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Autore: Urban BlackWolf    23/12/2019    3 recensioni
Come la vite, ogni essere umano ha un lato esposto al sole ed uno all’ombra. Un lato più caldo ed uno più freddo, che non sempre riescono a convivere, anzi, che spesso e volentieri cozzano l’uno contro l’altro creando dissonanza, una profonda lacerazione interiore che rende tutto confuso e complicato.
Come la vite, ogni essere umano porta frutto e lo dona agli altri, ma a seconda delle stagioni e delle cure ricevute, lo fa generosamente o meno.
Come la vite, ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato, spronato e protetto per dare il meglio di se, senza soffocamenti o costrizioni.
E come la vite che allunga i tralci verso la pianta accanto, anche gli esseri umani sono alla costante ricerca dell’anima affine alla quale potersi tendere ed intrecciare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Starlights, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Deflagrazione

 

Mamoru se la guardò di soppiatto indeciso se dire o meno qualcosa. Forse aveva sottovalutato la cosa, forse la melma nel quale erano state in procinto di sprofondare Le ragazze Tenou era veramente più densa dell’immaginabile. Prova certa delle elucubrazioni dell’uomo era l’enorme chiazza annerita sul terreno davanti a loro.

“L’hanno fatto sparire.” Sussurrò Giovanna scuotendo la testa.

Il loro peugeottino si era dissolto, mangiato dalle fiamme come fosse stato di legna stagionata. Ma non erano certo state loro a divorarne la consistenza, ma una mano molto meno nobile. Sparita la sua carcassa annerita, sparite le prove di un qualsivoglia incidente. In una manciata di ore quello che era stato, se pur clandestinamente, un tracciato rallistico, era tornato un’insieme caotico di sterrati e spiazzi di un sottobosco come ce ne sono tanti. Sembrava assurdo, ma complice il temporale di calore che aveva spruzzato la terra il pomeriggio precedente, anche le impronte lasciate dagli pneumatici delle varie auto sembravano essersi dissolte.

Così era come se Haruka non avesse mai provato a farcela. Non avesse corso. Non avesse rischiato la vita.

“Non che con quell’ammasso di lamiere ci avrei fatto qualcosa, ma farlo sparire così…”

“Già… E’ gente accorta e molto pericolosa. E’ una fortuna che siano spariti anche loro, o vi hanno contattate?”

“No. Non avrebbe avuto senso riscuotere una cosa che avevano già in tasca prima del via.”

Mamoru le porse il casco di Haruka ritrovato tra le radici di un grosso albero. “Questo però non l’hanno trovato. - Sorrise mesto. - Posso chiederti quanto si sono fatti pagare?”

“Te lo direi se lo sapessi, ma ha fatto tutto lei. Non sai quante volte ho provato a chiederglielo, ma lei ha sempre glissato sfornando quel suo solito sorrisetto ammaliatore rassicurandomi che di questo non dovevo preoccuparmi. E invece …, preoccupata lo sono e parecchio. Saranno dolori se come penso ha chiesto denaro ad un qualche strozzino.”

Prendendo il casco se lo rigirò fra le mani. “Avrebbe vinto, ne sono sicura.”

“Anche io. Avrà anche la testa più dura del granito, ma tua sorella ci sa fare con le macchine.”

“Vero.” Disse lei iniziando ad incamminarsi verso il declivio poco oltre.

“Con il terreno appena comprato da mio padre e la casa che sto finendo di ristrutturare, attualmente non dispongo di molti liquidi, ma se siete in difficoltà posso riuscire a svincolare qualche obbligazione.”

Giovanna fu lietamente sorpresa da quella garbata quanto generosa proposta, ma proprio non era il caso. Aveva infatti saputo da Usagi che per riuscire ad acquistare quel pezzo di vigna ai margini dei terreni del vecchio Kiba, Mamoru aveva dato fondo a tutti i suoi risparmi e la cosa aveva del grottesco se si considerava il fatto che fosse l’unico erede dell'uomo. Quel padre severo ed austero non avrebbe mai dovuto chiedere denaro ad un figlio sempre pronto al lavoro duro, anzi, ci si sarebbe aspettati di vedergli consegnata la terra come anticipo della sua eredità. Nel venire a conoscenza della compravendita, tutte le sorelle Tenou, Giovanna in testa, erano rimaste molto interdette da un simile comportamento.

Come se avesse potuto leggerla nella mente Mamoru cercò di ribadire l’offerta forte della parentela che da li a qualche mese li avrebbe legati. “Passi per la cocciutaggine di Haruka, ma spero che almeno tu capisca che mi farebbe immensamente piacere venirvi incontro. Ci conosciamo da sempre Giovanna.”

