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Autore: WhiteLight Girl    01/12/2019    0 recensioni
A Yokohama sembra una notte come tante, fino al momento in cui uno strano blackout lascia al buio Akira e i suoi amici. Ma assieme alla maggior parte delle luci della città sono scomparse anche centinaia di persone e quindi Akira, Ryuichi ed i loro Digimon iniziano a cercare chi è rimasto e poi, soprattutto, a tentare di capire cosa sia successo.
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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LA PRINCIPESSA SUL GHIACCIO (p.1)


Blackout:

Ayano sorrise all’ennesimo complimento, ormai non vi prestava più attenzione, impegnata com’era a cercare di trattenersi dallo sbuffare e dal saltellare impaziente sul posto. Teneva le dita incrociate davanti a sé, le mani strette una contro l’altra per evitare di picchiettare le dita sulle pieghe della gonna in quel modo che a suo nonno avrebbe tanto dato fastidio.

Si guardò attorno, la sala era gremita, i tavoli ricolmi di cibi tradizionali ed esotici e tutti erano lì per lei, ma ognuno di loro dopo essersi complimentato con lei per l’esito della gara tornava a dimenticarla, distraendosi in discussioni per cui Ayano non provava alcun interesse.

Lei non se ne lamentava, anzi avrebbe preferito di gran lunga potersi permettere di passare per un saluto, magari a festa iniziata, e poi poter sparire per conto suo e rannicchiarsi nel letto di una delle stanze dell’albergo, dove sarebbe potuta crollare addormentata fino alla sera successiva.

Alcuni degli uomini e delle donne presenti, quelli più vicini alla famiglia e che la conoscevano da più tempo, erano anche andati per davvero a vederla pattinare al palaghiaccio, ma perfino i loro complimenti finivano per essere quasi alla pari di quelli degli altri, che di pattinaggio di figura capivano meno che di cucina occidentale. Elogiavano i suoi salti e le sue piroette come se sapessero davvero di cosa stavano parlando, Ayano avrebbe voluto poterlo apprezzare, ma l’unica cosa che riusciva a provare al riguardo era un enorme moto di delusione e fastidio misti a stanchezza, che se non avesse sentito addosso lo sguardo prepotente del nonno non sarebbe riuscita a celare così bene.

Ayano concludeva sempre i giorni delle gare in posti come quello, inchinandosi davanti agli educati complimenti dei colleghi del nonno e degli amici di famiglia di vecchia data, piluccando gli stuzzichini del tavolo del buffet e sollevando i piedi doloranti a turno per cercare di trarvi un minimo sollievo.

Era riuscita a trovare il modo di bloccarsi il telefono contro la coscia, dove ben coperto dalla gonna avrebbe potuto sentirlo vibrare ogni dieci minuti per via della sveglia, in modo da tener conto del passare del tempo senza dover guardare ogni volta l’orologio.

Era suonata da poco la sveglia delle ventuno, quando provò a fare per la prima volta un paio di passi verso la porta che dava sul corridoio, evitando di rivolgere gli occhi in quella direzione per non destare sospetti. Una volta che tutti gli ospiti erano in sala e nessuno la cercava più per salutarla e complimentarsi era più facile divincolarsi e stare via per un po’. Quando l’avessero trovata, poi, avrebbe potuto usare la solita scusa del doversi sistemare il trucco e fingere di essersi allontanata da poco.

Sfiorò la tovaglia che copriva il tavolo accanto alla porta di ingresso della sala, si sporse per osservare un cameriere che offriva dello champagne a sua nonna, intenta a ridere di qualcosa con alcune donne di cui aveva già dimenticato il nome, e trattenne il fiato in attesa di poter fare lo scatto finale in direzione della libertà.

Fece schioccare la lingua contro il palato, si voltò un’ultima volta per controllare che nessuno la stesse osservando, ma scoprì che suo padre stava guardando proprio verso di lei.

Le stava andando incontro, avvicinandosi con due uomini che Ayano ricordava di aver già visto un paio di volte alle riunioni di lavoro dei suoi, allora sospirò ed accennò un sorriso, rassegnandosi a dover aspettare ancora.

«Ecco qui la principessa di casa.» disse suo padre, facendole un cenno e posandole le mani sulle spalle un istante.

Quando la lasciò andare, Ayano accennò un inchino.

«Buonasera.» disse, strinse le mani in grembo ed intrecciò le dita, giocherellando con una piega dell’abito. «Grazie per essere venuti.»

Il più basso dei due ospiti passò una mano sul proprio pizzetto, gli occhi persi di chi sta cercando qualcosa da dire pur di fare conversazione. Ayano vide sfumare le sue possibilità di defilarsi.

«Non potevamo mancare assolutamente.» disse l’uomo.

L’altro annuì entusiasta. «Ci hanno riferito che oggi è stata un’esibizione superba.»

Solo per chi non ne capisce nulla, pensò Ayano, invece disse: «Vi ringrazio infinitamente.»

