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Autore: Giuppy_Juls    10/12/2019    2 recensioni
È una ragazza per metà, pesce per l’altra. Una sirena.
«Certo che è proprio bella»
La sua figura è fissa nella mia mente, i suoi lunghi capelli castano ramati, gli occhi nocciola con qualche pagliuzza verde, i dolci lineamenti del viso e la coda verde smeraldo.
NdA: dopo anni di assenza ho deciso di rientrare in questo sito che ha segnato in modo indelebile la mia adolescenza. Questa è una storia un po' nata da una vicenda personale, ma giusto un po'! Non so quanto l'introduzione possa sembrare interessante, ma ci provo ;p! Se amate il mare e le sirene vi affascinano, questa potrebbe essere la storia per voi!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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III
 


 
 
Al mio risveglio mi trovo in una camera da letto che non riconosco, decorata con conchiglie, ricci e gusci di paguri. Mi tiro su a sedere, però il movimento improvviso mi causa una tosse talmente forte che mi brucia e graffia la gola.
«Ti sei svegliata? Come stai?» domanda una calda voce femminile alle mie spalle, spaventandomi.
Lei ridacchia e si scusa subito dopo.
«Dove mi trovo?» chiedo con voce rauca, «e cosa mi è successo?»
 Mi poggia un dito sulle labbra e scuote la testa, poi dice «I medici hanno detto che non dovresti sforzarti di parlare troppo, inoltre hai una ferita in fronte, non troppo profonda fortunatamente, ma ti potrebbe aver causato una leggera amnesia. Sei rimasta incosciente per un po’, sai?»
In quel momento sentiamo un rumore dall’altra stanza.
«Dev’essere mia figlia, è stata lei a trovarti. Aspetta un attimo» dice la donna con un sorriso ed esce dalla stanza, lasciandomi sola.
Le sento bisbigliare senza capire però cosa stiano dicendo. M’innalzo leggermente verso l’ampia finestra rettangolare a sinistra del letto, ma è così buio che non si vede niente. Inevitabilmente ripenso a ciò che è successo, ma i miei ricordi sono alquanto confusi, come ricoperti da una patina e si fosse trattato di un sogno.
Il flusso dei miei pensieri è interrotto da una voce squillante che mi chiede come sto. Dev’essere la ragazza che mi ha portata qui. Mi volto per ringraziarla, ma non appena il mio sguardo incontra la sua figura rimango paralizzata, incapace anche solo di dire una parola. Forse sto davvero sognando, altrimenti non mi spiego come sia possibile che questa ragazza sia la copia sputata di quella «sirena». Quando realizzo di averlo detto ad alta voce arrossisco vistosamente. Faccio una risatina nervosa e mi gratto la fronte, involontariamente, ma un dolore lancinante mi mozza il respiro e quasi mi fa gridare.
«O mio Dio, stai bene?» la ragazza si precipita al mio fianco visibilmente preoccupata, poi aggiunge «Oltre alla fronte hai sbattuto forte la testa, dovresti evitare di toccarla»
Annuisco e lentamente il mio volto, contratto in una smorfia di dolore, si rilassa.
«Io… grazie. Tua madre ha detto che sei stata tu a salvarmi»
«Non c’è bisogno di ringraziarmi, ho solo fatto ciò che era giusto fare» dice imbarazzata, «ah, che sbadata!», aggiunge poi, «sono Alice!»
