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Autore: BrizMariluna    21/11/2019    15 recensioni
Il dopo radura ispira molte di noi... Cosa diavolo succede a questi due, una volta tornati a casa? Andrà tutto meglio? Andrà tutto peggio? Io mi diverto molto a farli litigare, devo dirlo... ma qui è stata davvero dura!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: City Hunter
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Premessa

Ci tengo a precisare una cosa: ho scritto questa storia circa un mese fa, indecisa se pubblicarla. Vi spiegherò in fondo il perché.
Ma proprio stamattina, la mia amica Vale ha postato qui una storia, "Cuore Stanco", che potrebbe avere delle analogie con questa. 
È assolutamente un caso, ve lo assicuro: io non avevo mai letto la sua, prima, come lei non aveva mai letto la mia.
Con lei ne ho già parlato, quindi credo che sia tutto a posto.
È possibile che i personaggi possano risultare OOC, ma secondo me non lo sono poi troppo. Quindi metto l'avvertimento soltanto qui.
Buona lettura! 

 



TU NON SAI...
 
 
La porta dell’appartamento si aprì bruscamente, e la metà femminile di City Hunter si catapultò all’interno, sprizzando nervosismo da tutti i pori.
Ryo la seguì, tradendo anche lui una certa tensione, pur non esternandola come la sua socia.
Erano stanchi, sporchi, con i vestiti stazzonati e strappati, soprattutto il giubbotto di Ryo. Anche il bell’abitino rosa con la giacca che Kaori aveva indossato per il matrimonio di Miki, era ridotto uno schifo, ma non era certo quello il motivo della rabbia della ragazza.
Rimosso il pensiero per la ferita di Miki, che sarebbe fortunatamente guarita in tempi non troppo lunghi, lei e Ryo erano tornati a casa.
E… non stava succedendo assolutamente niente!
– Ryo... Non credi che... dovremmo parlare? – chiese bruscamente.
Lui la gratificò soltanto di uno sguardo tra l’enigmatico e l’interrogativo. Come se lei avesse detto l’idiozia del secolo.
Poco prima, arrivati alla loro palazzina, avevano salito le scale in silenzio, lei davanti e lui a seguirla.
Non una parola, su ciò che le aveva indirettamente confessato, mentre era legata al palo, prigioniera di quel pazzo di Croiz. Men che meno su ciò che si erano detti in seguito. Su ciò che avevano fatto.
Lui l’aveva abbracciata, santo cielo, dopo aver detto davanti a mezzo mondo che sarebbe sopravvissuto per lei, la persona che amava! E benché fosse scossa e frastornata dall’accaduto, avrebbe giurato che lui le avesse baciato il viso e la fronte.
E ora? Ora che tutto era finito, e avrebbero potuto riprendere il discorso?
Niente. Uno stramaledetto, emerito niente!
Kaori, infuriata, diede un calcio a un cuscino, caduto chissà quando dal divano. Lo raccolse sgarbatamente e glielo schiaffò sopra con tutta la rabbia del mondo.
– Kaori…
– Kaori? Kaori??? Oh, il signore si degna di rivolgermi finalmente la parola, e tutto quello che gli esce è Kaori? Complimenti per la fantasia, Saeba!
Ryo tacque, limitandosi a fissarla, come se le parole di lei gli scivolassero addosso.
– Tanto lo so cosa sta succedendo! Stai ritrattando per l’ennesima volta, Ryo! – esplose la ragazza improvvisamente – Non sai fare altro! Un passo avanti e due indietro, è la storia della nostra vita! Ma sai? C’è una novità: oggi non mi è caduto un tubo metallico in testa, non ho perso la memoria, e quello che hai detto là fuori, – e indicò la finestra in un gesto vago – stavolta non me lo sono dimenticato!