Li lasciò parlare, ma non ascoltò davvero cosa le stavano dicendo, sentiva il palmo di suo padre strofinarsi contro il suo braccio attraverso la camicetta leggera, ricordandole quanto le sarebbe piaciuto avere una giacca. Quando tornò a prestare attenzione ai due uomini li trovò distratti, intenti a discutere sulla possibilità di inserire il pattinaggio artistico all’interno di uno spot pubblicitario per la ditta di succhi di frutta. Sperò che non stessero pensando a lei come testimonial, perché l’avrebbe trovato davvero imbarazzante.

«Tutto bene?» le domandò suo padre. Le sfiorò il mento, sorridendole rassicurante.

Ayano accennò un sorriso, spostò il peso del corpo sul piede destro e si appoggiò al bordo del tavolo per restare in equilibrio.

«Ho solo sonno.» disse.

Annuendo, suo padre le fece un cenno verso la porta. «I ragazzi sono fuori, se vuoi andare a divertirti.»

La proposta, che lui probabilmente pensava essere allettante, per Ayano non lo era per niente. Non c’era nessuno che trovasse più irritante dei figli e dei nipoti dei colleghi di suo nonno. Scosse il capo. «Non sono miei amici.» disse, a malincuore, trattenendo uno sbadiglio quel tanto che bastava per avere il tempo di coprirlo con una mano.

«Vai a sciacquarti il viso per darti una svegliata.» suggerì il padre. Si puntò il dito contro l’occhio, là dove l’estetista di sua madre aveva trascorso dieci minuti buoni a metterle eyeliner e mascara, e trattenne il broncio mentre lui tratteneva le risate.

«Giusto. Dimenticavo.» disse. Poi affondò le mani nella tasca della giacca e ne estrasse un orologio, glielo mise in mano e le fece l’occhiolino. «Puoi dormire mezz’ora nel salottino, ma poi ti rivoglio qui, prima che tua madre e tuo nonno se ne accorgano.»

Ayano sorrise, dovette trattenersi dall’abbracciarlo ed annuì. Nel momento in cui suo padre si voltò, si infilò nella porta e percorse il corridoio a grandi falcate. Camminò in punta di piedi per evitare che i tacchi facessero rumore sbattendo contro il pavimento lucido, raggiunse l’ingresso e guardò verso l’ascensore. Fu allora che trovò gli invitati più giovani della festa, quelli che in teoria avrebbero dovuto intrattenerla e che più avrebbero dovuto esserle vicini. Quelli che, in fondo, ultimamente la ignoravano più di quanto lei ignorasse loro. Sollevò gli occhi al cielo, nel vederli spaparanzati sui divani del salottino, nel sentirli ridere sguaiatamente in seguito a qualche barzelletta che lei non aveva sentito e che probabilmente comunque non avrebbe apprezzato. Uno di loro aveva rovesciato la Pepsi sul tavolino ed ora si sbracciava per impedire che si bagnasse anche il tappeto, nessuno sembrava volerlo aiutare, tranne la ragazza verso cui quello stava scivolando.

L’ascensore era dietro di loro e, Ayano lo sapeva bene, se fosse passata lì accanto avrebbero comunque provato a trattenerla. Si voltò per tornare indietro, ripercorse il corridoio a ritroso e svoltò verso le cucine, dritta verso le scale di servizio. Fu allora che quasi inciampò addosso ad uno degli altri ragazzi e sulla bottiglia di vino che lui aveva poggiato sul pavimento accanto a sé.

«Scusa.» gli disse, chinandosi su di lui per controllare che stesse bene. Lui le mostrò il pollice, ma non alzò lo sguardo dalle innumerevoli lattine di pepsi che aveva incastrato tra le gambe incrociate. «Io non ti ho vista, tu non mi hai visto.» promise.

Sollevò la bottiglia di vino e si piegò sulle lattine, iniziando a versare il vino dentro esse.

Ayano sorrise, realizzando che presto sarebbe probabilmente tornato dagli altri portandole con sé. «Grazie.» disse.

Poi percorse gli ultimi passi che la separavano dal bagno, spalancò la porta e vi si infilò dentro.

Bloccò la porta con il chiavistello e vi si abbandonò contro con un gemito, scivolando a sedere sul pavimento. Non era mai stata grata che i suoi genitori scegliessero locali abbastanza di classe da avere bagni così puliti ed eleganti da potersi sedere sul loro pavimento quanto in quei momenti.

Ora che finalmente era sola la tensione si smorzò e lei chiuse gli occhi. Stese le gambe ed agitò i piedi doloranti, si beò del venticello fresco che scivolava attraverso la finestrella socchiusa appena sopra al lavandino in marmo e poggiò la nuca sulla porta.

Di solito Ayano era una persona accomodante, ma non c’era cosa che odiasse più delle serate di gala e delle cene formali, poiché comportavano il fatto di dover passare delle ore assieme alla sua famiglia piena di aspettative e richieste.

