, invece che restare a ubriacarsi fino all’alba, era sicuramente un buon segno.
Poi qualcos’altro attirò la sua attenzione, costringendolo a distogliere lo sguardo dalla casa di mattoni rossi e ad alzarlo verso il cielo. Una stella che non aveva mai visto brillava ardentemente sopra di lui, offuscando tutte le altre. 
Hope” sussurrò lui, sorridendo. La cometa passava lentamente sopra la sua testa, lontana, luccicando come un diamante nell’immenso cielo. Speranza, questo era il nome che qualche scienziato aveva deciso di dare a quella stella scintillante. Speranza era proprio quello di cui avevano bisogno tutti quanti, si disse lui, a cominciare da quella stramba coppia. Chissà che l’influenza di una stella vecchia di migliaia di anni potesse inspirare i due amanti a dichiararsi una volta per tutte.
Mick chiuse gli occhi, pensando a un desiderio da esprimere. Quando li riaprì, vide che Hope era già scomparsa nell’oscurità.
 
“Mick… amore…”
Mick abbassò lo sguardo. Kazue era sveglia e lo fissava da sotto in su con gli occhi ancora pieni di sonno.
“Scusami” sussurrò lui con un sorriso. “Non volevo svegliarti. Sono appena tornato.”
“Mmm…” mormorò lei, stiracchiandosi. “Che ore sono? È… è già passata la cometa?”
“Sì, tesoro, è passata.”
“Uffa!” protestò lei debolmente, sbadigliando. “Avrei voluto vederla insieme a te! Tutta colpa di Ryo Saeba e delle vostre uscite!”
“Magari da stasera anche a lui passerà la voglia di uscire a bere con me…” ridacchiò Mick, lanciando un’ultima occhiata al palazzo dai mattoni rossi prima di scivolare nel letto.
Il corpo caldo e rassicurante di Kazue si avvinghiò al suo, permettendo ai loro respiri di sincronizzarsi l’uno con l’altro.
“Hai espresso un desiderio quando hai visto la cometa?” chiese lei, alzando la testa per baciargli lievemente il collo con la punta delle labbra.
Istintivamente, lui la strinse più forte a sé e sorrise.
“Sì, tesoro. Ma non te lo posso dire… non per i prossimi cinquemila anni, almeno.”
  
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