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Autore: BeaterNightFury    16/12/2019    0 recensioni
«Tra un po' di tempo in stazione passerà il mio amico Sora...»
«Lo scemo?» Shiro rispose quasi di scatto.
Riku dovette trattenersi per non darsi una manata in testa.
«In effetti è un po' scemo.» Si costrinse a sorridere, poi si tolse un borsellino dal mantello. «Dagli questi soldi, e prendi assieme a lui e ai suoi compagni il treno che parte dal binario zero.»

Sora apre gli occhi dopo un anno di sonno, e si accorge immediatamente che qualcosa è cambiato.
Riku abbraccia il suo nuovo scopo e la sua missione, guardando ad essi per non vedere sé stesso.
Un Nessuno guarda negli occhi la sua vittima, e trova le risposte ad una tragedia di una vita prima.
Una studentessa di una città che non dorme mai incontra un ragazzo dai confini delle tenebre, e la scintilla tra i loro cuori prelude ad echi di una vita mai vissuta.
Viaggi cominciano, continuano, e si concludono, o forse non sono che piccole tappe di un'unica, grande avventura.
Ricominciare a viaggiare non è poi così difficile...
(Sequel di "Legacy" - ancora non sono riuscita a metterle come serie...)
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Kairi, Nuovo personaggio, Riku, Sora
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts, Kingdom Hearts II, Più contesti
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Journey – Capitolo 2
Farò di te un Eroe
 
- 11 Anni Prima -
 
Cloud attraversò la piazza principale a passo di corsa, sollevando schizzi dalle pozzanghere e attirandosi le urla di qualche passante. Quell’Ottobre si era rivelato essere abbastanza piovoso, ma secondo le previsioni che aveva visto alla vecchia TV di casa sua quella mattina, Halloween sarebbe stato asciutto.
Erano giorni che incrociava le dita – sarebbe stato il suo primo Halloween con un gruppo che non fosse Tifa, e non vedeva l’ora.
(Non che avesse nulla contro Tifa, ma dopo tre anni di scuola media in cui era stata l’unica nella sua classe a calcolarlo, avere tre amici più grandi era forte.)
La strada a piedi dalla periferia al quartiere amministrativo era lunga a dir poco, ma sua madre gli aveva intimato di tornare a casa e cambiarsi prima di fare altro, anche perché “quei tre non erano della sua classe ed era anche inutile cercare di studiare assieme”. Quello, e Cloud era pienamente convinto che se avesse rovinato l’uniforme scolastica, sua madre gli avrebbe fatto pagare la lavanderia con la sua stessa paghetta.
Finì la sua corsa davanti alla casa del giudice, si pulì le scarpe sul tappeto sotto la veranda, e notò che c’erano già altre paia di stivali davanti alla porta – ovviamente, era di nuovo l’ultimo.
Spostò il suo peso sui piedi, poi si fece coraggio e suonò il campanello.
Perché doveva essere casa di Isa? Lea e Zack, che abitavano nel quartiere dei lavoratori del castello, erano più vicini, anche se casa di Lea puzzava di vecchiume e i genitori di Zack gli mettevano imbarazzo.
La porta si aprì, e Bolt il cane quasi saettò fuori per fiondarsi addosso a Cloud e leccargli la faccia.
«Ehilà, Cloud!» Isa resse la porta e scosse la testa. «Questo cane puzzolente ti ha sentito arrivare.»
«Chi altro c’è oggi?» Cloud indicò gli stivali vicino alla porta prima di sfilarsi i suoi. «Le scarpe piccole sono di Kairi senza dubbio…»
«Aerith. Zack ha insistito e per giunta lei ha portato i biscotti.»
Cloud attese che Bolt corresse dentro, poi si infilò dentro a sua volta. Era raro che Zack avesse il pomeriggio libero, anche se adesso che le cose stavano tornando tranquille, stava accadendo più spesso. Gli altri ragazzi erano attorno al tavolo del soggiorno, dove era stato lasciato aperto un barattolo di biscotti, e la piccola Kairi era su una sedia rialzata da una pila di cuscini, intenta a scarabocchiare su un libro da colorare.
Bolt trotterellò attorno alla stanza, poi si avvicinò a lei e le appoggiò il muso sulle gambe, fissandola implorante di venire coccolato.
«Non abbiamo potuto lasciarla da Yuna, lo gnomo ha la febbre.» Lea spiegò in tono assente quando Cloud li raggiunse al tavolo.
«Sai, Lea, che sei strano?» Aerith gli sbuffò dietro. «Fino a dieci minuti fa stavi a raccontare di quanto hai riso facendo vestire Shiro da fantasmina con il lenzuolo che ha strappato, e adesso sei seccato di dover guardare tua sorella?»
Lea alzò gli occhi al cielo.
«Aerith, ormai Kairi ha i suoi amici, lo hai memorizzato?»
«Sei sempre suo fratello, però.»
Cloud prese posto all’ultima sedia rimasta vuota e attese che Isa cominciasse a parlare.
«Allora, ragazzi. Il liceo ha organizzato una serata con una gara a premi per il miglior costume, quindi lo so che avevamo nei piani di andare a fare dolcetto o scherzetto…»
«Dire nei piani è poco. Genesis e Angeal si aspettano che io pattugli in borghese, visto che siamo lì.» Zack si strinse nelle spalle. «In caso di vandali.»
