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Autore: EleWar    11/12/2019    7 recensioni
Un lunedì mattina, una Panda verdina, una coppia d'innamorati un po' particolari ed ecco che...
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Salve! Eccomi qui di nuovo con una sciapissima storiellina, scritta così, senza pensieri. Spero che vi piaccia ^_^
La dedico a tutte le mie lettrici affezionate in particolare alle care Briz65 e Valenicolefede.
Buona lettura



UNA PANDA VERDINA
 
Stavo sistemando la vetrina del negozio di giocattoli in cui lavoravo.
Il negozio era in centro, sulla via principale di una piccola cittadina di provincia, e vendeva anche libri per bambini.
Alzando gli occhi e guardando fuori, proprio davanti alla vetrina, vidi parcheggiata una comunissima Fiat Panda verdina, ma non ci feci più di tanto caso, dal momento che in circolazione ce ne sono a bizzeffe, e anzi, ne ha avuta una pure mia cognata, tempo fa, e qualche volta mi è capitato di guidarla anch’io.
Sorrisi pensando che, nel mio cartone animato preferito, nonostante sia ambientato in Giappone, la protagonista ha una macchina identica a quella.
Scossi la testa al quel pensiero bizzarro.
 
Poco dopo sentii aprirsi la porta, e visto che ero lontana dal bancone, annunciai la mia presenza dicendo:
“Arrivoooo!”
Mi rispose una voce femminile dal forte accento straniero, ma non mi stupii minimamente; nelle campagne intorno alla mia cittadina risiedono abitualmente tedeschi, olandesi, belgi e qualche inglese, che hanno scelto le nostre pittoresche contrade per trascorrere qui la loro vita o villeggiare.
Eravamo per giunta sotto le feste, quindi era una cosa normale.
 
Mi voltai verso la cliente, e rimasi stupita, però, nel vedere che al contrario delle mie aspettative, la ragazza era un’orientale, con i capelli di un bel rosso mogano; per una frazione di secondo ebbi l’impressione di conoscerla; forse, mi dissi, apparteneva alla piccola comunità di cinesi che abitano qui da noi. C’era però qualcosa che mi suggeriva, piuttosto, che venisse da un’altra parte ancora del vasto oriente.
Ad ogni modo, appena mi vide, mi sorrise educatamente, e subito pensai che fosse bellissima; possedeva un fascino magnetico, ma non sfacciato o invadente, era qualcosa che andava oltre l’aspetto fisico, indubbiamente piacevole, però era qualcosa di più.
Stranamente mi sentii arrossire e m’impappinai, io che ero abituata a rimbambire i clienti con le mie chiacchiere, tanto che riuscivo a vendere qualsiasi cosa a chiunque.
Ma tant’è.
Lei si guardò intorno, prendendo familiarità con l’ambiente, e a quel punto, sia per rompere il mio insolito imbarazzo, sia per venirle incontro, le chiesi:
“Posso aiutarti?”
Lei apparentemente fu grata di questa mia disponibilità nei suoi confronti perché rispose:
“Sì, grazie, sto cercando un regalo per un bambino, piccolo… si dice così?” e mi sorrise.
Altro rossore da parte mia… ma che mi stava succedendo? Ero forse vittima di questa ragazza?
Io comunque annuii e chiesi di rimando:
“Quanti anni ha?”
E lei:
“Non ha anni…” e ridacchiò.
Il suo italiano era molto buono, però, ovviamente, non aveva piena padronanza della lingua; mi ritrovai a ridacchiare anche io senza un vero motivo; allora cercai di chiedere e spiegare allo stesso tempo:
“Vuoi dire che è un neonato?”
E lei:
“Oh sì, ho un’amica in Giappone” ed ecco avevo appena scoperto la vera provenienza della ragazza, “… Miki, che ha appena avuto un bambino, un maschietto, e volevo portarle un regalino dall’Italia… ma solo giocattoli italiani” e mi sorrise di nuovo.
Arrossii ancora, e ragionai fra me e me:
Cavolo, ma cosa andrà mai a pensare questa dei miei rossori?
Manco a farlo apposta, arrossì anche lei.
Andiamo bene!” esclamai mentalmente.
 