– Kaori, io…
– Uh, fantastico, che progressi! Da un semplice “Kaori” siamo passati al “Kaori, io…”. Certo, quando non si ha nulla da dire, un bel “Kaori, io...”  è un bel riempitivo per colmare il silenzio! Dà persino l’illusione che tu stia davvero per dire qualcosa d’importante! Non ci casco più... Basta, va’ al diavolo! Tanto ho capito: da domani sarà tutto come prima. Come sempre! Bave e mokkori per ogni sedere che passa; martelloni per rimetterti al tuo posto e tirarti giù dal letto al mattino; contrattazioni con Saeko per le bottarelle come compenso; il caffè al Cat’s Eye, dove dovrò tenerti per il colletto e legarti, in modo che tu non plani mezzo nudo addosso a Miki. E sono una stupida, perché avrei dovuto capirlo che era solo un’altra folle speranza del mio cervellino idiota!
Ryo finalmente sembrò ritrovare la favella.
– No, perché? Non sei idiota. Hai capito tutto, come sempre… Vai a fare la doccia, Kaori. Ne hai bisogno, e anch’io. Dovrei dire “Prima le signore”, suppongo, ma trattandosi di te…
Con quell’ultima frase offensiva, Ryo fece per dirigersi verso la scala e salire in camera sua. Kaori lo raggiunse in un attimo, lo afferrò per un braccio e lo voltò verso di sé, furiosa come non era mai stata in vita sua.
Avrebbe voluto riempirlo di parolacce, offese e improperi. E invece riusciva solo a stare lì, a fissarlo furente, la mano destra a stringere convulsamente la manica del giubbotto rovinato di lui. Le labbra le tremavano, come tutto il corpo, del resto. Era in preda ad una tensione e una rabbia incontenibili e fissava Ryo con occhi di fuoco. Fuoco che si scontrò, inesorabilmente, con il ghiaccio di quelli di lui.
Kaori scosse appena la testa, sentendosi annientata. Ma giurò che per nulla al mondo, avrebbe spremuto una lacrima.
– Ma perché!? Perché fai così, maledizione! Perché?!!!
– Tu non ti rendi conto, Kaori! Non sai veramente quello che vuoi! – gridò Ryo a quell’appello che era a metà tra il rabbioso e il disperato.
– Io non so…? Ma sei scemo? Non sono una bambina ingenua e innocente, Ryo! Sono una donna, ti conosco da anni, vivo con te, condivido pericoli e cazzate, insieme a te! Se esiste una persona che sa quello che vuole, da te… quella sono io!
– No, Kaori. Tu non sei minimamente consapevole di quello che io sono realmente…
– Io so chicosa come sei, più di chiunque altro sulla Terra. E so che ti amo, nonostante tutto! Non ho nemmeno più paura di dirlo, ormai. Tanto lo sai da secoli…
– Sei davvero sicura di quel che dici? Sai davvero che cosa mi stai chiedendo?
Il tono di voce di Ryo continuava ad essere duro e tagliente come i suoi occhi. Kaori sostenne lo sguardo buio di lui, anche se un certo timore cominciava ad affiorare nella profondità del suo animo. Il suo socio non l’aveva mai guardata in quel modo; c’era una luce ferina, predatrice, in quegli occhi di ossidiana.
E lei... osò sfidarli.
– Sì. Lo so! – rispose, risoluta come mai nella sua vita.
– NO! NON LO SAI! – fu il ruggito di risposta.
Fu un attimo.
Si ritrovò bloccata tra Ryo e la parete, i polsi sottili imprigionati nelle grandi mani di lui, immobilizzati contro il muro ai lati della propria testa.
