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Autore: lightvmischief    21/12/2019    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 24

Avviso: in questo capitolo è presente una scena di suicidio. Potete non leggerla se vi reca disturbo, inizia da quando troverete gli ultimi asterischi (***) fino alla fine del capitolo.

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KAYLA

Il respiro pesante che esce dalla mia bocca riesce a coprire in parte il terrificante tonfo dei Morti che sbattono contro le porte della palestra.

«Cosa-cosa è successo?» La voce di Travis rimbomba lontana nei miei timpani. Appoggio le cosce sulle suole delle scarpe e appoggio i palmi delle mani a terra, chiudendo qualche istante gli occhi, provando a fare entrare aria nei polmoni dopo la corsa fino al campo.

«Oh, mio Dio! Siete vivi!» Un’altra voce si unisce a quella di Travis, ora inginocchiato vicino alla moglie mentre le chiede se sta bene. Blaine tossisce un paio di volte, non molto lontano da me.

Il pulsare al mio fianco ritorna improvviso, colpendomi come uno tsunami in piena forza. Biascico un’imprecazione confusa. Intorno a noi si sono avvicinate altre persone, ma non riesco a mantenere gli occhi aperti abbastanza per riuscire a capire chi sono. Mi tolgo il giubbotto a fatica, lasciandolo cadere dietro di me senza troppe cerimonie.

«Kayla!» Uno strilletto alto di qualche ottava mi fa saltare un battito cardiaco. Poi, vengo travolta da due piccole braccia. «Lo sapevo che saresti tornata!» Due occhi verdi mi guardano contenti in viso, le labbra aperte in un sorriso sincero.

«Bonnie» rispondo a fatica, deglutendo subito dopo. Il suo abbraccio affettuoso mi ha provocato altre scie di dolore al fianco e al braccio. Il suo sguardo muta da felice a preoccupato una volta fatto passare sul mio corpo.

«Stai-stai sanguinando» dice delicatamente, sedendosi di fronte a me. Annuisco, chiudendo un’altra volta gli occhi e deglutendo la mia quasi inesistente saliva.

«Kayla ha bisogno di Rose e Olivia. Subito.» Sento dire da Blaine. 

Ebony passa lo sguardo da me al ragazzo, le lacrime che cominciano a farsi spazio nei suoi occhi. «Ehi, va tutto… bene» dico, provando a rassicurarla, accarezzando con il dorso della mano la sua guancia.

Prima di rendermene conto, qualcuno mette le mani sotto le mie ascelle e mi tira su, appoggiando poi il mio braccio alla sua spalla. Le gambe tremano sotto di me, sembrano quasi di gelatina. Un’altra persona mette l’altro mio braccio sulla propria spalla, facendo attenzione a non urtare la ferita. Ho la vista annebbiata, non riesco a distinguere i lineamenti delle due persone; tutto ciò che so è che vengo accompagnata nell’infermeria con Ebony al seguito. Vengo adagiata sull’unico materasso della palestra destinato all’infermeria ed Ebony mi prende la mano non appena la mia testa finisce sul cuscino.

«Vuoi un po’ d’acqua?» mi chiede, strizzandomi la mano come per farmi sentire ulteriormente la sua presenza. Faccio un cenno con la testa e finalmente le mie labbra vengono a contatto nuovamente con dell’acqua. Bevo lentamente, cercando di non strozzarmi.

«Hai preso tutto?»

Una voce femminile e delicata irrompe nella stanza. La vista diventa di nuovo scura all’improvviso e l’ultima cosa che sento è una stretta rassicurante della mia mano.

***

Ho di nuovo la gola secca. Boccheggio un po’ di volte. Piano piano riprendo consapevolezza del mio intero corpo: i piedi e le gambe calde, il ventre e il petto che si alzano e abbassano ritmicamente come il mio respiro, una mano fredda, mentre l’altra calda. Strizzo gli occhi prima di aprirli ed abituarmi alla luce bassa nella stanza. Volto la faccia, notando con grande sorpresa la mia mano calda tenuta tra due mani, i pollici di esse che massaggiano delicatamente il dorso. I capelli scuri e ricci coprono il volto del ragazzo, ma non mi ci vuole molto a capire di chi si tratta.

