Serie TV > Altro - Fiction italiane
Segui la storia  |       
Autore: Soul of Paper    24/11/2019    4 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nessun Alibi

 

Capitolo 3 - Rinvio a Giudizio

 

Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


Il trillo martellante di una sveglia la ridestò bruscamente.

 

Intontita, sentendosi la bocca impastata, come se avesse preso dei sonniferi, ed un principio di mal di testa, allungò una mano per cercare a tastoni il cellulare.

 

Solo che, invece del comodino, le sue dita toccarono stoffa e muscoli, troppi muscoli per trattarsi di Pietro.

 

Aprì gli occhi di scatto e, mentre malediceva il dolore lancinante alla base del cranio, realizzò contemporaneamente tre cose.

 

Non era a casa sua ma nell’appartamento di Calogiuri, si erano in qualche modo addormentati sul divano e in questo preciso momento si trovava mezza spalmata su di lui, che pure nel sonno le cingeva la vita in un abbraccio.

 

La quarta cosa che realizzò fu che il maresciallo aveva un sonno di pietra, considerando che nemmeno l’insistenza della sveglia sembrava averlo minimamente turbato - eh, beata gioventù!

 

“Calogiuri… Calogiuri… Calogiù!” lo chiamò, via via con più forza, toccandogli prima il petto e poi il viso, “e dai, svegliati, che dobbiamo andare in procura.”

 

“Dottoressa?” le chiese, intontito e assonnato, aprendo finalmente le palpebre, con un’aria confusa, che presto lasciò spazio ad un sorriso luminoso e a quel modo di guardarla che aveva solo lui, come se fosse una specie di apparizione divina.

 

Dovette fare leva su tutto il suo autocontrollo per bloccare il collo e resistere all’impulso di baciarlo: il tempo stringeva e non poteva permettersi alcuna distrazione. E, nella posizione in cui erano e non vestiti come erano, bastava pochissimo per combinare un macello.

 

Dopo un attimo di indecisione su dove posare le mani, fece leva sul petto di lui, si sollevò e lo scavalcò il più rapidamente possibile, ignorando le scosse elettriche che il contatto tra le loro gambe nude le provocava, atterrando in qualche modo in piedi sul pavimento.

 

“Dai, Calogiuri, muoviti che abbiamo poco tempo. Veloce! E meno male che non mi avresti mai fatta dormire sul divano!”

 

Per tutta risposta, Calogiuri scoppiò a ridere e scosse il capo con uno sguardo tra l’incredulo, l’affettuoso e l’esasperato.

 

“Va bene, va bene,” concesse, mettendosi seduto e passandosi una mano tra i capelli, per poi tirarsi in piedi a fatica, “se vuoi andare per prima in bagno, intanto preparo la colazione. Che cosa prendi di solito?”

 

“La cosa a più alto tasso di caffeina che hai in casa, Calogiuri. Doppia,” replicò, sorridendo tra sé e sé al tono del “agli ordini, dottoressa!”, che la seguì fino in bagno.

 

*********************************************************************************************************

 

“Dottoressa! Che piacere rivederla. Noto che il suo cavalier servente non la abbandona mai!”

 

Quasi in automatico, fece un cenno della mano verso Calogiuri, come a dirgli stai calmo.

 

Signor Romaniello, il piacere di vederla qui oggi è veramente tutto mio,” ribatté con un sorriso sarcastico, “e comunque ride bene chi ride ultimo.”

 

“Infatti, dottoressa, infatti,” proclamò con il tono e il sorriso di chi è già sicuro della vittoria, facendole l’occhiolino ed entrando in aula.

 

Vide con la coda dell’occhio Calogiuri stringere i pugni e, di nuovo, gli fece cenno di calmarsi.

 

Un ultimo sguardo d’intesa, un respiro profondo, ed entrò nella gabbia dei leoni.

 

*********************************************************************************************************

 

“Signor giudice, il castello accusatorio presentato non sta in piedi. Queste foto non comprovano nulla, se non un semplice incontro di affari, a patrocinio di un progetto che il mio cliente riteneva essere utile per la riqualificazione del territorio. Il mio cliente è completamente estraneo alla vicenda dei rifiuti tossici rinvenuti nel cantiere e a qualsiasi evento criminoso ivi avvenuto. I cantieri infatti non erano gestiti dal mio cliente, che non si occupa certo di edilizia, ma dall’architetto Bruno e dal defunto Scaglione. Che si è suicidato proprio per evitarsi il carcere, è evidente.”

 

“Peccato che l’avvocato Latronico sembri dimenticare che le prove in questione mi siano state fornite proprio da Scaglione in persona, che quindi non aveva alcun motivo di suicidarsi per evitarsi l’incarcerazione, né di scaricare le colpe su altre persone, avendo scelto lui stesso di confessare.”

 

“Supposizioni, siamo di nuovo alle supposizioni, signor giudice. La verità è che i veri colpevoli di questa storia non sono qui in aula oggi, ed è a loro che andranno poste queste domande.”

 

“E lo faremo, avvocato, a tempo debito lo faremo. Peraltro, sarebbero stati presenti all’udienza preliminare se proprio voi non aveste chiesto di anticiparla straordinariamente per il vostro cliente. Perché farlo, se avevate tutto questo interesse ad avere un confronto con loro?”

 

“Presidente, chiedo che la dottoressa si attenga all’argomento oggetto del dibattimento ed eviti insinuazioni lesive della dignità del mio cliente, che non ha di certo colpa se si trova ad affrontare gravi problematiche di salute.”

 

“Dottoressa, si attenga agli atti, per favore. E agli elementi di prova in suo possesso, che mi auguro siano più convincenti e rilevanti di qualche fotografia di dubbia provenienza.”

 

“Signor giudice, le garantisco che l’impianto accusatorio si basa su prove solide, numerose, circostanziate e concordanti, di cui le fotografie che lei menziona sono solo uno dei molti elementi a corroborare la tesi da me sostenuta,” articolò, dicendo tutto senza dire niente, per prendere tempo, sforzandosi di mantenere un tono calmo, anche se dentro di lei stava montando il panico, “le chiedo una sospensione di dieci minuti.”

 

Sapeva che fare questo genere di richiesta era un segnale di debolezza, ma aveva assolutamente bisogno di riordinare le idee e, soprattutto, le prove.

 

“Concessa, tuttavia le chiedo di cercare di essere il più chiara e concisa possibile, al rientro dalla pausa, nel presentare gli elementi probatori in suo possesso.”

 

Se me lo consentissi, magari, invece di lasciare che Latronico guidi il dibattimento nella direzione che gli fa più comodo, e prendere per buona ogni sua obiezione - pensò, conficcandosi le unghie nei palmi per non rispondere e non peggiorare la situazione.

 

Si voltò e vide Calogiuri già pronto vicino alle porte, un’espressione preoccupata sul viso. Si avviò a passo rapido verso di lui, almeno fino a quando fu intercettata da Romaniello, che si muoveva per l’aula come se fosse il salotto di casa sua.

 

“Dottoressa, quando tutto questo sarà finito e tutto sarà chiarito, mi auguro avremo l’occasione per una cena. Non serbo rancore e mi pare proprio che abbiamo un discorso in sospeso noi due,” pronunciò con studiata lentezza e sarcasmo, per poi rivolgere un’occhiata a Calogiuri, che si era affrettato a raggiungerli e si era affiancato tra lei e Romaniello, “magari senza la guardia del corpo personale.”

 

“Mi dispiace deluderla, ma il cibo delle mense carcerarie mi è assai indigesto, signor Romaniello. Ma non si preoccupi, sono certa che potrà godere della compagnia di molti commensali a lei sicuramente più affini.”

 

Senza dargli il tempo di ulteriori repliche, guadagnò l’uscita, il suono familiare dei passi di Calogiuri che la seguivano a breve distanza.

 

Spalancò la porta dell’ufficio a lei temporaneamente riservato e, non appena la udì chiudere alle sue spalle, si avventò sulla scrivania e gettò a terra il primo faldone che le capitò tra le mani.

 

“Dottoressa…” un sussurro e una mano sulla spalla, “per favore, cercate di cal-”

 

“Non t’azzardare nemmeno a dirmi di calmarmi, Calogiuri!” sbottò, scostandosi bruscamente e torcendo il collo per fulminarlo con un’occhiataccia che avrebbe incenerito un pezzo di ghiaccio.

 

Lo sguardo da cane bastonato la trafisse insieme ad un momentaneo senso di colpa, ma la furia sovrastava tutto e quando qualcuno le diceva di stare calma o tranquilla, l’unico risultato era, da sempre, quello di farla incazzare mille volte di più. E perfino Calogiuri non faceva eccezione.

