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Autore: Lost In Donbass    09/12/2019    0 recensioni
Eleanora è selvaggia, distrutta, è una marionetta persa nel suo inferno.
Demian soffre di stress post traumatico, e quando dice che vuole morire non lo dice per scherzo.
Denis è un eroe generazionale, ma nasconde segreti che non sono per tutti.
Yurij è la disperazione allo stato puro.
Sono angeli dell'underground siberiano, si incontrano, si amano, si lasciano, in un'escalation di distruzione, alcol, pastiglie, sesso, musica e letteratura russa. Sono arrabbiati, sono violenti, sono persi, sono distrutti.
Sono i mostri dai quali le madri vi tengono a distanza.
Sono i ragazzi di Krasnojarsk, e questo gioco al massacro è appena cominciato.
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO TERZO: BED OF ROSES

Screaming from inside
It's haunting me like a poltergeist
Eating me alive
It's got me running for my life
There's something deep beneath
The surface that's possessing me

[New Years Day – Poltergeist]
 
Demian aveva ragione, guardare Eleanora ballare era uno spettacolo. Denis fissava con desiderio e terrore il corpo della ragazza ondeggiare sulle note di quella canzone hip hop sparata in discoteca e gli pareva che qualunque cosa svanisse per lasciare il posto a lei, l’angelo dell’underground siberiano. I capelli bianchi sventolavano come bramosi demoni nell’aria satura, e lei danzava, seguendo un ritmo tutto suo, un ritmo classico, qualcosa che rimandava i balletti dell’Opera. Denis non faticava ad immaginarla dentro a un tutù bianco di pizzo invece che inguaiata in un vestitito da gothic lolita che ben poco lasciava all’immaginazione. Per un attimo, fu geloso di lei. Voleva nasconderla agli occhi degli altri, la voleva tutta per sé. Voleva sporcarla col suo sangue e il suo sperma. Ma poi si rendeva conto che lei era troppo, era una magia continua, era un’esplosione di luce e oscurità che doveva continuare ad ardere sotto i cieli siberiani. Non potevano trattenere Eleanora Kazantseva, perché lei era il fuoco sacro di una dea dimenticata e Denis si sentiva ardere da quel fuoco. Gli prendeva lo stomaco, il basso ventre, il cervello, gli occhi.
In quel momento la guardava danzare, schiacciata in mezzo a corpi estranei, su quei tacchi alti e ne era completamente inebriato. Era una droga, lei, era ecstasy e mefedrone all’ennesima potenza.
Avvampò quando lei lo guardò e sorrise, con quei suoi occhi liquidi e quelle belle labbra atteggiate a un sorriso misterioso e sensuale. Istintivamente, le porse una mano, che lei prese. Era fredda, freddissima, stemperò il calore che gli si annidava sottopelle e lo fece arrossire disperatamente di desiderio. Voleva quella ragazza in modi in cui non aveva mai voluto nessuno. Esattamente come aveva desiderato Demian il momento esatto in cui aveva incontrato quegli occhi trasparenti. Desiderava essere dentro di lei, desiderava lui dentro di sé. Desiderava troppo, e non era un eroe, era solo un ragazzo.
-Den, usciamo.- sussurrò lei, soffiandogli nell’orecchio.
Lui annuì, vittima di un’urgenza mostruosa, e la trascinò in strada, fuori dalla gente, fuori dal caos, fuori da quelle mani luride che toccavano la sua dea. Era inebriato completamente da quella situazione fuori dal mondo, si sentiva vittima di demoni sconosciuti, demoni del sesso, dell’erotismo, della magia, della droga. Non erano i demoni dell’insicurezza, dell’ansia, dell’anoressia.
Capitombolarono per strada, al freddo, e Denis si sentì rinfrancato da quella ventata di gelo. La guardò e lei rise, portandosi una mano guantata davanti alla bocca. Rise anche lui, e poi si guardò impiacciato le punte delle scarpe.
-Mi stavo annoiando, effettivamente.- disse lei, aggiustandosi i lunghi ciuffi bianchi – Cosa ne dici, Denisoch’ka? Facciamo un giro?
-Andiamo sullo Enisej.- disse lui, e poi le porse il braccio – E’ romantico, la sera.
-Stai forse tentando di sedurmi?
-No, Elya, sto tentando di sedurre me stesso.
-Perché dovresti sedurre te stesso?
-Perché voglio cominciare ad amare un corpo che odio. Un carattere che aborrisco. Un ragazzo che detesto.
Lei rise, con quella risata pura e cristallina, e gli posò la testa sulla spalla.
-Sei speciale, ragazzo ucraino.
-Tu sei speciale, ragazza russa.
Poi le passò un braccio attorno alle spalle e lei si ritrovò a pensare a come lui, dall’alto delle sue insicurezze e del suo dolore rinchiuso in quegli occhi ambrati, fosse molto più sicuro di Demian nello stringerla. Le piaceva? Sì, da morire. Le piaceva perché per un attimo finse di essere sua, completamente sua. La sua ragazza. Sua moglie. La sua donna. Con Demian non ce la faceva, perché lui era sempre così lontano, così distante, aveva eretto un muro tra di loro che lei non riusciva a superare. Solo a letto sembrava dimenticare tutto, solo a letto si liberava, dando sfogo all’animale che era in lui. Solo a letto la faceva sentire amata, e per quanto lei avesse disperatamente bisogno di Demian per vivere (aveva bisogno dei suoi racconti, del suo accento europeo, della vita che gli scorreva sottopelle), adesso che aveva trovato Denis aveva deciso che gli si sarebbe aggrappata, che gli avrebbe strappato l’energia vitale di quella dolcezza tenera e impacciata che la faceva commuovere. Forse Denis l’avrebbe aiutata a piangere, un giorno. Le avrebbe massaggiato gli occhi fino a che le lacrime non sarebbero sgorgate da sole.