«Zack, dopo le otto e mezza però non ti fanno mai lavorare.» Isa obiettò. «Ci facciamo il giro, lasciamo Kairi dalla signora Edith, e poi andiamo alla festa. Anche perché io devo assicurarmi che nessuno beva.»
Lea rise e finse di alzare gli occhi al cielo.
«Quello che mi capita ad essere amico di due gendarmi!»
«Ha parlato il futuro pompiere.» Isa gli ribatté senza fare una piega. «Comunque, dobbiamo decidere che costumi prepararci, sia che vogliamo fare tema unico come gruppo, che decidiamo ognuno per sé. Mia madre stamattina mi ha fatto trovare questa prima che venissi a scuola, ma non ho fatto in tempo a mettermela in cartella.»
Tirò su qualcosa che a prima vista sembrava un grosso pezzo di cuoio peloso, ma ad un’occhiata più attenta era una realistica maschera in lattice da lupo.
Fu in quel momento che Kairi strillò, prese Bolt per il collare e fuggì nella stanza degli ospiti al pianterreno usando il cane come scudo.
«Oh. Grandioso.» Lea si limitò a commentare.
«Direi che sia un no.» Aerith fece abbassare la maschera a Isa. «Magari al liceo, ma non possiamo spaventare Kairi.»
Isa mise immediatamente la maschera di nuovo nel pacco.
«Sarà per un’altra volta.» Fece un sorrisetto amaro.
Fece qualche passo per l’altra stanza per assicurarsi che Kairi e Bolt stessero bene, li riportò nel soggiorno e diede a Kairi due biscotti, poi si rimise al suo posto.
«Va bene, ragazzi, ho un’altra idea.»
Uscì dalla stanza, prese le scale che portavano alla sua stanza al piano di sopra, e tornò di sotto con nelle mani una videocassetta. Cinque adolescenti, quattro maschi e una ragazza, erano raffigurati sulla copertina.
«Scarier Things?» Lea commentò immediatamente. «Vuoi vestirti come la banda della radio?»
«Beh, se siamo cinque e facciamo le cose per bene, perché no?» Isa sorrise. «Abbiamo il numero dalla nostra e i costumi sono semplici, sarà facile anche per Cloud. Aerith può fare Quattordici, Zack può essere Raphael visto che quei due stanno insieme, Finn è il più basso e quindi Cloud, e io e te possiamo fare Denzel e Austin.»
«Ma Austin è grasso!» Lea si lamentò.
«Sì, ed è anche quello che costruisce le trappole fighe, ricordi?» Isa gli fece un sorrisetto. «Andiamo, Lea, un po’ di gioco di squadra! … e Bolt può essere il gremlin. Almeno finché siamo in giro.»
«Sì, ma io chi faccio?»
Tutti si girarono quando Kairi intervenne.
 
FESTA DI HALLOWEEN DELLA ---------HIGH
VINCITORI ASSOLUTI
Lo sguardo di Cloud si soffermò sulla vecchia fotografia. L’ultima festa di Halloween del loro liceo, anche se nessuno sapeva che fino ad allora lo sarebbe stata.
«Sei tu quello, Cloud?» Yuffie lo affiancò e gli rivolse un sorrisetto canzonatorio.
Il giovane avrebbe voluto mettere via quella foto, ma era affissa al muro, e comunque non sarebbe stato facile nasconderla. Lea, Isa e Zack sembravano fissarlo, immortalati da quello scatto in un eterno sorriso.
«Quelli sono Lea e Isa, vero?» Shiro li raggiunse. Non era facile riconoscere i capelli rossi di Lea sotto il berretto, e Isa quasi spariva dietro la fionda che imbracciava e la bandana, ma sembrava ricordarli. «È strano vederli insieme e sorridere. E quello che abbraccia Aerith… Cloud, lui è Zack, vero?»
«Come fai a conoscere i loro nomi? Sono tutti e tre spariti quando portavi i pannolin…» Yuffie fece per ribattere, ma Shiro pescò in una borsa ed estrasse quello che era decisamente il vecchio Mister Kupò.
«Aerith deve averle parlato di loro.» Cloud mugugnò, riprendendo a sollevare macerie dal pavimento.
«Uhm sì, Aerith… Mi ha detto che chiamavo fratellone Lea.» Shiro strinse Mister Kupò tra le braccia, ma la sua faccia e la sua voce mostravano scarsa convinzione in quel che diceva. A Cloud tornarono in mente Saïx e la fotografia.
«Però… Cloud, cos'è successo a Zack? Aerith sembrava tanto strana…»
Cloud rimase in silenzio. Lui stesso, per quanto ci provasse, non riusciva a ricordare cosa fosse accaduto esattamente. Ricordava indistintamente la fuga, ricordava di essere stato male, come mai non era mai stato nella sua vita, l’incarico ricevuto da Saïx, ricordava di essere partito con Zack e tornato da solo.
«Zack e Aerith stavano insieme.» Fece del suo meglio per spiegare tutto a Shiro. «Insieme, sai, come… hah, tu non conosci Ercole e Megara, vero?»
«Insieme nel senso che volevano fare una famiglia?» Shiro cercò di comprendere la domanda.
Dietro di lei, Cloud vide che Yuffie si stava coprendo la bocca per non sghignazzare. Shiro girò la testa.
«So cosa vuol dire amore. Credo
Cloud rimase in silenzio e si sedette su una delle panchine del corridoio. Shiro lo raggiunse subito.
