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Autore: mattmary15    06/12/2019    4 recensioni
James T.Kirk è diventato il capitano dell’Enterprise quando ha salvato la federazione stellare dall’attacco di Nero. Per il nuovo capitano non c’è pace. Un guasto sulla nave e una scoperta di Bones innescheranno una serie di eventi inaspettati. Riuscirà Jim a sventare la nuova minaccia soprattutto ora che non è più solo ma ha stretto molti legami importanti?
Genere: Azione, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Montgomery Scott, Nyota Uhura, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Piccole note dell’autrice disperata:
Ultimo capitolo gente! Dopo resta solo l’epilogo.
Grazie a tutti per la pazienza.

 


Capitolo VII

Il tutto per tutto

 

Spock non si meravigliò che Jim volesse parlargli in privato. C’erano diverse questioni ancora da definire. Soprattutto come fare a far sbarcare l’ambasciatore Spock in quel trambusto. 

Tuttavia quando il capitano lo condusse nei suoi alloggi, il vulcaniano capì che era caduto in un’imboscata.

“Perché siamo qui?”

“Spock, rilassati. Voglio solo parlare.”

“Non potevamo farlo in plancia?”

“Non di questo argomento.”

“E di quale argomento si tratta?” Jim si fece serio. Assunse un’espressione decisa che Spock trovò addirittura comica tanto era l’impegno che lui ci stava mettendo.

“Del legame.” Un’imboscata appunto.

“Jim, ti sembra il momento più opportuno? Dopo quanto accaduto su Nibiru, avevamo deciso di cercare di capire entrambi qualcosa di più. Hai cambiato idea?”

“Affatto. Sto per andare su una nave con equipaggio ostile accompagnato da un uomo di cui non posso fidarmi in pieno silenzio radio e senza possibilità di usare il teletrasporto. Non credi che mi farebbe comodo sapere che sei lì con me?” Jim fece qualche passo verso di lui ma rimase ad una distanza che l’altro avrebbe considerato accettabile considerata la sua intolleranza per il contatto non necessario. Il volto di Spock assunse un’espressione contrita.

“Ho imparato che è impossibile impedirti di compiere qualcosa che hai già deciso di fare.”

“Cosa c’entra questo?”

“Credi che se fosse stato possibile in qualche modo, non avrei fatto quanto necessario per impedirti di gettarti in una missione come questa?”

“Dobbiamo fermare Marcus.”

“Ne sono consapevole. E io sarò lì con te. Il legame è già teso fra di noi. Se dovesse accaderti qualcosa, lo saprò.” Jim sgranò gli occhi.

“Mi stai dicendo che hai una padronanza di questa cosa tale che sei in grado di sentire i miei pensieri anche se non sono vicino a te.”

“Non sono stato in grado di sentirti mentre ero su Nibiru e ho avvertito il pericolo in cui eri solo quando sei giunto a bordo dell’Enterprise, ma se la Jupiter sarà così vicina alla nave, sarò senz’altro capace di avvertire la tua presenza mentre ti muovi.”

“E contavi di dirmelo?”

“Fa qualche differenza che tu lo sappia?” Jim allargò le braccia.

“Spock! Certo che fa differenza! Quando mi hanno sparato, tu sei caduto nella gola del vulcano! Ed eravamo distanti. Cosa accadrebbe se mi sparassero mentre tu sei sull’Enterprise?”

“Chi ti ha detto del vulcano?”

“Bones.”

“E’ illogico che il dottore te ne abbia parlato. Ti ha esposto ad un rischio emotivo.” Jim alzò gli occhi al cielo.

“Credo di cominciare a capire Uhura! Come puoi solo pensare che non possa preoccuparmi di quali sono gli effetti delle mie azioni sul legame e, di conseguenza, su di te?”

“Quello che dici è illogico.”

“Illogico?” Ora Jim stava urlando.

“Illogico. Devo dedurre che ci sono azioni che mettono a repentaglio la tua vita che potresti non commettere se lo volessi.” Jim aprì la bocca per ribattere ma non uscì alcuna parola. Spock continuò. “Non ti getteresti a capofitto in ciò che fai se le tue azioni ricadessero su di me?”

“Spock, ascoltami, un conto è lanciarsi da un portello di un’auto in corsa sperando di centrare una tazzina da caffè sapendo che puoi rompere solo le tue ossa e un’altro e sapere che se sbagli, saranno anche le ossa di un altro a rompersi.”

“Illogico.”

“Ti giuro che se dici ancora ‘illogico’ ti ammazzo con le mie mani.” Spock stava per dire ‘illogico’ ma si trattenne. Jim ne approfittò. “E’ così difficile per te accettare che non mi vada bene che sia solo tu a patire le conseguenze negative del legame?”

“Il legame non è il punto.” Stavolta fu Spock a fare due passi in avanti e a sollevare una mano. Quella raggiunse il volto di Jim ma non lo toccò. Rimase sospesa tra loro, incapace di ritirarsi ma neppure di completare l’azione per cui si era mossa.

“E qual è il punto? Spiegami.”

“Dopo Nibiru, quando sei svenuto per le ferite nella sala del teletrasporto e il tuo cuore ha smesso di battere, credi che il mio smarrimento sia dipeso dal legame? Credi che se ti spezzassi una gamba o un braccio non sarebbero la mia gamba o il mio braccio a sanguinare anche se ti trovassi a miliardi di anni luce dove il legame non può arrivare? Se c’è qualcosa che puoi fare per non rischiare la tua vita, falla. Non perché il legame mi trasferirebbe il tuo dolore ma perché il mio dolore se morissi, sarebbe indicibile.” E accadde. 

Jim percepì le emozioni di Spock anche se non si stavano toccando in alcun modo. Una lacrima gli cadde involontariamente dagli occhi. Fece un passo in avanti fino a che la mano di Spock gli toccò la pelle del viso. L’ansia, il dolore, l’affetto, la riconoscenza, l’amicizia, la stima, l’orgoglio e poi qualcosa di più profondo, intimo, violento quasi, lo investirono e poi rimbalzarono dal lui di nuovo verso Spock.

Quando però il vulcaniano percepì le emozioni che il contatto gli trasmetteva, erano diverse da come le aveva sentite fuoriuscire.

Erano gioia di vivere, coraggio, passione, desiderio, profondo senso del dovere e poi qualcosa di nascosto in fondo a tutto ciò, qualcosa di totalmente diverso. Nella mente di Spock si materializzò l’immagine dei solidagi. Selvaggi ma, in realtà, delicati.

Strinse la guancia di Jim e con il pollice gli asciugò le lacrime. 

“Tu sei T’hy’la.” Disse senza interrompere il contatto e Jim sollevò a propria volta la mano e la posò sul suo viso.

“Sì,” rispose, “come tu lo sei per me. Non farò niente che metta a repentaglio la mia vita ma se dovesse accadere, tu, T’hy’la, devi farmi una promessa. Proteggi te stesso dal dolore. Se dovessi causarti del male, sarebbe come morire due volte.”

Spock si rese conto che era la verità. Avevano fuso involontariamente i loro pensieri e ne stavano uscendo sconvolti. Trovò la forza di interrompere il contatto. Jim si sentì come svuotato e la sua testa prese a girare. Si accasciò e Spock lo tenne stretto per non farlo cadere.

“E’ il transfer.” Cominciò a dire Spock ma Jim gli mise una mano sulle labbra.

“Il transfer emotivo, lo so.”

“Te lo ha detto l’ambasciatore.” Jim rise ancora accasciato contro il petto di Spock.

“Sei geloso?”

“I vulcaniani non conoscono questo tipo di emozione.”

“Gli umani sì.”

“Stai presupponendo che essendo io per metà umano, sia per metà geloso?” Jim si sollevò e lo guardò negli occhi con un’espressione furba sul viso.

“Illogico!” Esclamò e rise. Spock fece altrettanto. Per la prima volta. “E’ bello vederti ridere.” Gli confessò Jim.

“E’ perché tu sei qui. Lontano da ogni pericolo. Anche se ho molta fiducia nei tuoi mezzi, quando sei là fuori sono sempre illogicamente teso.” 

“Dovrei arrabbiarmi ma ‘illogicamente’ ne sono felice.”

“Lo credo. Hai avuto ciò che volevi.”

“Intendi dire che il nostro legame si è rafforzato?”

“Al punto che dovresti essere in grado di parlarmi anche se non sono fisicamente vicino a te.”