“Proprio per questo dovresti sapere che pur non avendo nella testa lo stesso granito, sono anch'io molto caparbia. - Fermandosi già con un piede sullo sterrato si voltò verso l’amico poco dietro. - I buoni vincono sempre e più la situazione si fa disperata e più la salvezza è d’effetto.” Disse sorridendogli con la stessa sfacciataggine che contraddistingueva Haruka dal resto delle sorelle.

Mamoru non approvò. “Ti ho sempre ritenuta la più saggia ed equilibrata di tutte, perché allora mi sembra di stare parlando con Haruka?”

Alzando le spalle Giovanna ammise di non saperlo, ma di essere ancora un’inguaribile ottimista. “Qualcosa accadrà, vedrai.”

“Non fare la sciocca e pensa anche alle più piccole….”

“Non è accettando i tuoi soldi che i nostri problemi spariranno!” Tagliò corto aggirando il Suv che l’uomo aveva usato per accompagnarla sul luogo dell’incidente.

Attendendo il disinserimento dell’antifurto se lo guardò improvvisamente seria. Non sarebbero stati quei due soldi, anche se dati con tutto l’amore ed il rispetto possibili, a risolvere la loro disgraziata situazione. “Inoltre credo tu abbia già i tuoi bei problemi, Mamo.”

“Cosa intendi dire?” Chiese aprendo lo sportello lato guidatore.

Imitandolo Giovanna si sedette comodamente sul sedile in pelle allacciandosi la cintura. “Usagi si è fatta scappare che sei preoccupato per alcune spese fatte ultimamente da tuo padre. Perciò credo non sia il caso che tu dia ad altri del denaro che invece potrebbe servire ai Kiba.”

Bloccando l’atto di accendere l’auto lui voltò di scatto la testa e sgranandole contro il nero dei suoi occhi scoppiò a ridere una frazione di secondo dopo.

“Cosa ci sarebbe di tanto buffo?” Chiese lei leggermente piccata.

“Ma guarda un po’ quella pazzerella della mia testolina buffa!” Riuscì ad articolare tra una risata e l’altra.

“Ha forse capito male?”

“No Giò… Sono stato io a non scendere nei particolari.” E prendendo un grosso respiro le chiarì la situazione.

“Perciò l’azienda Kiba non sta affrontando un brutto periodo.”

“No. Dopo aver calcolato i danni lasciatici dalla tempesta di un mese fa, anche io credevo che avremmo dovuto chiedere un prestito bancario, invece grazie al cielo non è servito. Però pur avendola superata non è certo il momento di spendere e spandere, eppure da quest’orecchio mio padre sembra non volerci sentire. Sta continuando a fare acquisti folli e senza senso come comprare macchine agricole notevolmente costose.”

“Notevolmente quanto?”

“Ti basta una vendemmiatrice semovente nuova di zecca?”

Giovanna serrò la mascella guardandolo inserire la marcia. Una macchina dal costo vertiginoso. Cinque zeri che sul listino di mercato facevano impallidire anche il valore di una Mercedes come quella di Michiru.

“Ha staccato un assegno e tanti saluti?”

“Esatto. E la cosa buffa è che ne abbiamo già due in perfetto stato. Vien da se che pur avendo molti ettari da lavorare quella macchina non ci serve.”

“Magari te la vuole regalare per aiutarti con il raccolto della tua nuova vigna.” Osò e questa volta lui non rise, ma ci andò molto vicino.

“Adesso capisco da quale sorella Usagi ha preso la sua enorme ingenuità.”

Doveva forse prenderla come una critica alla buona fede che stava dimostrando verso il vecchio Kiba?

“Spiegati.”

“Vuoi che un genitore che abbia venduto al figlio una parte dei terreni che in ogni caso gli sarebbero spettati di diritto, pensi a fargli un regalo tanto costoso? In più, con questa nuova aggiunta al parco macchine saremo costretti a lasciare a casa una decina di braccianti stagionali e la cosa mi rende furioso.”

“Magari vuole affittarla a qualche altro produttore della zona.”

“E’ la prima cosa alla quale ho pensato, perciò mi sono attaccato al telefono e ho fatto un giro di telefonate e tutte le aziende della Cooperativa mi hanno detto la stessa cosa; che non sono mai state contattate da mio padre per un ipotetico affitto per una vendemmiatrice. Insospettito sono allora andato a guardarmi tutti i libri contabili degli ultimi mesi e ho scoperto che il denaro per quella macchina non è uscito dal conto dell’azienda.”

“Perciò tuo padre avrebbe pagato direttamente di tasca sua.”

“Esatto. Ben strano, non trovi? Hai un’azienda con la quale puoi scaricarti alcune tasse e invece dai fondo alla liquidità del tuo conto personale.”