«Vorrei davvero poter dire dove sia Zack.» Cloud mormorò tra i denti. «Sai, Shiro, quello scemo era il mio migliore amico. Mi trascinava dovunque. Una volta, c’era questa guardia reale. Odioso. Braig era il nome. Mi prendeva di continuo per i fondelli perché cercavo di farmi prendere dalle guardie cittadine come apprendista. Da ragazzo ero minuto, l’hai vista quella foto… beh, Zack riuscì a farmi segnare un fuoricampo sulla sua testa
Shiro scoppiò a ridere.
«Sul serio
«Persi la palla quel giorno. Zack mi regalò la sua.»
Cloud fissò il pavimento.
«Nessuno sa dove Zack sia sparito. Alcuni sono convinti che sia morto… io mi sento dentro che è ancora da qualche parte. Che è ancora da qualche parte a lottare per essere l’eroe che sognava di diventare. Che un giorno sarà di nuovo qui, ci guarderà tutti, e ci chiederà perché quelle facce lunghe.»
Guardò Shiro.
«Sono successe un sacco di cose qui. L’unica cosa che possiamo fare è andare avanti e sperare.» Si concesse di sorridere. «Dopotutto, pensavamo che tu fossi perduta, e invece eccoti qui! La nostra piccola guerriera del Keyblade!»
Si sforzò di apparire felice. Shiro non doveva preoccuparsi, non per loro.
Non aveva nemmeno tredici anni… la loro piccola guerriera del Keyblade non avrebbe nemmeno dovuto avvicinarsi a quella guerra.
 


La truppa di addestramento militare a cui Sora si era unito era composta principalmente da ragazzi nella loro tarda adolescenza, quindi Sora, se pure aveva i capelli visibilmente più chiari, non stonava troppo.
Se non altro, le attenzioni dei commilitoni erano dirette principalmente su di lui piuttosto che su Mulan, le cui differenze di aspetto fisico sarebbero state più pericolose di un diverso colore di capelli, se fossero state notate.
Anche Paperino e Pippo erano nell’accampamento, ma si tenevano in disparte, occupandosi di eventuali Heartless e agendo come inservienti – si era deciso che, per il bene dell’ordine dei mondi, avrebbero dato sicuramente più nell’occhio di Sora, che aveva quindici anni ed era abbastanza basso, ma se non altro era umano abbastanza da passare per un locale.
Erano lì per aiutare Fa Mulan, la protetta del loro vecchio amico Mushu. La sua patria era minacciata da un nemico che, a quanto si diceva, era anche spalleggiato dagli Heartless, e oltre alle truppe imperiali erano state chiamate alle armi anche i vecchi e i ragazzi.
Mulan, che non aveva fratelli, si era vestita da ragazzo per risparmiare il padre anziano e zoppo, ma se fosse stata scoperta le conseguenze sarebbero state di gran lunga peggiori.
Sora aveva deciso di restare: Heartless significava brutte notizie in ogni caso, e probabilmente l’addestramento dell’esercito gli avrebbe restituito in meno tempo la forza e le abilità che stava cercando di recuperare. Per questo era in riga, un soldato tra i soldati, forse l’unico realmente in silenzio, pronto ad affrontare qualsiasi prova gli fosse stata messa davanti.
«Soldati!»
Il capitano Shang marciò verso di loro, fissandoli in tono di disapprovazione. Di certo non aveva scordato l’incidente della fila del pranzo il giorno prima.
Tutti quanti scattarono in riga e in ordine.
«Vi riunirete veloci e in silenzio ogni mattina.» Il capitano appoggiò la sua tunica ad un barile pieno di bastoni, poi raccolse da lì vicino un arco e una faretra piena di frecce. «Chi si comporterà diversamente, ne risponderà a me.»
Passò davanti a tutti quanti, ma uno dei soldati, con uno degli occhi permanentemente annerito, pensò “bene” di borbottargli alle spalle.
Shang lo sentì.
«Yao!»
Caricò una freccia nell’arco, facendo trasalire tutti quanti, poi mirò in alto, verso la cima di un palo che sovrastava l’intero campo e doveva essere alto almeno quattro metri. Scoccò la freccia, che andò a ficcarsi in cima al palo.
«Grazie per esserti offerto. Recupera la freccia!»
Quindi, la loro prima prova sarebbe stata arrampicarsi sul palo. Non sembrava troppo difficile, era una vita che Sora sapeva arrampicarsi come una scimmia.
Sora stava quasi sorridendo quando vide che il vecchio che lavorava con Shang – il consigliere imperiale? – stava portando verso di loro una scatola dall’aria pesante. Shang ne estrasse due grossi dischi di bronzo che legò prontamente ai polsi del povero Yao.
«Questo rappresenta la disciplina, e questo rappresenta la forza.» Li indicò uno ad uno. «Vi serviranno entrambe per arrivare in cima.»
Uno ad uno, i soldati affrontarono la prova del palo con i pesi ai polsi. Nessuno sembrava riuscire ad andare oltre la propria statura senza rovinare al suolo: sollevare il proprio peso era un conto, ma l’impedimento in quell’esercizio era proprio il peso aggiunto alle mani, che erano il loro mezzo per spingersi in alto.
Le braccia non resistevano oltre un certo sforzo.
Con un certo sconforto, mentre affrontava il suo turno al palo, Sora si rese conto che il suo passato di combattente lì non sarebbe valso a molto: era comunque il più piccolo, e quei pesi erano fatti per ostacolare ragazzi più grossi.