Gli avvolse un braccio attorno alla vita sottile e lo strinse. Si guardarono e si sorrisero, e per un attimo lei si chiese come sarebbe stato baciare le belle labbra da donna di Denis. Esattamente come lui si stava chiedendo come sarebbe stato baciare lei e gustare il suo rossetto.
Camminarono un pochino in silenzio, fino alle rive dello Enisej e si soffermarono a guardare le stelle di latta del cielo vellutato riflettersi nelle acque nere del fiume che lento scorreva verso sud, o verso nord, chissà. Sciolsero l’abbraccio e strinsero entrambi le mani sul parapetto, vicine, ma non abbastanza da toccarsi.
Lui la guardava di sottecchi, scrutando quei capelli tinti di bianco, quel vestito da lolita, quelle mani guantate strette attorno alla ringhiera, quel viso rivolto verso il cielo, come a voler arginare lacrime inesistenti e si sentì quasi male. Un calore fastidioso gli salì nel basso ventre quando lei si voltò verso di lui e gli si appoggiò, inondandogli le narici di rosa e vaniglia. Una voglia sessuale forte e conturbante lo stava divorando vivo, ma contemporaneamente ne era disperatamente nauseato. Lei era troppo falsa, troppo bella, troppo tutto per uno come lui. Lui, che voleva conoscere Demian, che voleva tastare la pelle del soldato, che voleva sentirsi raccontare del Donbass da uno che la guerra l’aveva vissuta davvero. Lui, che voleva legarla in un letto di rose e leccarla tutta, completamente, leccarla e vedere Demian che la possedeva. Lui, che desiderava un delirio di rose e sangue in cui lei veniva sacrificata al dio della Siberia. Lui, che era folle e quella follia ormai non riusciva più a contenerla dietro al vomito e alle pastiglie.
-Ti voglio … - mormorò, accarezzandole le spalle delicate.
Lei lo guardò e lui ebbe paura che se ne andasse. Non fece nulla di tutto ciò. Gli accarezzò il petto, con le lunghe unghie smaltate di nero, gli accarezzò il viso, la mascella squadrata, il naro schiacciato, gli scostò il ciuffo dagli occhi e a lui sembrava di ardere sotto al tocco mefitico della dea. Gli sfiorò le labbra con le dita e per un attimo lui le volle succhiare. Con l’altra mano, lentamente gli toccava il fianco ossuto, gli accarezzava la pelle lasciata nuda dalla maglietta e lui stava andando a fuoco, lui si stava sentendo male, lui stava morendo.
-Tu sei pazzo, Denis … - sussurrò lei, e la sua voce si perse nell’eco dei venti siberiani – Sei malato di mente … i tuoi demoni ti stanno divorando vivo …
-Ti voglio, Eleanora.- ripeté lui, con più forza, stringendole le spalle con tutta la forza che poteva – Ti voglio così tanto, per favore, per favore …
-Lasciami andare, Denis. Non sei fatto per trattenermi.- rispose lei, divincolandosi e cominciando a camminare rapidamente lontano da lui.
Denis rimase un attimo instupidito, come se l’avesse colpito una secchiata d’acqua gelida. Forse era proprio così, perché il calore di lei l’aveva abbandonato.
Con orrore, la vide allontanarsi e allora si mise a correre
-No, aspetta! Elya! Aspettami, perdonami! Elya!
Lei si immobilizzò e si voltò verso di lui, e fu lì che Denis vide il mostro che tante volte lei tentava di nascondere sotto trucchi e vestiti alla moda. Era bellissima, Eleanora. E lo era anche in quel momento, ma quel sorriso grondava sangue nero, quegli occhi si stavano liquefacendo. Quanto orrore vomitava quel corpo, quanto dolore scivolava via da quei capelli illuminati dalla luna. Dimmi chi sei, o tragica creatura degli inferi siberiani.
-Cosa ti ho detto, cosa ti ho fatto.- Denis la raggiunse e aveva il viso paonazzo di orrore – Scusami, Elya, non intendevo …
-Va bene.- Eleanora gli sorrise appena – Ma allora dimmi, tesoro, cosa ti angustia?
Immagini di te legata a un letto di rose, posseduta da un eroe del Donbass, fotografata da un cosacco anoressico.
-Sono malato, Elya.
-Posso guarirti?
-Nessuno può farlo.
-Allora lasciati andare, Den. Lasciati andare e lasciati cullare dalla tua follia.- Eleanora gli allacciò le braccia attorno al collo e gli nascose il viso nella spalla, posandogli appena le labbra sulla pelle.
-E come faccio a farlo?- Denis la strinse, cercando di trattenere i demoni che gli urlavano di sbatterla contro un muro e di baciarle via il sangue dalle labbra.
-Prova a iniziare così.- lei gli sorrise, misteriosa e stupenda, porgendogli una pillola. – Poi prendimi per mano e danziamo via la notte. Stringiti a me, cosacco. Fatti aiutare.
Denis prese la pastiglia, la guardò. Droga, probabilmente. Avrebbe potuto farlo. Avrebbe potuto prenderla e poi prendersi una notte di libertà con lei, farsi trascinare all’inferno, anche se lui ne era il signore. Avrebbe potuto farlo e forse sarebbe andato tutto bene, forse la sua era tutta suggestione, era tutto un incubo dettato dalla sua mente malata. Forse doveva affidarsi a lei, prendere la pastiglia, sballarsi, ballare, fingere di essere sano di mente.
Per tutta risposta, invece, cominciò a vomitare.
  
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