“Inoltre acquistare una macchina che sul mercato vale cento volte il salario medio di dieci stagionali, non mi sembra una mossa economicamente furba.” Disse lei dispiacendosene.

Con la sua famiglia il vecchio Kiba si era sempre comportato più che egregiamente, sia prima che dopo la morte dei suoi genitori. Al suo ritorno a casa, Giovanna era stata informata da Minako che spesso l’uomo si era offerto di aiutarle, soprattutto dopo che Mamoru aveva iniziato a frequentare Usagi. Atti di buon vicinato dunque, conditi con il sodalizio del legame che presto avrebbe portato le due famiglie ad unirsi in un matrimonio. Ora sapere queste cose la rendeva inquieta.

“Hai ragione Giovanna, anzi è una mossa che mio padre non farebbe mai.”

“Forse è solo un vezzo molto costoso. Gli uomini arrivati ad un certo punto della loro vita tendono a farsi dei regali.” Disse lei non credendoci per prima.

“Allora ti compri una decappottabile.”

“Tu che idea ti sei fatto?”

In vista dell’immissione con la provinciale, sospirò controllando lo specchietto alla sua sinistra. “Mio padre non è mai stato il tipo da gettar via soldi per un giocattolo. Potrebbe esserci un'altra spiegazione, ma prima d'incolparlo di qualcosa devo vederci chiaro. Ho intenzione di avere un confronto con lui il prima possibile.”

 

 

Quando riaprì gli occhi non provò che uno stranissimo torpore. Nessun dolore o quel senso di nausea che l’aveva accompagnata per tutto il tragitto dal campo di gara all’ospedale. Una volta svanito l’effetto dell’adrenalina, Haruka si era ritrovata spezzata nel corpo e nello spirito. Quattro costole incrinate ed una lussazione non erano niente se paragonate all’avvilimento che provava per aver gettato tutto alle ortiche. E prima o poi sarebbe arrivato il momento di sputar fuori tutta la verità e dire alle sue sorelle cosa aveva messo sul piatto in quell’ultima mano di poker.

“Meglio prima che dopo.” Sospirò decisa ad alzarsi, ma non ricordando il dolore acuto provato fino alla somministrazione dell’antidolorifico, si mosse dal suo letto troppo e troppo rapidamente.

La bionda soffocò nella gola un gemito. Ecco perché non stava provando dolore; era rimasta distesa chissà per quanto, avvolta dall’effetto degli analgesici che le avevano sparato in vena. Ora, a distanza di ore, il suo povero corpo stava iniziando a risentirne.

“O porco…" Soffiò smorzando il respiro come aveva fatto sulla durezza del terreno appena riavutasi dall’incidente.

Istintivamente si toccò il costato e lo sentì gonfio. Spostando le lenzuola alzò la maglietta e lo vide tumefatto. Tornando a chiudere gli occhi iniziò allora ad aprire e chiudere la mano sinistra. A differenza delle costole che non erano state fasciate, il suo braccio sembrava aver ricevuto lo stesso trattamento di una mummia egizia. Bloccato a novanta gradi. Senza possibilità di un qual si voglia movimento.

Sono decisamente all’inferno! E chiunque avesse conosciuto un minimo quella donna tutto argento vivo, avrebbe potuto scommettere che impossibilitata in un letto avrebbe resistito ben poco. Neanche la varicella o il morbillo presi da ragazzina erano riusciti a chiuderla in una stanza per più di due giorni, figuriamoci qualche ammaccatura.

Messo a fuoco che non avrebbe potuto alzarsi per un bel po’, un senso d’ansia iniziò a montarle dentro. “Devo uscire di qui!” Comandò a se stessa e al cielo mentre provando a fare perno sul gomito destro si faceva uscire dalle labbra un altro gemito.

“Vaffan…” Un paio di colpi alla porta le mozzarono anche quel poco sfogo che le rimaneva.

“Haru, sei sveglia?” Si sentì piano dal corridoio.

“Si Usa, entra pure.” Accantonando la frustrazione ed il dolore che pulsante era tornato sincrono ad ogni singolo respiro, si ricoprì alla bene e meglio guardando la sorellina far capolino dall’anta.

“Come stai?”

Una merda, avrebbe voluto dirle, ma si limitò a stirare le labbra e a chiederle che ore fossero.

“Abbiamo appena finito di pranzare. Hai dormito quasi ventiquattro ore. Hai fame?”

In effetti. Corrugando la fronte l’altra scosse affermativamente la testa. “L’erba cattiva non muore mai.” E sogghignando alla sua resilienza si procurò l’ennesima fitta.

“Vuoi che ti porti qualcosa? Mina ha fatto del brodo.”

Brodo? Lei avrebbe mangiato un bue, altro che brodo. “Sarò anche mezza acciaccata, ma quella roba è da ospedale.”

