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Autore: LadyStone    14/12/2019    2 recensioni
Una promessa mancata, un biglietto già fatto ed una data importante. Lei voleva a tutti i costi concedersi quella mini vacanza celebrativa, anche da sola, ma mai si sarebbe attesa che un'edicola ed un quotidiano potessero portarle il più bel regalo che avesse mai potuto sognare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gemini Kanon, Nuovo Personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Signora souvenir, gita in asino, pranzo tipico?”
L’uomo dello stand alla fine della banchina le aveva sbarrato la strada senza troppi complimenti, una donna sola con dietro solo un trolley poteva cercare solo divertimento e aveva soldi da spendere, lui ne era convinto.
“No, grazie”
“Tutto bello, poco prezzo.”
“No, grazie. Davvero.”
Katya lo scartò di lato, sbattendogli contro con un braccio. Non era dell’umore giusto per essere cortese con i seccatori. Non dopo il botta e risposta della sera prima, non dopo l’ennesima delusione.
Finalmente fuori dal porto si guardò attorno, il foglio della prenotazione diceva 1,5 km da lì, seguendo la promenade sul lato destro, non poteva sbagliare, così rimise il foglio nel borsello portadocumenti attaccato al manico del bagaglio e si incamminò, ma prima di attraversare la strada alzò gli occhi a quel cielo limpido e terso, l’esatto contrario di quello di Torino, come anche il freddo molto meno pungente, quasi gradevole.
Doveva, però, aver piovuto nella notte, perché l’asfalto era appena bagnato e l’umidità nell’aria faceva sfrigolare i suoi auricolari.
Non li aveva mai tolti da che si era imbarcata a Bari. Non aveva voglia di parlare con nessuno, doveva ancora smaltire la rabbia.
“Ma per tre giorni è una sfacchinata!”
“Sì, ma è il mio compleanno ed è un anno che organizzo questo weekend. Sapevi che volevo tornarci, che quella visita mancata, quando non eravamo riusciti a scendere dalla nave per il mare mosso, mi era rimasta qui!” ed aveva indicato il suo stomaco, ma Pietro sembrava non capire, non importargli, come spesso capitava, come ogni volta che lei voleva realizzare un suo sogno.
“Senti, io non vengo. Ho avuto una settimana pesante e non voglio farmi quest’attraversata. Tu fai come vuoi. Al  massimo festeggeremo insieme al tuo ritorno.”
Non c’era stato bisogno di altre parole. Contro l’egoismo nulla si può, così aveva preso l’ultimo volo per Bari e poi, una volta lì, il primo traghetto all’alba ed ora era arrivata. 
Sola, mediamente felice, ma senza alcuna voglia di socializzare, solo di godersi quella veduta bianca e turchese, quel mare sconfinato e quel profumo nell’aria che solo la sua Grecia riusciva ad avere.
Trascinando pigramente il suo bagaglio a mano, che saltellava sulla pavimentazione lastricata, si fermò ad un’edicola. Voleva un ricordo tangibile e strambo del suo compleanno lì, così si sporse sulla mini mostra di giornali e afferrò il primo quotidiano che le capitò a tiro.
10 Dekémvrios1 2019 e tante altre cose che non capiva, ma quella data sì, quella era inconfondibile.
“How much?”
Il giornalaio le fece un uno con le dita.
Katya cominciò a rovistare nella tasca del suo cappotto, era certa di avere delle monete in tasca, ma niente, non uscivano fuori, si erano incastrate in un ansa scucita della tasca. Che rabbia! pensò Cominciamo già male, e dai
Strattonò così forte la federa interna che, quando ne riuscì a liberare le monete, il braccio, ancora in forte tensione, sfuggì al suo controllo finendo indietro con velocità e forza, fermandosi con il gomito appuntito su qualcosa di sodo e soffice al contempo.