“Davvero?” Esclamò Jim saltando in piedi. Il senso di smarrimento era sparito. “Proviamo!”

“Non essere ridicolo.” Fece Spock indignato. Jim sorrise piegando la testa di lato.

Non fare l’offeso Spock!’

“Jim!”

Allora mi senti!’

‘Sì. Qual è il motivo di tanta eccitazione?’

‘Potrò parlarti mentre siamo in plancia senza che gli altri ci sentano!’

“Jim! E’ così che vuoi usare il legame?” Jim si lasciò cadere sul letto.

“No. Voglio solo sapere che quando sarò là fuori, potrò contare sul tuo aiuto.”

“Non aspettare di essere in serio pericolo.”

“Spock, ricordi cosa ti ho detto prima di Nibiru? Qualunque cosa accada, la nave e l’equipaggio vengono prima di tutto. Quando Marcus capirà che c’è qualcuno che vuole sabotare i suoi piani, penserà ad Harrison. Potrebbe decidere di usare i siluri.”

“Se è furbo li userà come merce di scambio.”

“Se è furbo. Dobbiamo evitare ad ogni costo che scoppi una guerra tra la federazione dei pianeti e le forze che non ne fanno parte.”

“Alludi ai Klingon.”

“Soprattutto ai Klingon. Nuova Vulcano non deve pensare neppure per un momento di essere in pericolo. Tu sei la persona più deputata a fare in modo che non accada.”

“Farò tutto ciò che è in mio potere ma non chiedermi di scegliere tra la missione e la tua vita.”

“Non te lo chiederò. So che farai comunque la scelta giusta.” Spock aprì appena le labbra sottili ma non disse niente. “Faresti una cosa per me?” Continuò Jim.

“Dimmi.”

“Bones mi direbbe che devo riposare prima di una missione simile.”

“Ne avrebbe tutte le ragioni.”

“Mi aiuteresti ad addormentarmi?”

“E come dovrei fare?”

“Tu sei il genio della meditazione. Aiutami a scacciare l’ansia.” Jim lo disse senza credere davvero che l’altro l’avrebbe fatto ma Spock prese subito la cosa sul serio.

“Sdraiati.” Jim si lasciò cadere all’indietro. “Chiudi gli occhi.” Il capitano eseguì. Spock gli toccò con due dita la fronte. “Lasciati andare. Lascia andare il comando dell’Enterprise.” Spock sentì che Jim s’era teso nell’udire quelle parole. Continuò. “Non resistere, lascia andare la responsabilità della nave. Non è tua adesso.” Jim si rilassò. “Lascia andare il pensiero della missione. L’affronterai più avanti.” Spock avvertì che il respiro di Jim stava diventando più lento, profondo e regolare. Qualcosa però rimaneva a fare resistenza, ancora più giù, nel subconscio di Jim. Turbava il battito del suo cuore. Spock si fece strada in profondità e riprese. “Lasciati andare, Jim. Lascia andare le aspettative dell’ammiraglio Pike. Non è adesso che devi dimostrarti all’altezza.” Kirk contrasse i muscoli del viso ma ora era immerso in una sorta di dormiveglia e non aprì gli occhi. Non lo fece neppure quando Spock nominò suo padre. “Lascia andare quei dodici minuti in cui tuo padre ha salvato ottocento vite. Non pensarci ora. Dormi. Quando ti sveglierai avrai molto più che dodici minuti per fare la differenza.”

Spock vide il petto di Jim alzarsi un po’ di più e poi cedere nel suo respiro più profondo. Si concesse di fare scivolare le dita tra i suoi capelli ora che era consapevole che Jim era caduto in un sonno profondo.

Si alzò dal letto e prese una coperta. Gliela mise addosso come aveva fatto nella sua stanza in Iowa sebbene la temperatura della cabina fosse ottimale. Un comportamento illogico, ammise tra sé e sé.

“Buonanotte, T’hy’la.” Disse prima di lasciare gli alloggi del capitano dell’Enterprise.

 

Il suono dell’interfono svegliò Kirk di soprassalto.

“Capitano, qui Spock. La Jupiter è appena entrata nell’orbita esterna di Nuova Vulcano. Scotty sta per lanciare il silenzio radio.”

“Arrivo!” Esclamò Jim. L’uomo si lanciò fuori dalla sua stanza e prese la via per la sala comunicazioni sapendo che avrebbe trovato lì il capo dei suoi ingegneri. Mentre camminava, prese il comunicatore e chiamò Bones.

“Dottore, ci siamo. Prepari Harrison.” La voce di Leonard era cupa.

“Prima che andiate, voglio che passi in infermeria.”

“Non mi serve niente. Ho dormito splendidamente. Prendi Harrison e vieni nella sala di scarico. Mi raccomando, mi serve vivo!”

“Ah, ah. Era una battuta? Per uno che sta andando a correre il Kentucky derby con il cavallo zoppo, sei di buon umore!”

“Bones, niente metafore, ok? Muovi il culo! Chiudo.”

Quando entrò nella sala comunicazioni, Scotty armeggiava già con le attrezzature e i codici di Marcus.”

“Jimbo! Io sono pronto!”

“Scotty, quanto ci metterà il bug di sistema per mandare in tilt la telemetria della Jupiter?”

“Dipende dai tempi di reazione del loro ingegnere capo. Se è sveglio, farà riavviare subito i sistemi.”

“Allora non posso trattenermi. Devo raggiungere Bones ed Harrison all’hangar merci. Sei pronto?”

“Sono nato pronto!”

“Bene.” Jim ricontattò la plancia. “Signor Spock, qui siamo pronti. Dica al signor Sulu di allineare l’Enterprise non appena il signor Scott darà il suo ok. Io sto raggiungendo la sala di scarico merci. Non appena ci darà il segnale, io ed Harrison abborderemo la Jupiter. Da quel momento il capitano è lei, signor Spock. Conosce i suoi ordini.” La voce di Spock arrivò forte e chiara.

“Sì, capitano.”

“Kirk, chiudo.” Jim diede una sonora pacca sulla spalla di Scotty.

“Bene, Scotty, lo faccia. Silenzi tutta l’atmosfera di Nuova Vulcano. Spock le dirà cosa fare da questo momento in poi.” Disse dirigendosi verso l’uscita. Quando fu sul punto di andare, tornò sui suoi passi. “Scotty.”

“Sì, Jim?”

“C’è un ultimo ordine per te. Questo è personale e te lo manderò tra pochi istanti sul pad. Ha priorità assoluta e non deve essere disatteso in nessun caso. Se lo farai ti aspetta la corte marziale.”

“E’ qualcosa che non mi piacerà fare, vero?” Kirk sorrise ma non era uno dei suoi sorrisi grandi e caldi.

“Magari non dovrai fare proprio niente, ok? Grazie, Scotty.”

“Fà attenzione.”

Furono le ultime parole che Kirk udì mentre le porte della sala comunicazioni si chiudevano dietro di lui. Raggiunse la sala di scarico ed entrò. 

Harrison aveva già indossato la tuta da combattimento. Finì di cambiarsi proprio mentre Scotty lo avvisava che la Jupiter aveva messo in stand by tutti i sistemi. Jim inviò i suoi ultimi ordini all’ingegnere e chiamò la plancia.

“Signor Spock, qui siamo pronti. Calcoli il tempo e la traiettoria e ci dia il via libera.” Harrison si avvicinò.

“Quindi ci siamo. Sta per mettere la sua vita nelle mie mani, capitano.”

“Non me ne faccia pentire, Harrison. Ricordi gli accordi. A lei l’equipaggio, a me Marcus.”

“Scoprirà che sono un uomo di certi principi.” Bones tirò Jim indietro per un braccio.

“Una parola.”

“Dimmi in fretta.”

“Niente colpi di testa e tieni gli occhi aperti.”

“Tranquillo.”

“Non sto tranquillo per niente.” Jim gli mise entrambe le mani sulle spalle.

“Me la caverò come sempre.”

“Detesto il tuo ottimismo. E’ privo di qualsiasi fondamento.”

“Su questo ti sbagli. Si basa sul nostro operato. Siamo una bella squadra, vero?” Leonard avrebbe voluto dire che lo erano perché lui era il loro capitano. 

“Lo siamo. Torna. Anche con un supporto vitale minimo, ma torna.” Jim sorrise mentre la voce di Spock usciva dall’interfono.