“Ieri ti ci abbiamo portata…” Sottolineò la biondina seria.

Haruka si ricordò che l’ultima volta che Usagi aveva messo piede in quella struttura era stata alla morte dei loro genitori, quando chiamate dal Pronto Soccorso erano accorse tutte e quattro ancora ignare della gravità dei fatti.

“Scusami. Non avrei voluto, ma è andata così. - Un lieve colpo al materasso e la invitò a sedersi. - Vieni qui piccoletta.”

Pur se negli ultimi mesi il rapporto tra le due era andato incrinandosi a causa di Mamoru, Usagi adorava Haruka e la cosa era reciproca. Minako, Giovanna e la piccola di casa, erano per la bionda il microcosmo sul quale ruotava tutta la sua esistenza. Le amava tutte e tre e con tutte aveva un rapporto unico. Giovanna era per lei un’ancora, Minako il sole caldo per riposare le ossa e Usagi l'usignolo canterino che riusciva sempre ed in maniera totalmente innocente, a rasserenare il suo cuore irrequieto.

“Senti male?” Domandò richiudendo l’anta per andarsi a sedere sul bordo del letto. I segni scuri che la maggiore aveva sotto gli occhi non lasciavano troppi dubbi su come si sentisse.

“Solo un po’. - Mentì. - Come va giù da basso?”

“Insomma. Mina e Giovanna sono abbastanza in ansia. A quel che ho capito è a causa della questione della corsa. Non saprei! Qui non mi dice mai niente nessuno.”

Ed era vero. Troppo spesso le altre tendevano ad allontanare dalla sorellina ogni preoccupazione e all’adolescente la cosa iniziava a pesare parecchio.

Haruka soprasedette alla critica che naturalmente includeva anche lei. “Non ricordo assolutamente nulla di quello che hanno detto i medici. Quanti giorni dovrò portare il tutore?”

“Tre settimane. Stesso tempo ti servirà per far guarire le costole. Sempre se farai la brava, s’intende.. Anzi… è quasi ora che tu prenda l’antinfiammatorio.” Disse improvvisamente attiva.

Storcendo la bocca Haruka si sentì gli occhi nuovamente pesanti e pensò vigliaccamente di spostare di qualche altra ora la sua salita sul patibolo. Accarezzando il braccio della sorella le sorrise dolcemente.

“Mi porteresti qualcosa da mangiare che non sia la brodaglia di Mina?”

“Agli ordini!” Scattò in piedi tutta contenta.

“Usa…”

“Si?”

“Michiru?” Chiese vedendo uno strano quanto marcato sorrisetto impertinente nascere sulle labbra dell’altra.

“Hai fatto preoccupare anche lei! Poverina, si vede che cerca di prodigarsi in ogni modo, ma non volendo sembrare troppo invadente non sa bene cosa fare. Dovrai chiederle scusa sai…”

“Certo, chiederò scusa anche a lei. Dovrà mettersi in fila però. E Usa… Appena senti Mamoru ringrazialo da parte mia.”

Già sulla porta la biondina scosse la testa facendo vibrare i lunghi codini. “Questa volta sarai tu a farlo. Non sono il tuo piccione viaggiatore. Non puoi tenermi fuori dalle questioni importanti e pretendere poi che ti tolga le castagne dal fuoco.” E così dicendo uscì lasciandola sola.

Ha ragione. Farò anche questo…, come tutto il resto.

 

 

 

Haruka passò altri due giorni tra il dormiveglia, il nervosismo e la solitudine. Era stata tassativamente ignorante nell’urlare a tutti di starsene fuori dai piedi. Giovanna aveva cercato d’imporsi forte del fatto che stesse male, avesse bisogno di lavarsi e che la stanza fosse anche la sua, ma non c’era stato verso. L’inrascibilità di Haruka avrebbe fatto saltare la vena del collo anche ad un mistico e Giovanna non era certo in odore di santità. Così per quieto vivere aveva deciso di spezzarsi la schiena sul divano dello studio, lasciando a Minako l’onere di portarle i pasti nell’attesa che all’istrice ferito migliorasse l’umore.

“Non ne posso più! La prossima volta che vuole andare in bagno ci vai tu.” Crollando sul divanetto del giardino d’inverno, Mina guardò nervosa la fiamma di una delle candele che all’imbrunire erano solite accendere per tenere lontani gli insetti.

“Da me non vuole neanche farsi cambiare la maglietta. Dice che ho le mani troppo pesanti.” Le rispose Giovanna allungando la colonna dopo l’ennesima giornata di lavoro.

“Allora chiediamo a Michiru. Lo farebbe volentieri. Usagi è troppo mingherlina.”