Ad ogni modo, l’accompagnai al reparto dei giocattoli per i bambini, da zero anni in su, e standole vicina, mentre le spiegavo i pupazzetti e i giochini vari, sentii di nuovo quella sensazione provata all’inizio, come se la conoscessi, come se l’avessi già incontrata. E un po’ soprappensiero, passai in rassegna il mio datebase mentale, scartabellando fra le migliaia di migliaia di persone che avevo incontrato negli anni, con tutti i lavori che avevo fatto, con tutte le occasione che avevo avuto di conoscere gente nuova, e non riuscivo a trovare una corrispondenza. Già il fatto che fosse nipponica, poi, limitava la cerchia di conoscenze, perché ho una vera passione per l’oriente e per il Giappone in generale quindi, mi dissi, se avessi incontrato una ragazza come lei, e per giunta giapponese, me ne sarei ricordata di sicuro.
Ricordo che durante un viaggio a Londra, avevo conosciuto una ragazza, Suzuka, amica di un’amica, e in quattro e quattr’otto ci eravamo messe a chiacchierare di City Hunter, come se ci conoscessimo da una vita. E di lei ovvio mi ricordavo bene. Ma questa era diversa: più bella, sicuramente, e decisamente più affascinante. Aveva un’aura poi così particolare! Mi metteva contemporaneamente a mio agio e in imbarazzo.
 
Dopo un po’ che parlavamo, e che ragionavamo sugli articoli, solo allora lei parve ricordarsi che non era da sola e mi disse:
“Prego, tu aspetta me che chiamo mio… mio socio? Si dice così?”
Io annuii perplessa e mi chiesi:
Chissà cosa voleva dire? Chi va in giro con un socio? Forse è una donna d’affari ed è qui per questioni di lavoro? O forse voleva intendere amico, fidanzato, compagno, marito, o fratello, padre bo????
In ogni caso fece per uscire e, ormai incuriosita, mi misi nell’ottica di aspettare pazientemente che recuperasse questa fantomatica presenza maschile. Già mi figuravo il classico fidanzato scoglionato, che non ha voglia di fare acquisti con la propria donna; ne avevo visti!! O un piccoletto in giacca e cravatta, magari con tanto di valigetta ventiquattrore (se era il suo socio veramente), oppure…
Ma fui bruscamente richiamata al presente, da un boato che fece tremare tutto il palazzo del 1300 in cui aveva sede il negozio, con tanto di tremolio dei vetri; ero già pronta a schizzare fuori in preda al panico pensando:
Oddio il terremoto!!” quando, spalancando la porta, non mi trovai davanti una scena a dir poco surreale.
 