Tornò al suo posto dopo aver fatto più o meno schifo come gli altri, e mentre cercava di sciogliersi i muscoli come gli aveva insegnato Riku una vita prima, il capitano Shang disse ad alta voce quello che Sora stava pensando.
«Ne abbiamo, di strada da fare.»
 


Abituata alla noia del Castello che Non Esiste e alla sonnolenza di Crepuscopoli, per Shiro la frenesia di quella che chiamavano la Fortezza Oscura era una novità quasi stancante, ma se non altro apprezzava che non ci fosse mai un momento per annoiarsi.
Gli abitanti erano quasi sempre impegnati nel restauro, chi in modo attivo come Cid, chi con la magia come Aerith e Merlino, chi affrontando gli Heartless, e alcuni come il giudice Ilyas si occupavano di documentare i progressi della situazione o di cercare di ricordare com’erano state le cose in passato.
Con la presenza degli Heartless in città, quasi tutti sapevano combattere, e chi non lo faceva necessitava di una scorta per uscire di casa: spesso e volentieri Shiro si era ritrovata a scortare Ilyas e il piccolo Finn da casa loro a quella di Merlino, e nonostante le torrette di Cid aveva avuto anche lei da vedersela con alcuni Shadow.
Era una di quelle sere, e per quanto Shiro non avesse voluto un intervento dei grandi, dopo essere stato scortato a casa, il giudice aveva immediatamente telefonato ad Aerith perché uno degli Shadow aveva lasciato tre profondi graffi sulla gamba della ragazza, e secondo lui “necessitava di cure mediche e non si fidava a lasciarla tornare da sola”.
«Ci avevi detto che sapevi combattere, Shiro.» Aerith la rimproverò dopo averla curata. «Cosa è successo?»
Shiro fece per rispondere… non era nulla, Roxas le aveva detto di essersela cavata con peggio… e lui l’aveva allenata e…
«Oh, nulla di che. La ragazza si è battuta come una furia. Erano soltanto troppi per lei.» Il giudice intervenne appoggiandosi alla porta. «Io e Finn non saremmo qui illesi se non fosse stato per Shiro… probabilmente ha ancora bisogno di allenarsi, ma…»
Tirò un sospiro. Probabilmente non capiva molto di combattimento, ma era stato gentile a prendere Shiro in braccio per l’ultimo tratto fino alla sicurezza del giardino.
«Sai, Shiro, mi ricordi un po’ mio figlio Isa… il fratello grande di Finn.» Lo sguardo dell’uomo si perse sulle foto che teneva appese ai muri. «Sembrava aver capito che qualcosa stava andando storto, dieci anni fa. Aveva iniziato a portarsi dietro la vecchia vanga che abbiamo in giardino.»
«Già, ricordo.» Aerith tirò un sospiro. «Anche che trovò un tubo di ferro in un immondezzaio e mi disse di non girare più senza dopo il tramonto, dopo che sparirono Cloud e Zack.»
Non ci voleva un genio per capire che stessero parlando di Saïx – Shiro riconosceva il volto nelle fotografie. Avrebbe voluto dire al giudice che suo figlio era ancora vivo, ma non gli avrebbe fatto ancora più male?
«Lo so che non sono brava come Sora.» Shiro ammise. «Ma… Aerith, è vero o no che quando si è più forti degli altri bisogna proteggere qualcuno?»
Aerith si sedette sul divano accanto a lei e le mise una mano attorno alle spalle.
«Zack diceva sempre così.» Le sorrise. «Immaginati tutte le volte che si sedeva a questo stesso divano e asseriva fiero che lui era nelle guardie e sarebbe diventato un eroe per tutte le persone che ne avrebbero avuto bisogno.»
«Allora se proteggo te e gli altri…» Shiro incrociò le braccia. «Se divento forte come era Zack, o forte come Sora… tu credi che Zack sarà felice se faccio come faceva lui?»
Aerith non rispose, ma Shiro poteva giurare che nonostante stesse sorridendo, gli occhi le si fossero fatti lucidi.
«Devi fare quello che è giusto, Shiro.» Tirò un respiro. «Non per Zack, non per Sora, o nemmeno per il Comitato di Restauro. Però guardando a come sei diventata… sì, ne sono certa. Sarebbe fiero di te.»
 


«Canaglie insubordinate! Mi dovete un nuovo paio di pantofole
Sora si disperse in mezzo alla vegetazione assieme agli altri soldati, premendosi una mano sulla faccia per trattenere le risate.
Non si divertiva così tanto da quando lui e Riku, dopo una lezione di educazione fisica particolarmente estenuante, avevano deciso di rievocare le “prodezze” del professor Jecht negli spogliatoi della scuola, usando una panca come palcoscenico e il baule degli oggetti smarriti per improvvisare un costume.
Nel caso di Chi Fu, il pomposo e petulante consigliere imperiale che era lì ad amministrare il campo, era stato persino più facile organizzare il dispetto: per poter lavarsi nel fiume, il vecchio sottaceto aveva lasciato a riva pantofole e asciugamani, e Sora non aveva dovuto fare altro che fregarglieli e fare la sua imitazione davanti a tutti i suoi compagni di tenda, compresa di strillo da ragazzina.
Aveva il sospetto di non essere stato propriamente in sé durante l’imitazione, e che qualcosa o qualcuno si fosse mosso e avesse parlato per lui, ma era stato divertente e si erano divertiti anche gli altri, ed era quello che importava.