“Idea che nostra sorella ha già bocciato il primo giorno. Per carità …, dovesse farsi vedere fragile o con un capello fuori posto. Come se a Michiru fregasse qualcosa.”

E guardandosi complici iniziarono a ridacchiare come due collegiali. Non era certo un segreto che ad Haruka piacesse la forestiera, ma dopo lo spavento dell’incidente, anche in Michiru sembrava essere scattato qualcosa. Era nata in lei un’apprensione violenta, stridente con un carattere controllato come il suo. Il veto che Haruka aveva imposto di non farla salire al piano superiore per non rischiare d’incontrarla e farsi vedere tanto fragile, era ridicolo e aveva avuto come effetto quello di portare Kaiou alla nevrosi. La violinista voleva vederla, sentire dalla sua voce come stesse e non tramite le solite frasi che a rotazione le davano le altre.

“Vedrai che prima o poi Michiru si stancherà di questa situazione e butterà giù la porta.” Disse Minako incrociando le braccia al petto lasciandosi ipnotizzare dalla fiammella.

“Probabile.” L’appoggiò Giovanna non immaginando che in quel preciso istante la donna stava realmente per farlo.

Fronte aggrottata, occhi socchiusi, sguardo fisso all’anta di legno scuso della camera della bionda, Michiru strinse il pugno della mano destra portando le nocche a provocare l’inconfondibile suono di un qualcuno che bussa.

“Haruka... Sono Michiru… Posso?” Ma dalla parte opposta nessuna risposta.

Kaiou digrignò i denti fino quasi a farsi male. “Lo so che a quest’ora non dormi. Vuoi cortesemente rispondermi o devo fregarmene dell’educazione ed entrare lo stesso?!” Ancora niente.

Afferrando decisa la maniglia stava per forzarla quando l’ultima porta del corridoio, quella di uno dei due bagni presenti sul piano, si aprì lasciando emergere una bionda piuttosto scoraggiata.

Alzando gli occhi dal pavimento Haruka inquadrò Michiru ferma davanti alla sua camera e fu il panico. Il suo primo impulso fu quello di rientrare nel bagno, ma non lo fece. E non perché in quel momento si sentisse particolarmente impavida o affascinante, ma perché in quei due giorni era stata troppa la voglia di vederla e troppo poco il coraggio per farlo, che nel trovarsela davanti in un certo senso ringraziò il cielo per la cocciutaggine dimostrata da quella splendida dea.

“Ah..., sei tu…” Se ne uscì prima di mordersi la lingua per l’ennesima frase cafona.

Ma l’altra non rispose limitandosi invece ad inclinare leggermente la testa da un lato. Non poteva prendersela con quella bionda irritabile. Proprio non poteva. Così conciata Haruka le ricordava un piccolo falchetto bizzoso bagnato dalla testa ai piedi. Un’ala spezzata ad impedirgli di volare, le penne tutte arruffate e lo sguardo torvo di chi è costretto a restarsene nel nido mentre il resto della famiglia lo ha lasciato per librarsi tra le correnti.

“Ma cosa hai fatto?” Chiese cercando di non ridere mentre la bionda avanzava ciabatte da mare ai piedi inzaccherando il parquet del corridoio.

“Non si vede? La doccia!”

Bagnata fradicia, il tutore stretto al corpo, l’accappatoio messo su in malo modo; una manica si, una manica no. In quel momento per la violinista fu la visione più dolce e tenera del mondo. Proprio quello che Tenou non avrebbe mai voluto.

“Che c’è!? Perché mi guardi così? - Abbaiò entrando nella sua stanza. - Tu non ti lavi mai?”

Kaiou la seguì alzando le sopraciglia alle gocce che come un neo Pollicino stava formando ad ogni passo. “Si, ma di solito dopo mi asciugo.”

“Ha ha, buona questa! Prova a farti una doccia e a lavarti i capelli cercando di non bagnarti il tutore e a non farti male al costato, poi ne riparliamo.”

Richiudendo la porta Michiru le chiese del perché non avesse chiamato una delle sue sorelle.

“Ho tirato troppo la corda, ecco perché. Ho esagerato. Sono stata intrattabile e ho voluto provare a farcela da sola, ma il fatto è che con queste maledette ossa a farmi tanto male ho fatto più fatica del previsto.” Massaggiandosi il fianco destro andò a sedersi sul bordo del letto vedendola fermarsi davanti a lei mani nelle mani.

“Potevi chiederlo a me.”

No! A lei mai! “Non prendertela a male, ma non sono cose che si chiedono tanto a cuor leggero.”