“Ouch”
La donna si girò immediatamente, le due monete tra le dita: Un uomo alto, distinto, dai lunghi capelli biondi e occhiali da sole da aviatore si stava massaggiando l’addome.
“I’m sorry, really sorry” si scusò, indecisa sul cosa fare o cosa dire a sua discolpa.
“Oh, it’s ok. Don’t worry.” Le sorrise.
“Cazzo di figura…” sussurrò tra di sé, pagando il giornalaio, che pigramente aveva assistito alla scena.
“Italiana?” le domando piano l’uomo quando la sovrastò per prendere un almanacco sportivo.
“Sì.” Avrebbe voluto sprofondare e si augurò che le lenti scure degli occhiali di lui mistificassero bene il suo appena accennato rossore “Anche lei?” gli domandò quasi più per togliersi dall’imbarazzo, che per vera curiosità, in fin dei conti l’accento che aveva già parlava da sé.
“No, ma ho un collega che lo è. Mi ha insegnato un po’”
Katy sorrise ed annuì, voleva tagliar corto
“Bene. Buona giornata, allora.”
Nell’allontanarsi, però, non poté non gettare un’ultima fugace occhiata a quel tipo. Nonostante gli occhiali da sole nascondessero parte del volto, non doveva avere più di trent’anni, forse anche un paio di meno.
“Che fisico.” Pensò. Nonostante il lungo soprabito si poteva notare bene la linea delle spalle, larghe e forti, e la schiena ampia e dritta.
Persa in quei pensieri guardò l’orologio, era ancora presto, ma era stufa di portarsi dietro la valigia, così allungò il passo. Il check-in non glielo avrebbero fatto prima di un paio di ore, ma se fosse stata fortunata, magari con un paio di sorrisi gentili alla signora della reception, avrebbero fatto un’eccezione o le avrebbero concesso di lasciare almeno il trolley in foresteria. Nel camminare allungò la mano, scorrendo l’asta della valigia per prendere il borsello portadocumenti, lì attaccato.
“Era il 25 o il 15?” si domandò, mentre la mano saliva e scendeva lungo l’asta sempre più freneticamente. “No, no, no, no! Dove cazzo è?”
Si fermò di colpo davanti alla piccola vetrina di una pasticceria ed ispezionò il suo bagaglio.
“Dove sei? Dove sei?”
No, non poteva essere!
Katya cominciò ad agitarsi.
“Ok, niente panico.” Ma come poteva non impanicarsi? Il piccolo borsello non c’era più e dentro aveva la prenotazione ed i biglietti del traghetto e dell’aereo per il ritorno. “Oddio, è una tragedia!” e si girò più volte su se stessa, più per timore ed adrenalina, che per trovare una reale soluzione o ispezionare la strada appena percorsa, che ancora, a quell’ora, non brulicava di persone.
Stava per rimettersi in cammino e ripercorrere tutta la strada fatta, sguardo al marciapiede, quando
“Signora? Signora?” e si sentì afferrare per un braccio. 
Vagamente timorosa e sorpresa per quel contatto inaspettato, si voltò e l’uomo dell’edicola era lì, in tutta la sua maestosa presenza ed altezza.
“Ha perso questo” e le porse il suo mini borsello.
“Oddio!” si mise le mani sul cuore “grazie mille! Non sa che gioia mi dà” alzò lo sguardo verso il suo benefattore e gli sorrise, rimanendo rapita, per la prima volta, da due occhi blu, magnetici e profondi.
“Ci sono finito sopra quando lei è andata via, ho pensato che fosse importante.”
“E lo è, non sa quanto” gli sorrise ancora, incapace di distogliere il suo sguardo dagli occhi di lui. “Come posso ringraziarla?”
“No, no, non ce n’è bisogno.”
“Almeno posso offrirle un caffè, un thè.” Ed indicò la golosa vetrina alle loro spalle.
Il ragazzo sorrise ed annuì.