 

“Che ti avevo detto, eh?! Che ti avevo detto?! Questo è un copione già scritto, Calogiuri, già scritto da giorni, anzi, da mesi! Il giudice pende dalle labbra di Latronico, forse perché gli conviene, forse perché gli sto sul gozzo io, forse perché avrà paura di Romaniello. Ma-”

 

“Ma siamo appena all’inizio del dibattimento, dottoressa, avete presentato solo le prime prove e c’è ancora da parlare degli omicidi di don Mariano, Aida e soprattutto di Vaccaro e-”

 

“Appunto Calogiuri! Siamo solo all’inizio e mi stanno già mettendo all’angolo. E me lo vedo già, come in uno specchio, il giudice, bello bello, che si beve la versione di Latronico: don Mariano l’ha ucciso Iannuzzi per gelosia nei confronti della moglie; Aida l’ha uccisa il suo protettore, Vaccaro, e quest’ultimo è stato fatto fuori da Scaglione con la complicità di Bruno, magari perché li ricattava per la storia dei rifiuti tossici o chissà che altro. Romaniello una povera anima innocente, ricattato da Vaccaro per le sue frequentazioni con prostitute. E che si è ritrovato coinvolto, suo malgrado, nell’affare edile della cupola di Scaglione e Bruno. Risultato: rito ordinario, arresti domiciliari e arrivederci e tante care cose.”

 

Calogiuri non rispose, limitandosi a raccogliere le carte sparse a terra e rimetterle sulla scrivania, guardandola preoccupato, con l’aria di chi sapeva bene quando era il caso di stare zitto e lasciarla sfogare.

 

“Te l’avevo detto, Calogiuri, che non avevamo abbastanza in mano, che dovevamo avere il tempo di scavare più a fond-”

 

La frase le morì in gola, mentre un lampo passò negli occhi di Calogiuri, che si spalancarono increduli. E non avrebbe saputo dire se l’idea fosse venuta prima a lui o a lei, in uno di quei momenti perfetti, da film, in cui due persone, all’improvviso, si ritrovano a formulare lo stesso identico pensiero e ad esserne del tutto consapevoli.

 

“Calogiuri…”

 

“Penso a tutto io, dottoressa, non vi preoccupate,” la rassicurò, avviandosi verso la porta, “non sarà facile trovare persone disponibili il 13 di agosto, ma ce la faremo. Voi cercate di tirare avanti l’udienza il più a lungo possibile.”

 

“Calogiuri,” lo bloccò, quando aveva già la mano sulla maniglia, “veloci ma accurati, mi raccomando. Seguite alla lettera tutte le procedure, non possiamo permetterci alcun margine di errore, va bene?”

 

“Agli ordini, dottoressa!” la rassicurò, facendole l’occhiolino e richiudendo la porta dietro di sé.

 

Pregando qualsiasi divinità fosse in ascolto - e che non l’avesse già scomunicata - che l’intuizione comune fosse un presagio e non solo un delirio frutto della disperazione, raccolse le carte e le idee e si preparò mentalmente alla battaglia.

 

*********************************************************************************************************

 

“Signor giudice, mi pare evidente che il Vaccaro sia stato ucciso da qualcuno nell’organizzazione che fa capo a Bruno e al defunto Scaglione. Oltre all’attività di sfruttamento della prostituzione, sarà stato coinvolto anche in quella dello smaltimento dei rifiuti tossici, avrà tentato di ricattarli magari, come ha tentato di fare con il mio cliente per la sua frequentazione occasionale con la Bassir e sarà stato messo a tacere.”

 

Latronico era prevedibile come un orologio svizzero, tutto come da copione e il giudice, sempre come da copione, pareva dare, chissà perché, molto più credito alle sue di tesi.

 

“Signor giudice, il fatto che il cadavere di Vaccaro sia stato ritrovato nel cantiere di Bruno e Scaglione non significa automaticamente che questi ultimi siano i fautori del suo omicidio. Abbiamo comprovato i rapporti prolungati diciamo… di affari che intercorrevano tra il signor Romaniello e Scaglione e Bruno. E l’imputato è la persona che più di tutte avrebbe beneficiato della morte di Vaccaro, avvenuta oltretutto proprio in concomitanza con il suo arresto per l’omicidio della Bassir. Non solo perché, come ammesso dal signor Romaniello stesso, Vaccaro lo ricattava e, no, signor giudice, non solo per qualche… indiscrezione con una prostituta, ma per l’omicidio di Aida Bassir. Ma proprio per far ricadere l’omicidio della Bassir sul Vaccaro, inscenandone la fuga. Mentre non mi pare che ci sia alcuna prova che suggerisca un qualche interesse di Bruno e Scaglione nell’omicidio del Vaccaro. Anzi, non esiste alcuna evidenza che comprovi alcun contatto tra Vaccaro, Bruno e Scaglione, nemmeno una telefonata.”

 

Si sentiva esausta: erano le 16 ormai ed erano più di sette ore, considerato le pause, che ribatteva colpo su colpo gli attacchi di Latronico. Era bravo a fare il suo mestiere il suo ex presunto fratello, lo doveva ammettere, probabilmente il migliore a Matera. Peccato che usasse le sue abilità per coprire i criminali della peggior specie.

 

“Signor giudice, non esisterà alcuna evidenza che comprovi i contatti tra il Vaccaro, Bruno e Scaglione, ma non esiste nemmeno alcuna evidenza certa che comprovi che il mio cliente si sia mai recato su quel cantiere, cosa che il mio cliente nega fermamente.”

 

“Gli omicidi si possono effettuare anche su commissione, avvocato Latronico e-”

 

“Tutte ipotesi, dottoressa, solo ipotesi. Lei dipinge il mio cliente come se fosse a capo di una cupola di criminalità organizzata, ma di fatto qui le uniche prove di un’organizzazione di alcun tipo sono proprio quelle che ricollegano Bruno e Scaglione tra loro e all’omicidio del Vaccaro. Tutto il suo castello accusatorio nei confronti del mio cliente si basa su elementi indiziari, dottoressa,” la interruppe Latronico e Imma sapeva già cosa avrebbe detto dopo. Sentì il sapore del panico e della sconfitta montarle il gola. Era finita, aveva esaurito tutte le prove e gli argomenti e non sapeva più come procrastinare l’inevitabile, “se non vi sono elementi probatori che colleghino inequivocabilmente il mio cliente all’omicidio di Vaccaro o di don Mariano o allo smaltimento dei rifiuti tossici, chiedo che venga rigettata la richiesta di procedere per direttissima e di addivenire invece al rito ord-”

 

Proprio in quel momento, sentì il rumore delle porte spalancarsi ed il panico si tramutò in un’assurda, folle speranza.

 

Si voltò ed incrociò gli occhi di Calogiuri che le sorridevano, un’espressione di trionfo sul volto che le sembrò improvvisamente la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua.

 

“Dottoressa Tataranni, ci sono ulteriori elementi probatori che vuole sottoporre all’attenzione della corte? In caso contrario non posso che-”

 

“Signor giudice, le chiedo una pausa di dieci minuti.”

 

“Dottoressa, con tutto il rispetto questa è la terza sospensione che richiede e se non ci sono ulteriori elementi-”

 

“Ci sono ulteriori elementi signor giudice, o meglio, ci saranno se mi concede questi dieci minuti di pausa. Le garantisco che se, al rientro dalla sospensione, non avrò un nuovo elemento da sottoporle nell’immediato, accetterò la sua decisione senza ulteriori obiezioni.”

 

Il giudice sembrò esitare per un attimo, poi con un sospiro concesse la pausa.

 

Ignorando l’espressione sorpresa e contrariata di Latronico e i commenti brillanti di Romaniello, si fiondò verso la porta, raggiungendo Calogiuri come fosse un’oasi nel deserto, o forse, più appropriatamente, un miraggio.

 

Non poté trattenersi dal ricambiare il sorriso, afferrandolo per un braccio e trascinandolo, praticamente di corsa, fino all’ufficio.

 

“E allora? Che hai scoperto?” gli domandò d’un fiato, appena la porta venne richiusa alle loro spalle.

 

“Che avevate ragione voi, dottoressa, come sempre,” le rispose Calogiuri con quel tono sinceramente ammirato che non le aveva mai fatto dubitare lui volesse solo ingraziarsela, ogni volta che si sperticava in complimenti, “c’era davvero qualcosa che Romaniello e Latronico non volevano che noi scoprissimo, scavando più a fondo.”

 

“E invece avevi ragione pure tu, Calogiuri: nelle carte non c’era proprio nient’altro da trovare,” ribatté con altrettanto sincera ammirazione. Era incredibile quanto fosse cresciuto in quest’ultimo anno, professionalmente e non solo.

 

“Ma mo se non mi tiri fuori quello che hai trovato entro i prossimi cinque secondi, ti faccio perquisire, Calogiuri,” gli intimò con un sorriso, vedendolo arrossire e poi lanciarle uno sguardo che le fece sentire le gambe tremolanti, nonostante il contesto, l’ansia e l’agitazione.