“Non dirmi che ti vergogni? Conosco il corpo di una donna. - Se ne uscì vedendola irrigidirsi di colpo ed arrossire leggermente. - Va bene, ormai il danno è fatto e il trogolo di fuori anche. Ora cerchiamo di rimediare.” Disse afferrando l’asciugamano che Haruka aveva provato con scarsissimo successo ad avvolgersi in testa.

“Cosa fai?!” Terrore.

“Quello che mi hai impedito di fare in questi giorni.” Ed iniziando a frizionarle forte i capelli fradici Michiru li arruffò provando ad asciugarli alla bene e meglio.

“No… No Michi....No...”

“Sei impossibile, ma con me la tecnica della bambina capricciosa non attacca più!”

“Mi fai male!”

“Stai zitta! Dov’è il tutore di riserva che ti hanno dato al Pronto Soccorso?”

“Nel… primo cassetto.” Articolò umiliata con il viso semi nascosto dall’asciugamani.

Andando alla cassettiera, Michiru trovò il peltro asciutto e la biancheria. “Perfetto! Qui c’è tutto!” Ed estraendo l’intimo lo mostrò alla bionda.

“Va bene questo o hai un colore preferito?”

“Patti chiari Kaiou! So vestirmi da sola.” Minacciò alzando l’indice.

“Si, come le bimbe grandi, lo so.” Sfotté arpionando la manica destra dell’accappatoio per sfilargliela subito dopo. Ritraendosi Haruka le dilatò addosso due fari verdi intensissimi.

“La crema?” Incalzo’ la violinista.

Neanche nella fantasia più spinta la bionda si sarebbe mai immaginata una scena simile; lei mezza nuda e nella sua stanza una donna fantasmagorica di tale caratura a farle da infermiera. Ma per la prima volta in vita sua si sentì bloccata in un angolo. Facendole cenno con il mento indicò il piano del comodino accanto a loro.

“Posso mettermela da me!” Pudica si strinse nella spugna provando a coprirsi parte del seno.

Aprendo il tubetto e versandosi una copiosa quantità di gel sulle dita, Michiru s’inginocchiò e guardandola dritta negli occhi avvicinò la mano alla pelle del costato.

“Ora stai ferma, non voglio farti male.”

La violinista aveva capito da tempo di avere un forte ascendente sull’altra, ma non aveva mai avuto il coraggio di sfruttarlo. Ora che nel suo cuore stava iniziando ad essere tutto un po’ più chiaro, era arrivato il momento di servirsene. Incatenando le iridi a quelle dell’altra provò a farle scemare l’imbarazzo non guardando altro che quel bel punto di verde. Appena i suoi polpastrelli toccarono il costato sentì il respiro di Haruka bloccarsi. Imputandolo al dolore cercò di essere ancora più delicata iniziando a massaggiare la parte tumefatta con leggerissimi movimenti circolari.

“Va bene così?” Chiese cogliendo un lieve mugolio d’assenso.

Non osando staccare il contatto visivo, passò a slacciarle il peltro fradicio dal collo liberandole il gomito.

“Ne metto un po’ anche qui.” Ed usò la stessa accortezza sull’articolazione.

Con il cuore a martellarle nel cervello Haruka strinse forte le labbra non distogliendo però lo sguardo e la violinista ne approfittò per afferrare il reggiseno abbandonato sul materasso. Capita la mossa successiva, la bionda scattò all’indietro procurandosi l’ennesima fitta.

“Stai ferma… Non ti guardo. Parola. Eppure con così tante sorelle dovresti essere abituata.”

Si, ma tu non sei una delle mie sorelle, pensò l’altra sospirando piano. Una spallina, poi l’altra e Michiru si avvicinò per allacciarle l'intimo alla schiena concedendo al suo olfatto un paio di secondi. La pelle di Haruka sapeva di menta e mela verde e le salì alle narici spinto da un lieve calore. Sorrise, ma persa nel blu dei suoi occhi l’altra non se ne accorse.

“Bene. Non è stato così drammatico, vero?” Poi alzandole di fronte al viso il paio di slip le chiese candida se volesse una mano anche con quelli.

“Ci mancherebbe.”Avvampò Tenou strappandoglieli letteralmente dalla mano.

“Maglietta e pantaloni?”

“Armadio. Anta sinistra. Secondo e terzo cassetto!” Borbottò pregando che si sbrigasse ad alzarsi prima di rischiare un embolo.

Ma guarda che tipo. E chi se la sarebbe immaginata tanto autoritaria, pensò basita, eccitata e sorpresa al tempo stesso mentre Michiru andava al mobile dandole finalmente le spalle. Sono io che metto in soggezione le altre donne! Sono io che sventolo slip! Sono IO! E mentre armeggiava con quel povero indumento prese a fissarle le spalle, la vita e più giù. Quanto stava bene fasciata da quei vestitini di cotone leggero che si metteva la sera.