E la bocca schiacciata dolorosamente contro quella del suo partner.
Rimase lì immobile, paralizzata dallo sconcerto, gli occhi spalancati senza vedere nulla, il corpo teso come la corda di un arco. La cosa non cambiò di una virgola quando lui staccò appena le labbra da quelle di Kaori, e la fissò con occhi taglienti, la fronte spinta contro la sua fino a farle male.
– Dunque è davvero questo che vuoi? Perché è questo che sono, io! Dovresti saperlo, ormai! – sibilò Ryo con una nota di perfidia.
Kaori non rispose, ancora pietrificata. L’unica cosa che tradiva la sua tensione erano le labbra che tremavano incontrollabili. Scosse appena il capo.
– No. Non è vero – sussurrò.
Allora Ryo le prese il volto con una mano, le dita forti ad affondare nelle sue guance, costringendola ad aprire la bocca.
Un secondo dopo la stava baciando di nuovo: un bacio famelico e crudele. Una annichilente, feroce conquista, che Kaori subì senza reagire, anche quando le mani di Ryo si spostarono, una lasciandole il mento e andando a perdersi tra i suoi capelli, per tenerle ferma la testa; l’altra ad afferrarle un fianco, stringendolo con forza, affondando le dita nella sua carne, per poi scivolare rapida verso l’alto, imponendo al seno la stessa sorte.
Un ginocchio forte e deciso si insinuò tra le sue gambe, allargandole, e Ryo spinse, senza ritegno né pietà, il bacino contro quello di Kaori, facendole avvertire il suo prepotente desiderio.
Kaori stavolta si impaurì davvero. Strinse le mani ormai libere sulle braccia di Ryo, sentendo sotto le dita contratte i bicipiti duri e tesi, per staccarlo da lei, respingerlo, allontanarlo… senza riuscire a smuoverlo di un centimetro.
Era Ryo, quello? Era davvero lui, quest’uomo capace di approfittare della propria forza fisica, per piegare una donna alla sua volontà?
Ryo era quello che faceva il demente, che andava in mokkori vedendo un reggiseno, e che si lasciava schiacciare dai suoi martelloni quando dava spettacolo in modo vergognoso delle sue fregole... Ma non aveva mai avuto reazioni di questo genere con nessuna. Sapeva per certo che Ryo, nella sua vita, non aveva mai, mai, forzato una donna. Ah, già... Ma lei non era una donna, ai suoi occhi...
Eppure, ciò che premeva potente contro il suo inguine, le dava la certezza che lui lo sapesse eccome, che lo era!
Dio, no, non era questo che voleva… non così! Non così…
Affranta, si arrese, quanto meno materialmente, sperando che, sentendo che non si ribellava, la lasciasse andare.
Ryo staccò appena il volto dal suo, giusto il tempo di ringhiare, tra le loro labbra umide di quel bacio furioso: – Se è davvero questo che vuoi, allora non c’è problema! Non ho nient’altro da darti, Kaori! Nient’altro che questo!
– Basta, Ryo, lasc...
Non le diede il tempo di finire la sua supplica, e riprese a divorarle la bocca con rabbia.
E allora, Kaori reagì.
Lo fece con l’unica arma che in quel momento, lì, bloccata tra il muro e il corpo muscoloso di Ryo che premeva impietoso sul suo, aveva a disposizione: lo morse.
Affondò i denti nel suo labbro inferiore finché avvertì il sapore del sangue.
Allora Ryo, forse sorpreso o forse no – difficile dirlo, vista l’espressione di pietra – la lasciò andare. Lo fece in modo brutale, sgarbato, facendola quasi rimbalzare con la schiena contro il muro.