 

“Non mi tentate, dottoressa,” le sussurrò, prima di estrarre qualcosa dalla tasca dei pantaloni, fare un sorrisetto divertito e proclamare, “e comunque… ho trovato la fede.”

 

“Ah, bene. E a che religione ti saresti convertito, Calogiuri?” gli domandò, strappandogli quasi di mano il sacchetto sigillato.

 

Un anello, un singolo anello che, un po’ ammaccato, luccicava sospeso nella plastica.

 

Non l’avrebbe resa più felice nemmeno se si fosse presentato con un solitario da cinque carati.

 

“Questa non è una fede, Calogiuri,” precisò, infilandosi il guanto che lui le stava porgendo, aprendo il sacchetto ed estraendone il gioiello, sentendosi improvvisamente come quella specie di mostriciattolo dei film del Signore degli Anelli, che tanto piacevano a Valentina qualche anno prima.

 

Quello che teneva in mano era veramente il suo tesoro.

 

“Questo anello è un sigillo. Qui sopra c’è lo stemma dei Romaniello, riconoscibile, pure se un poco rovinato e qui dentro…”

 

Il nome Saverio, inciso nell’oro, le stampò sul viso un sorriso trionfale che nemmeno un mese con sua suocera e la Moliterni messe assieme le avrebbe potuto levare. Sempre sia lodata la pomposa autoreferenzialità delle famiglie di origini nobiliari.

 

“Era incastrato nel cemento, appena un paio di metri sotto a dove abbiamo rinvenuto il cadavere. Deve essere caduto nel cemento ancora fresco. L’altra volta non abbiamo pensato di usare il metal detector, ma solo i cani e gli infrarossi e invece...”

 

“Le foto dell’autopsia, Calogiuri, le dobbiamo recuperare prima di subito,” gli ordinò, proiettandosi verso la scrivania ed iniziando a scartabellare.

 

“Eccole, dottoressa!” esclamò dopo qualche minuto di ricerca, passandole il fascicolo.

 

Lo aprì ed il sorriso trionfale si trasformò in una risata liberatoria.

 

D’istinto, afferrò Calogiuri per il bavero e gli scoccò un bacio sulle labbra, soffocandogli un’esclamazione di sorpresa, incurante del trovarsi in tribunale, l’adrenalina e le endorfine a mille.

 

“Grazie…” gli sussurrò nell’orecchio, abbracciandoselo per qualche secondo, prima di dirigersi di corsa verso l’aula.

 

Ride bene chi ride ultimo.

 

*********************************************************************************************************

 

“Signor giudice, questa prova non è agli atti e chiediamo quindi che non venga valutata nel dibattimento odierno, non avendo avuto la difesa il tempo di analizzarla.”

 

“Signor giudice, la prova è stata rinvenuta in data odierna, alla presenza di agenti della scientifica e di svariati agenti e di un sottufficiale di polizia giudiziaria. Le ricordo che questa udienza avrebbe dovuto svolgersi tra un mese ed è stata anticipata per i problemi di salute del signor Romaniello. Questo al fine di evitare ulteriori rinvii. Ma ciò ha creato un’enorme pressione sulle indagini e sul reperimento di elementi probatori, lasciandoci pochissimo tempo a disposizione, non per nostra volontà o colpa. Chiedo dunque che questa prova, che è risolutiva, venga inserita agli atti odierni, proprio per evitare ulteriori rinvii e lungaggini giudiziarie che, le garantisco, risulteranno assolutamente non necessari dopo averle sottoposto la prova in questione.”

 

“D’accordo, dottoressa, considerato il poco tempo a vostra disposizione per le indagini, concedo che questa prova venga introdotta nel dibattimento. A suo rischio e pericolo, dottoressa.”

 

“La ringrazio signor giudice,” sorrise trionfante, adocchiando lo sguardo spaventato e incerto di Latronico e Romaniello, “l’accusa chiama a testimoniare Romaniello Saverio.”

 

*********************************************************************************************************

 

“Riconosce questo anello, signor Romaniello?”

 

Lo sguardo furente e carico d’odio che ricevette fu la conferma di avere finalmente in mano la vera pistola fumante: l’uomo senza volto aveva infine gettato la maschera.

 

“Si tratta… si tratta del mio sigillo, dottoressa. L’ho perso, o forse mi è stato rubato, svariati mesi orsono.”

 

“Mi saprebbe dire quanti mesi orsono?”

 

Silenzio.

 

“Mi saprebbe dire come questo anello sia finito incastrato nel cemento delle fondamenta del cantiere di Marina di Ginosa?”

 

“Forse… immagino mi sarà caduto durante una mia visita al cantiere…” provò ad articolare Romaniello ed Imma seppe di averlo in pugno.

 

“Ma come, signor Romaniello? Ha dichiarato lei stesso di non aver mai messo piede in quel cantiere. Lo ha confermato perfino il suo avvocato, nemmeno un'ora fa.”

 

“Sa… io visito molti luoghi nel corso di un anno… magari mi sarò confuso. O forse l’anello mi fu rubato proprio da Vaccaro.”

 

“Ma sa che ha proprio ragione, signor Romaniello? Questo anello le fu veramente sottratto dal signor Vaccaro,” replicò Imma con il sorriso del gatto che gioca col topo, vedendo Romaniello, Latronico e il giudice fare un’espressione sorpresa.

 

“La vede questa foto, signor Romaniello? Questa foto ritrae l’interno dello stomaco di Vaccaro, o quello che ne resta. Nota questa strana discolorazione circolare? Signor giudice, le ricordo che questa foto è di dimensioni reali. E ora guardi che succede se sovrappongo l’anello a questa immagine.”

 

Posò foto e anello sul banco del giudice e, sebbene quest’ultimo fosse ammaccato, combaciavano che manco la scarpetta di Cenerentola.

 

“Abbiamo chiesto conferma al dottor Taccardi, che è disponibile telefonicamente se lo ritiene necessario, e ritiene che la discolorazione sia perfettamente compatibile con l’anello in questione e si sia formata quando l’anello è rimasto nello stomaco del Vaccaro post mortem. Signor Romaniello, mi saprebbe dire per caso perché il suo sigillo era nello stomaco di Vaccaro?”

 

Romaniello la trafisse con uno sguardo che avrebbe potuto uccidere ma restò in silenzio.

 

“Non ho altre domande, signor giudice.”

 

“Avvocato Latronico, vuole procedere al controinterrogatorio?”

 

Ma Latronico rimase immobile, l’aspetto di chi non sa più che pesci pigliare, né a cosa aggrapparsi e scosse lentamente il capo.

 

“Signor giudice, se mi permette vorrei formulare la mia ipotesi conclusiva.”

 

“Prego, dottoressa Tataranni,” concesse il giudice, sembrando improvvisamente pendere dalle sue di labbra.

 

“Signor giudice, le ricordo che Vaccaro già in precedenza aveva cercato di ricattare Romaniello e di indirizzarci verso la colpevolezza di quest’ultimo nel caso Bassir. Questo sia nella scelta dei luoghi ove fare ritrovare i pezzi di Bassir Aida, sia facendoci ritrovare il bacino della vittima nella sua barca, con il DNA purtroppo ormai inutilizzabile. Il Vaccaro doveva essersi tenuto un’ultima, estrema assicurazione sulla vita. Probabilmente in occasione dell’omicidio di Aida, aveva sottratto al signor Romaniello il suo anello e lo ha conservato. Quando ha capito che per lui era finita lo ha ingoiato, sperando così di lasciare a chi lo avrebbe ritrovato un indizio decisivo sull’identità del suo assassino, o meglio, di chi lo ha mandato a morte. Ma, forse perché il corpo è stato fatto a pezzi o forse in un atto volontario di chi ha provveduto a liberarsi dei resti di Vaccaro in quel cantiere, nel tentativo di procurarsi un’assicurazione sulla sua di vita, l’anello è fuoriuscito dallo stomaco di Vaccaro ed è rimasto incastrato nel cemento un paio di metri più sotto. Visti tutti gli elementi probatori da me presentati, signor giudice, chiedo che si proceda per direttissima.”

 

“L’avvocato Latronico ha obiezioni?” domandò il giudice, ma venne accolto solo dal silenzio più totale, “in tal caso mi ritiro per formulare una decisione.”