“Capitano, ho inviato la rotta ideale calcolata per farvi raggiungere il portello della Jupiter entro due minuti e cinque secondi al sistema di navigazione delle tute. Se dovete farlo, va fatto adesso.”

“Sentito Bones? Esci. Ora tocca a noi.” Leonard non se lo fece ripetere e rimase dietro la paratia a guardare Jim ed Harrison prendere posizione davanti al portello.

“Qui siamo pronti, Spock. Prema il grilletto!” 

In plancia Spock ricontrollò i dati e avviò l’apertura manuale del portello della sala di scarico. Prima di premere il pulsante di apertura si accertò che l’unico sistema di comunicazione tra lui e Jim fosse attivo e funzionante.

‘Jim, qualunque cosa accada, sono qui.’ Attese un istante che gli sembrò lunghissimo poi la voce di Kirk gli rimbombò nella testa.

‘Lo so.’ Spock ruppe ogni indugio. Premette il pulsante e lo spazio risucchiò il capitano dell’Enterprise e quello della Botany Bay.

 

La traiettoria sul visore della tuta indicava una linea quasi diritta da attraversare in circa centoventicinque secondi. I due uomini la stavano percorrendo alla giusta velocità quasi spalla a spalla. Il piano prevedeva che Kirk diminuisse la sua più o meno a metà del tragitto per consentire ad Harrison di arrivare prima di lui e posizionarsi davanti all’apertura dell’hangar esplosivi della Jupiter. Quando Jim stava per considerare passato il peggio, un detrito colpì il suo casco mandando in tilt il visore della tuta. Non fece in tempo a bestemmiare nella sua testa che la voce di Spock lo raggiunse.

‘Jim, hai perso il sistema di navigazione della tuta. Alla cieca le tue possibilità di centrare il bersaglio sono prossime allo zero!’

‘Spock al mio ritorno parleremo di come dai le cattive notizie. Ora lasciami concentrare.’

Kirk ridusse la velocità come era nei piani ma quando girò appena la testa per guardare Harrison, si accorse che la sua velocità era aumentata e stava sparendo dal suo raggio visivo. Per un attimo si chiese se quella specie di superuomo aveva in mente di entrare nell’hangar da solo e di lasciarlo andare alla deriva nello spazio profondo. 

Se doveva contare solo sulle sue forze, cosa poteva fare? Qual era la scelta giusta? 

Si disse che avrebbe dovuto spegnere comunque il jetpack non appena avesse visto il portello cominciare ad aprirsi. Con un po’ di fortuna, la spinta inerziale lo avrebbe comunque avvicinato ad esso quel tanto che bastava a dargli una possibilità.

Si fidò di se stesso e compì la manovra come l’aveva immaginata nella sua testa. Quando spense il jetpack però, si rese conto che non avrebbe funzionato. L’atmosfera faceva troppa resistenza e si sarebbe arenato prima che avesse la possibilità di afferrare un singolo pezzo della Jupiter. 

Fu mentre cercava una qualsiasi altra opzione che lo vide. Harrison era esattamente dove avrebbe dovuto essere. Lo avverrò per un braccio e lo spinse dentro prima che il portello scattasse e si richiudesse. 

Una volta dentro, al buio e in silenzio, sorrise. Quel bastardo aveva mantenuto la sua parola. Ora toccava a lui. Disabilitò il sistema di apertura automatico del portello e, con i comandi manuali, fece entrare Harrison.

“Grazie, capitano.”

“Grazie a te!” Rispose Jim quando si fu tolto il casco ora gravemente danneggiato.

“Ora pensi di poterti fidare di me, Jim?”

“Non so se mi potrò mai fidare di te, John, questo non cambia che tu puoi fidarti di me.”

“Davvero?” Chiese l’uomo fronteggiandolo.

“Non tradirò la promessa che ti ho fatto.”

“Allora andiamo a togliere a Marcus il suo giocattolo.”

“Andiamo.” Concluse Jim mentre l’altro gli indicava uno stretto corridoio. Lo percorsero fino ad una biforcazione che Jim conosceva bene. Era quella sopra cui lo aveva teletrasportato Scotty la prima volta che era salito sulla Jupiter.

“Se Marcus è a bordo, è senz’altro sul ponte di comando. La Jupiter è impostata sui codici di Marcus. Da lì può controllare tutto. Dai cannoni a phaser alle rampe di lancio dei missili.”

“Quindi qual è il piano? Facciamo irruzione sperando che sia solo? Un pò troppo spregiudicato persino per due come noi.” John piegò la testa di lato.

“Ti tiri indietro proprio ora?” Jim rise.

“Dico solo che ho un’idea migliore.” Disse indicando il soffitto. Harrison capì al volo.

“Condotti di areazione?”

“Funzionerà.” Si infilarono nel condotto e raggiunsero la plancia. Marcus era lì in effetti. Apparentemente accompagnato da soli due uomini.

“E ora che facciamo, capitano?” Chiese Harrison.

“Ho un piano.”

“Intendi condividerlo, Jim?”

“Hai detto che Marcus comanda la nave dalla plancia. Hai detto anche che puoi usare i codici di Marcus da qualunque pad. Giusto?”

“Esatto.”

“Usa i codici per attirarlo fuori dalla plancia. Io prenderò il suo posto e metterò fuori uso i sistemi di lancio missili. Così metteremo in sicurezza il tuo equipaggio.”

“Dovremmo fare il contrario. Sono più qualificato di te ad interfacciare il sistema di comando della Jupiter. L’ultima volta hai quasi messo in moto la nave all’interno dell’hangar.”

“Incidente di percorso. Se pensi che ti metta al comando di una nave con un arsenale come quello della Jupiter, la fiducia che pensi possa nutrire in te è eccessiva.” John rise.

“D’accordo. Prima l’equipaggio.”

“Prima l’equipaggio.” Concluse Jim e John si allontanò.

Ci vollero pochi minuti prima che un segnale di allarme si accendesse sui monitor della plancia e Marcus in persona si alzasse dalla poltrona di comando e lasciasse il ponte. Fu il turno di Jim. Si calò dal soffitto e liquidò il primo ufficiale di Marcus col phaser. Col secondo, più grosso e meno collaborativo, ci vollero i pugni. Kirk si rese conto subito che la ferita all’addome che aveva riportato dopo la missione Nibiru non era affatto guarita adeguatamente. A poco era valso tutto il riposo forzato che gli aveva imposto Bones. Al primo colpo diretto al ventre, il dolore era stato fortissimo.

Nonostante ciò, Jim ebbe ragione anche dell’altro ufficiale e raggiunse il sistema di comando della Jupiter. Si ricordò di come l’aveva attivato Harrison.

Jupiter, comando vocale AM11.” La voce del sistema di navigazione rispose prontamente.

“Capitano in plancia.”

“Stand by. Presenta lista ultimi comandi.” Il computer di bordo, con me aveva fatto con Harrison,  mostrò sullo schermo l’elenco degli ultimi comandi digitati in plancia. 

Quando individuò quello relativo al sistema di lancio e navigazione dei missili di ultima generazione, dette l’ordine.

“Disabilità sistema puntamento e lancio missili. Rimuoverli tutti dai canali di lancio.”

“Agli ordini capitano.”

“Offline.”

“Capitano, comando offline incompatibile con sistema mantenimento navigazione. Confermare?” In effetti non poteva rischiare di mandare alla deriva la Jupiter. Rischiava di farla uscire dal raggio del silenzio radio dell’Enterprise o addirittura di farla precipitare nell’orbita gravitazionale di Nuova Vulcano.”

“Annulla ultimo. Modifica password di comando.”

“Modifica in corso. Indicare codice.”

“NCC1701”

“Password modificata.”

“Abbassa scudi.”

“Scudi abbassati.” 

“Annulla registrazione ultimo comando.”

“Registrazione annullata.” Disse la voce. E fu proprio in quel momento che le porte della plancia si aprirono e John Harrison comparve sulla soglia trascinando l’ammiraglio Marcus.

“Quindi è lei il traditore che ha dato asilo a questo pazzo squilibrato, Kirk? Pike pagherà insieme a lei quest’azione! Le ordino di liberarmi! Lei non sa chi è quest’uomo e cosa le farà! Cosa farà a tutti noi!” Jim ebbe la sensazione che la situazione sarebbe degenerata velocemente.

‘Spock, se puoi sentirmi, ascoltami bene. Gli scudi della Jupiter sono abbassati. Se perdi il contatto con me, fa fuoco sulla nave con tutto quello che hai a disposizione sull’Enterprise.’