Dall’altra parte della strada, proprio all’entrata del negozio di intimo, per terra, c’era quello che aveva tutta l’aria di essere un enorme martello di legno, con sopra la curiosa scritta “100t made in Italy” spuntato chissà da dove, e conficcato nei sampietrini del corso. E a guardar bene, per quanto potesse sembrare assurda la cosa, c’era una persona sotto!
Lì per lì temetti che qualche furgone in transito, che trasportava quel coso, - di cui per altro continuavo ad ignorare la provenienza e l’utilità - avesse perso il suo strano carico, e che questo fosse finito, tragicamente, per schiacciare un ignaro passante; ma non c’erano furgoni nei paraggi, e in quel momento la strada era insolitamente deserta.
Nemmeno la ragazza del negozio di intimo si era fatta viva, nonostante tutto quel fracasso, e per uno strano gioco del destino, ci ritrovammo lì solo io e la giapponesina.
Anzi, quando finalmente riuscii a staccare gli occhi da quell’ammasso di legno e membra umane - che assurdamente continuavano a muoversi nonostante tutto quel peso - mi accorsi che proprio lei, la ragazza, impugnava il manico del martello gigantesco, e stupidamente pensai:
Poverina, forse spera di poterlo sollevare e salvare il tipo sotto.
Di nuovo avvertii quel disagio, come di qualcosa che avrei dovuto conoscere già e che mi sfuggiva, mentre la mia mente continuava a propormi immagini e sequenze di un vecchio anime, che guardavo sulle reti private quando ero adolescente, ed era buffo, perché proprio non capivo cosa c’entrasse in tutto questo. I conti non mi tornavano.
Ma non feci in tempo a produrmi in altri ragionamenti, che la persona apparentemente schiacciata sotto il martello, e che avrebbe dovuto essere quanto meno politraumatizzata, e con le ossa tutte rotte, riemerse da sotto, e anzi il martello si rimpicciolì e sparì così, come per magia.
Spalancai gli occhi per la sorpresa!
Poi, incredula, ancora una volta, mi guardai intorno per vedere se ci fossero altre persone, oltre a me, che stavano assistendo a quello spettacolo assurdo.
E invece non c’era nessuno; nemmeno uno sfaccendato qualsiasi che, a quell’ora, se ne stesse mollemente fuori dal bar a guardare il passeggio; neanche il solito pensionato in cerca di un cantiere da controllare, o la massaia di fretta o …che ne so? C’è sempre qualcuno che passa, magari una macchina, un motorino, una bicicletta sgangherata, ma … niente.
Mi sembrava di essere fuori dal mondo!
E comunque il mio stupore era destinato ad aumentare perché, quando focalizzai il mal capitato, mi sentii avvampare.
Era il ragazzo più bello che avessi mai visto: i suoi tratti orientali davano un tocco esotico ad un volto naturalmente attraente, i capelli corvini fintamente spettinati, gli occhi di un colore indefinibile ma decisamente scuri, le spalle larghe, il fisico muscoloso e asciutto, e soprattutto l’altezza, ne facevano un esempio di bel morazzone* da togliere il fiato!
 
Tirandosi su, si spolverò leggermente i pantaloni neri, e si aggiustò la giacca celestina spiegazzata, che indossava con disinvoltura sopra una maglietta rossa attillata, che gli metteva in risalto i pettorali.
Riuscii solo a pensare:
Ma da dove è scappato questo?
Ero totalmente affascinata da quell’uomo, ed io che ho sempre avuto un debole per gli asiatici, mi ritrovai quasi a sbavare come un’ebete qualsiasi.
Mi riscossi quando, seguendo il suo sguardo dolce e innamorato, realizzai che la mia cliente era con lui.
Infatti, lei, che prima stentavo a riconoscere trasformata dallo sforzo, e da qualcos’altro che mi faceva tanto pensare alla rabbia, adesso era tornata la ragazza graziosa di prima, con un leggero sorrisetto ai lati della bocca.
Lui le andò incontro, e lei lo prese per un braccio, forse un po’ troppo violentemente ma, chissà, forse avevo visto male.
In ogni caso si sorrisero, e si vedeva che un certo sentimento li univa; a quel punto mi ricordai che la tipa, prima di uscire, aveva detto che sarebbe andata a chiamare il suo socio.
Quello era il suo socio, ovvio.
 
Si voltarono verso di me, che ancora imbambolata sulla porta della libreria, li guardavo come si osserva un raro fenomeno soprannaturale, e quando entrambi mi sorrisero, credetti di svenire.
Bene” mi dissi “se prima eri turbata solo dalla donna, ora lo sei anche dall’uomo, e che uomo!” e già, col cervello in pappa, non connettevo più.
 
Attraversarono la strada e mi raggiunsero, mi feci da parte per farli entrare, penosamente senza parole: io la più grande chiacchierona del paese, quella che attaccava discorso anche in fila alla posta, per esempio, e anche con perfetti sconosciuti, poi, non riusciva ad emettere un fiato!
Comunque sia, anche lui entrando si girò intorno per osservare bene ambiente circostante, e annuì soddisfatto; quello era un antico palazzo nobiliare, e faceva il suo bell’effetto a prescindere.
Io nel frattempo ero rimasta a guardarli a mani giunte, come fossi in adorazione, mentre una parte di me mi gridava che stavo facendo la figura dell’idiota.
 