Muovo leggermente le dita della mano, quasi come per impulso e la testa del ragazzo scatta in alto, fermandosi sul mio viso.

«Ci hai fatto prendere un bel colpo, sai?» inizia, schiarendosi la gola subito dopo. «Tua sorella è appena andata a dormire. O almeno, l’ho obbligata ad andare a dormire.» Un piccolo sorriso sincero si crea sulle mie labbra.

Calum mi porge dell’acqua e la accetto volentieri. «Come ti senti?» mi chiede con voce gentile.

«Distrutta» rispondo sinceramente, lasciando un sospiro poco dopo. 

«Rose ti ha cucito la ferita mentre eri svenuta.» All’informazione, passo istintivamente la mano sul ventre sopra le coperte, dopo averla fatta scivolare via dalla stretta calda delle mani di Calum. Annuisco, non sapendo esattamente cosa dire.

«Sei stata fortunata, nessun organo vitale è stato colpito.»

«Non direi fortunata ma lo accetto.» Il silenzio cade nella stanza. Fisso per qualche istante il soffitto della stanza rovinato dal tempo e dall'umidità stagionale, con delle lievi crepe che passano da un angolo all'altro.

«Forse… forse vuoi riposare, ti lascio-» Calum distoglie lo sguardo quasi imbarazzato, le sue mani calde che lasciano andare la mia per la seconda volta. 

«No, no. Va bene un po’ di compagnia per ora» lo interrompo velocemente. Annuisce, lanciando uno sguardo veloce alla porta. «A meno che tu voglia dormire, allora è-»

«No. Avrei passato comunque la notte qui, fino a quando non avresti ripreso coscienza.» Il mio cuore si scalda all’informazione rivelata.

È vero, devo ancora processare per bene ciò che è successo nella quarantott’ore appena passate, ma al momento voglio avere qualcuno accanto a me, che renda questo inferno un po’ più sopportabile. Se mi distraggo, riesco a percepire un po’ di meno il dolore e la solitudine.

«Posso sedermi?» chiedo al ragazzo, ma ricevo subito un cenno negativo come risposta. Non richiedo spiegazioni - immagino sia per non riaprire la ferita appena ricucita - e mi adatto al restare stesa. Mi sistemo per poter guardare meglio il ragazzo seduto al mio fianco.

«Elyse mi ha detto in breve ciò che vi è successo-»

«Preferirei non parlarne ora. Loro come stanno?»

«Si stanno riprendendo, come te» risponde con un sorriso sollevato in volto.

Non immagino come si siano sentiti tutti loro quando non siamo tornati la sera scorsa. L'angoscia che si prova alla bocca dello stomaco, la tensione che si prende controllo del corpo, i pensieri che diventano negativi per quanto una persona possa essere positiva. Un peso enorme deve essersi tolto dal loro petto quando ci hanno visto rientrare. 

Il che mi porta a pensare a tutti i Morti appiccicati pericolosamente alle nostre porte. «Stanno ancora facendo baccano? I Morti, intendo.»

«Si sono calmati un pochino. Le persone sono preoccupate però, ho paura che qualcuno possa dare di matto» risponde concentrato, un cipiglio che si forma tra le due folte sopracciglia. 

Non ha tutti i torti; molte persone potrebbero essere a rischio se si sentono costantemente minacciati. Gli attacchi di panico possono colpire chiunque in queste condizioni. Inoltre, da quanto ho capito, molti membri di questo gruppo sono venuti "a contatto" con i Morti solo quando tutto ciò è scoppiato - quasi quattro anni fa - e poi si sono rinchiusi qui dentro. Forse dovremo cambiare casa prima del previsto.