Marcus volò a terra fino ai piedi di Kirk spinto da Harrison con la forza di un solo braccio.

“Lo sa. Sa benissimo chi sono e, per tua sfortuna, sa benissimo anche chi sei tu.” Disse John.

“Ammiraglio Marcus, lei è accusato dalla federazione dei pianeti di aver violato quattro direttive e diversi sotto paragrafi per cui verrà preso in consegna dall’equipaggio della U.S.S. Enterprise e condotto sulla Terra dove verrà processato.” Marcus si alzò con fatica e gli rise in faccia.

“Tu vuoi arrestarmi? Pike vuole processarmi? Non capite niente, voi non sapete niente. Anche se eviterete questa battaglia, la guerra è alle porte. Ovunque nell’universo, piccoli focolai di tensione e insoddisfazione già esistono. La guerra con i Klingon è inevitabile. E chi guiderà la federazione in una simile battaglia? Pike? E’ un sentimentale. Non ha la giusta cattiveria!”

“Mi dispiace signore ma non è gettando fango su Pike che guadagnerà qualcosa da questa situazione.”

“Invece pensi di guadagnarci tu a fare accordi con lui?” Disse urlando e indicando Harrison.

“Vuole solo il suo equipaggio.”

“E tu pensi di darglielo? Hai idea di cosa sia capace? Immagina altri settantadue come lui.”

“Questo non la riguarda più.” Disse Jim e fu allora che Marcus si mise a ridere.

“Ma tu non hai veramente intenzione di consegnarglieli vero?”

“Ho promesso che li avrei salvati e l’ho fatto. Sono fuori dai tubi di lancio. Non verranno mai usati come armi.” Lo sguardo di Jim era determinato e pulito. Marcus se lo sentì addosso come un coltello alla gola. Si girò verso Harrison.

“Non te li consegnerà. E’ un bugiardo. Sai come ha passato l’esame in Accademia? Ha barato. Ed è diventato capitano dell’Enterprise imbrogliando il suo comandante!” 

“Vede, ammiraglio,” disse Jim, “lui sa tutto di me. Ha usato i suoi codici per entrare nel mio file.” Marcus guardò Harrison e l’espressione soddisfatta dell’ex capitano della Botany Bay gli confermò le parole di Kirk. Marcus tirò un sospiro e mise le mani sui fianchi.

“Dunque mi devo arrendere.” I due capitani si guardarono un istante e quell’istante concesse a Marcus il modo di tirare fuori un arma nascosta sotto l’uniforme. Marcus sparò prima ad Harrison, mancandolo e poi a Kirk senza prendere neanche la mira ma ferendolo ad un braccio.

Harrison rispose al fuoco colpendolo all’addome. Marcus cadde a terra dolorante.

“Come hai osato!” Gridò John puntando la propria arma contro l’ammiraglio, Jim, tenendosi il braccio ferito con quello sano, si frappose tra loro.

“No! Hai promesso. E’ mio prigioniero. Uscirà da qui vivo.” Esclamò Jim.

“Togliti di mezzo!”

“Hai promesso!” Gridò ancora.

“Jupiter, comando vocale AM11.” Disse allora Harrison. 

“Stand by. Comando errato.” Rispose la macchina. John scosse il capo.

“Hai cambiato i codici di accesso del sistema di navigazione.” Jim non rispose. Rimase fermo tra il suo interlocutore e l’ammiraglio. “Non ti sei mai fidato di me.”

“Ho messo in salvo il tuo equipaggio.”

“Ma non hai intenzione di consegnarmeli.”

“Non adesso. O pensavi che ti lasciassi una nave come questa? La Jupiter deve essere restituita alla federazione. Rappresenta la prova dei crimini di Marcus. Tu verrai riabilitato. Ti verrà restituita una vera identità. Lo capisci? E’ la cosa giusta da fare.” Harrison gridò.

“La cosa giusta? Che ne sai tu di qual è la cosa giusta per il mio equipaggio? Io sono il loro capitano e questa è la mia nave, Jim.” Fu allora che Marcus afferrò Jim alle spalle e, facendo pressione sulla ferita al braccio, lo usò come scudo.

“Ordina alla nave di ripristinare i collegamenti con l’Enterprise. Ce ne andiamo da qui.” Lo minacciò Marcus.

“Dovremmo lasciargli la Jupiter?”

“La nostra vita viene prima di tutto, lo capisci?” Gridò Marcus.

“La missione viene prima di tutto!” Replicò Kirk. Non ebbe modo di dire più nulla. Sentì un forte dolore alla base dello sterno. Harrison aveva sparato. L’intensità del raggio phaser lo aveva passato da parte a parte uccidendo Marcus che cadde alle sue spalle.

Jim finì sulle ginocchia.

“Cos’hai fatto? Lo hai ucciso.” Sussurrò mentre un rivolo di sangue gli usciva dalle labbra. Harrison lo raggiunse e gli puntò la pistola alla testa.

“Il codice, Jim. Lo hai detto anche tu. La missione viene prima di tutto.” Kirk chiuse gli occhi.

‘Spock, ti prego, fai fuoco contro la Jupiter.’

 

Spock stava seduto sulla sedia di Kirk cercando di tendere il legame al massimo. 

Nyota lo guardava con aria preoccupata. Si alzò e lo raggiunse.

“Spock, sono sicura che il capitano sa quel che fa.” Lui non smise di fissare lo schermo della plancia dalla quale si vedeva la fiancata della Jupiter. 

Era enorme. Immensamente più grande dell’Enterprise. Si sforzò di concentrare ogni fibra del suo essere su Jim e lo individuò in un punto della nave molto vicino alla plancia di comando.

Almeno era riuscito a salire a bordo senza incidenti. All’apparenza sembrava che Harrison stesse di fatto collaborando. Fu, mentre era assorto in questi pensieri che lo sentì.

‘Spock, se puoi sentirmi, ascoltami bene. Gli scudi della Jupiter sono abbassati. Se perdi il contatto con me, fa fuoco sulla nave con tutto quello che hai a disposizione sull’Enterprise.’

Spock scattò in piedi. Sulu e Checov si voltarono quasi contemporaneamente.

“Che succede Spock?” Domandò Uhura.

“Nulla.” Rispose il comandante ma le porte della plancia si aprirono e l’ambasciatore Spock apparve chiedendo il permesso di salire sul ponte.

“Permesso accordato. Tutto bene ambasciatore Spock?” Chiese il primo ufficiale e l’ambasciatore annuì anche se nei suoi occhi leggeva che la domanda era un’altra.

“Posso restare? Da quel che ho capito, non potrò lasciare la nave fino a che Jim non sarà di ritorno.”

“Prenda pure il mio posto. Tutti pronti ad ingaggiare la Jupiter. Tenente Uhura, chiami il dottor McCoy.”

“Sì, signore.” Disse la donna aprendo le comunicazioni con l’infermeria.

“C’è già bisogno di me?” Chiese Bones con voce carica d’ansia.

“No dottore, ma voglio che tenga in allerta tutta l’infermeria. Ho ordinato di puntare le armi sulla Jupiter.”

“Comandante, con tutto il rispetto, è impazzito? Devo ricordarti io che Jim è ancora a bordo?”

“No, dottore. Io ho gli ordini del capitano. Lei ha i miei. Tenga pronta l’infermeria. Spock, chiudo.”

La voce di Bones che bestemmiava sfumò nell’interfono. Spock cercò di nuovo il capitano tendendo il legame e lo trovò che era ancora sul ponte di comando della Jupiter. Si alzò per raggiungere l’ambasciatore quando un dolore indicibile al petto lo costrinse a risedersi. Nyota gli fu subito accanto.

“Spock, che c’è?” L’uomo trattenne il respiro.

‘Spock, ti prego, fai fuoco contro la Jupiter.’ Il vulcaniano si alzò e strinse entrambi i pugni.

‘Non posso. E’ troppo rischioso.’ Non ricevette risposta. Sentì come un vuoto e un gelo avvolgerlo con violenza. Raggiunse la sua postazione dove adesso era seduto l’anziano Spock.

“Ho formulato male la mia domanda ieri. Durante i suoi viaggi, ha conosciuto un uomo di nome Khan?” Spock vide con terrore l’espressione assunta dal volto dell’altro se stesso.

