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Autore: JoSeBach    12/12/2019    0 recensioni
Laytontober 2019. Dal calendario presente sul blog di charmanderxerneas (Tumblr)
[charmanderxerneas.tumblr.com/post/187913996392/laytontober-owo]
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Claire, Hershel Layton, Luke Triton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Roland Layton POV

Hershel è un bimbo molto introverso e rigido, sembra quasi un automa. Con molta probabilità la nostra presenza lo inquieta ma, d'altronde, essendo stato adottato da solo due settimane senza il fratello, è più che normale che sia confuso e spaventato da degli sconosciuti come noi, nonostante le nostre cure e gentilezze. Sarebbe curioso capire che cosa passi per la testa di quel bambino. È giovane, non stupido, specialmente un bimbo tanto perspicace quanto lui.
Eppure non ci ha ancora chiesto nulla sui suoi genitori o suo fratello.
Anzi, non ci parla proprio: solo a volte abbiamo la fortuna di poter sentire la sua voce, di solito in soluzione di un enigma, impulsivamente. E in quelle rare occasioni, accorgendosi del fatto, raccoglie le mani sulle labbra, fermando lo scorrere delle parole, i suoi pensieri di nuovo irraggiungibili. «Ha solo nostalgia di casa.» mi disse Lucille.
Nonostante il suo silenzio, sembra irrequieto anche, o specialmente, dopo il crepuscolo: al calar del sole, inizia a irrigidirsi ancora di più, i muscoli ossidati, quasi a nascondere i respiri e il sospiro di vita; non è raro infatti ritrovarlo alle due di mattina sepolto dalle coperte o sotto lo stesso letto, quasi per nascondersi da qualcosa o da qualcuno. L'altro ieri si era rinchiuso nell'armadio. Non voleva più uscire. «Avrà nostalgia di casa.» mi ha detto Lucille.
E questa sera non pare essere diversa dalle altre, dominata dall'imbarazzante silenzio del piccolino, gli occhi fissi ma tremanti sul piatto, che paiono attraversare la porcellana, i piedi a ciondoloni. Sembra quasi che stia leggendo qualcosa nella minestra appena servita, come quando si legge il futuro dal fondo del caffè. Il suo sguardo non promette bene, ma l'esperienza mi ha insegnato che non devo interferire: ieri ha frainteso il mio abbraccio come una presa maligna, scappando gridando nella sua stanza in lacrime.
Anche Lucille è preoccupata, il piccolino turbato la sconvolge. La rassicuro con una mano sulla spalla, ricordandole che domani andremo dal pediatra. Non provo a nascondere il discorso, sapendo che Hershel è perso nella sua visione, dissociato.
Ci sediamo a tavola. Mangia controvoglia la minestra, i cucchiai trascinati sul fondo l'unica nostra compagnia. È inutile provare a iniziare un discorso con lui, parla sempre meno con noi. Infine lo portiamo a letto, lui stringe le coperte come fossero la cosa a lui più vicina, uno scudo dai mostri. Gli baciamo la fronte e lo lasciamo dormire, la candela sul comodino ancora accesa.
Raggiungiamo la nostra stanza, il mio tesoro segnato dalla preoccupazione. Non l'avevo vista così tanto tormentata da quella volta che ha lavorato con me in quel delitto, dove devo ammettere che il cadavere faceva una certa impressione. Qui però non si tratta di un omicidio, eppure i suoi occhi non trovano pace. «Che sia davvero solo nostalgia di casa?»
«Non lo so.» La abbraccio, la presa forte ma rassicurante.
Vi si aggrappa come edera e io la accontento.
Solo ora sento il peso gravoso nelle mie spalle, quello che la luce del giorno e gli impegni effimeri celano per il mio bene. Anche le palpebre si fanno più pesanti, ma quelli di lei sono più stanchi. «Stanotte ci penso io a calmarlo, d'accordo?»
Lei china la testa, coricandosi, esausta. I suoi capelli, a tratti bruni e candidi, per l'effetto della luce e dell'età, incorniciano il cuscino fresco, confortante e confortevole. «Sì, grazie. Sai, sono giorni che di notte non fa altro che piangere. È inconsolabile e sembra sentirsi solo. Forse avremo dovuto prenderli entrambi...»
Sbuffo, rilasciando il mio senso di colpa e rassegnazione. «Ne abbiamo già parlato, tesoro, e lo sai che non potevamo e non possiamo permettercelo, e d'altronde hai visto che Theo è apposto. In caso in futuro li faremo incontrare. Potremo contattare i Phibbs. Che ne dici?»
Il suo sorriso stanco mi basta. «Buonanotte, amore.»
Dopo qualche minuto mi addormento anch'io, sulle mie palpebre sono impresse le sue forme illuminate dalla luna.