La ragazza aveva portato il socio all’espositore dei giochi che le avevo mostrato prima e, a bassa voce, parlava con lui nella loro lingua, presumo: di sicuro gli stava riferendo quello che le avevo spiegato io; lo capivo dalla mimica e dal fatto che stessero armeggiando con i giocattoli.
Quando si voltarono a guardarmi, non trovai di meglio che dire una serie di “eh eh eh eh” sfoggiando così tutta la mia intelligenza.
Questa mia sorta di lallazione, però, probabilmente li colpì, perché iniziarono a parlare in italiano fra loro, forse per non escludermi e per rispetto nei miei confronti.
Era davvero uno spettacolo sentirli dialogare nella mia lingua con quel forte accento straniero, e l’invidiai tantissimo: anche a me sarebbe tanto piaciuto sapere il giapponese come loro l’italiano.
Lui stava dicendo:
“Per me è uguale, scegli pure quello che ti pare, non prendere però il gattino che dopo Umi si spaventa!”
“Non essere idiota, il piccolo Toshio non è come il padre, assomiglia di più a Miki e vedrai che apprezzerà.”
 
Poi la ragazza si fermò di colpo, colpita da qualcosa che aveva visto nello scaffale più in alto, fece un passo avanti in quella direzione, e sollevò un braccio forse per prendere un libro ben preciso, poi lo lasciò cadere e si voltò verso di me.
Andai in suo aiuto e la guardai come a domandarle cosa desiderasse, lei mi chiese, con una dolcezza che mi mandò in solluchero:
“Che cosa è quello?”
 
E indicò un libricino pop-up sui nove mesi di gravidanza; lo presi dallo scomparto, lo aprii e mentre le figure di carta prendevano vita e uscivano dalle pagine, glielo spiegai. Le dissi che quello rappresentava le emozioni che vivono i genitori durante l’attesa, mese dopo mese, molto poetico e molto zen; adoro quel libro!
La ragazza sentendo le mie parole, tacque, e il suo viso si colorò appena di porpora. Stava pensando a qualcosa di molto dolce – quel libro fa quest’effetto – perché assunse un’aria vagamente sognante.
Abbassò lo sguardo.
Io, con tatto, non aggiunsi altro, ma il suo socio le disse allegramente, forse per sdrammatizzare la situazione:
“Ma questo non va bene per il figlio di Miki, lui è già nato!” e le sorrise, ma lei alzando gli occhi su di lui, e guardandolo profondamente rispose:
“Non è per loro, ma… per noi!”
 
Io, spettatrice inconsapevole, fui invasa da un’emozione senza pari: allora quei due, non solo stavano insieme, ma presto avrebbero avuto un bambino! E non solo! A giudicare dallo stupore estatico dell’uomo, lui l’aveva scoperto in quel preciso momento.
 
Mi sentii un’intrusa e lentamente mi eclissai.
Tornai dietro al bancone, e non so se farfugliai una cosa tipo:
“Se avete bisogno sono qua eh?” o lo pensai solamente.
Li lasciai da soli e anzi, tornai alla mia vetrina in allestimento: non volevo apparire invadente, e tutto quello che dovevo dirgli, gliel’avevo detto.
 
Quando mi rimisi a sistemare i giocattoli in vetrina, però, mi andò l’occhio sulla macchina parcheggiata lì davanti che non era più la Panda verdina di prima.
Poco male, succede che le macchine arrivino e ripartano, però… c’era qualcosa di strano in tutto questo.
Mi voltai verso quella coppia bellissima, e innamoratissima, ma non c’era più nessuno.
Avanzai verso il reparto neonati, però non li trovai; subito pensai che erano stati insolitamente maleducati, per essere due giapponesi, andando via senza salutare; controllai pure che non avessero portato via niente – lo so, sono malfidata, ma di questi tempi tutto può essere, ed io sono solo una commessa – ma i giochi erano tutti lì al loro posto, e così pure il libro sull’attesa. Anzi mi allungai e lo presi di nuovo in mano di nuovo; era freddo e non conservava traccia di calore umano, lo sfogliai ancora e sorrisi alla dolcezza di quel libro.
 