Ora tutto quel che doveva fare era tornare alla sua tenda di soppiatto e sperare che il vecchiaccio non lo riconoscesse: al buio della notte, era più difficile notare che i suoi capelli fossero di una sfumatura più chiari, ed era stato bagnato abbastanza da non essere irto come al solito.
Purtroppo era a due passi da lui. Ma non aveva prove.
«E io non strillo come una donnetta…» Chi Fu si stava sfogando, marciando verso il campo, brandendo come un maglio una delle due ciabatte che Sora aveva sfondato semplicemente infilandosele. (Niente da dire. Sora poteva essere il più basso della truppa, ma quanto alla sua taglia di scarpe, non aveva niente da invidiare a nessuno degli altri soldati!)
Stava per filarsela verso la sua tenda quando qualcosa sbarrò la strada sia a lui che al vecchio. Un soldato. Su un panda. Un soldato su un panda che si era appena divorato la pantofola sfondata.
«AAAAAAARGH!» Chi Fu strillò con un timbro vocale quasi impossibile per un uomo della sua età. (Non strillava come una donnetta, eh?)
Sora sbatté le palpebre. Il soldato sul panda gli sembrava familiare. O meglio, la sua armatura – era la sua!
Va bene, chi gli aveva reso pan per focaccia proprio in quel momento?
«Un messaggio dal Generale!» Il soldato intimò. La voce era quella di Mushu, probabilmente anche lui nascosto dall’armatura, ma dal braccio che aveva allungato la lettera a Chi Fu, se pur guantato e coperto di armatura, si erano levate un paio di piume bianche. Paperino?
Chi Fu non prese il messaggio, ma fissò il panda che continuava a masticare imperterrito.
«Cos’è? Mai visto un pandarmato?» La voce di Mushu lo riportò all’attenzione.
Il vecchio fissò Paperino negli occhi. «Chi sei tu
«Come scusa? La domanda giusta è CHI SEI TU!» Mentre Mushu ribatteva infuriato, Paperino diede una manata al consigliere, dandogli un colpetto alla faccia con le dita. «Siamo in guerra, bello! Non c’è tempo per domande sceme!»
Sora dovette ringraziare l’erba alta che lo nascondeva, perché in quel momento stava ridendo fino alle lacrime. Non aveva idea del perché Mushu avesse deciso di prendere Paperino e un panda con sé e umiliare Chi Fu in quel modo, ma uno spettacolo del genere era impagabile.
Il consigliere fuggì via verso le tende, mentre il panda e i suoi occupanti, con soltanto Sora come testimone, svanirono nella chioma di un albero.
«Cosa stavate combinando?» Sora si avvicinò alla base dell’albero e guardò in alto. Paperino e Mushu scesero al suolo, Mushu guardando Sora seminudo con aria alquanto schifata.
«Riprenditi la tua tunica, ragazzino. Ho già visto e morso abbastanza soldati nudi per oggi.» Mushu prese la veste che Sora aveva preso a portare durante l’addestramento e gliela buttò addosso.
«Chi Fu aveva cercato di fermare la vostra partenza,» Paperino gli spiegò, aiutandolo a rivestirsi. «Qualcosa come il fatto che non siate pronti e non resisterete contro gli Unni. Mushu ha fatto arrivare al campo una richiesta di rinforzi.»
«Oh… bene.» Sora si sistemò i vestiti e si sfregò la nuca con una mano.
«Pippo non era d’accordo.» Paperino commentò di nuovo.
Mentre discutevano, Chi Fu raggiunse di corsa la tenda del capitano, annunciando a gran voce la richiesta di rinforzi che Mushu aveva fatto scrivere e consegnato.
«Riprenditi la tua armatura e fa’ i bagagli, Sora.» Mushu gli saltò sulle spalle. «Sloggiamo
 


L’estate stava cedendo il passo all’autunno, e nonostante la continua presenza di Heartless e Nessuno, la Fortezza Oscura sembrava sempre più una città.
Tra le disavventure di Shiro e le battaglie ai confini della zona di restauro, Aerith aveva il suo bel da fare per assicurarsi che tutti in città stessero bene, ma non si lamentava: Leon era riuscito a liberare una via d’accesso al castello e aveva preso a sgombrare i corridoi, Yuffie, con l’aiuto saltuario di Cloud, era riuscita a liberare il vecchio liceo dalle macerie e presto, se si fossero trovati degli insegnanti, sarebbero potute ricominciare delle semplici lezioni per i bambini e i ragazzi in città, e Sora continuava a viaggiare, tornando a fare scalo di tanto in tanto e mettendosi in contatto con loro tramite il computer della sua navetta quando non riusciva a passare.
Aveva raccontato di aver aiutato una ragazza a salvare il suo paese dagli invasori, rivisto il suo amico, la Bestia, che aveva aiutato a rinsavire dopo un momento di sconforto, aiutato Ercole a sconfiggere l’Idra che minacciava l’Olimpo, scacciato i rovi di Malefica dal Castello Disney e salvato la città di Port Royal da una ciurma pirata maledetta comandata dal capitano fantasma Hector Barbossa.
Dopo aver raccontato dei pirati dei Caraibi, e dei suoi nuovi amici Jack (Capitan Jack Sparrow), Will Turner ed Elizabeth Swann, e aver dato una rapida guardata agli strumenti di volo, Sora aveva asserito che sarebbe tornato alla Fortezza un momento – aveva visto qualcosa.
 
«Io continuo a dire che non è stata una buona idea.» Paperino commentò per l’ennesima volta.