L'immagine sparisce. Viene rimpiazzata da un'altra, familiare. Mi trovo in una casa abbandonata, una delle stanze carbonizzata. Giusto, il caso dell'incendio in cucina che uccise due coniugi e della cui figlia non vi era traccia, ora ricordo. I miei passi silenziosi rivelavano la fonte di quei gemiti: la cantina. Velocemente raggiungo l'angolo in cui si era nascosta e la rassicuro. La bimba non è più turbata, ma continuo a sentire questi lamenti.
Mi sveglio dal ricordo. Il pianto è perenne. Di istinto mi lancio verso la cameretta di Hershel. Di lui non c'è traccia, il letto spoglio della coperta. I passi lenti raggiungono il pian terreno, i lamenti più udibili e forti. È in cantina.
Allo sbirciare della porta, però, si spalanca il silenzio. Nella quiete si può quasi sentire il piccolo cuore spaventato, i respiri ritirati, i tremori quasi impercettibili. Ma ci sono, lo so. Non è la prima volta che ne sento, provenienti da bimbi di famiglie disagiate, da situazioni discutibili, orrende, improbabili. Traumatizzati.
Hershel è uno di loro? Dio, come può meritarlo? Come può qualunque bambino su questo mondo diventare figlio della violenza? Cosa hanno fatto?
Sono di fronte alle ante dell'armadio, nell'angolo della stoffa verde, il bordo del lenzuolo soffocato quanto la creatura spaventata lo strattona, cercando sollievo. A volte dondola col vento, a volte trema dal freddo o per il conforto che può donare.
«Hershel—bisbiglio—puoi uscire. Nessuno vuole farti del male.»
Ora il drappo è strattonato, rapito dall'interno. L'ambiente è più scuro, puro, immobile.
Sbircio dal sottile spiraglio tra le ante, la luce extraterrestre la lampada naturale. Mi si rivelano degli occhi spalancati, le palpebre ritirate, le pupille dilatate, pronte a focalizzare sul predatore; non pare abbassare la guardia, provando a rimanere immobile, pretendendo di essere una statua, una fotografia, un'immaginazione. Sì, quegli occhi non mi sono nuovi. Purtroppo. Sono gli stessi di quella bimba, di quel ricordo. Quanti ne avrò visti nella mia vita, trascorrendo le giornate di lavoro in quartieri disagiati e poco raccomandabili, lontani dall'essere vivibili, anche se molto vissuti? E quelli delle giovani vittime?
Ma non credevo che quegli stessi occhi sarebbero apparsi anche in casa mia.
Hershel non pare essersi mosso dalla sua posizione iniziale. Accarezzo il legno, lui sussulta, quasi risvegliandosi. «Nessuno ti farà del male.—lo rassicuro, il suo sguardo incrocia il mio, entrambi sotto i raggi lunari—Ti proteggeremo.» mi è impossibile non sorridere, una lacrima spontanea bagna la guancia. Quante ne avrà passate?
Se inizialmente le sue labbra si aderivano in una linea, ora a momenti si slegano, ancora mute.
Non ho paura di aspettare, e certamente neanche Lucille. «Vuoi un abbraccio?»
L'umidità sugli occhi dovrebbe bastare come risposta, ma timidamente scuote la testa, annuendo. Poi subito spalanca le ante, cercando di stringere quanto più poteva il mio robusto petto. Gli ricambio l'abbraccio gradualmente, quasi spaventato di poterlo distruggere con la mia forza. Gli massaggio la schiena, accarezzo i capelli, le lacrime implacabili, il tremore un sisma, i gemiti un'eruzione.
Il tempo si sospende per diversi minuti. L'abbraccio si slega, alcune lacrime ancora intrappolate negli occhi ma facilmente rimovibili. Nella quiete notturna lo accompagno in camera.
Il piccolo raggiunge il letto, esausto. In breve gli sistemo il lenzuolo, ora libero di volare per il vento. Hershel si getta a capofitto nel morbido e fresco materasso, estendendosi e posizionandosi per trovare la posizione più confortevole, per poi pietrificarsi: pare essersi appena ricordato della mia presenza.
«M-mi per-doni per prima, signor Layton.»
«Non devi scusarti.— la voce calma, come quella del cantastorie—Vuoi che ti legga una storia per dormire?»
«No.»
Ritiro la mano vuota dagli scaffali coi libri dalle copertine colorate. «Sei stanco.»
Gli scappa un piccolo sbadiglio, il rimanente lo mastica.
È incredibile come un bimbo possa essere così misterioso. «Allora sogni d'oro.»
Il bacio della buonanotte sembra rassicurato. Raggiungo la porta, pronto a girare l'angolo.
«Aspetta...»
Mi volto verso la debole voce.
Sembra dormire, ma le palpebre non sono completamente tirate. «Devo dirti una cosa...»
«Certo, dimmi pure.» Non capisco perché le mani mi iniziano a sudare, so solo che non saranno buone notizie.
«Avete preso il bambino sbagliato.»
  
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