“Ho giurato di non rivelarti mai niente delle mie avventure con l’Enterprise perché il tuo viaggio, devi farlo da solo. Detto questo Khan Noonien Singh è l’avversario più pericoloso che abbiamo mai incontrato. Non esiterà un solo istante nella sua missione di distruggervi tutti. Soprattutto Jim. Se ne avrà l’occasione, lo ucciderà senza pietà.” Spock si voltò di scatto verso Sulu. Un dolore lacerante al braccio lo investì al punto che urlò.

“Fare fuoco con tutti i cannoni a phaser contro la paratia della stiva della Jupiter. Ora!”

 

Jim dondolò appena in avanti. Harrison gli poggiò il phaser contro la fronte.

“I codici, Jim.” Kirk aveva percepito distintamente le parole di Spock.

‘Non posso. E’ troppo rischioso.’

Possibile che non avesse percepito le sue condizioni? La voce di Harrison lo riportò alla realtà.

“I codici, Jim. Non farmelo ripetere.”

“Credi che m’importi della mia vita, ridotto in queste condizioni?”

“Credi che la tua condizione non possa peggiorare?” Chiese afferrandogli il braccio ferito e stringendo fino a che l’osso non si spezzò. “Posso farti ancora più male. Immagino però che non otterrò niente in questo modo, giusto?” Chiese puntando l’arma verso uno degli uomini che Jim aveva stordito prendendo la plancia. “Vuoi portare anche loro con te?”

“Non farlo! Il codice di accesso è NCC1701”

“Sei disposto a morire per la missione ma non sei disposto a far morire nessun altro con te.”

“No. Non lo sono.” Harrison raggiunse la poltrona.

“Jupiter, comando vocale NCC1701.”

“Capitano in plancia.” Rispose la macchina.

“Stand by. Lista ultimi comandi eseguiti.” Sullo schermo comparvero gli ultimi dieci comandi impartiti al sistema di navigazione tra cui il riavvio del sistema completo della nave, la disabilitazione del sistema puntamento e lancio missili, la rimozione delle capsule dai canali di lancio e la modifica della password di comando. Harrison sorrise.

“Sei stato di parola.”

“Sono un capitano.” Rispose Jim facendosi forza sui talloni e tenendosi la ferita con l’unico braccio che era in grado di muovere. Fu allora che la nave fu investita dai phaser dell’Enterprise.

Una serie di allarmi si accesero sul monitor della Jupiter.

“Hai abbassato gli scudi della nave!” Jim sentì le forze venire meno. Nonostante questo, gli venne da sorridere. Anche se era scattato l’allarme rosso, la plancia non era stata colpita. Spock stava attaccando l’equipaggio di Harrison. L’uomo lo raggiunse e lo afferrò per il collo. “Chiama quel maledetto scherzo della natura e ordinagli di interrompere l’attacco!” Gridò stringendo il bavero della tuta insanguinata.

“C’è il silenzio radio, ricordi?”

“Siamo su una nave di ultima generazione, ricordi? E l’ho progettata io, ricordi anche questo?” Disse soffiandogli le parole quasi sulle labbra. “Può comunicare con le altre navi della flotta stellare su rete interna ad una distanza tanto ravvicinata.” Jim spalancò gli occhi.

“Hai mentito.”

“Credevi di essere l’unico ad avere un asso nella manica? Jupiter contatta NCC-1701.”

“Linea aperta, capitano.”

“Sullo schermo.”

 

“Comandante, riceviamo una trasmissione dalla Jupiter!” Gridò Uhura.

“Sullo schermo.” Spock aveva i nervi a fior di pelle nonostante a tutti apparisse calmo e tranquillo come al solito. Le vene della fronte però gli pulsarono in modo evidente quando sullo schermo della plancia comparve Harrison che teneva per il collo Kirk.

“Come volevasi dimostrare, due capitani per una sola poltrona sono troppi. Comandante, se ci tiene alla vita di Jim, teletrasporti sull’Enterprise i settantadue missili di ultima generazione della Jupiter.”

Spock non rispose. Guardava gli occhi di Jim e non riusciva a sentire nulla provenire dalla sua mente.

“Comandante, è sordo?” Spock si riebbe.

“No, non lo sono. Cosa farà dopo? Non ho alcuna garanzia che risparmi il capitano.”

“Vediamo di intenderci, Spock. Il vostro capitano può aver abbassato gli scudi della Jupiter e avervi permesso di colpirci, a prezzo della sua vita ovviamente. Questo non significa che la mia nave sia fuori combattimento. Posso ancora impostare l’autodistruzione.”

“E il suo equipaggio?”

“Vuoi fare questo gioco con me, signor Spock? Vogliamo vedere se è più caro a te quest’uomo o a me l’equipaggio nella stiva? Posso distruggere l’intera Enterprise e con il dilitio nelle gondole della nave spazzare via metà pianeta.” Fu allora che Jim parlò. La sua voce uscì a malapena.

“Spock, teletrasporta tutti i settantadue missili nella stiva della nave. Ci sono anche due persone sul ponte.”

“Sentito?” Disse Harrison mollando la presa. Jim ricadde al suolo ma fece forza su un braccio e si alzò. Spock contattò Scotty e diede l’ordine. Quando Jim vide i due ufficiali di Marcus sparire, parlò ancora.

“Dopodiché chiudi i contatti radio e distruggi la nave. Questi sono i miei ordini.” Disse con durezza. Harrison si voltò di scatto e lo colpì mandandolo a terra. Poi si avventò su di lui e lo sollevò di nuovo.

“Morirai. Annulla i tuoi ordini.”

“Non hai più niente con cui ricattarmi.” John si voltò verso lo schermo.

“Ma ho te, per ricattare lui!” Gridò l’uomo mostrando il volto tumefatto di Jim a Spock.

“Non puoi ricattarlo.” Disse Jim “Ho mantenuto la mia promessa salvando il tuo equipaggio e Spock non farà di me uno spergiuro disobbedendo ai miei ordini.”

Lo disse guardando lo schermo, sorridendo tra le lacrime che gli scendevano per il dolore e la tristezza.

“Signor Spock, lo ucciderò.” Disse Harrison con fredda determinazione. Spock sentì le unghie delle dita conficcarsi nella carne del palmo tanta forza aveva messo nello stringere i pugni. Non interruppe il contatto visivo con Jim fino all’ultimo.

“Lo ucciderai comunque. Io ho i miei ordini. E la mia fedeltà al capitano è assoluta.” Lo disse mentre premeva il pulsante che interrompeva ogni comunicazione tra l’Enterprise e la Jupiter.

“Spock!” La voce che aveva spezzato il silenzio che era caduto in plancia era di Bones.

Era arrivato mentre Jim stava ordinando al suo comandante di chiudere le comunicazioni con la Jupiter ma nessuno aveva fatto caso a lui. “Come hai potuto! Lo hai condannato a morte!” 

Spock non rispose al dottore.

“Signor Sulu, prepari i cannoni a phaser per fare fuoco contro la plancia della Jupiter.” Checov non riuscì più a rimanere in silenzio.

“Signore, capitano morirà in esplosione.”

“Fate come ho detto! Signor Sulu, a lei la plancia.” Disse allontanandosi.

Bones, Uhura e l’ambasciatore gli andarono dietro.

“Spock! Maledetto bastardo, come puoi aver fatto una cosa simile dopo che Jim ha rischiato di morire per tirarti fuori dalla gola di un vulcano!” Gridò Bones.

“Spock, per favore, fermati! Cosa vuoi fare adesso?” Nyota tentò di fermarlo nel corridoio ma Spock si divincolò.

“Spock!” Solo quando sentì la sua stessa voce, il vulcaniano si fermò. “Se Jim potesse parlarti, ti direbbe di non andare.” Nell’udire quelle parole, sia Bones che Uhura capirono.

“Non posso seguire la logica adesso. Tu, meglio di chiunque altro, dovresti capire.” L’anziano annuì.

“Io lo capisco.” Spock si voltò e raggiunse la sala teletrasporto. Dentro c’era solo Scotty. Spock non gli prestò attenzione. Infilò una tuta e si posizionò al centro della macchina per il teletrasporto.

“Spock, aspetta!” Lo richiamò Uhura. “È tutto assurdo! Stai disobbedendo agli ordini!”

“Nyota, mi dispiace farti soffrire, non posso fare diversamente. Signor Scott, ho impostato le coordinate per la Jupiter. Energia.” Bones tirò indietro Uhura ma non accadde nulla.