«Mia sorella e Wayne sono venuti a trovarti quando eri ancora incosciente.» Non so perché, ma sono sorpresa. In modo positivo. Non sono più abituata a persone che si preoccupano per me così tanto, come se le conoscessi da una vita. Non sono più abituata ad essere importante per qualcuno.

Ad essere sincera, da quando sono entrata in questo gruppo, sono già stata ferita due volte e sempre dallo stesso dannato terribile uomo, solo che stavolta - anche se faccio fatica ad ammetterlo a me stessa - sarei potuta morire. Tra Morti ed effettive persone andate fuori di testa, non esiste un posto sicuro qui, non più. Ma qui, con loro, ho guadagnato più di quello che mi sarei potuta immaginare.

«Sai, prima che io e i miei ci separassimo, mia madre mi ha detto di non legarmi a nessuno per farcela.»

«E…? Ha funzionato?»

«Prima che vi incontrassi, sì.» Faccio una pausa, facendo scivolare la mia mano vicino alla sua, passando le mie dita tra le sue. «Ora… ora vi conosco. E ora siete le prime persone che sono diventate di nuovo importanti per me. Non posso non essere legata a voi» confesso, gli occhi che mi diventano lucidi tutto un tratto.

Calum mi prende la mano, intrecciando le sue dita tra le mie, portandosela poi alle labbra per lasciargli un bacio umido. 

«Credo tua madre avesse ragione allora.» sussurra, quasi tra sé e sé. «Saresti potuta morire là fuori.» sputa fuori, il suo tono preoccupato come non mai.

«Sono dura a morire, ora che ho qualcosa per cui lottare.»

Il suo sguardo si ammorbidisce, l'ombra di un sorriso che si crea sulle sue labbra piene. «È la prima cosa dolce che ti sento dire.» Alzo gli occhi alla sua affermazione. «Mi hai frainteso. Lo apprezzo.»

«Probabilmente sarà anche l'ultima. Sono gli antidolorifici che parlano.»

«Sì, sicuramente. Stai solo cercando di nascondere il fatto che sotto sotto sei tenera anche tu» ribatte, ridacchiando, quel suono piacevole che fa spuntare un sorriso anche sulle mie labbra.

«Facciamo che ti terrò sulle spine su questo punto.»

Calum mi lancia un occhiolino, scatendando una breve risata, bloccata dal dolore al taglio al fianco. Impreco sottovoce per la centesima volta in un giorno.

«Grazie per avermi tenuto compagnia. Ne avevo bisogno» dico dopo essermi ripresa.

«Ti lascio riposare adesso.» Annuisco. Calum si alza dalla sedia e mi dà un bacio delicato sulla fronte prima di uscire dalla stanza.

***

«Sono stanco di doverti rimettere in sesto ogni volta che esci.» Wayne ridacchia mentre lascia uscire un sospiro dalle sue labbra, chiudendosi alle spalle la porta, dopo aver fatto entrare anche Mali.

«Io, invece, sono contenta di vederti con gli occhi aperti» dice quest'ultima, sorpassando il ragazzo e chinandosi su di me per darmi la cosa più simile ad un abbraccio, data la mia posizione stesa. 

«Vi voglio bene» rispondo biascicando e inciampando un po' nelle parole.

«Sta delirando? Sì, sì, decisamente» ribatte Wayne, lanciando un'occhiata stranita prima a me e poi a Mali. «In ogni caso, io e la mia apprendista infermiera qui dovremmo cambiarti le fasciature!» riprende con fin troppa enfasi, facendoci ridacchiare.

Sono le prime ore del giorno, io mi sono svegliata da poco tutta intontita a causa dei medicinali. Ho provato a prendere la bottiglia d'acqua per prendere un sorso, ma fallendo e facendola cadere: a quel punto è entrato nella stanza tutto allarmato Calum, che credo abbia dormito fuori dalla mia porta. Mi ha passato l'acqua e mi ha detto che sarebbe andato a chiamare Wayne e Mali. E infatti, eccoli qui.