Fantasticò di un cuscino ed una coperta che le permettessero di fare un pisolino e recuperare anche solo pochi minuti di tutte le ore di sonno perse a causa dell’ansia per la gara. Se suo nonno si fosse deciso ad aspettare almeno un paio di giorni, prima di costringerla ad una festa simile, l’avrebbe trovata più riposata, più disponibile, più sorridente e più aperta, invece che esasperata e stremata, con l’unico desiderio di sparire sotto le coperte senza il mondo a disturbarla. Ma lui insisteva sul fatto che festeggiare l’esito di una gara anche solo il giorno dopo non sarebbe stato carino, che bisognava battere il ferro finché era caldo, ed insisteva sul fatto che dovesse essere pronta a interagire al meglio con le altre persone in ogni momento e situazione, quindi isolarsi a causa della stanchezza non era accettabile.

Ayano avrebbe ribattuto, se non avesse saputo che fingere che le andasse bene le avrebbe facilitato la fuga all’occorrenza.

Il tocco morbido di una pelliccia calda sulla gamba le provocò un sussulto, si costrinse a sollevare le palpebre e trovò subito lo sguardo pensieroso di Fiamma.

Il Digimon spinse il muso contro il suo mento e si infilò tra le sue braccia quasi con prepotenza, lasciandosi stringere.

Ayano rise, poi strofinò la guancia sulla sua testolina e ripiegò le ginocchia per raggomitolarsi su sé stessa. «Ehi!»

La gonna le scivolò su per la coscia, rivelando il grosso livido giallastro che si dipanava lungo il fianco, Fiamma si sporse a guardarlo e con uno sbuffo borbottò a mezza voce:

«Si sta allargando?»

Ayano scrollò le spalle e le grattò il mento. «Almeno questa volta è rimasto sotto la gonna.»

Fiamma le diede un’altra testata contro la guancia, si strofinò contro di lei come avrebbe fatto un gatto e Ayano affondò le dita nella sua pelliccia e la strinse come se fosse un piccolo peluche. Ascoltarono la musica ed il vento che soffiava all’esterno, ignorarono il chiacchiericcio degli ospiti e il mondo che poteva fare a meno di loro, finsero di essere sole, che non ci fosse la possibilità che fuori qualcuno stesse già cercando Ayano.

«Vuoi andare a casa?» chiese Fiamma con un soffio di voce.

Ayano sbuffò. «Non posso andare a casa.»

«Posso dare fuoco a qualcosa, così la festa dovrà essere interrotta.» propose Fiamma. Il suo ghigno mise in evidenza uno dei suoi canini affilati.

Ayano rise, coprendo la bocca per trattenersi. «Chi ti ha dato l’idea? È stato Trouble?»

Fiamma sollevò il muso con fierezza. «È quello che avrebbe fatto Akira, no?»

Ayano scosse il capo. «Sì, ma Akira non dice sul serio, tu lo faresti davvero.»

Il piccolo Digimon gonfiò il petto e sbatté gli occhi. «Uh, tanto non mi scoprirebbero mai.» osservò.

Ayano la strinse a sé e si beò del tempore e del profumo familiare della sua pelliccia.

«Meglio non rischiare.» le disse, immaginando il putiferio che avrebbe scatenato. Non aveva voglia di correre fuori e perdere tempo ad aspettare che verificassero che era tutto ok, voleva solo che tutto finisse ed il suo letto.

«Allora restiamo qui? O ci facciamo venire a prendere?» chiese Fiamma.

Non sapeva perché lei continuasse a pensare a proposte e promesse che Akira e Ryu avevano fatto loro più di un anno prima, visto che dall’ultima volta che il ragazzo aveva detto che sarebbe corso da loro in un battibaleno qualora lei lo avesse chiesto erano passati mesi. Ripensò a quante volte si era nascosta negli angoli più impensabili ed aveva stretto tra le mani il telefono, fissando l’ultimo messaggio della chat e l’avviso che diceva che lui era online, tentata di chiedergli di andare lì e di mollare tutto per scappare con lui. Non l’aveva mai fatto, ma non era mai riuscita a decidere se fosse più per il senso del dovere che provava verso la famiglia oppure perché le seccava l’idea di dimostrare, anche se solo a Ryou ed Akira, quanto avesse davvero bisogno di fuggire da dov’era.

Scrollò le spalle. «Restiamo qui fin quando non ci trovano, forse.»

Fiamma si premette contro di lei.

«Mi leggi qualcosa?» domandò.

Le sorrise. «Non ho un libro.»

«Mi racconti una storia?» supplicò allora lei.

Ayano le stropicciò la pelliccia e gliela arruffò. «Non me ne viene in mente nessuna. Potrei farti un disegno con il sapone, però.» propose, immaginando la faccia che avrebbe fatto il nonno se avesse scoperto che qualcuno aveva imbrattato di sapone lo specchio del bagno.

Quando le luci della stanza sfarfallarono Fiamma infilò il muso sotto il suo mento e si rannicchiò ancora di più contro di lei. Poi rimasero al buio, mentre il vento fuori si acquietava di colpo ed i rami smettevano di urtare contro il vetro della finestra.

   
 
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