“Signor Scott!” Lo esortò Spock ma, quando questi fece un passo verso il capo degli ingegneri, si accorse che aveva le lacrime agli occhi e un’espressione addolorata.

“Mi dispiace comandante. Anche io obbedisco agli ordini.”

“Che diavolo dice? Le ho appena ordinato di dare energia al teletrasporto.” Scotty alzò entrambe le mani.

“Mi dispiace, il capitano mi ha ordinato di impedirle di usare il teletrasporto qualora lei mi avesse chiesto di raggiungere la Jupiter.”

“Scott, il capitano potrebbe essere già morto. Accendi il dannato teletrasporto.”

“Non posso, signore.” Disse Scotty con ferma determinazione.

“Capisco. Mi dispiace per quanto accadrà.” Disse tirando fuori il phaser e stordendo Scotty che cadde a terra come un peso morto.

“Spock, che diavolo!” Gridò Bones cercando di raggiungere l’ingegnere. Spock puntò l’arma verso di lui.

“Fuori di qui. Tutti e due.” Disse indicando anche Uhura. Il dottore camminò all’indietro portando con sé la donna. Quando furono nel corridoio, Spock chiuse la porta e la bloccò dall’interno.

Impostò di nuovo i dati per il teletrasporto e chiamò Sulu.

“Signor Sulu, faccia fuoco non appena avrò chiuso la comunicazione.”

“Agli ordini, signore.”

Spock attivò il teletrasporto e chiuse il canale di comunicazione con la plancia mentre si dematerializzava.

Quando riapparve sulla plancia della Jupiter, vide Jim in ginocchio davanti ad Harrison. L’uomo gli puntava l’arma alla testa. Stava per premere il grilletto quando la plancia fu invasa da decine di esplosioni.

 

Jim fu sbalzato all’indietro e perse i sensi. Harrison invece cadde a qualche metro da lui e, anche se ferito, si rese conto di quello che stava accadendo. Il ponte di comando era in preda alle fiamme. Raggiunse Kirk e gli spostò i capelli dal viso.

“Jim, hai avuto quello che volevi?” Kirk si lamentò aprendo gli occhi. Era davvero allo stremo. “I tuoi uomini ti rispettano al punto che non mettono in discussione i tuoi ordini anche se moralmente sbagliati.”

“Non uccidere Marcus era moralmente giusto e tu hai disobbedito.” Disse l’uomo tra i lamenti.

“Era un assassino anche lui.”

“Sì, lo era.”

“E lo sarai anche tu se la Jupiter precipiterà su Nuova Vulcano. Falla esplodere.”

“Dovrei morire per salvare i vulcaniani? Sono una razza priva di sentimenti, delle emozioni più basilari.”

“Ti sbagli su di loro. E comunque c’è una capsula Kelvin funzionante. Puoi salvare la tua vita.”

“E la tua vita?”

“Hai provato ad uccidermi fino ad ora. Che t’importa?”

“Se avessi voluto ucciderti, ti avrei spezzato il collo prima di entrare nella plancia di questa maledetta nave. Tu saresti stato un perfetto compagno per me.” A Jim venne da ridere ma il dolore all’addome lo bloccò.

“E’ tardi per fare i sentimentali.”

“Hai ragione. Jupiter, attiva autodistruzione camera dilitio.”

“L’ordine è irreversibile, capitano.”

“Attiva.” Disse Harrison sollevando Jim. “Ora abbiamo cinque minuti.” Lo disse rivolgendosi a Jim ma questi aveva perso di nuovo i sensi. Se lo issò addosso ma, quando alzò lo sguardo, lo lasciò ricadere a terra.

Di fronte a lui, phaser in pugno, c’era Spock.

“Ti avevo promesso che se gli avessi fatto del male ti avrei ammazzato.”

“Signor Spock! Tempismo perfetto. Meglio morire accanto a Jim che vivere senza di lui, vero?”

Spock non rispose. Sparò. Senza pietà. Come gli aveva garantito. Harrison si guardò prima il petto poi la propria mano insanguinata. Cadde in avanti mentre altre esplosioni riempivano l’aria.

Spock corse da Kirk e lo prese tra le braccia. Era davvero un miracolo che fosse ancora vivo.

‘T’hy’la, ti prego, rispondimi.’

Per un momento non accadde nulla. Poi, quando Spock stava per tentare una fusione con l’uomo, Jim mosse le palpebre e, a fatica, le aprì.

“Spock, tu sei qui.”

“Forza, ti tiro su.” Gli disse passandogli un braccio dietro la schiena e tirandoselo addosso. Lo trascinò fino alle capsule Kelvin e lo adagiò piano in una di esse. 

“Spock, no.”

“Non parlare. I tuoi segni vitali sono deboli. Devi tornare a bordo dell’Enterprise. In questa situazione, il teletrasporto è inutilizzabile. Le capsule sono la sola via d’uscita.”

“Spock, c’è una cosa che devo dirti prima che tu chiuda la capsula.” Spock esitò un attimo puntando i suoi occhi scuri e carichi di ansia in quelli blu e lucidi di Jim.

Questi allungò una mano come a trattenere il vulcaniano ma un colpo di phaser li costrinse ad ad allontanarsi. 

Spock si voltò e vide Harrison, in piedi, con lo sguardo pieno di rabbia. Chiuse d’istinto la capsula di Kirk.

“Vai!” Gli urlò e si infilò in quella di fronte. Quando la capsula si chiuse però, il segnale di emergenza lo avvertì che la chiusura era difettosa. Spock capì che non sarebbe mai riuscito ad abbandonare la Jupiter. Stava per lasciare la capsula quando, imprevedibilmente, lo sportello si chiuse. Spock si chiese quale miracolo fosse accaduto proprio mentre realizzò che i miracoli non esistevano. 

Jim gli sorrideva dall’esterno. Aveva forzato la chiusura della capsula con una spallata. Probabilmente con le ultime forze che gli rimanevano. Vide le sue labbra muoversi ma la sua voce gli arrivò attraverso il legame.

‘Mi dispiace, Spock, non posso permettertelo. Sei troppo importante per me.’

Spock sentì le lacrime pungergli gli occhi. Una devastante sensazione di impotenza lo colpì nell’istante stesso in cui vide Jim avvicinare la mano al pulsante di espulsione.

‘No, Jim, non farlo. Non spezzare il legame.’

‘Non lo sto facendo. Voglio solo che tu viva. Se tu sopravvivi, io lo farò con te.’

Il rumore dell’espulsione della capsula gli tolse il respiro. Rinchiuso là dentro, Spock non si sentì affatto in salvo. Neppure quando, poco meno di un minuto più tardi, la Jupiter esplose in un lampo di luce blu. Gridò come non aveva mai fatto in vita sua. Gridò il nome di Jim.

 

Jim vide la capsula schizzare via in alto. Spock era salvo. C’era n’era ancora una e per un momento pensò che avrebbe potuto provare a rimetterla in funzione ma, sapeva che una volta riaperte, le capsule Kelvin potevano essere richiuse solo dall’esterno. Inoltre, il colpo sparato da Harrison aveva lesionato la paratia. Si ricordò dell’uomo solo in quel momento e si voltò a cercarlo. Era seduto, dolorante e ferito, sulla poltrona del capitano.

Jim si trascinò fino a lui. Allora anche John lo vide.

“Non vuoi proprio morire, Jim.”

“Non dipende più da me.” Disse sedendosi a terra. Jim chiuse gli occhi. Quando aveva chiesto a Spock di aiutarlo a dormire, gli aveva sentito dire come in sogno di non pensare a suo padre e a quei dodici minuti da eroe. Si chiese se fossero passati almeno dodici minuti da quando aveva messo piede su quella maledetta nave. Il dolore divenne insopportabile. 

Non si rese conto di essere afferrato e trascinato fuori dal ponte.

Non si rese conto di essere caricato su di un minuscolo incrociatore. 

Non si rese conto che la voce che gli stava parlando era quella di Harrison.

“Tu hai mantenuto la tua promessa. Io non ho fatto altrettanto. Saresti stato un compagno perfetto. Ricordalo Jim, l’odio è una versione meno nobile ma più autentica dell’amore.”

L’incrociatore fu lanciato fuori dalla nave lungo il carrello dello scarico macerie solo pochi secondi prima che un’intensa luce azzurra avvolgesse la Jupiter ingoiandola per sempre.