Grugnisco quando Mali mi toglie improvvisamente la coperta dal corpo, facendomi rabbrividire. Lei alza le spalle. Allento la presa sulla stoffa della maglietta pesante che indosso e allungo le dita verso la fine di questa per sollevarla fino a sotto il seno. Piego leggermente la testa in avanti per vedere il mio ventre: c'è un cerotto rettangolare che copre la ferita, sporco di sangue al centro, e al di sopra ci sono due strati di fasciatura che mi abbracciano la pancia e la schiena.

Mali comincia a togliermi delicatamente la fasciatura con le sue dita tiepide che mi strisciano ogni tanto sulla pelle; Wayne, dall'altra parte, ha in mano quello che presumo sia alcool e un batuffolo di cotone.

«Preparati» mi avvisa proprio lui, una volta che Mali ha rimosso tutte le medicazioni.

Il ragazzo si inginocchia, posa le mani vicino a entrambi i lati del taglio e si avvicina per studiarla meglio da vicino. «I punti tengono. Te la disinfetto e poi ti rimettiamo la fasciatura, d'accordo?» mi informa, non continuando prima di ricevere un mio cenno di consenso.

Non appena appoggia il cotone imbevuto dell'alcool sulla ferita, aspiro l'aria dai denti serrati, irrigidendo tutti i muscoli del tronco. Il ragazzo mi lancia un'occhiata dispiaciuta e poi continua, cercando di essere il più veloce e preciso possibile e allo stesso tempo delicato. Mali mi stringe una spalla per empatia.

«Okay, appena abbiamo finito ti spedisco subito qui Ebony, che non vede l'ora di parlarti. Anche Matthew, Dylan ed Liz non vedono l'ora che ritorni operativa» mi dice Mali, riuscendo nella sua impresa di distrarmi dal bruciore intenso.

«Quanto pensate che ci voglia? Prima che possa tornare a stare in piedi, almeno.» 

«Per questo  dovrai chiedere a Rose o Olivia» comincia Wayne, ancora chinato sulla ferita. «Dall'aspetto direi ancora una settimana prima che si possano togliere i punti.»

«Cosa? Ma-» 

«Ma, un bel niente. Se non vuoi che si riapra ti conviene stare qui e non muoverti per nessuna ragione. Tranne per i bisogni, ma qualcuno ti deve assistere» mi interrompe fermo Wayne, il suo sguardo duro ed autoritario. 

Ormai sa bene anche lui che non mi piace stare con le mani in mano mentre gli altri si spezzano la schiena. E, soprattutto, non riesco a convivere troppo tempo con i miei stessi pensieri, l'unica cosa che mi resta da fare bloccata qui a letto. 

Annuisco, anche se un po' controvoglia. Mali mi applica un nuovo cerotto e una nuova fasciatura. Poi, Wayne mi controlla il braccio colpito di striscio dal proiettile, informandomi che non era nulla di grave e che sarebbe guarito senza troppi problemi.

«Non ti facevo il tipo da tatuaggi» riprende Wayne, prendendo lo sgabello per sedersi per qualche istante. Gli lancio uno sguardo interrogativo prima di ricordarmi della piccola medusa stilizzata tatuata appena sotto la linea del reggiseno sul lato del mio corpo sinistro.

«Ah, oddio. L'ho fatto appena compiuti i 16 anni. Non è nulla di importante, volevo solo farmene uno e la medusa era quella che mi piaceva di più.»

«Sai, credo ti descriva. Per quanto sembri ironia della sorte.»

Mali ci saluta entrambi, dicendo di dover andare a controllare una cosa e uscendo poi dalla porta senza fare alcun rumore, lasciando me ed il ragazzo soli nella stanza.

«Spiegati» gli chiedo curiosa della sua imminente risposta. 

Wayne si bagna le labbra con la lingua prima di rispondere. «Le meduse sono belle da lontano, ma appena qualcosa le sfiora la attaccano, pensando che tutto sia una minaccia.» Si passa una mano tra i capelli dorati, che sembrano morbidissimi e mi viene spontaneo chiedermi come faccia a mantenerli in quello stato anche con l'Apocalisse qui fuori e l'acqua per lavarsi razionata.