Ricambio il suo sorriso e mi presento a mia volta.
«Ho appena chiamato il medico, sarà qui a breve. Comunque puoi chiamarmi Perla, Claudia» s’intromette la donna entrando nella stanza e sistemandosi accanto a me.
M’incanto a osservarle per alcuni secondi che sembrano non passare mai. Non si direbbe che siano madre e figlia, sembrano più due sorelle: stessa altezza, la folta chioma castano ramata è acconciata in uno chignon disordinato nella madre, mentre nella più giovane i morbidi boccoli ricadono dolcemente sulle spalle e sulla schiena, il taglio e il colore nocciola con pagliuzze verdi degli occhi è pressoché identico, così come le piccole e fini labbra rosate.
Quando mi viene chiesto se ricordo qualcosa rispondo di no.
«Ricordo solamente di essere andata in spiaggia e di aver provato una strana sensazione, come se non avessi il controllo del mio corpo. Ah, per quanto tempo sono rimasta incosciente?» domando preoccupata.
«Stai tranquilla, solo poche ore. Ali, prestale il tuo cellulare in modo che possa contattare sua madre, sarà preoccupata non vedendola tornare»
La figlia annuisce, fruga nelle tasche e mi dà il suo cellulare, un iPhone dallo schermo parzialmente spaccato.
Digito il numero e le invio un messaggio, dicendole che non tornerò a casa e rimarrò da un’amica. Nell’esatto istante in cui invio il messaggio sentiamo bussare alla porta.
«Dev’essere il dottore» mormora Perla e corre ad aprirgli la porta, lasciando sole me e Alice. Allungo la mano per restituirle il cellulare e le nostre dita si sfiorano, procurandomi una scossa che si diffonde in tutto il corpo.
«Scusa» bisbiglio con voce roca e il mio viso s’incendia. Non so neanche perché mi sto scusando, Dio devo sembrarle una scema.
Lei scuote la testa, come se mi avesse letto nel pensiero, e mi si diede accanto. “ Ci siamo già incontrate?” vorrei chiederle, ma sembra una di quelle classiche domande che vengono fatte per rimorchiare le ragazze, quindi decido di rimanere in silenzio a osservare il lampadario e lo scaccia spiriti, con piccole conchiglie e piume azzurre e fucsia, appeso a esso.
«Allora, come sta la paziente?» esclama il dottore entrando nella stanza. Ha un po’ l’aria da scienziato pazzo: i capelli, riccissimi e leggermente brizzolati, sono legati in una coda bassa, la barba è ben curata ma i baffi sono esageratamente lunghi e gli occhi, contornati da piccole rughe, sono di un azzurro cielo chiarissimo.
«Sono il dottor Morgan» mi si presenta, facendo un mezzo inchino. Ricambio il saluto e mi presento a mia volta.
«Il bruciore alla gola sembra essersi alleviato, ma la testa mi fa molto male» gli spiego.
Lui annuisce, pensieroso, e mi chiede se ricordo qualcosa circa l’accaduto. Nego, ma gli dico quelle poche sensazioni che ricordo di aver provato.
«Ecco vedi, il colpo che hai subito ti ha causato una leggera amnesia, a breve dovresti essere in grado di ricordare con esattezza gli eventi. Per il momento riposa e non ti sforzare o potresti peggiorare la situazione» poi si allontana a parlare con Perla, ma sono troppo stanca per notare le strane occhiate che mi lanciano e cado in un sonno profondo.
 