 

*********************************************************************************************************

 

“Visti gli elementi in mio possesso, condanno l’imputato Romaniello Saverio alla pena di anni trenta di reclusione, in quanto mandante dell’omicidio e dell’occultamento di cadavere di Vaccaro Simone. In riferimento ai capi di imputazione dell’omicidio ed occultamento di cadavere di Bassir Aida, dell’associazione per delinquere, finalizzata allo sversamento abusivo ed al traffico di rifiuti tossici e dell’omicidio di don Mariano Andrisani, dispongo che si proceda per rito ordinario. In considerazione del rischio di fuga e di reiterazione del reato, dispongo quindi che l’imputato, Romaniello Saverio, venga immediatamente tradotto in carcere e dispongo altresì ulteriore perizia medica, al fine di accertare l’effettiva necessità dell’intervento chirurgico a cui l’imputato dovrebbe sottoporsi e le tempistiche per fissare le successive udienze dei procedimenti ancora aperti a suo carico.”

 

Non ci credeva, non ci poteva credere: si sentiva allo stesso tempo piena di adrenalina e come un palloncino che improvvisamente si svuota del tutto.

 

Ce l’aveva fatta, ce l’aveva fatta, anzi, ce l’avevano fatta!

 

Si voltò d’istinto verso Calogiuri e trovò uno sguardo commosso ed orgoglioso ed un sorriso luminoso che ne era certa, riflettevano i suoi.

 

Afferrò la borsa e gli si avvicinò, facendosi largo tra la folla, i primi giornalisti che cominciavano ad assediarla per avere una sua dichiarazione. Calogiuri la raggiunse a metà strada, frapponendosi tra lei e la stampa, in quella routine talmente consolidata da sembrare quasi una danza.

 

Dovette inchiodarsi le mani ai fianchi per resistere all’impulso di abbracciarlo. Attese che fossero fuori dall’aula e fuori dalla portata delle orecchie dei giornalisti, per avvicinarsi leggermente e sussurrargli, “grazie! Non dimenticherò mai quello che hai fatto oggi per me, Calogiuri.”

 

Per tutta risposta, lui le regalò un sorriso, se possibile, ancora più ampio, “grazie a voi per la fiducia, dottoressa. E poi avete fatto praticamente tutto voi: siete stata incredibile in aula!"

 

“Ma che quadretto commovente! Certo che siete proprio una bella coppia voi due!”

 

La voce di Romaniello, ammanettato e circondato dalle guardie carcerarie, la ridestò bruscamente dalla bolla in cui si trovava e la fece voltare di scatto verso di lui, allontanandosi quasi inconsciamente di un passo da Calogiuri.

 

“Già, veramente una bella coppia, anche se improbabile,” sibilò Romaniello ed Imma notò che, per la prima volta, sembrava dedicare lo stesso identico tipo di sguardo e di ostilità a lei e al maresciallo, e non a trattarlo solo come una sua appendice, “su di voi Shakespeare avrebbe scritto una bellissima tragedia.”

 

“Per le sue battute da gangster da operetta, invece, nessun autore sano di mente sprecherebbe una riga di carta, signor Romaniello,” sibilò, cercando di non mostrare né la rabbia, né la benché minima traccia di paura, “e, come le ho già detto, ride bene chi ride ultimo. Si goda i suoi nuovi commensali, signor Romaniello.”

 

“Infatti, dottoressa, infatti: siamo solo all’inizio, ci sono ancora due gradi di giudizio e tre processi aperti. Vedremo chi riderà alla fine, dottoressa.”

 

*********************************************************************************************************

 

Socchiuse gli occhi, godendosi la sensazione dell’aria fresca sul viso e sui capelli.

 

Si sentiva euforica, quasi ubriaca, pur non avendo toccato una sola goccia d’alcol, l’adrenalina e le endorfine che le pompavano con il sangue ad un ritmo forsennato.

 

Quella appena ottenuta era, senza ombra di dubbio, la più grande vittoria della sua carriera. Certo, aveva vinto una battaglia e non la guerra. Ma anche solo vincere quella battaglia era più di quanto fosse lecito sperare nel marciume di mondo in cui viveva e che, fin da quando era bambina, aveva in ogni modo lottato per cambiare.


E, forse, nel suo piccolo, ci stava riuscendo.

 

“È veramente una droga, non è vero, dottoressa?”

 

Aprì gli occhi e trovò Calogiuri che la fissava in quel modo tanto assurdo, quanto pericoloso, come solo lui faceva.

 

“Già, solo che è assolutamente legale e fa pure bene ad un sacco di gente,” sospirò soddisfatta, prima di aggiungere, ironica, “insomma, veniamo pagati per farci la nostra dose quotidiana, Calogiuri, e coi soldi dei contribuenti, per giunta.”

 

“Ci siamo scelti un bel mestiere, eh, dottoressa?”

 

“Al netto delle beghe, delle procedure, dei mal di stomaco e di certi colleghi, direi proprio di sì, Calogiuri,” concordò, per poi aggiungere, dopo un attimo di esitazione, “soprattutto quando si ha la fortuna di lavorare con qualcuno su cui si può contare davvero. E non è per niente scontato.”

 

Istintivamente, allungò una mano fino a raggiungere quella di lui sul cambio, intrecciò le loro dita e gli sorrise.

 

La verità era che senza di lui quella vittoria non l’avrebbe ottenuta e non l’avrebbe mai, ma proprio mai, potuto ringraziare abbastanza.

 

“Beh… direi che questa vittoria va festeggiata, no, dottoressa?” le domandò, sembrando leggerle nel pensiero, dopo qualche attimo di silenzio, stringendole di più la mano ed accostando improvvisamente la macchina, in una strada a un paio di chilometri da casa di lei.

 

Imma si guardò intorno, chiedendosi se ci fosse qualcosa nei paraggi, ma vide solo una fila di anonimi caseggiati.

 

“Che… che ne diresti se… ti preparassi qualcosa per cena?”

 

Poche parole, pronunciate a fatica, quasi balbettando, ed Imma sentì il cuore in gola, il viso caldo ed un senso improvviso di panico misto a eccitazione. O forse eccitazione mista a panico.

 

“Intendi dire… cucinare tu… a casa tua?” gli domandò, sia per accertarsi di aver capito bene, sia per prendere tempo.

 

“Ti inviterei a cena fuori ma… immagino che non sia il caso qui a Matera,” chiarì Calogiuri, passandosi una mano tra i capelli, le guance in fiamme.

 

E aveva ragione, per carità, aveva assolutamente ragione, ma Imma sapeva benissimo le implicazioni di accettare un invito simile e le aveva ben chiare anche Calogiuri, a giudicare dal suo imbarazzo. Specie se confrontato con la decisione con cui l’aveva invitata a casa sua la sera precedente, quando l’unico scopo della serata era realmente dormire e non-

 

Consumare ricotta fuori dalle mura domestiche, Tataranni - le ricordò la voce di Vitali, che momentaneamente era di nuovo il suo grillo parlante.

 

“E che cosa prevederebbe il menù, Calogiuri?” chiese, sia per riempire il silenzio che si faceva sempre più carico di tensione, sia per guadagnare ancora un po’ di tempo per riordinare le idee nella sua testa, che in questo momento pareva fatta di uova strapazzate.

 

“Te lo ricordi lo spaghetto dell’appuntato?” le domandò con un sorriso ed Imma non riuscì a trattenere una risata.

 

“Come no!” scosse il capo, sorridendo, mentre sentiva la tensione piano piano evaporare, tanto da non riuscire a resistere al ribattere, “ma dopo un anno di attesa le aspettative potrebbero essere molto alte e molto difficili da soddisfare, Calogiuri.”

 

Calogiuri assunse il colore di un peperone crusco ed Imma si sentì avvampare ancora di più, non appena si avvide del tutto di che cosa avesse appena detto e, soprattutto, insinuato. Altro che gli spaghetti pomodoro e basilico!

 

“È un rischio che sono disposto a correre, dottoressa,” le sussurrò, lanciandole un’occhiata decisa, in totale contrasto con le guance paonazze, con quel misto di coraggio e timidezza che lo rendeva così maledettamente irresistibile.

 

“Va bene...” le parole le uscirono di bocca, quasi senza rendersene conto, le labbra che si tendevano in un sorriso nervoso.

 

Il dado era tratto.

 

*********************************************************************************************************

 

Si guardò allo specchio, aggiustandosi il vestito per l’ennesima volta.

 

Ironia della sorte, dei tre cambi infilati nel borsone, uno era proprio il vestito indossato quella famosa sera in cui Calogiuri le aveva formulato quella specie di mezzo invito, di fronte a casa sua.

 

Se fosse una straordinaria coincidenza o una scelta inconscia non era qualificata per dirlo e, francamente, gliene fregava pure ben poco.

 

La verità era che in quel momento, mentre adocchiava a turno la sua immagine riflessa e il letto alle sue spalle, le tornava in mente Stella, Stella Pisicchio.

 

Imma non era di certo vergine, e pure da mo, tutt’altro: il sesso le piaceva eccome e non se ne era mai vergognata, anzi. Si era sempre ritenuta fortunata della sua vita sessuale e negli anni aveva pure accumulato una discreta esperienza.