«Non ero così quando l'ho fatto» rispondo subito sulla difensiva, appurando immediatamente la sua teoria appena descritta. 

«Vedi, eccola qui che è tornata» ribatte ridacchiando. «Capisco perché tu sia cambiata, sarei uno stupido a negarlo. Non ti conoscevo prima, ma credo che la vecchia Kayla spunti qua e là ogni tanto.»

«Ho l'impressione che tu sia rimasto lo stesso invece» dico, sorridendogli.

«Più o meno.» Per qualche attimo la sua espressione si rabbuia e spero di non aver risvegliato in lui ricordi troppo dolorosi. «Non organizzo più feste quando ho casa libera» risponde invece scherzando, riuscendo in poche parole a risollevare l'intero morale.

«Ah, perché, esisteva davvero qualcuno che lo faceva?» ribatto scherzosa, limitando la mia risata a causa della ferita, punzecchiando il suo braccio con il mio indice.

Annuisce, fingendosi oltraggiato, lasciando piano piano morire la sua fragorosa risata. 

Sposto lo sguardo distrattamente verso la finestrella della stanza, senza far caso a ciò che c'è effettivamente al di fuori di essa; momenti come questi sono rari e devo tenerli al sicuro dentro al mio cuore per riscaldarlo nelle giornate più buie e gelide, quando tutto sembra perduto ed inutile. Noto con la coda dell'occhio Wayne seguire il mio sguardo e voltarsi verso la fonte di luce.

«Ha ricominciato a nevicare» dice, distogliendomi dai miei pensieri. «Credo di dover tornare al lavoro, allora» conclude, appoggiando le mani sulle coscie ed alzandosi subito dopo. Mi fa l'occhiolino con tanto di dita a pistola ed esce dalla mia visuale, non prima di avermi ordinato di rimanere a letto tranquilla e di cercare di riposare, finché mi era possibile.

Invece di rimanere sola come credevo, dall'uscio spunta una testolina nera e delle mani appoggiate allo stipite. Gli occhi di Ebony diventano subito vivaci quando capisce che sono sveglia e che è - finalmente - il suo turno di entrare. 

«Ciao, peste» la saluto dolcemente, facendole cenno di avvicinarsi al letto con la mano. «Fai piano stavolta.» 

Come stesse eseguendo un ordine, si avvicina lentamente e con la stessa cautela mi abbraccia il torso, dandomi due grandi baci sulla guancia. La stringo a mia volta con il mio braccio, muovendo su e giù la mano sulla sua piccola e minuta schiena.

«Ho così tante cose da raccontarti!» dice emozionata, quasi saltando sui suoi stessi piedi e battendo le mani felice. 

«Vai!»

«Allora, io e Dylan abbiamo trovato dei pennarelli, sono tutti così belli, solo che alcuni sono scarichi. Non lo dire a nessuno, ma abbiamo fatto dei disegnini su un muro.» Mi fingo sorpresa, mettendo la mano alla bocca per enfatizzare l'azione, mimando poi una zip che si chiude sulle labbra stesse, facendole capire che avrei mantenuto il suo grande segreto.

«Poi, abbiamo fatto la finta famiglia e io ero la mamma, Matthew il cane-»

«Il cane?» la interrompo ridacchiando.

«Ha scelto lui!» si difende, aprendo le braccia per incrociarle al petto due istanti dopo. I bambini e la loro fantastica fantasia. «E poi Calum mi ha fatto le trecce!»

«Manco per due giorni e già mi sostituisci come tua unica parrucchiera» rispondo, voltando la testa dalla parte opposta alla sua, ma con un sorriso enorme stampato in viso.

«Tu sei la prima scelta, lui può essere la seconda, anche se deve ancora fare tanta pratica.»

«Credo di poterlo accettare.» Ebony ridacchia divertita.