«Oh, dai, con Jafar andato via questo mondo sarà sicuramente tranquillo!» Sora ribatté, aiutando Shiro a scendere dalla scaletta. «E poi le farà bene conoscere un po’ di gente!»
Quando Sora aveva visto Agrabah sul quadrante delle rotte, aveva deciso di cogliere l’occasione, riportare a Merlino alcune delle pagine perdute del libro e portare Shiro con sé per una piccola gita. Aveva sentito di come la ragazzina si fosse fatta male nel tentativo di proteggere Vostro Odore, e si era convinto che un po’ di esperienza fuori dalla cittadella fortificata sarebbe stata un toccasana per le sue abilità con il Keyblade.
«Fa caldo qui,» Shiro commentò strattonandosi un po’ la giacca. «Roxas mi ha raccontato di essere stato qui. Dice che c’è un Genio magico.»
«Ha incontrato il Genio?» Sora non sapeva dire se fosse sorpreso o no: sapeva che il Genio era partito in giro per i mondi per festeggiare la sua liberazione, ma in una qualche maniera immaginava che non sarebbe saputo stare lontano da Aladdin.
«Sì, e ha un amico di nome Al che cerca di mantenere la città in ordine.» Shiro mugugnò. «L’anno scorso c’è stata una brutta tempesta di sabbia qui. Era causata da un Heartless chiamato Formicaleone.»
Sora si trattenne dal prendersi da solo a schiaffi. Se Shiro si fosse fatta scappare quei dettagli con Aerith, lui l’avrebbe pagata cara in bernoccoli.
«Ma comunque il Genio non è tornato. Non ancora.» La ragazzina concluse.
Sembrava una giornata tranquilla. Alcuni degli abitanti del quartiere povero, dove Sora ricordava fosse la casa di Aladdin, stavano discutendo su come qualche ora prima fosse piovuto oro dal cielo. Sora immaginò fossero stati Aladdin e Tappeto, ma per come potevano essere andate le cose…
«Aiuto! Mayday! I predoni del deserto!» Una voce gracchiò da uno dei vicoli. Sora, Paperino, Pippo e Shiro si girarono verso la direzione della voce e un ammasso di piume rosse e blu quasi piovve loro in faccia.
«Oh-oh!» Pippo commentò, indicando l’uccello. «è… ehm, è Iago
Sora portò immediatamente alla mano il Keyblade, e con la coda dell’occhio vide che Shiro fece lo stesso.
«Aspettate, non sono io!» Iago volò davanti a loro, perdendo due o tre piume in preda alla frenesia. «Aladdin… predoni… di là!»
«Potevi dirlo subito!» Sora esclamò, scattando di corsa verso la direzione da cui Iago era arrivato. Una mezza dozzina di banditi aveva accerchiato Aladdin in un vicolo pieno di bancarelle, e pur essendo armato il giovane era stato messo spalle al muro. «Allora, briganti da due soldi, che ne dite di passare a uno scontro leale?» Sora brandì il Keyblade e aggredì subito il più vicino.
«Fermi! Siete presi!» Shiro strillò e attaccò con il suo Keyblade il più basso e grasso di tutti, con un entusiasmo che a Sora ricordava molto quello di Will Turner.
Con l’aiuto di Paperino e Pippo, arrivati subito dopo, e di Razoul e delle guardie del Sultano, i briganti riuscirono a guadagnare la fuga soltanto rubando il carro di un allevatore di polli, non senza avergli rotto tutte le uova nel paniere.
«Ciao, Sora!» Aladdin si risistemò e scosse la testa. «Grazie del tempismo, ragazzi! Avrei dovuto uscire con Tappeto…»
«Mi hai vista, Sora? L’ho lasciato in mutande a quel…» Shiro per poco non saltellava sul posto, fiera di sé stessa e di come avesse tenuto la sua in duello.
«Ah, hai battuto tu Abis Mal?» Aladdin fece un sorrisetto nervoso. «Sapevo che fosse tremendo come brigante, ma farsi battere da una bambina…»
Il viso di Shiro si contorse in un broncio. «Non sono una bambina, sono una guerriera del Keyblade.»
«Ciao, Aladdin.» Sora si passò una mano tra i capelli. «Questa è Shiro, l’ho conosciuta qualche giorno fa. Porta un Keyblade come me. La sto portando a fare un po’ d’esperienza.»
«Non ti stai scordando qualcuno?» Una voce gracchiò sopra Sora, e un piccolo peso si posò sulla sua spalla. Iago si era posato su di lui, le zampette unghiate strette attorno alla sua giacca.
«Grazie per l’aiuto, Iago.» Aladdin si rivolse al pappagallo. «Se non avessi trovato Sora…»
«Oh, sì, sicuro, ti ho salvato, certo, è nella mia natura.» Iago si strinse nelle piume. «Io salvo continuamente qualcuno! Gatti, bambini…» Volò dalla spalla di Sora a quella di Shiro, che cercò di accarezzarlo con un dito. «… tipi come te… sono un salvatore nato
Il “salvataggio” non impedì ad Aladdin di dubitare comunque di Iago: arrivati al palazzo, lo chiuse in una gabbia nei giardini e gli assicurò che avrebbe chiesto al Sultano un processo equo.
Il pappagallo era visibilmente infuriato, tanto più che andò in escandescenze quando Shiro cercò di infilargli un biscotto tra le sbarre della gabbia, ma Aladdin portò subito via Sora, Shiro, Paperino e Pippo da quell’angolo dei giardini e li accompagnò dall’altra parte della fontana, dove Jasmine stava aspettando.