Il rumore di un campanellino annunciò il loro ingresso ed una donna sulla sessantina li accolse con un sorriso ed una frase, che Katya non comprese.
Stava per replicare in inglese, quando il ragazzo le fece cenno di aspettare e cominciò a conversare con la donna al bancone.
Era così gentile ed autoritario allo stesso tempo, così diverso, era come se da ogni suo movimento trasparisse un enorme carisma, così rimase persa a rincorrere quei pensieri in attesa di una traduzione, che l’aiutasse a comprendere.
“Prego, di qua.” Le mostrò la strada il ragazzo, risvegliandola dal suo fantasticare
“Come?”
“Possiamo accomodarci di qua.” E le indicò una piccola sala alla fine della parete al lato.
Katya si guardò attorno sorpresa, osservando la saletta discretamente ampia e dal gusto decisamente liberty “Chi lo avrebbe mai detto che dietro a questo negozietto ci fosse una vera e propria sala per la degustazione” 
Si sedettero.
“Hai ragione. Un piccolo gioiello nascosto.” Le sorrise, mentre la proprietaria gli serviva thè ed un vassoietto di pasticcini.
“Parakalò2
“Efharistò3
Katya annuì e sorrise, mentre osservava la donna dai larghi fianchi allontanarsi.
“Parli molto bene la mia lingua. Il tuo collega ha fatto un buon lavoro.”
“Più che altro subisco le sue sfuriate e lamentele”
“Ah, ok” rise “Che lavoro fai? Oltre che venire in aiuto delle signore sbadate come me, se posso permettermi.”
Il ragazzo sorrise e ci pensò un po’ su, leccandosi appena il lato della bocca.
“Diciamo che sono una specie di militare” osservò lo sguardo incuriosito ed indagatore della donna “di quelli particolari.”
“Ah, tipo Swat o Antimafia?”
“Uhm, non proprio, ma una cosa simile. E tu…ehm…”
“Oh, sì. Katya” allungò la mano “non ci siamo ancora presentati.”
“Kanon” le strinse la mano.
Katya quasi si stozzò con la saliva.
No, di certo aveva sentito male. Non poteva chiamarsi così, ma non voleva che lui potesse domandargli cosa ci fosse che non andava, così dissimulò con un colpo di tosse e, per fortuna, lui non si accorse di nulla.
“Quindi, e tu, Katya?”
“Sono nel settore turistico.”
“Allora viaggi molto.”
“Con la fantasia tantissimo, nella realtà faccio viaggiare più che altro gli altri, ma i miei sfizi me li tolgo quando posso.”
“Fai bene. Anche a me piacerebbe…tanto.” E sorseggiò il suo thè.
“Come mai? Non potete prendere ferie come preferite?”
Kanon sorrise tra sé e sé. 
Ferie? Cos’erano mai! 
Al Grande Sacerdote veniva l’orticaria solo al sentirle nominare. Solo ogni tanto faceva una sorta di riffa e gli concedeva un paio i giorni di pura libertà, con la promessa di essere sempre super reperibili però, guai ad abbassare la guardia.
“Diciamo che ci concedono solo un weekend ogni tot mesi.”
Katya posò la sua tazza e lo guardò sospettosa.
“Sei sicuro che sia una cosa legale?”
Kanon addentò un pasticcino alle mandorle “Uhm, purtroppo sì. Il nostro comandante è un uomo parecchio severo ed autoritario, ed è protetto da leggi precise ed inviolabili.” Un rompiballe avrebbe voluto dire, ma non stava bene di fronte ad una signora.
“Quindi sei in vacanza anche tu, oppure” abbassò la voce “sei sotto copertura?”
Oh, se lo fossi, vorrebbe dire che qui regnerebbe il caos ed il terrore più puro, le avrebbe voluto dire “No, no, vacanza.”
“Allora mi spiace se ti ho fatto perdere tempo.”
“Ma no, stai tranquilla. Viaggio solo, non sono un tipo che ama la compagnia.”