 

Il problema era che tutta la sua esperienza si riconduceva ad un’unica persona e si sentiva come un nuotatore provetto ma abituato solo alla piscina di casa, che si trovi improvvisamente a doversi tuffare nell’oceano.

 

Nel cliché delle relazioni tra donne più mature e uomini più giovani, lei avrebbe dovuto essere la cougar che insegnava al giovane sbarbatello tutti i segreti del mestiere. Ma, per quanto Calogiuri fosse timido, aveva, dati alla mano, avuto sicuramente più varietà di frequentazioni di lei, non che ci volesse molto. E lei l’unico mestiere che poteva insegnargli già glielo aveva insegnato e non era di certo una pantera, nonostante tutti i capi animalier stipati nel suo armadio.

 

Il rintocco di nocche sulla porta la bloccò nell’ennesimo tentativo di risistemare la scollatura.

 

“Dottoressa… sarebbe pronto in tavola…”

 

Prendendo un lungo respiro, si fece forza ed abbassò la maniglia, trovandosi davanti Calogiuri che la osservava nervosamente, tenendosi le mani dietro la schiena, tanto che pareva sull’attenti.

 

Spalancò di più la porta e notò che si era cambiato anche lui. Pantaloni neri e camicia bianca, con le maniche leggermente arrotolate verso i gomiti. Le tornò improvvisamente alla mente uno dei numerosi sogni che aveva fatto su di lui, in cui lui tornava da Roma e finivano avvinghiati sulla sua scrivania - un sogno quasi premonitore.

 

Perché, ora come allora, Calogiuri era coraggioso ma non sfrontato e la sua timidezza era sempre lì, pronta a fare capolino quando meno se lo aspettava. E, in fondo, una parte di lei sperava che non la perdesse mai del tutto.

 

Un movimento ed una macchia di colore rosso sovrastò il bianco: Calogiuri le stava porgendo una rosa.

 

L’afferrò con mano tremante e gli sorrise intenerita, un nodo che le si formava in gola e che accrebbe quando Calogiuri le fece strada e notò il tavolino apparecchiato per due in maniera molto semplice, ma con una candela tremolante a centrotavola, nonché la musica jazz che si diffondeva a basso volume da una piccola cassa sul bancone della cucina.

 

“Da quanto è che la progettavi questa cena, Calogiuri?” non potè trattenersi dal chiedere, mentre si domandava quando avesse avuto il tempo di comprare la rosa, che era indubbiamente freschissima. Forse mentre lei era sotto la doccia?

 

“Diciamo che… che un po’ ci speravo, dottoressa, ma… ma poi tra il pensare e il fare…”

 

A chi lo dici, Calogiuri - sospirò tra sé e sé, mentre si lasciava condurre verso la sedia, che lui si affrettò a scostare per aiutarla a sedersi.

 

Questi gesti se fatti da chiunque altro l’avrebbero infastidita, li avrebbe trovati indice di maschilismo e di condiscendenza. Ma nel caso di Calogiuri, lo sapeva, erano semplicemente un segno di rispetto e di quel suo essere davvero un ragazzo di altri tempi, nell’accezione migliore del termine però.

 

Si allontanò un attimo per prepararle il piatto e tornò con una porzione fumante di-

 

“Cacio e pepe?” gli domandò, sorpresa, riconoscendo immediatamente la pietanza che avevano mangiato insieme a Roma, “ma che fine ha fatto lo spaghetto dell’appuntato?”

 

“Beh, dottoressa… nel frattempo è passato un anno, l’appuntato è stato a Roma ed è diventato maresciallo e… e ha pure imparato qualche ricetta nuova,” rispose con un sorriso, prendendo anche il suo di piatto e mettendosi a sedere di fronte a lei, prima di proporre, con uno sguardo speranzoso, “se però proprio ti manca il pomodoro e basilico, possiamo sempre fare per la prossima volta.”

 

Imma si limitò a sorridergli di rimando, anche perché sentiva la gola riarsa peggio della gravina in quella stagione.

 

“Vino? Se non ricordo male, il bianco ti piaceva,” offrì lui, sembrando di nuovo leggerle nel pensiero.

 

Niente calici stavolta, solo due bicchieri trasparenti, semplici ed economici, ma si affrettò a farselo riempire e a bere una sorsata.

 

“Facciamo un brindisi?” le propose con un sorriso, sollevando il bicchiere e guardandola negli occhi, “alla tua vittoria di oggi!”

 

“Alla nostra vittoria, Calogiuri,” precisò, facendo toccare i loro bicchieri, “sperando che ce ne siano ancora molte altre.”

 

Per un tempo indefinibile rimasero in silenzio a mangiare. Gli spaghetti erano molto buoni, dovette ammettere Imma, Calogiuri sapeva proprio fare quasi tutto. Se solo non fosse stato così timido, avrebbe avuto una fila di ragazze - e non solo - davanti alla porta di casa, roba da dover mettere le transenne come ai concerti.

 

Forse non è solo per la timidezza che davanti alla sua porta c’è il deserto dei Tartari, Imma, ma perché sta sempre appresso a te - le ricordò la voce della Moliterni. Certo che la sua coscienza era meglio di Pirandello in questo periodo: uno, nessuno e centomila.

 

“Allora, mo che l’appartamento mi sembra quasi sistemato, non pensi di fare proprio niente nei giorni di vacanza che ti restano?” gli chiese, per stemperare il silenzio e fare conversazione.

 

“Non credo… come ti ho già detto devo risparmiare e poi-”

 

“Ma c’è un mare stupendo qui vicino, Calogiuri. Almeno qualche gita in giornata potresti fartela, no? O non ti piace il mare?”

 

“No, il mare mi piace molto, dottoressa, ma non ho nessuno con cui andarci e da solo è un po’ triste…” commentò, lanciandole un’occhiata penetrante che non era certa se fosse un invito, una recriminazione o semplicemente una constatazione.

 

Per un secondo fu tentata di dirgli che alla sua età non era normale non avere amicizie, che doveva svagarsi con i suoi coetanei. Ma poi le venne in mente cosa era successo l’ultima volta che gli aveva ricordato delle occasioni perse, peraltro in una situazione che le ricordava molto quella nella quale si trovavano, e si morse la lingua prima di rischiare un Lolita gate bis.

 

Non sarà che temi che, se se ne va in spiaggia e conosce gente, poi le transenne bisogna metterle sul serio e te finisci per rimanerne fuori, Imma? - la Moliterni versione coscienza era irritante quasi quanto quella reale.

 

“E invece la tua vacanza? Come sta andando? Il mare di Metaponto deve essere bellissimo.”

 

“Il mare è bellissimo, ci starei a mollo giorno e notte. La compagnia di mia suocera un poco meno,” ironizzò, anche per evitare il rischio di entrare in argomenti che quella sera, e in generale con lui, erano ormai off limits.

 

“Ti piace nuotare?”

 

“Diciamo che galleggio, Calogiuri, più che altro prendo il sole su un materassino. Perché?”

 

“No, così… a me invece nuotare piace moltissimo. In realtà da bambino mi allenavo, me la cavavo pure abbastanza bene, avevo iniziato a fare qualche gara. Ma i miei genitori non si potevano permettere di farmelo fare a livello agonistico, più crescevo più crescevano pure le spese, e così ho smesso.”

 

Gli sorrise intenerita, mentre episodi della sua d’infanzia le riaffiorarono alla mente, facendole pizzicare gli occhi. Era pazzesco quante cose avessero in comune loro due, pur essendo così diversi. Ma, in fondo in fondo, erano molto più simili di quanto lei stessa avrebbe mai potuto immaginare.

 

“Sai… anche a me successe una cosa del genere…” ammise, perdendosi per un attimo nei ricordi.

 

“Col nuoto?”

 

“No, no. Io sono sempre stata negata per lo sport, Calogiuri. Ma… ma una volta la famiglia per cui faceva le pulizie mia madre se la portò dietro in vacanza: avevano bisogno di aiuto con la casa in campagna. E mi portarono con loro, perché mia madre non sapeva a chi lasciarmi. Avevano una figlia che era qualche anno più grande di me ed aveva un cavallo, un bellissimo cavallo nero. Io me ne stavo incantata a guardarla cavalcare, finché un giorno probabilmente le feci compassione e mi ci fece montare insieme a lei. Hai presente quando fai una cosa per la prima volta e pensi che la vorresti fare per il resto della vita? Ecco, io in quel momento mi sentii così… proprio… felice ed era la prima volta che mi succedeva. Andai da mia madre dicendole che avrei voluto fare equitazione, prendere lezioni, ma lei mi fece un sorriso triste e mi spiegò che ci volevano i soldi, tanti soldi e che non ce lo potevamo permettere… scusami, non so nemmeno perché ti annoio con queste stor-”

 

Si sentì stringere con forza la mano sinistra e sollevò lo sguardo, incontrando due occhi tanto lucidi da farle venire un magone tremendo, mentre la vista le si appannava.