«Posso stendermi con te?» mi chiede, la vocina di una dolcezza incredibile. Annuisco e le faccio spazio sul materasso, alzando la coperta. 

Si infila veloce al di sotto, appoggiando la testa sulla mia spalla e prendendo tra le sue dita una ciocca dei miei capelli, rigirandosela tra le dita in un silenzio confortevole. Piano piano, sento la stanchezza tornare dentro di me e decido di chiudere gli occhi, consapevole che tra pochi istanti mi sarei addormentata con la persona più importante della mia vita tra le braccia.

***

Mi sveglio di colpo a causa di un forte rumore proveniente da fuori la stanza. Ebony ha ancora gli occhi chiusi - non sapevo nemmeno si fosse addormentata - e la mano destra appoggiata sul mio petto. 

Di nuovo un forte rumore. Forse se lo ignoro passerà. Riprovo a chiudere gli occhi. Passa solo qualche istante prima di sentire qualcuno gridare, anche se le parole sono tutte confuse. Non riesco a starmene qui seduta ad aspettare che qualcuno venga ad aggiornarmi su ciò che sta succedendo. So benissimo che alzarmi in queste condizioni è un gravissimo rischio per la mia ferita e oltretutto, Wayne mi ha ordinato di non farlo per nessuna ragione al mondo se voglio che guarisca il prima possibile. Ma non ce la faccio ad aspettare.

Sveglio quindi Ebony, la faccio scendere dal letto. Mi tiro su seduta - non senza gemiti di dolore -, appoggiando per qualche istante il tronco alla parete fredda del muro per stabilizzare i miei giramenti improvvisi.

«Cosa stai facendo?» mi chiede Ebony, non appena mi vede spostare le gambe giù dal letto.

«Aiutami ad alzarmi» le ordino, ignorando la sua innocente domanda. Ebony prova a ribattere, ricordandomi che non posso alzarmi ma, per una seconda volta, faccio finta di non sentirla e mi tiro su in piedi, trattenendomi dal lasciare uscire dalle mie labbra un’imprecazione di fronte a lei.

Ebony allora mi viene subito al fianco sano, avvolgendomi con le sue braccia per cercare di aiutarmi a tenere l’equilibrio. Appoggio una mano sulla sua spalla, stringendola appena muovo un passo, rendendomi conto che il mio peso è troppo per lei. Piano piano, arriviamo alla porta della stanza, una mano sulla sua spalla, l’altra tremolante sul muro. C’è ancora qualcuno che sta gridando: mi si contorce lo stomaco, anche se non riesco ancora a capire le parole. Di sicuro, non è niente di buono.

Con una lentezza incredibile, riesco ad arrivare alle scalinate della palestra - per fortuna non troppo lontane dall’infermeria -, anche se cerco di combattere l’impulso di sedermi a tutti i costi. C'è un gruppo abbastanza numeroso di gente raggruppata vicino alle porte: non sono tranquille, continuano a guardare freneticamente da una parte all'altra. Il fatto solo che siano vicino alle porte non mi tranquillizza affatto.

«Giuro che sparo!» Eccola la voce che mi ha svegliata. Ecco cosa sta dicendo.

Il battito del cuore aumenta di colpo, il senso di ansia che prende il suo posto stabile alla bocca dello stomaco. 

«Ebony...» Mi volto solo per non trovarla più alle mie spalle, al suo posto solo uno spazio vuoto. Con una situazione del genere dovevo assicurarmi che lei rimanesse lontana da qui, ma è troppo tardi a quanto pare.

Mi concentro su ogni spazio della palestra, provando ad individuare i suoi capelli neri o i suoi occhi, ma senza risultati.

«Non ce la faccio più!» La voce maschile ritorna, facendomi trasalire per quanta potenza e rabbia caricano il suo tono di voce.

Non posso rimanere qui, sperando che la situazione si calmi, senza effettivamente capire cosa stia succedendo; so solo che ha una pistola e non mi sembra esattamente nel pieno delle sue capacità mentali.