 
Ho sognato nuovamente Alice, con le sembianze di una sirena, ma stavolta io nuotavo con lei e ci tenevamo per mano. Dalla finestra filtra una luce fioca che a malapena illumina la parete alla mia destra con un grande armadio in legno chiaro e lascia nell’oscurità la deliziosa libreria appesa alla parete e la scrivania.
Mi tiro su a sedere e lentamente mi scopro dal piumone turchese e bianco. Un brivido mi percorre la spina dorsale e sento l’impulso di starnutire, ma lo trattengo per non svegliare nessuno. Poggio i piedi freddi sulla moquette e, sostenendomi al muro, mi alzo in piedi forse un po’ troppo bruscamente, poiché una fitta di dolore mi provoca un giramento di testa e quasi perdo l’equilibrio. Riesco a evitare la caduta, infatti, appoggiandomi al comodino.
Tiro un sospiro di sollievo e con passo felpato esco dalla camera, alla ricerca della cucina per versarmi un bicchiere d’acqua. Percorro il corridoio il più silenziosamente possibile e – non so come – trovo la cucina al primo tentativo. Non voglio mettermi a curiosare in giro, ma mi trovo costretta ad aprire qualche anta per cercare un bicchiere.
«Ti serve una mano?» bisbiglia una voce alle mie spalle, facendomi sussultare.
«A-Alice! Ecco, stavo cercando un bicchiere, ho la gola secchissima. Non volevo curiosare in giro» mi giustifico, sento le guance imporporarsi e sono grata che la stanza non sia ancora invasa dalla luce.
Lei mi si avvicina senza dire una parola, si alza in punta ti piedi spingendomi contro il mobile e apre un’anta, tirando fuori un bicchiere con decorazioni floreali che poi mi consegna con un sorriso.
«Ecco a te!»
«Grazie…» sussurro. Se prima la mia faccia era un po’ arrossata, adesso la sento andare letteralmente a fuoco. Non so perché ma stare vicino a lei mi fa uno strano effetto.
Sto per chiederle dove posso trovare l’acqua, ma sembra che mi abbia letto nel pensiero. Ringrazio sommessamente, poi prendo coraggio e le chiedo se ci siamo mai incontrate prima d’ora.
Lei pare pensarci su per un istante, poi scuote la testa.
«Mi ricorderei se avessi incontrato una ragazza così carina» afferma, infine, e quasi la saliva non mi va di traverso. Tossisco. È la prima volta che qualcuno mi definisce carina. Non che io abbia un viso brutto, ma non lo definirei poi così carino: occhi castani, sopracciglia leggermente arcuate, il naso leggermente all’insù, labbra non troppo carnose. Insomma, un viso abbastanza comune, nella norma.
«Eppure dobbiamo esserci già viste in passato, sennò non mi spiego come sia possibile che io ti-» mormoro, tra me e me, ma m’interrompo sentendomi osservata.
«Che tu mi?» domanda Alice, sporgendosi verso di me. I nostri visi distano a malapena una quindicina di centimetri e riesco a percepire il suo respiro tiepido sulla mia pelle.
«C-che io ti a-abbia…» farfuglio con gli occhi sgranati e il respiro affannato, mentre la distanza tra noi si riduce.
«Sì?» mi incita lei, sbattendo le lunghe ciglia marroni.
«So-sognata» confesso infine, lo sguardo basso, e me ne pento subito dopo. Adesso penserà che io sia strana, me lo sento.
Mi mordo le labbra in attesa di una sua risposta che non tarda ad arrivare.
«Davvero? E come sono nei tuoi sogni?»
«Eh?»
Non era proprio ciò che mi aspettavo. Lei fa un cenno come a invitarmi a rispondere alla domanda, ma prima, mi dice, è meglio che io torni a letto per non affaticarmi.
«Be’…» inizio una volta sotto le coperte, «ti ho sognata du-due volte penso. Eravamo insieme, in acqua e tu-» m’interrompo. Dalla porta della camera semi-aperta spunta la faccia di Perla.
«Come va?» mi chiede, la voce ancora arrochita dal sonno. Con i capelli sciolti somiglia ancora di più alla foglia.
«Meglio, grazie. Ti abbiamo svegliata?»
Lei scuote la testa e dice di doversi preparare per andare a lavoro. Annuisco, ma lei è già sparita.
La stanza piomba nel silenzio per un istante, finché Alice non prende parola e mi invita a proseguire. Da una parte speravo se ne fosse già dimenticata.
Istintivamente mi porto una mano al collo per giocherellare con la collana e riprendo a parlare.
«Dicevo… eravamo in acqua, insieme, e tu eri una sirena. Mi guidavi nelle profondità marine tenendomi per mano e là c’era una… città penso? Non saprei, non lo ricordo con chiarezza» ridacchio nervosamente mentre alzo lo sguardo dal ciondolo – che ho appena notato essere nero, come pensavo – verso di lei e la trovo imbambolata a fissarmi – o meglio, a fissare il ciondolo. Con una punta di fastidio mi chiedo se abbia sentito almeno una parola di ciò che ho appena detto.
«Hai proprio un bel ciondolo… io ne porto uno simile, ma di diverso colore. Dove l’hai preso?» domanda sfiorandolo con l’indice, negli occhi uno sguardo strano.
«Io… l’ho trovato» affermo e per non so quale ragione taccio sul luogo in cui l’ho trovato.
 Ora il suo sguardo penetrante è rivolto a me e provo quasi una sensazione di disagio.
«E se ti dicessi che i tuoi non sono solamente dei sogni, mi crederesti?»







NdA:
Wow, sono riuscita effettivamente a pubblicarlo in tempi "accettabili", contro ogni mia aspettativa. 
Il capitolo è già più lunghetto dei precedenti e penso che non l'avanzare del tempo i prossimi saranno all'incirca come questo, se non più lunghi, ma chissà ._.
Be', che dire, GRAZIE di cuore a chi ha messo tra i seguiti/preferiti la storia, a chi ha recensito precedentemente e a chi invece legge in silenzio, mi spingete a continuare a scrivere e a non abbandonare tutto nuovamente.
Alla prossima! 
Bacioni <3

 
   
 
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