“Preferenze?”

“No!”

“Allora scelgo io. - E Michiru si stupì dell’ordine che regnava tra i suoi vestiti mentre afferrava quello che le serviva. - Meglio una camicia... Sei presentabile?”

“Si!”

Voltandosi con una camicia nera in una mano ed un paio di pantaloni avana nell’altra Michiru le sorrise e ad Haruka sembrò che tutta la stanza esplodesse. Dio quanto sei bella! E lo era davvero. Gli anni di nuoto fatti da ragazza avevano plasmato un corpo di per se già molto proporzionato, rendendolo accattivante e formoso proprio come piaceva a lei.

Aiutando quella gran zucca vuota ad infilarsi ed allacciarsi la camicia, questa volta Michiru si permise di sbirciare in punti fino ad allora inaccessibili al suo sguardo, tipo la parte alta del seno ed i capezzoli, che la situazione aveva reso un po’ troppo insolenti nonostante la stoffa bianca del reggiseno. Non poté stare zitta.

“Dovresti valorizzarlo di più e non nasconderlo sempre. Ti stanno così bene le canottiere che metti quando sei in vigna." Colpì con malizia affondando in un nano secondo la portaerei Tenou classe A.

“Non… Non dovevi NON guardare?!”

L’ultimo bottone e Kaiou riportò lo sguardo nel suo. Si stava divertendo da morire. “Hai ragione, ma vedi sono anche una donna ed è risaputo che possiamo resistere a tutto tranne che … alle tentazioni.”

Risoluta afferrò il tutore asciutto lasciato poco prima tra le pieghe del letto ed infilandovi il braccio abbronzato dell’altra, allungò le dita alle clavicole della sua personalissima paziente chiudendole lo stretch.

“Tentazioni?” Chiese Tenou.

“Ho detto tentazioni?”

“Hai detto tentazioni!”

Accovacciandosi ai suoi piedi scrollò le spalle. “Non mi sembra.”

Haruka sentì il tocco delle sue dita alle caviglie e si accorse che le stava infilando i pantaloni.

“Riesci ad alzarti?” Chiese Kaiou con il sorriso più sfrontato che la bionda le avesse mai visto su.

“… si.” Tornando lentamente eretta alzò gli occhi al cielo mentre l'altra lasciava che il lino accarezzasse le gambe della bionda arrivando fino alla vita.

“Li allaccio io?” Soffio’ la violinista.

“No, grazie!” Cercando di afferrare i passanti dei pantaloni Haruka si ritrovò con la mano sopra a quella più minuta di Michiru.

L’eternità in un secondo, poi sospirando rumorosamente Kaiou decise d’interrompere quel gioco che tanto le stava piacendo. “Da quando hai saputo chi sono mi stai evitando. Non credevo che fossi una persona che ne giudica un’altra per il denaro che ha o la vita che conduce.” Disse spostando la mano da sotto quella dell’altra.

“E’ questo che pensi di me?!” Abbaiò improvvisamente Tenou tirando su la zip con un movimento secco.

“Non è questo il motivo che da giorni ti sta spingendo a non rivolgermi neanche una parola?”

“Assolutamente NO! Io conosco ed apprezzo Michiru, una donna trovata in difficoltà in una sera d’estate e che ora lavora per la mia azienda, non so nulla della signora Kaiou, la grande violinista, l’angelo del focolare di una villa stupenda.”

Corrugando la fronte quella che non era mai stata un angelo del focolare rispose alla frase che più l’aveva colpita. “Sono una grande violinista, è vero e forse il cognome che porto mi ha aiutato ad avere delle possibilità in più per emergere, ma ho sudato per diventare quella che sono.”

“Allora cosa ci fa qui la compagna esemplare di un principino del pop giovanile?” Era saltato il dente purulento che da giorni la stava facendo impazzire.

“Cosa?”

“Non stai con Seiya Kou?”

“Non più e da parecchio.”

“Allora perché è venuto qui?”

“Vi siete incontrati?!” Nel chiederlo avvertì una certa punta d'agitazione.

“L’ho visto solo da lontano mentre se ne stava comodamente seduto sulla sua Lamborghini e devo dire che ha un certo gusto in fatto di donne e motori.”

Michiru non la schiaffeggiò solamente perché non era nella sua natura e ne avrebbe perso di stile, ma quella frase di cattivo gusto le fece male. ”Voleva parlarmi. Questioni di lavoro. So direttamente dalla sua gemella che hai avuto alcune informazioni sulla nostra vita di coppia, ma se la cosa ti urtava tanto, avresti anche potuto avere il coraggio e parlarne direttamente con me!”

”Non sono affari miei!”