A quella luce intensa, seguì l’oscurità più profonda che avesse mai visto. Solo le luci dei sistemi di navigazione dell’incrociatore illuminavano lo spazio circostante. Anche per quelle, come per lui, era solo una questione di tempo. 

‘L’oscurità è un posto come tanti altri.’

Questo gli aveva detto Pike prima di dirgli che per lui c’era ancora speranza, che non doveva finire in una specie di riformatorio per colpa di quel suo carattere irrequieto e ribelle.

Ora, mentre le apparecchiature elettroniche si spegnevano una dopo l’altra, mentre il sangue dalla ferita al fianco saliva verso la paratia superiore del piccolo incrociatore invece che colare verso il basso, Jim guardò fuori e si rese conto che non appena anche la luce dell’indicatore del carburante si fosse spenta, si sarebbe ritrovato in quella stessa oscurità dalla quale aveva cercato di fuggire.

Il respiro si fece lento. A dispetto di ciò che dava a vedere a tutti e di ciò che tutti pensavano di lui, aveva paura di morire. La luce del segnalatore del carburante si spense. 

Il buio lo avvolse. Allungò una mano verso il vetro del grande oblò di prua senza raggiungerlo.

L’oscurità non era un posto come tutti gli altri.

Era il posto dove tutto finiva.

Si sentì esausto. Cosa doveva fare? Chiudere gli occhi e arrendersi? Aveva altra scelta?

La navicella se lo stava portando alla deriva. Chiuse gli occhi. L’oscurità non era sua nemica. Forse la sua ultima amante.

Si lasciò cullare dall’assenza di gravità e di rimpianti e sorrise.

L’immagine di Spock che lo stringeva nel deserto sotto al cielo stellato dell’Iowa fu l’ultima cosa che la sua mente riuscì a richiamare. Poi fu il nulla.

 

La capsula Kelvin fu attratta a bordo dell’Enterprise dopo l’esplosione della Jupiter.

Bones e Scotty smontarono il portello e liberarono Spock. Uhura lo strinse forte a sé.

Spock non disse una parola. Guardò Scotty e questi gli sorrise dandogli ad intendere che non era arrabbiato per quello che il vulcaniano gli aveva fatto.

Si girò a guardare Bones. L’uomo aveva gli occhi rossi per il pianto.

“Ho fallito, dottore, non sono riuscito a salvarlo.” Bones gli mise una mano sulla spalla.

“Uno dei due doveva fallire e Jim non si sarebbe mai lasciato battere da te. Non l’ha mai fatto.” Uhura cominciò a piangere. Le sue lacrime resero tutto improvvisamente reale. Jim era morto.

Spock si sentì mancare l’aria nei polmoni. 

“Spock, respira.” Gli disse Bones.

“Sono funzionante.” Fece lui cercando di rimettersi in piedi. “Signor Scott contatti la plancia.”

“Spock, dovresti venire con me in infermeria adesso.”

“La plancia, signor Scott.” Scotty non se lo fece ripetere e contattò Sulu.

“Facente funzione di capitano Sulu.”

“Signor Sulu, qui Spock.”

“Comandante è bello sentirla. C’è stato il finimondo lì fuori.”

“Ripristini i contatti radio. Comunichi a Nuovo Vulcano che una nave della federazione dei pianeti è andata in avaria ed è esplosa. Comunichi che il numero delle vittime non è ancora noto ma che la maggior parte dell’equipaggio è stato tratto in salvo sull’Enterprise.”

“Si, signore. Sta bene, signore?”

“Si, signor Sulu.”

“Comandante?”

“Sì?”

“Che ne è stato del capitano Kirk?” Spock sentì ancora una volta il proprio respiro strozzarglisi in gola.

“Il capitano è” annaspò, “disperso.” Dall’altra parte non giunse nessuna risposta. Spock lasciò la stanza e corse fuori come se l’aria del corridoio fosse meno rarefatta di quella della sala di carico.

Aveva perso sua madre, quasi tutta la sua gente, eppure niente era paragonabile a quel dolore sordo che sentiva alla bocca dello stomaco.

“Spock,” Bones lo aveva seguito nel corridoio, “non torturarti, non è colpa tua. Jim non vorrebbe.”

“Leonard, ora non riesco a seguire la logica. Perdonami ma ho bisogno di stare solo.” S’incamminò verso il ponte panoramico e raggiunse lo spesso vetro oltre il quale si estendeva la vista dello spazio aperto.

Le lacrime gli scivolarono dagli occhi. Si lasciò cadere sul pavimento. Era quella la disperazione? Non si accorse neppure che qualcuno lo aveva raggiunto e gli aveva posato una mano sul capo.

“Quando volevi andare sulla Jupiter, mi hai chiesto se capivo e ti ho detto di sì. Capisco anche adesso quello che provi.” Spock si sforzò di rialzarsi e guardò l’ambasciatore negli occhi.

“Come ci riesci? Come fai a vivere sapendo che lui è morto?” L’anziano Spock sorrise amaramente.

“Non è stato così all’inizio. Quando ho realizzato che non l’avrei visto mai più, ho provato un dolore inspiegabile. Mi sembrava che la mia stessa vita non avesse più alcun senso. Ogni cosa sembrava avesse perso significato. Poi, un giorno, mentre soccombevo al mio dolore, mi è capitato in mano un appunto scritto di pugno da Jim. Avevo preso l’abitudine di torturarmi in quel modo. Sfogliavo i suoi libri, le sue fotografie, quello che di umano portava sempre con sé a bordo dell’Enterprise. M’illudevo che potesse riempire il vuoto lasciato dai suoi occhi, dalle sue labbra, dalle sue mani. Su quel foglio c’era il nome di un luogo che mi fece tornare in mente una cosa che mi aveva detto Jim un giorno che eravamo in licenza. Quel giorno, mentre se ne stava sdraiato sull’erba e io leggevo un trattato sui buchi neri, mi disse che presto o tardi saremmo stati troppo vecchi per le avventure nello spazio che ci piacevano tanto. Così gli chiesi cosa pensava avrebbe fatto una volta lasciato il comando della nave. Sai cosa rispose?” Chiese l’anziano Spock.

“Cosa?”

“Che avrebbe trovato un posto come quello in cui eravamo in quel momento. Un prato dove lui avrebbe riposato e io avrei potuto continuare a leggere tranquillo ad una condizione.”

“Quale?” 

“Di vegliare su di lui senza svegliarlo. Perché era stanco. Compresi che lo era davvero mentre lo diceva. In quel momento, il calore che provai nel ricordare quella conversazione mi fece capire che Jim era ancora lì con me nonostante il legame si fosse spezzato. Decisi che avrei continuato a vivere fingendo di vegliare il suo sonno su quel prato. Prima o poi, lo raggiungerò lì. Di questo sono certo. Ho onorato il legame con lui continuando a vivere la mia vita. Anche se il vuoto è angosciante, trova la forza dentro di te. Jim vorrebbe questo.”

Spock sgranò gli occhi. Sentiva dolore. Sentiva che gli mancava l’aria nei polmoni. Nonostante ciò non c’era alcun vuoto. La consapevolezza di cosa significava fu tremenda. 

“Ambasciatore, perdonami, devo andare.”

Spock corse sul ponte e, non appena lo vide, Sulu si alzò dalla poltrona.

“Comandante.”

“Signor Sulu usi il radar della nave per rintracciare qualsiasi oggetto grande quanto una capsula Kelvin. Signor Checov calcoli un perimetro entro il quale un oggetto simile può essere stato sbalzato dalla forza dell’esplosione della Jupiter. Tenente Uhura chiami l’infermeria.”

“Spock, che succede?” la voce di Bones era ancora rotta dal pianto.

“Dottore, prepari l’infermeria per un intervento d’urgenza.”

“Perché?”

“Non le posso rispondere ora. Lo faccia.”

“Ok.” Spock chiuse le comunicazioni.

“Allora signor Checov?”

“Circonferenza calcolata con dati esplosione troppo grande per scanner Enterprise. Occorreranno tre ore per verificare presenza oggetto in perimetro.”

“Non può affinare la ricerca? Non abbiamo tre ore. Una capsula Kelvin ha al massimo due ore di autonomia.”

“Posso se ho direzione.” Esclamò Pavel. Spock si sedette sulla poltrona del capitano e chiuse gli occhi.

‘T’hy’la dove sei?’

Inizialmente non sentì nulla poi, percepì il battito del cuore di Jim. Come era stato tanto stupido da fidarsi dei propri occhi più del proprio spirito?