Se il loro arrivo era stata una sorpresa per Aladdin e Jasmine, lo fu ancora di più quando si presentò un altro ospite inatteso: il Genio in persona, di ritorno dal suo giro dei mondi, era tornato ad Agrabah, tornato per restare.
«Hai già fatto tutto il giro del mondo?» Aladdin era alquanto scettico, anche se sorrideva visibilmente.
Il Genio prese la forma di quattro burattini e prese a canticchiare: «È un mondo piccolo…». Sora si trovò a canticchiare la canzone a bocca chiusa. Pensava di averla sentita da qualche parte, forse vicino alla gelateria che avevano aperto vicino alla scuola superiore – sì, aveva decisamente a che fare con il gelato.
«Ma Agrabah ha qualcosa che non esiste in nessun altro luogo!» Il Genio tornò alla sua solita forma, accanto ad Aladdin. Aprì una valigia e ne estrasse un voluminoso album che straripava di fotografie, che iniziò a mostrare una ad una, mentre le immagini si ingrandivano magicamente in modo che tutti potessero vedere.
«In cima al Taj Mahal in pochi attimi… poi sulla Gran Muraglia con i pattini… e con la torre ho fatto un tango col casquet… ma sai chi c’era insieme a me? Nessuno!»
Una delle foto cadde dall’album, senza aumentare di dimensioni, finendo sul pavimento vicino ai piedi di Shiro.
«Quello era Ercole! Lo conosco!» Sora indicò la figura di un corridore in una delle foto. «Come hai fatto a tenergli testa nella corsa, quando parte va peggio di un missile!»
«Non è difficile se hai mille api dietro a te.» Il Genio ridacchiò imbarazzato. Nonostante le decine di foto, sembrava più che felice di essere tornato.
«Eh, le piramidi…» Tirò fuori un’altra immagine, che lo ritraeva con le sembianze di un faraone in un cunicolo buio. «Non sono poi un gran che, se non hai un caro amico assieme a te.»
Aveva mostrato una banda di mariachi, una mongolfiera, delle cascate e una nave chiamata Titanic quando Sora si accorse che Shiro si era allontanata e si era seduta su una panchina, fissando la foto che il Genio aveva perso. Aveva lo sguardo basso e il suo viso era rigato dalle lacrime.
«Oh, suvvia, piccola, non fare così.» Il Genio le fece un sorriso a trentadue denti. «Non è un problema se quella foto si vede male per metà, la pellicola ha preso luce, sono cose che capitano…»
Shiro alzò lo sguardo e scosse la testa.
«Roxas…»
Soltanto metà dello scatto era visibile, ma nella parte intatta, in piedi su un cumulo di rovine, c’era un ragazzino, vestito con la stessa cappa nera in cui Sora aveva visto i membri dell’organizzazione, con dei capelli biondo cenere tagliati corti che in certi punti della testa stavano talmente ritti da puntare verso l’alto, gli occhi azzurri, l’espressione smarrita, e un Keyblade stretto nella mano.
«La tempesta di sabbia… il Formicaleone…» Shiro singhiozzò, mentre gli altri le si radunavano attorno. «Lo hai conosciuto?»
«Ti dirò, era un ragazzo curioso, ma sapeva il fatto suo.» Il Genio le si sedette accanto.
«Era il mio migliore amico…» Shiro si asciugò le lacrime con una mano.
«Eh, ragazza mia. Non c’è niente al mondo come gli amici.» Il Genio le diede un colpetto sulla spalla. «Va’ dove sono loro, e ti sentirai sempre  a casa.» Indicò Aladdin e Jasmine. «Quando dicevo che i mondi hanno qualcosa che qui non c’è? Parlavo di loro. Ti manca Roxas, non è vero?»
Sora strisciò un piede per terra, in imbarazzo.
«Tecnicamente, non è andato via davvero. È il mio Nessuno, come dire un po’ la mia ombra. Doveva tornare da me perché io ritrovassi i miei ricordi.» Sora si indicò il cuore.
Il Genio emise uno sbuffo di fumo e ne emerse vestito da medico. «Va bene, fammi un po’ ascoltare.» Si coprì le orecchie con uno stetoscopio e poggiò il disco sul torace di Sora. Un momento dopo, tentennò sul posto come se qualcuno lo avesse rintronato con una botta in testa.
«Ragazzo mio, cos’hai lì dentro, una band da garage?» sbottò.
«Aheeem…» Sora si incrociò le braccia dietro la testa.
«Beh, non sembra farti male, quindi non ti prescrivo nulla per ora. Quanto a me, avrò bisogno di una bella aspirina per il mal di testa che mi hai fatto venire…» Fece apparire una pillolona dal nulla e se la ficcò in gola. Fu allora che Shiro si mise a ridere.
«Tu non hai visto molto di questo mondo, non è vero?» Il Genio le si rivolse con aria dolce, poi riprese il tono da medico. «Signor Sora, per questa ragazza prescrivo un sacco di aria aperta e tante belle esperienze, jaaa!» Riprese il suo solito aspetto. «E puoi tenere la foto, Shiro. Serve più a te che a me.»
 


Axel emerse dal Corridoio Oscuro in una spiaggia arsa dal sole.
Una parte di lui immaginava quel posto come quello che avrebbe voluto visitare assieme a Roxas, quando sarebbero stati liberi…
In un certo senso, lui era libero, ma anche solo.