– Sei contenta, adesso? Hai visto cosa sono? Sono una bestia, un animale... Scommetto che ora non sei più tanto innamorata di me, vero? – la prese in giro con sarcasmo, asciugandosi la goccia di sangue che gli colava dal labbro che i denti di Kaori avevano offeso.
Sentendosi libera da costrizioni, Kaori si sentì invadere dalla rabbia.
Ryo la guardò beffardo, pronto a prendersi un martellone in testa e, come sempre, a non fare nulla per scansarlo.
In realtà, si rendeva assolutamente conto che stavolta si era spinto troppo oltre. Era perfettamente consapevole che un episodio di questo genere fra loro due, non si poteva risolvere con una cosa stupida come un martellone made by Kaori. Stavolta, nulla sarebbe stato sufficiente per ripristinare l’ordine delle cose.
Eppure, ciò che accadde lo colse, nonostante tutto, impreparato.
La mano della ragazza partì rapidissima, e saettò potente e implacabile, colpendolo con una forza insospettabile tra la guancia e la bocca, facendo schizzare altre gocce di sangue dalle labbra ferite.
Kaori lo fissò ansante, tremando in ogni fibra del suo corpo, con la mano che lo aveva colpito ancora aperta. Fletté le dita un paio di volte, poi si portò la mano al volto e, fulminandolo con gli occhi ridotti a fessure, se ne passò il dorso sulle labbra contratte, in un gesto che traboccava disprezzo, come a ripulirsi da un contatto repellente e disgustoso.
– Sì... ho visto cosa sei – disse con voce rotta – Ho sognato e desiderato almeno mille volte, che tu mi baciassi... E ora che lo hai fatto... maledizione, sei riuscito a rovinare anche questo! Hai ragione, Ryo: sei davvero solo un animale. E io una povera illusa, che credeva… cosa? Cosa credevo mai di trovare, in fondo ad un’anima sporca e perduta come la tua? Niente e nessuno potrà redimerti da quello che sei! E magari dovrei anche ringraziarti, per avermi finalmente aperto gli occhi...
Ryo fece un mezzo passo per spostarsi, e gli occhi di Kaori si dilatarono a quel movimento, diventando due pozze di terrore.
– NON. MI. TOCCARE!!!
Non riuscì a proferire altro, mentre si dirigeva di corsa, passando il più possibile lontano da lui, su per le scale.
Ryo la seguì con lo sguardo, poi si diresse anche lui al piano di sopra, lo sguardo vuoto e insondabile.
Kaori si precipitò nel bagno, chiuse a chiave e, dopo essersi quasi strappata gli abiti di dosso, si ficcò di forza sotto la doccia, senza sapere più cosa pensare. Si insaponò più volte, come a voler lavare via dal suo corpo qualcosa di immondo.
Sul fianco e sul seno, per non parlare dei polsi, la violenta pressione delle dita di Ryo aveva lasciato dei segni rossastri. Kaori strofinò, strofinò e strofinò, fino a farsi ulteriormente arrossare la pelle delicata e a farsela dolere.
Finché non si lasciò cadere, stremata, sul piatto della doccia, con l’acqua tiepida che le ruscellava addosso, mescolandosi a quelle lacrime che non aveva voluto mostrare a lui. A quella bestia che, per qualche attimo, Ryo era diventato, spaventandola a morte.
“Mai più” disse a sé stessa quando, faticosamente e ancora tremante, riuscì a rialzarsi, avvolgersi nell’accappatoio e fuggire – sì, fuggire, terrorizzata al pensiero di incrociarlo – nella sua stanza.
“Mai più, Ryo Saeba! Mi hai umiliata e uccisa per l’ultima volta!”
 