“Signor Checov direzione sud, sud est.” Spock guardò il monitor fino a che qualcosa cominciò a brillare sullo schermo.

“Rilevo navetta tipo incrociatore a ore cinque signore.”

“E’ a portata di raggio traente?”

“Dobbiamo avvicinare Enterprise per usare raggio.”

“Signor Sulu, si avvicini prima che può all’incrociatore. Lo contatti e, se non risponde subito, comunichi al signor Scott di azionare il raggio traente. Io sarò già nell’hangar. A lei la plancia.”

Spock corse fuori e Uhura gli andò dietro.

“Spock pensi sia Kirk?”

“Non lo penso. Lo so. Manda il dottore al ponte inferiore.”

Uhura tornò indietro. Spock invece corse fino a raggiungere il turboascensore e, da lì, l’hangar di carico. Quando entrò, Scotty già trafficava con i comandi del raggio traente. Spock chiamò la plancia.

“Signor Sulu avete contattato l’incrociatore?”

“Sì signore, nessuna risposta. Checov dice che va alla deriva.”

“Abbassate gli scudi e restate in stand by.”

“Agli ordini.” Spock si rivolse a Scotty.

“Carichiamo quell’incrociatore.” Scott annuì e, con poche manovre, portò la nave fino al portello dell’hangar merci dell’Enterprise. Quando le paratie si chiusero Spock prese un cannone a phaser e raggiunse la nave. Sparò al portello ed entrò.

Sentì di nuovo l’aria mancargli nei polmoni non appena riconobbe il corpo di Kirk sul pavimento metallico della nave. Gli fu addosso in un istante seguito a ruota da Scotty.

“Jim, Jim, mi senti?” Disse tamponando la ferita che aveva all’addome. Il corpo del capitano era gelato. Scotty gli mise una mano sul collo e la ritirò velocemente.

“Spock, non respira. Il suo corpo è freddo. Dev’essere rimasto esposto all’aria esterna senza protezioni.” Lo disse sottovoce, quasi temesse di disturbare un momento troppo privato del comandante.

Spock scosse appena la testa come a voler negare l’evidenza e sollevò il corpo di Jim fino a che non sentì la sua testa nell’incavo tra collo e spalla.

‘T’hy’la, io ti sento ancora qui, com’è possibile?’ Fu allora che un gran trambusto riempì l’aria. Bones entrò nell’hangar facendo cadere a terra praticamente tutto quello che aveva tra le braccia.

“Spock!” Urlò il dottore. “Lo metta a terra e gli scopra il braccio!”

Spock non se lo fece ripetere. Lo distese sul pavimento e strappò via la maglia dal braccio sano di Jim. Bones si avvicinò e, in fretta e furia, gli iniettò un liquido scuro in vena. Non appena l’iniezione fu completata, si accasciò.

“Dottore cosa gli ha dato?” Chiese Spock agitato.

“Un siero.”

“Leonard,” lo interruppe perplesso Scotty “ti sei reso conto che è morto? Non possiamo smettere di torturarlo?” L’ingegnere lo disse con voce nervosa. Spock però gli mise una mano sulla spalla per calmarlo e gli fece cenno di guardare quello che lui aveva già percepito con la sua mente.

Il volto di Jim stava riprendendo colore. Il suo cuore batteva di nuovo all’interno della cassa toracica che, seppure a fatica, si alzava e abbassava. “Come diavolo ha fatto?” Gridò Scotty.

“Ho usato il sangue di Khan.” 

“Hai iniettato il sangue di uno psicopatico potenziato dentro Jimbo?”

“Che può fare? Ucciderlo?” Chiese ironicamente Bones. “Avanti Spock, lo sollevi e lo porti in infermeria. Non è per niente fuori pericolo.” Spock prese il corpo di Jim tra le braccia e si alzò. 

Gli altri due lo seguirono fino in infermeria. Mentre Bones preparava gli strumenti per operare, Spock depose Jim sul lettino.

“Spock, Scotty, ora dovete lasciarmi operare.” Disse Bones. Scotty lasciò subito l’infermeria. Spock esitò ancora un momento vicino al corpo di Jim. Bones cercò di rassicurarlo. “E’ merito tuo se lo abbiamo ritrovato. Lasciami fare quello per cui sono a bordo di questa nave.” Spock passò una mano tra i capelli di Jim e lasciò l’infermeria.

Fuori dalla porta tirò un profondo respiro. La voce di Nyota lo fece sussultare.

“Come sta?”

“Non è ancora fuori pericolo. Il dottore lo sta operando.”

“Dio solo sa come hai fatto a trovare quell’incrociatore.”

“E’ stato il legame, Nyota.” La donna non riuscì a nascondere la propria sorpresa.

“Mi hai sempre detto che tendere il legame era una decisione importante, che significava instaurare un rapporto per tutta la vita. Hai detto che era del tutto normale che stessimo insieme senza che fosse nato tra noi e adesso mi dici che tra te e il capitano c’è un legame?”

“Sì. Non ho fatto niente perché accadesse. Me ne sono reso conto quando siamo partiti per Nibiru ma credo sia nato quando abbiamo litigato sul ponte dell’Enterprise ed io gli ho lasciato il comando della nave.”

“E’ nato durante quella lite tremenda?” Spock annuì. “Capisco. Quindi è questo che ti spinge verso di lui. Qualunque cosa accada, ormai fa parte della tua vita.”

“Come ti ho detto, non intendevo ferire i tuoi sentimenti.”

“E io non intendo ferire i tuoi, Spock. Ora Kirk deve guarire.” Disse la donna andando via. Tuttavia si fermò di colpo e tornò indietro. Prese una delle mani di Spock e gli consegnò un oggetto. 

“L’ho trovato qui fuori. Dev’essere di Kirk. Forse, una volta finito tutto, gli farà piacere riaverlo.”

Spock si guardò il palmo della mano e vide il simbolo della flotta spezzato a metà e sporco di sangue. 

“Grazie, Nyota.” Lei sorrise e lasciò il ponte per tornare in plancia.

Spock rimase altre due ore in piedi dietro alla porta dell’infermeria. Quando questa si aprì all’improvviso, lasciando uscire il personale medico, Spock guardò all’interno e vide Bones chinato sul viso di Jim.

“Dottore?” Bones si sollevò di scatto. Aveva gli occhi lucidi come quelli di una persona che ha pianto a lungo. “Dottore? Jim è vivo?”

“Sì, Spock, è vivo. Non è del tutto fuori pericolo ma ho suturato le ferite allo sterno e allo stomaco e ho fermato le emorragie. Ho ridotto la frattura al braccio e medicato tutte le abrasioni.”

“Cosa c’è che non va allora?” Chiese Spock entrando e avvicinandosi al letto.

“Non riprende conoscenza. La sua temperatura corporea non risale.”

“Può avere a che fare con l’iniezione che gli ha fatto?” Chiese allora il vulcaniano.

“Vuoi la verità? Non ne ho la più pallida idea!” Rispose sconfortato Leonard. “Non è che abbia avuto poi tutto questo tempo per studiare il sangue di Khan. Ho fatto quello che ho fatto d’istinto.”

“Nessuno ti biasimerà per questo. Jim è vivo per via di quell’iniezione. Forse se lo portassimo nell’atmosfera di Nuova Vulcano e lo esponessimo alle temperature più calde del pianeta, forse migliorerebbe. Senza conoscere l’esatto effetto del sangue di Khan sull’organismo del capitano, è impossibile stabilire una terapia.”

“Non ci avevo pensato. Crede che sarebbe praticabile?”

“Chiederò al consiglio degli anziani.”

“Bada che diano il consenso anche al sottoscritto. Non lascerò Jim da solo.” Spock sorrise.

“Non ho mai pensato il contrario. Posso chiederti di lasciarmi qualche minuto con lui?” Bones sorrise a propria volta e annuì.

Quando fu certo che non ci fosse nessuno, Spock si chinò su Jim fino a che le sue labbra non sfiorarono la fronte dell’uomo.

“La tua mente nella mia mente, i tuoi pensieri nei miei pensieri.” Sussurrò a Jim il quale sembrò percepire la sua voce. Le sue palpebre si mossero appena. “Riposa, Jim, veglio su di te.” Disse finalmente consapevole che il legame era più forte che mai. 

Prese una sedia e si accomodò al fianco del letto. 

 
  
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