Avrebbe sistemato le cose, in un modo o nell’altro.
Se soltanto Sora fosse tornato a essere un Heartless… beh, in tal caso, aveva bisogno soltanto della giusta leva.
Secondo gli archivi del computer di Saïx, i suoi migliori amici, le persone a cui più teneva al mondo, si chiamavano Riku e Kairi, ed erano i suoi amici di sempre. Era stato capace di affrontare un viaggio impossibile per un bambino di quattordici anni, di diventare un guerriero, di perdere il suo cuore, per Riku e Kairi.
Per sfortuna di Axel, Riku mordeva. Era tecnicamente impossibile catturarlo senza colpo ferire – era forte quanto Sora, se non di più, e secondo gli informatori dell’Organizzazione era stato lui stesso a sconfiggere e catturare Roxas.
Perché la migliore amica di Sora doveva proprio chiamarsi Kairi?
Secondo gli archivi era la figlia del sindaco, l’angelo del paparino. Axel aveva pensato alla sua Kairi, cresciuta con i suoi abiti smessi per metà del tempo e con le abilità sartoriali della nonna e vecchie lenzuola per l’altra parte, in quella vecchia casa che puzzava di anziano e accudita metà del tempo dalla vicina e l’altra metà da un fratello maggiore imbecille che a stento sapeva cosa fare…
Sapeva di non avere un cuore, ma la cosa gli bruciava lo stesso. Quella ragazza aveva avuto una chance di vivere, di diventare grande, di avere degli amici.
La sua sorellina era stata sorpresa da un mostro mentre disegnava nel castello di Lord Ansem, cercando di allontanare la noia mentre vicino a lei esplodeva la catastrofe. Ax- Lea l’aveva vista l’ultima volta, prima che tutto si facesse buio, venire sollevata in aria da Xehanort, dibattendosi inutilmente con il polso stretto in una presa di ferro, mentre con la mano libera stringeva una delle sue matite come se potesse fare qualcosa e usarla come arma improvvisata.
Le aveva urlato di scappare, ma lei quella notte era corsa a cercarlo. A cercare di proteggerlo. Come se avesse potuto salvarlo.
La ragazza era in piedi sulla battigia, lo sguardo fisso all’orizzonte. Tutto di lei urtava Axel, dai capelli rossi tenuti lunghi ai vestiti visibilmente costosi. Lei era viva e grande e felice e sua sorella no.
«Forse aspettare non è abbastanza.» La ragazza stava dicendo.
 
«Anch’io la penso così! Se hai un sogno, non aspettare. Agisci
Una voce distolse Kairi dai suoi pensieri.
Girò immediatamente sul posto, alla ricerca del nuovo arrivato.
Lo sconosciuto portava una cappa nera e aveva i capelli rossi, ma qualcosa della sua voce mise immediatamente Kairi in allerta. Aveva già sentito quella voce… ma dove?
«Una delle piccole regole della vita. L’hai memorizzata?»
Kairi fece un passo indietro, squadrando lo sconosciuto. Non poteva essere delle Isole, lo avrebbe riconosciuto – e non lo aveva nemmeno visto nel suo periodo alla Città di Mezzo. Era uno sconosciuto, nel senso più pieno della parola.
Eppure, aveva la sensazione di averlo già visto.
«Tu chi sei?»
Lo straniero la guardò negli occhi con aria di sfida, come se volesse quasi castigarla perché esisteva.
«Axel.»
Il nome le era completamente estraneo.
«Si da il caso che io conosca Sora. Perché non andiamo a trovarlo?»
Kairi non si mosse. Una delle prime cose che Henry le aveva detto e ripetuto dopo averla adottata – non si era mai abituata a chiamarlo papà, nonostante per un periodo ci avesse provato – era di non dare retta agli sconosciuti, e in particolare a quelli che offrivano favori.
Si guardò rapidamente attorno – era sola sulla costa. Iniziò a considerare l’idea di scappare o di combattere, se davvero quell’uomo si fosse rivelato la minaccia che poteva sembrare. Le sembrava di essere di nuovo nel suo incubo ricorrente, quello dei corridoi e della voce che le urlava di scappare.
Lei che mordeva forte il suo aggressore, la voce che urlava di nuovo, stavolta di dolore, e poi buio.
Era Axel quello che l’aveva aggredita?
I suoi pensieri furono interrotti da un latrato: un segugio fulvo era arrivato dall’altra parte della spiaggia, e si fermò tra lei e Axel.
Quando quattro mostri biancastri apparvero attorno a loro, il cane prese a ringhiare e a irrigidirsi davanti a lei, mostrando i denti alle creature.
Un’altra pozza d’ombra si aprì dietro di loro, diventando un passaggio, e si udì un fischio. Una via di fuga! Il cane corse verso di essa, girandosi a guardare Kairi affinché lo seguisse.
«Abbiamo qualcosa in comune, Kairi. A entrambi manca qualcuno che ci è caro.» Axel cercò di fermarla quando lei si incamminò dietro al segugio. «Ehi, mi sembra di essere già amici.»
Una parte di lei si chiese quanto la constatazione dell’uomo in nero potesse essere vera.
Un’altra le ripeté di scappare, che quello sconosciuto portava solo guai.
«Non mi sembri molto amichevole
Tempo prima, qualcuno le aveva detto di scappare e salvarsi.
Kairi decise di fuggire.
   
 
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