Arrivo alla cerchia più esterna di persone e, in quella più stretta, intravedo la madre di Calum che sta cercando in tutti i modi di tranquillizzare l'uomo, che non ha un bell'aspetto: ha gli occhi rossi, gonfi, il viso completamente rosso, in preda al completo terrore e rabbia.

«Cosa ci fai tu qui?!» Trasalisco per una seconda volta, il braccio di Calum che si allaccia al mio corpo e comincia a tirarmi dalla parte opposta.

Mi libero dalla sua presa, ritornando a dove ero prima. Il ragazzo mormora un'imprecazione quasi impercettibile per tutto il baccano qui intorno.

«Clark, per favore, dammi la pistola. Risolviamo questa cosa parlando, okay?» dice la madre di Calum, Johanna, con un tono di voce talmente delicato e gentile che sembra quasi cancellare la tensione nella stanza.

L'uomo abbassa l'arma, prima puntata verso il pubblico, chiudendo gli occhi per soppesare le sue parole. In questo improvviso silenzio, vengono in risalto quegli orribili tonfi e versi strozzati che provengono dalla parte opposta della porta. Il problema stava influenzando tutti quanti, tranne me che dall'infermeria e dal mio stato di spossatezza non riuscivo a sentire nulla.

«Non possiamo risolverla parlando. Non c'è via d'uscita...» ribatte l'uomo con lo sguardo fisso sul pavimento. Un singhiozzo scuote completamente il suo corpo e noto una piccola goccia toccare il suolo tra i suoi piedi. Si prende la testa tra le mani, stringendo i capelli. «… non ce la faccio a rimanere qui… non ce la faccio più. Voglio solo mettere fine a tutto questo rumore!» Il suo lamento iniziato con un sussurro finisce presto in un urlo.

In uno scatto veloce si porta la mano armata alla testa, le lacrime che ora scendono copiose sul suo viso, trasformato in un'espressione finita. «Non è più solo nella mia testa.» Fa un cenno verso la porta con il capo.

«Ehi! Ehi, ti prego, ti supplico. Non farlo.» La voce che mi sembra uscire da sola dal mio corpo. «C'è una via d'uscita, c'è sempre. Lascia che ti aiutiamo, per favore.» 

L'uomo stringe ancora più chiusi i suoi occhi, scuotendo la testa. «Non c'è speranza!»

«Non so cosa tu abbia passato, ma so che tu sei importante. Per noi. Sei importante per te stesso. Io-noi siamo orgogliosi di te» inizio, facendo qualche passo traballante avanti con le braccia aperte ai miei lati. «Sei un sopravvissuto. Ci vuole coraggio a rimanere in questo mondo e tu, proprio tu, ne hai da vendere. Credo in te, so che ce la puoi fare.» Avvicino una mano verso la sua, sperando in una risposta positiva.

Mi sorprende quando decide di prendermela e darle una forte stretta. Tutto si sarebbe risolto ora.

«Mi dispiace.» La sua voce impercettibile, mentre l'indice preme veloce sul grilletto.

Lo sparo rieccheggia più del dovuto nelle mie orecchie. Mi sembra di stare guardando la scena da lontano. Il suo corpo cade in modo terribilmente sconnesso a terra. La mano tiepida che scivola veloce dalla mia. Mi viene la nausea. Indietreggio di qualche passo.

Gli “spettatori” hanno le mani sulle bocca, alcuni gli occhi serrati, le mani sulle orecchie, presto molti danno le spalle alla scena. Io mi sento paralizzata. 

Vedere qualcuno morire davanti ai propri occhi è un trauma, qualsiasi legame si avesse con quella persona. Prima Reece. Adesso Clark. Lo so che non è colpa mia. Forse avrei potuto fare di più. Ci credevo davvero a quelle parole? Forse avrei potuto salvarlo dal proiettile. Forse non avrei potuto fare niente, perché la sua battaglia era contro un altro tipo di mostri.

   
 
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