 

Due dita le sfiorarono delicatamente la guancia destra. Senza pensarci, ricambiò il gesto e poi si sporse leggermente sopra il tavolino, incontrando le labbra di Calogiuri in un bacio dolce, lieve, che esprimeva tutta la tenerezza, la gratitudine e tutto quell’altro che le scoppiava dentro ma che non riusciva ad esprimere, né a definire a parole.

 

E la ormai famigerata fiammella si ringalluzziva e riprendeva vita, bruciandole dentro, bruciandole... il braccio?

 

Si staccò bruscamente da Calogiuri e sollevò il braccio di scatto: la zona appena sotto al gomito era marchiata di rosso. Presa dal bacio, ci mancava poco che si ustionasse con la candela.

 

Ci mancava solo la lettera scarlatta, mo!

 

Alzò gli occhi e, come i loro sguardi si incontrarono, scoppiarono in una risata nervosa ed imbarazzata

 

“Sei davvero pericoloso, Calogiuri!” ironizzò, rimettendosi a sedere.

 

“Vuoi del ghiaccio?”

 

Una vagonata! - fu il primo pensiero che, una volta filtrato da ciò che restava del suo cervello, si tradusse in un, “ma no, grazie, non serve: è solo un poco arrossato.”

 

E di nuovo il silenzio, accompagnato solo dal sottofondo jazz che però non fece nulla per rilassarla. Ma, ad onor del vero e a discapito dei musicisti, nemmeno una camomilla tripla corretta alla valeriana avrebbe potuto alcunché.

 

“Un altro po’ di vino?” offrì Calogiuri e, per un secondo, le parve davvero di essere tornata a Roma.

 

Ma solo per un secondo.

 

“Vuoi farmi ubriacare, Calogiù?” non riuscì a trattenere la battuta, che a Roma non avrebbe mai osato fare. Ma ora stavano a Matera e, rispetto a Roma, ormai non solo Matera, ma proprio il loro rapporto era tutta un’altra cosa.

 

“Non mi permetterei mai, dottoressa,” rispose, serio, prima di fare un mezzo sorriso e aggiungere, lanciandole un’occhiata intensa, “e poi non mi sembra ce ne sia bisogno.”

 

Il respiro le si mozzò in gola, una scossa elettrica - di nuovo meglio omettere dove - ed un brivido lungo la spina dorsale. Calogiuri abbassò lo sguardo ed arrossì, come spaventato dalla sua stessa audacia e fu, se possibile, pure peggio, il colpo di grazia.

 

Lo squadrò per un attimo, stringendo lievemente gli occhi, poi appoggiò il tovagliolo sul tavolo e con lentezza si alzò in piedi.

 

Lo vide deglutire ed osservarla con apprensione, mentre percorreva i pochi passi che li separavano. Sollevò le mani, cercando di nasconderne il tremore, e gliele appoggiò sulle spalle, continuando a scrutarlo senza fiatare.

 

Abbassò il capo, avvicinandosi sempre di più, talmente vicino da sentire il suo respiro sulle labbra e-

 

Lo squillo di un cellulare la fece sobbalzare, rompendo il momento, la sua determinazione - e le scatole, per dirla tutta!

 

Impiegò qualche secondo a realizzare che si trattava della sua stessa suoneria e quindi del suo telefono, che in questo momento non ricordava manco più dove diamine avesse infilato.

 

Per un istante fu tentata di fregarsene e lasciarlo squillare, ma il buonsenso intervenne - dopo un lungo periodo di latitanza - e le suggerì che, vista l’insistenza, non sarebbe stata una buona idea.

 

Si guardò in giro ed infine notò la borsa che giaceva ancora sul divano, dove l’aveva gettata rientrando dal tribunale.

 

Pochi passi e si riappropriò dell’aggeggio infernale, delizia di stuoli di avvocati divorzisti e croce per chi come lei doveva occuparsi di delitti passionali.

 

Ecco appunto! - sospirò, il cuore che le finiva nello stomaco, di fronte al “Amò” che lampeggiava beffardo sul display.

 

Le balenò il dubbio che Pietro le avesse installato una di quelle applicazioni spia che ormai sempre più spesso ritrovava sui cellulari di qualche indagato o morto ammazzato, perché il tempismo telefonico di suo marito sfiorava ormai la chiaroveggenza - sto diventando veramente paranoica, Vitali forse tutti i torti non ce li ha.

 

Ma no, la spiegazione era molto più banale: sfiga, mista a incapacità. Avrebbe dovuto chiamarlo prima lei, se avesse seguito il manuale per una perfetta relazione extraconiugale. Ma lei non era abituata a dover mentire, non ancora almeno, e sperava per certi versi di non diventarlo mai.

 

“Pronto?”

 

“Amò, sei già a casa? Ho sentito al tg della condanna a Romaniello! Sei stata grande, amò, ma non avevo dubbi.”

 

Beato te! - si ritrovò a pensare, mentre nella sua testa le frullavano le parole da dire e quelle da non pronunciare nemmeno per sbaglio, “grazie mille! in realtà è stata dura, ma ce l’a- ce l’ho fatta.”

 

Si corresse in zona Cesarini, chiedendosi subito dopo perché avesse avvertito la necessità di farlo.

 

Coda di paglia, Imma? Com’è che mi dicevi? Male non fare, paura non avere? - ci mancava solo Diana a prendersi la sua rivincita nel suo subconscio.

 

“Ma che fai mo? Hai già cenato? A che ora torni domani?”

 

“In realtà stavo finendo di cenare e poi… sono un po’ stanca, stanotte praticamente non ho dormito. E per domani non lo so ancora… dipende da a che ora mi sveglio, ti faccio sapere quando sto in corriera.”

 

“D’accordo, amò, riposati, mi raccomando! E sbrigati a tornare che festeggiamo: sono molto orgoglioso di te, Imma!”

 

Gli occhi le si inumidirono nuovamente, mentre una pugnalata di senso di colpa la prese alla bocca dello stomaco. Beato lui che poteva essere ancora orgoglioso di lei, perché lei, in quel momento, non si sentiva per niente orgogliosa, almeno non per quanto riguardasse Pietro e la sua vita privata in generale.

 

“Grazie… buonanotte.”

 

“Buonanotte, ti amo, a domani!”

 

Di nuovo, chiuse la conversazione di scatto, maledicendo il tempismo di Pietro o forse benedicendolo, non avrebbe saputo dirlo con certezza. Esitò per un secondo prima di staccare il telefono, ma decise comunque di farlo, onde evitare altre chiamate che sarebbero state in ogni caso pericolose.

 

Si riavvicinò al tavolo e si avvide di Calogiuri che stava seduto dritto, rigido, che manco a una parata, lo sguardo basso a fissare ciò che rimaneva dei suoi spaghetti, con la stessa concentrazione con cui redigeva i fascicoli processuali.

 

Con un sospiro si sedette, quasi in automatico, e si mise la testa tra le mani: non sapeva che altro fare in quel momento, si sentiva completamente nel pallone.

 

Non avrebbe saputo dire quanti minuti fossero rimasti così, in silenzio, ad occhi bassi, ognuno perso nei suoi pensieri.

 

“Se… se vuoi ti riaccompagno a casa…”

 

La voce di Calogiuri la fece quasi sobbalzare sulla sedia, sebbene fosse poco più di un sussurro. Alzò gli occhi di scatto e l’espressione che gli lesse in viso fu una seconda coltellata, dritta in pancia, insieme a quel dannato nodo in gola e quella specie di dolore indefinibile al petto, come un peso ed un senso di vuoto insieme.

 

Sapeva quanto gli dovevano essere costate quelle parole e questo non faceva che acuire quel groviglio indefinibile di emozioni che minacciava di intrappolarla ogni volta che si trovavano insieme nella stessa stanza.

 

E, di nuovo, vide davanti agli occhi, come in un film, che cosa avrebbe dovuto dire e fare, se fosse stata una persona virtuosa, saggia, o anche solo dotata di un minimo istinto di autoconservazione. Avrebbe dovuto cogliere la palla al balzo, alzarsi, ringraziarlo della cena e dirgli che era meglio per tutti se si fermavano qui, prima di farsi troppo male. Avrebbe dovuto farsi riaccompagnare a casa, prendere la prima corriera del mattino per riabbracciare Pietro, lasciandosi per sempre alle spalle quell’estate di lucida follia.

 

Ma, pure stavolta, la lingua non voleva saperne di collaborare e di staccarsi dal palato e il corpo figuriamoci: rimaneva piantata lì, immobile come una pianta tra i sassi.

 

La verità era che era inchiodata dalla certezza assoluta che, se si fosse tirata indietro ora, l’avrebbe rimpianto per il resto della vita, esattamente come aveva passato gli ultimi mesi a rimpiangere quella sera a Roma, a rivivere quel loro saluto davanti all’albergo, immaginandosi di cambiarne il finale.