Chiuso nella sua stanza, con la fronte appoggiata ad un avambraccio sollevato contro la porta chiusa, gli occhi serrati e il respiro spezzato, Ryo sentì scrosciare l’acqua della doccia per un tempo interminabile. Gli sembrò quasi di vederla, Kaori, a sfregarsi il sapone sulla pelle morbida e rosea fino ad irritarla...
La sentì uscire dal bagno e precipitarsi nella sua stanza, e la immaginò buttarsi sul letto e piangere tutte le sue lacrime.
Per l’ennesima volta, aveva offeso la sua dignità, mortificato i suoi sentimenti e, forse, ucciso definitivamente quell’amore immeritato, tenace e inestirpabile che, lo sapeva, la sua dolce socia aveva sempre nutrito per lui. Lui, che non faceva altro che metterla in imbarazzo, cacciarla in situazioni al limite della follia, e farle rischiare la pelle ogni due per tre.
Non meritava nulla, lui. Men che meno l’amore di una donna speciale come Kaori Makimura.
Si portò una mano alla guancia che lei aveva colpito.
Di schiaffi ne aveva presi tanti, Ryo, nella sua vita. A decine, forse centinaia. Ma raramente da Kaori. A pensarci bene, forse, solo una volta, e non era stato uno schiaffo dato per rabbia, quanto per preoccupazione; non gli aveva nemmeno fatto male. E poi, subito dopo, lei gli aveva regalato un’età e un compleanno, perché cominciasse anche lui a festeggiarlo ogni dodici mesi, e ad invecchiare come tutti i comuni mortali.
Gli sfuggì un sorriso storto – più un ghigno, in realtà – che diede una piega amara alle sue labbra martoriate e ancora sanguinanti.
Kaori non era tipo da schiaffi. Usava i martelloni, lei!
Ma ora, le cinque dita della ragazza, stampate in rosso sul suo viso, scottavano da impazzire.
I martelloni facevano più scena che male, gli creavano bernoccoli che sparivano in pochi minuti e amen, tutto finiva lì.
Ma quel ceffone… sentiva che sarebbe rimasto impresso su di lui forse per l’eternità, a ricordargli che razza di emerita testa di cazzo fosse.
Perché quello schiaffo non bruciava soltanto sulla guancia.
Gli bruciava l’anima.
Ed era giusto, e sacrosanto, che fosse così!
La porta della stanza della sua partner si aprì, poi sbatté violentemente.
Una manciata di secondi, e anche il portone dell’appartamento subì lo stesso trattamento.
Ryo uscì dalla sua camera, scese le scale a rotta di collo e si affacciò alla finestra, in tempo per vedere la sua socia – ma forse ora sarebbe stato più corretto dire ex-socia – fermare un taxi con un gesto della mano e salire, dopo aver gettato dentro all’auto un capiente borsone.
Il taxi si allontanò, portando via Kaori dalla sua vita.
Ryo si addossò alla parete con la schiena, e si lasciò scivolare a terra.
Era più che consapevole che, con quella fuga, City Hunter aveva cessato di esistere; perché aveva perso la sua metà migliore.
Rimaneva lui, Ryo Saeba, l’Angelo della Morte...
In tutti quegli anni, non era servito sminuirla, disgustarla, umiliarla, imbarazzarla, illuderla e disilluderla...
Quella era stata la sua ultima carta da giocare, per allontanarla da sé: spaventarla a morte. Non solo: le aveva anche fatto male fisicamente, ne era certo. E questo lo nauseava, e lo annientava al tempo stesso: non se lo sarebbe mai perdonato, lo sapeva.
Esattamente come non lo avrebbe perdonato Kaori.
Ma non poteva lamentarsi: in fondo, stavolta aveva funzionato.
L’aveva fatta scappare, finalmente.
Se ne era fuggita al sicuro, lontana da lui. Non importava dove.
Si passò le mani dietro la nuca, intrecciando le dita, e chinò la testa, posando la fronte sulle ginocchia.
E fece quello che solo un’altra persona, prima d’ora – Shin Kaibara, suo padre – era riuscita a fargli fare.
Pianse.






Ebbene...
Io sono solita concludere le mie storie con un FINE, oppure un  >Continua...
Avete notato che non c'è né l'uno, né l'altro?
Ecco il motivo per cui ero indecisa se postarlo o no: nella mia testina bacata c'è un seguito, un po' come la mia amica Vale ce l'ha per la sua "Cuore Stanco"
La differenza sta nel fatto che nel mio caso, questo ipotetico seguito sta ancora soltanto lì, tra i miei due neuroni che stentano ad interagire tra loro. Tutto è ancora molto nebuloso, e non so quando, ma soprattutto SE, questo seguito vedrà mai la pubblicazione.
Quindi, per ora, godetevela come one shot, o piangeteci sopra. 
Avvertitemi se state per tirarmi un kompeito, che provo a spostarmi! ;)

Briz65 *.*

Un disegno ve lo lascio, però, dai... anche se non so quanto potrà consolarvi...


 
  
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