Sospirai.
 
Dovetti constatare che quei due erano veramente scomparsi.
 
Uscii sul corso, e dove mi sarei aspettata di trovare una piccola voragine, o anche solo un avvallamento sul pavé, non c’era proprio niente; il traffico di un qualsiasi lunedì mattina scorreva senza intoppi, i perdigiorno bighellonavano fuori e dentro del bar, i pensionati giravano in tondo, e tutto aveva le sembianze di sempre, nonostante o soprattutto la pioggia.
 
Vidi la ragazza dell’intimo dietro la sua vetrina, e le feci segno di affacciarsi, le dissi:
“Che bell’uomo quello di prima, vero?”
“Ma di chi stai parlando?”
“Ma sì dai, di quell’orientale favoloso che era entrato da te per fare compere… dai come fai a non ricordartelo, era un tale figo!”
“Guarda che ti sbagli, qui non c’è stato nessuno! Con questo tempo poi! L’unico cliente è stata una signora anziana, in cerca di una pancera, che non ho!”
“Dai, mi stai prendendo in giro?”
“ E perché dovrei? Ti pare che se ci fosse stato un figo da paura come dici tu, non mi sarei fatta sotto?”
 
Io ero più che mai sbalordita!
Ma come era possibile?
Il socio era venuto fuori proprio dal suo negozio di intimo, e la socia, assurdamente, sembrava averlo preso a martellate!
Però lui ne era uscito indenne e bello come il sol (levante).
Mi grattai la testa perplessa.
Poi mi ricordai della Panda verdina che, seppur non fosse in qualche modo riconducibile a loro, mi ci faceva pensare; voltai lo sguardo in quel posto auto, c’era la Nissan Micra della ragazza dell’intimo, allora le chiesi:
“Senti, ma quand’è che hai parcheggiato? Ti eri assentata un attimo e poi sei ritornata? Non ti ho visto arrivare.”
“Ma come? Sono arrivata stamattina insieme a te, non te lo ricordi? E’ dalle dieci, come minimo, che la mia macchina sta lì”
“Ah ecco.”
 
Scossi la testa, e me ne tornai dentro alle mie occupazioni; poi sentii il cellulare squillare, era un messaggio dell’ennesima chat di gruppo, andai a controllare ed erano Valenicolefede e Briz65 che mi davano il buon giorno.
Buon giorno Emilia e Romagna! Di che parliamo oggi?
 
Fine di un delirio di un piovoso lunedì mattina!
 
 
 
 
*Chiedere a Briz65, ore pasti.
 
 
ANGOLO DELLA SCRIBAROLA (direbbe la Briz)
 
Questa storiellina sciapa sciapa, mi è venuta in mente proprio lunedì scorso, durante l’orario di lavoro, ed è una storia vera! hahahahah ovvio nei limiti del possibile ^_^
Comunque per quanto possa essere stata semplice da scrivere, mi ha dato tanto filo da torcere correggerla, così stasera mentre la rifinivo m’è preso il nervoso e ho detto alla cara B65 “Mo’ m’ha stufato, prendo e la butto dalla finestra!” poi però l’embolo s’è mosso ancora, e in tre secondi m’è venuta fuori questa glossa. Ve la propongo.
 
Storia della fic che venne lanciata dalla finestra, raccolta da un passante, letta da un vagabondo, completata da un ghost writer e data alle stampe da un autore anonimo che disse di averla trascritta da un vecchio manoscritto giapponese portato qui dai nazisti in fuga durante la seconda guerra mondiale.
   
 
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