 

Meglio avere rimorsi che rimpianti - la voce di sua madre la raggiunse e, dopo tanti anni, per la prima volta capì chiaramente che intendeva, e ora sapeva pure a cosa, anzi, a chi si riferiva.

 

Ma poi, non sarebbe stato in fondo terribilmente ipocrita fermarsi ora? Pensare che bastasse non consumare la ricotta, per ottenere un condono tombale su tutto il pregresso? Fingere che tutto quello che era successo tra loro fino a due minuti prima non fosse già un tradimento, e pure ben peggiore di quello soltanto fisico?

 

E se c’era una cosa che Imma odiava più di quanto odiava se stessa in quel momento, era proprio l’ipocrisia.

 

Prese un lungo respiro, a pieni polmoni, sperando che le bastasse per una traversata oceanica.

 

Nuovamente, si alzò dalla sedia, su gambe tremanti. Capì immediatamente dallo sguardo di Calogiuri, una pozza di dolore, delusione e rassegnazione, che l’aveva fraintesa, e lo bloccò con un gesto della mano, prima che si tirasse in piedi.

 

Circumnavigò il tavolino e ci si appoggiò contro, accanto a lui, posandogli una mano sulla spalla sinistra, mentre lui la osservava confuso.

 

“Che devo fare con te, Calogiuri?” sospirò, scuotendo il capo e sfiorandogli il viso con l'altra mano, prima di aggiungere tra sé e sé, in un sussurro, ”certi sguardi dovrebbero essere illegali.”

 

“Come?”

 

“Certo che c’hai proprio dei gusti strani, Calogiuri,” pronunciò più ad alta voce, con un mezzo sorriso colmo di affetto, scuotendo nuovamente il capo.

 

“La pasta non ti è piaciuta?”

 

Non poté trattenersi dallo scoppiare a ridere: le sembrò per un attimo di essere tornati all’inizio della loro conoscenza, quando Calogiuri inanellava gaffe involontarie che la intenerivano tremendamente, proprio come in quel momento.

 

“No, no, la pasta era squisita. Intendo i tuoi gusti sul… dopocena.”

 

“In che senso?!" esclamò, spalancando gli occhi e diventando paonazzo, "se pensi che… che abbia in mente... cose strane… cioè strane veramente, non-"

 

E di nuovo non riuscì a contenere una risata - mamma mia, quanto le piaceva quando faceva così!

 

"Intendo i tuoi gusti in fatto di donne, Calogiuri," chiarì con un sorriso, prima di infilarsi in una serie di malintesi ancora più imbarazzante.

 

"Perché?" le chiese con sguardo e tono sbigottiti, "che cos’hanno di strano? Guardati: sei bellissima!"

 

Se lo sarebbe abbracciato stretto fino a farsi male perché, almeno per un istante, bellissima ci si era sentita davvero, riflessa nei suoi occhi.

 

"Sì, non esageriamo mo," rispose invece con un sorriso grato ma malinconico, "Calogiuri, mi sa che ti serve un bravo oculista."

 

Potrei sempre presentarti la mia quasi sorella

 

"Guarda che ho dieci decimi, dall'ultima visita fatta prima di diventare maresciallo."

 

"E allora resta l'ipotesi della semi infermità mentale…"

 

"E va beh… per quella, in effetti, a volte quando siamo insieme mi sembra di non capirci più niente!"

 

A chi lo dici, Calogiuri!

 

"Ma non mi piace quando ti butti giù così da sola, anche perché davvero non ne hai motivo," proclamò serio, deciso, dritto negli occhi, sollevando una mano per scostarle i capelli dal viso.

 

"Ti ringrazio e lo so che lo pensi veramente, ma ho più di quarant'anni di buoni motivi, Calogiuri."

 

"E io ne ho quasi trenta di anni di motivi per dire che non è così."

 

"Ma tu sei di parte, Calogiuri. Io invece ho una sfilza di testimonianze concordanti e-"

 

Due mani forti la afferrarono per la vita, facendole morire la frase in bocca in una specie di squittio. Si ritrovò in braccio a Calogiuri, che la guardava divertito, mentre la temperatura nella stanza sembrò alzarsi di almeno 5 gradi - altro che effetto serra!

 

"Te l’hanno mai detto che parli troppo?" le chiese, con un sorriso affettuoso.

 

"Calogiuri, fammi capire, ma per farmi questa domanda, tu in procura ci lavori sul serio o fai solo fin-"

 

Un bacio le tappò la bocca, lo sentì sorriderle sulle labbra e non potè far altro che ricambiare, il sorriso e il bacio, attaccandosi al suo collo, stretti, sempre più stretti, ma non abbastanza.

 

La fiammella si fece fuoco, mentre labbra morbide le percorrevano il collo, sempre più giù, nella scollatura, mozzandole del tutto il fiato. Gli si aggrappò ai capelli, non avrebbe saputo dire se per fermarlo o per impedirgli anche solo di pensare di staccarsi dalla sua pelle.

 

Ma lui lo fece lo stesso, da bravo bastian contrario, proprio quando le sembrava di impazzire, e l’esclamazione di protesta divenne di sorpresa quando si sentì sollevare di peso e trascinare in un altro bacio quasi disperato, il fiato corto e il cervello che iniziava a perdere la connessione.

 

Si mossero alla cieca, barcollando per la stanza come due ubriachi, le sue labbra e le sue mani l’unica certezza rimastale, finché, arretrando, i polpacci colpirono una superficie morbida e si ritrovò schiacciata sul divano, sotto il peso e il calore di un corpo giovane, atletico, mentre il fuoco diventava incendio, bruciando ogni barlume di senno rimasto.

 

Era completamente persa in un delirio di sensazioni nuove, tra mani e labbra che affannose spostavano i vestiti, sotto i vestiti, come se non avessero desiderato fare altro in vita loro, come se avessero vita propria.

 

Gli sganciò la cintura senza nemmeno rendersene conto e continuò così, con il pilota automatico inserito, almeno fino a quando le labbra di Calogiuri si staccarono bruscamente dalle sue, le dita che le stringevano i fianchi, pericolosamente vicine all'orlo degli slip, a quell’ultimo confine rimasto, delle decine che avevano già bellamente infranto.

 

Uno sguardo. Uno sguardo che conosceva fin troppo bene e che le provocò di nuovo quel dolore al petto, più forte perfino dell’incendio che la stava consumando.

 

Una richiesta di permesso, come mille altre gliene aveva fatte da quando si conoscevano: sempre così premuroso e attento il suo Calogiuri, sempre così spaventato all’idea di deluderla o contrariarla.

 

Mai si sarebbe aspettata di ritrovarlo e ritrovarsi in queste circostanze, o forse sì, forse era tutto ciò che desiderava, da talmente tanto tempo da non ricordarsi più come ci si sentisse a non desiderarlo.

 

Gli prese il viso e se lo baciò, soffocandogli un sorriso e poi fu lui a soffocarle un grido ed un altro, ed un altro ancora.

 

Fu come una valanga che la travolgeva di sensazioni sempre più forti, sempre più intense. Tutto velocissimo, disorientante: i polmoni che le bruciavano, il fiato che sembrava non bastarle mai, come le mani e le labbra e la pelle, in una specie di mania che annientava tutto e che era tutto al tempo stesso, fino al grido finale, soppresso a fatica nel collo di lui.

 

Si ritrovò sepolta sotto al suo petto, boccheggiante, alla ricerca di ossigeno, della vista e dell’udito, ogni singolo centimetro del suo corpo che sembrava vibrare, in tilt peggio del computer dell’archivio del tribunale il giorno prima di un maxi processo.

 

Le ci volle un tempo indefinito prima di tornare a vedere un mondo non a pois, prima di smettere di sentire il mare nelle orecchie, prima di incontrare due occhi azzurri che la guardavano con - con preoccupazione e imbarazzo?

 

Calogiuri divenne, se possibile, ancora più paonazzo, abbassò lo sguardo e si staccò da lei, rimettendosi a sedere.

 

Si sentì improvvisamente nuda sebbene, lo realizzò solo in quel momento, fosse in realtà ancora mezza vestita. E pure lui. Nella foga si erano liberati giusto dello stretto indispensabile.

 

Ignorando la testa che ancora le girava vorticosamente, si sollevò sulle braccia, fino ad accasciarsi mollemente sullo schienale del divano, troppo spompata per fare altro.

 

Forse cogliendo il movimento, Calogiuri sollevò il capo e la guardò nuovamente. E no, non si era sbagliata, sembrava realmente ansioso e in imbarazzo.


“Che… che c’è?” le riuscì di pronunciare dopo qualche boccata d’aria, la voce che pareva di cemento.