Katya sorrise imbarazzata e distolse lo sguardo, mentre Kanon si morse la lingua. Che bella figura aveva fatto!
“No, è che sono un uomo abbastanza solitario, ma mi fa piacere averti conosciuto…”
Katya lo osservò arrampicarsi sugli specchi e le venne quasi da ridere. 
Quell’uomo era così affascinante, tenebroso, gentile, buffo mentre stava annaspando nella sua figuraccia e non sapeva come uscirne, così decise di andargli in soccorso.
“Anche io sono qui per un paio di giorni di vacanza ed il borsello che mi hai riportato contiene proprio i miei biglietti di ritorno.”
“Allora avresti fatto meglio a tenerlo in borsa.”
“Touchèe” e distolse lo sguardo, soffiando sul suo thè.
Ma non sai proprio conversare! Si ammonì mentalmente “Quindi sei qui da sola o…”
“Sola. A volte è meglio così, anche se in un giorno come questo.”
Kanon sbirciò la data sul giornale. Che giorno era mai?
“No, no è inutile che guardi.” Kanon distolse lo sguardo, sentendosi scoperto “non è nessuna ricorrenza particolare è…è solo il mio compleanno.”
“Auguri. Quanti anni compi?”
Katya rise. Si vedeva che non era un uomo che usciva spesso dalla sua caserma o quel che diavolo fosse il posto in cui era rinchiuso per la maggior parte dell’anno.
“Non si chiede l’età ad una donna” rise nuovamente “comunque giusto qualcuno in più di te.” Gli fece l’occhiolino e ne ricevette un sorriso gentile ed imbarazzato allo stesso tempo
Si fermò ad osservarlo così. 
Che viso perfetto! 
Che sguardo maschio, impertinente e anche dolce!
Sembrava un misto tra un angelo ed un soldato, ma non di quelli moderni super tecnologici, ma quasi una sorta di cavaliere dei tempi andati.
Quando lo vide sistemarsi i lunghi capelli, acconciatura strana per un militare, che gli ricadevano sulle spalle, sentì come una stretta allo stomaco e si morse un labbro. 
Chissà se lui stava intuendo i suoi pensieri, ma si augurò di no, sarebbe stato troppo imbarazzante.
Kanon guardò il suo orologio e, tamburellando con le dita sul tavolino in ferro battuto, si girò indietro, come a controllare di non essere osservato.
“Tutto bene? Se devi andare non ti preoccupare” si affrettò a dire Katya, facendo un cenno alla padrona della pasticceria.
“No, è che devo incontrare un vecchio amico, ma mi stavo chiedendo se” e si leccò nuovamente lo stesso lato della bocca “se avessi voglia di cenare con me questa sera e magari così” allungò la mano, afferrando quella di lei “spegnere le candeline insieme a me.”
Quel tocco le fece perdere più di un battito ed arrossì visibilmente.
Cosa le stava accadendo?
Avrebbe dovuto rifiutare, quasi non lo conosceva ed a casa c’era comunque Pietro, ma nel profondo de suo cuore non voleva rinunciare a vivere ancora quell’emozione che stava provando da che lo aveva incontrato, non voleva rinunciare all’opportunità di passare ancora qualche ora con un uomo così, così simile a…, ma no, ma cosa andava a pensare! Ma figuriamoci se esistevano davvero uomini del genere e quel nome, poi, era sicuramente una coincidenza, un nome di battaglia, una sorta di nome in codice
“Mi farebbe molto piacere. Ci rivediamo qui? Alle 19?”
Kanon le sorrise soddisfatto.
“Alle 19” poi, baciandole la mano “a stasera, Katya, e ancora buon compleanno.”
No, Shion non sarebbe stato per nulla felice di sapere cosa stava accadendo, ma era lontano e non lo avrebbe mai saputo, certo, sempre che non avesse ricominciato a parlarsi con Julian.
 
 
 
   
 
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