 

“Scusami…” le sussurrò, mortificato, e Imma strabuzzò gli occhi, incredula, “stai bene?”

 

Mai stata meglio! - fu il primo pensiero che non potè esprimere, seguito di nuovo da quella tenerezza irrefrenabile, che la portò ad accarezzargli il viso con mano tremante.

 

“Ma che dici? Non c’è proprio niente di cui scusarsi, Calogiuri, anzi,” lo rassicurò con un sorriso, continuando a sfiorargli la guancia.

 

“Sì, ma avrei voluto-” balbettò, guardandola negli occhi.

 

“Lo so. Ma qui se c’è qualcuno che rischia di farsi male, sicuramente non sono io, Calogiuri,” ammise con un sospiro, lasciando scendere le dita lungo il collo di lui fino a un - un morso?!

 

“Ecco, appunto!” commentò, sentendosi avvampare, tracciando il segno rosso lasciato dai suoi denti, probabilmente mentre cercava di non far sentire ai vicini del maresciallo quanto le piacesse... nuotare nell’oceano.

 

Calogiuri sorrise e si illuminò in viso, sembrando immensamente sollevato.

 

Mannaggia, quanto sei bello quando sorridi così!

 

“Vieni…” gli sussurrò, prendendogli le mani e tirandosi in piedi su gambe ancora di ricotta - mai metafora onirica fu più azzeccata.

 

Lo trascinò verso la camera da letto e si trovarono a ridere insieme quando, solo per un soffio, Calogiuri evitò di crollarle rovinosamente addosso, inciampando nei suoi stessi pantaloni.

 

“Veloce, Calogiuri!” lo sfottè affettuosamente, mentre lui si affannava a liberarsi anche dal secondo gambale, onde evitare ulteriori incidenti.

 

La guardò divertito, scuotendo il capo, e parve non raccogliere, almeno fino a quando decise di raccogliere direttamente lei, approfittando della posizione accucciata in cui si trovava per afferrarla a tradimento e portarsela a forza di braccia fino al letto.

 

“Ma sei impazzito? Mettimi giù!” esclamò tra le risate, perché la verità era che le sembrava di sognare e non si era mai sentita così leggera come in quel momento, il cuore che pareva sull’orlo di scoppiare dalla felicità.

 

Ma Calogiuri, che sapeva evidentemente ormai bene sia quando obbedirle, sia quando non farlo, ignorò il comando fino a quando non la ebbe depositata sul letto, con una delicatezza inattesa, considerate le circostanze - o forse no.

 

“Almeno per una volta mi posso evitare di doverti inseguire di corsa,” proclamò con un sorriso, rimanendo in ginocchio davanti a lei, seduta sul bordo del letto.

 

“Come se non ti piacesse inseguirmi, Calogiuri,” lo rimbeccò, facendolo ridere e suscitandogli quell’espressione imbarazzata che tanto adorava.

 

Senza parole, gli prese le mani e lo trascinò in piedi, guardandolo per un secondo prima di iniziare a slacciargli gli ultimi bottoni rimasti indenni della camicia.

 

Lo svestì senza fretta, ammirando quel fisico scolpito che finora si era solo potuta immaginare nei suoi sogni, ad occhi aperti e non. E, come aveva già potuto constatare fin troppo bene, con lui, come sempre, la realtà era superiore a qualsiasi immaginazione.

 

E poi venne il suo turno e, trattenendo il fiato, gli permise di liberarla dal suo povero vestito, che aveva decisamente visto tempi migliori, martoriato dall’assalto sul divano.

 

Ma, per quello che aveva appena vissuto, sarebbe stata disposta a giocarsi pure il suo intero guardaroba, anche se molti dei suoi conoscenti - e sicuramente sua suocera - non l’avrebbero definita una perdita ma una benedizione.

 

Sentì la stoffa scivolarle lungo le gambe e continuò a trattenere il respiro, anche quando Calogiuri fece un passo indietro e prese ad osservarla, le guance ormai perennemente rosate.

 

Non si era mai sentita così nuda in vita sua.

 

“Deluso?” gli chiese, sforzandosi di produrre un tono ironico e fallendo miseramente: sapeva benissimo che aveva avuto donne molto più giovani - o meglio, giovani il giusto per lui - e temeva di non reggere il confronto.

 

“Non lo dire nemmeno per scherzo! Sei bellissima, te l’ho già detto,” ribadì, guardandola in un modo che la fece avvampare da capo a piedi e le diede una micidiale botta di autostima, “e poi... guarda che ti avevo già vista in costume.”

 

“Calogiuri!” esclamò, con tono fintamente di rimprovero, “ma non eri tutto timido e imbarazzato, che tenevi gli occhi incollati a terra?”


“Eh va beh, ma non sono mica cieco. Diciamo che l’occhio un po’ è caduto, dottoressa…”

 

Per un attimo Imma lo fissò, poi si guardò, e non riuscì a trattenere una risata.

 

“Che c’è?”

 

“C’è che, magari, in certi momenti è meglio se eviti di chiamarmi dottoressa, Calogiuri. Se no sembriamo veramente usciti da Buonasera, dottore!

 

“Da che cosa?”

 

“A volte mi dimentico quanto sei giovane,” sospirò Imma, nuovamente intenerita di fronte allo sguardo confuso di lui, prendendo un respiro e una decisione.

 

“Imma,” pronunciò semplicemente, guardandolo dritto negli occhi, quasi come se si presentasse per la prima volta. E le sembrò paradossale, nudi com’erano, l’uno di fronte all’altra, che manco Adamo ed Eva - e loro il frutto del peccato da mo che l’avevano mangiato! - ed assurdamente naturale al tempo stesso.

 

“Imma…” ripetè Calogiuri, incerto, dopo un attimo di pausa, quasi come se si sforzasse di parlare una lingua nuova, le sillabe che faticavano a formarsi in gola, per poi ammettere, passandosi una mano tra i capelli, “mi sa che mi ci vorrà un po’ per abituarmici.”

 

“Vedi di non abituartici troppo, Calogiuri,” lo minacciò scherzosa, puntandogli un dito contro il petto, “che, se mi chiami così in procura, ti ci spedisco te a Rovereto.”

 

“Agli ordini, dott-... Imma,” si corresse in corner, facendola sorridere.

 

Almeno per un paio di secondi, perché poi il riso le si trasformò in un grido quando si sentì nuovamente afferrare per la vita e si ritrovò buttata sul materasso, Calogiuri che la zittiva con un altro bacio.

 

E stavolta si presero il tempo, tutto il tempo che non avevano, per conoscersi, per esplorare, tra un bacio, una carezza ed una risata, mentre lottavano per il controllo, rotolando sul materasso - che per poco non cascavano, rischiando un trauma cranico. E fu dolce, dolce e appassionato come l’aveva sempre immaginato, e intenso, e indescrivibile, e nuovo e dannatamente familiare e naturale insieme.

 

Non si era mai sentita tanto appagata ed, allo stesso tempo, sembrava non bastarle mai, il desiderio che continuava a riaccendersi, peggio di una droga - altro che condanne e rinvii a giudizio!

 

Continuarono per ore, come a voler recuperare quei mesi di sogni e fantasie represse, a volerle mettere in pratica per scoprire che non rendevano giustizia alla realtà, pur sapendo che una notte non sarebbe mai bastata.

 

Le prime luci dell'alba estiva filtravano già dalle imposte, quando, esausta e soddisfatta come mai in vita sua, dovette infine arrendersi alla spossatezza, le endorfine che attutivano la dolenza ai muscoli, immersa in uno strano stato di beatitudine, quasi ipnotico.

 

Avvolta da braccia forti ed abbarbicata al suo petto, due occhi azzurri velati di stanchezza ed un sorriso luminoso furono l'ultima cosa che vide, prima di cedere al sonno.



 

Nota dell’autrice: Voglio innanzitutto ringraziare tutte le persone che hanno impiegato un po’ del loro tempo per leggere questa storia. Ringrazio tantissimo chi mi ha lasciato e chi mi lascerà un commento o un parere, che davvero mi sono preziosissimi per capire come sta procedendo la scrittura e in cosa posso fare meglio nei capitoli futuri.

 

Ci tengo inoltre a precisare che il funzionamento del sistema processuale, in particolare del rito per direttissima, contenuto in questo capitolo rispecchia, per coerenza narrativa, quanto visto nella serie in tv e non quanto avviene realmente in Italia, e chiedo venia ai giuristi che dovessero essere eventualmente alla lettura per tutte le approssimazioni ed inesattezze della parte processuale.

 

Il prossimo capitolo arriverà domenica, dovrei essere in viaggio di lavoro ma cercherò comunque di pubblicare puntualmente come sempre.

 

Grazie ancora a tutti!

 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Altro - Fiction italiane / Vai alla pagina dell'autore: Soul of Paper