“Tu per me non sei un’estranea, eppure alle volte ti comporti da ottusa. Cosa vuol dire che non sono fatti tuoi! Come se non avessi capito come sono, come se le settimane passate gomito a gomito non fossero servite a niente. Le chiacchiere serali, le risate al pub. Ti sei chiusa in te stessa lasciandomi fuori a domandarmi cosa diavolo ti avessi fatto e cosa ben più grave, ti sei invischiata in una cosa pericolosa come le corse clandestine e ti ricordo, se mai ce ne fosse bisogno, che ne sei uscita viva per miracolo!” - Il tono della voce divenne più pacato. - Avrei potuto aiutarti a trovare un’altra soluzione che non fosse tanto scellerata.”

“Non c’erano altre soluzioni, Michiru.”

“Fai sempre così; ogni volta decidi per tutti. ”Rimarcò il concetto che era stato di Giovanna prima di lei e che a grandi linee, era nei pensieri di tutti quelli che conoscevano abbastanza bene quella bionda.

“Mi ha dato fastidio sapere di lui.” Se ne uscì distogliendo lo sguardo.

“E a me ha dato fastidio vederti uscire dalla rimessa con Bravery.”

“Perché?”

“Potrei farti la stessa domanda.”

Portandole una ciocca di capelli dietro all’orecchio, Haruka tornò improvvisamente la solita guascona. “Mi piace quando li porti così; legati alla nuca. Ti si vede il collo. Sai. io tengo alle donne della mia famiglia e non mi fa piacere saperle con gentucola come quella.”

La violinista fremette a quel tocco, ma si forzò per non darlo a vedere. “Stessa cosa vale per me.”

“Allora vuol dire che mi vuoi bene!”

“Certo che te ne voglio Tenou.”

Dopo essersi beata le orecchie a quella splendida frase, Haruka avrebbe dovuto essere contenta, sprizzare gioia da tutti i pori, perché la donna che desiderava ed ammirava le aveva detto una cosa bellissima, invece diventando improvvisamente seria tornò a sedersi sul letto. Arpionandosi il ginocchio con la mano destra chinò il capo sfinita. “Non dovresti.”

Michiru aveva sempre fatto affidamento sulla linearità umorale di quella donna, perché ora reagiva in quel modo?

“Haru che cosa c’è?” Sedendosi al suo fianco le prese il mento nel palmo costringendola a guardarla.

“Continuate tutti a volermi bene e io non faccio altro che deludervi.”

“Ma cosa dici!”

“Michi… Per partecipare alla corsa ho dato come garanzia una cosa che mi appartiene da sempre, ma questa volta anche le mie sorelle ne risentiranno.” Armandosi di un coraggio enorme iniziò a raccontarle di quella roulette russa che l'aveva portata al suo personalissimo incubo.

Michiru l'ascoltò senza fiatare, commentare o fare domande, poi, una volta conclusa la descrizione minuziosa di quella follia, portandosi la mano alla bocca scosse piano la testa emettendo un no soffocato. Ora era tutto più chiaro; la tensione, l'essere scostante, la solitudine cercata in tutti i modi e a qualunque costo.

“Chi altro lo sa?”

“Per ora soltanto tu. Adesso sai perché non è il caso che qualcuno mi voglia bene.”

 

 

Accortamente si era fatta accompagnare giù da basso trovando le più grandi a parlare nel giardino d'inverno. Usagi chiusa nello studio per l'immancabile telefonata serale del suo Mamoru, era stata chiamata da Michiru che una volta avvisatala che la bionda aveva indetto una riunione di famiglia, si era defilata nella sua stanza.

Abbastanza stupite dal vedersi davanti Haruka lavata e vestita, Giovanna e Minako la guardarono sedersi aspettando l'arrivo della più giovane.

“Come hai fatto a farti la doccia da sola?”

“Con tanta buona volontà.” Ammise evitando di menzionare il dopo.

“Il bagno sarà esploso.” Se la rise Minako forte del fatto che il prossimo turno per le pulizie non sarebbe toccato a lei.

“Tanto sarò io a dover pulire.” Punzecchiò Giovanna, ma la bionda non raccolse.

Immobile con lo sguardo perso al mattonato in cotto fiorentino sembrava non respirare nemmeno. Una statua di sale che mise in allerta la maggiore.

“Vuoi parlarci di quella cosa?” Chiese sporgendosi dalla seduta opposta al divano.

“Si. Devo mettervi a conoscenza delle conseguenze del mio fallimento dell'altro giorno.”

“Hai riportato a casa la pelle! Io non lo chiamerei fallimento.” Minako, forse non ancora del tutto conscia di quello che la sorella aveva dovuto patteggiare per rischiare quella stessa pelle ora livida e malconcia, le porse un cuscino per farla stare più comoda.

“Mina, se lo chiama fallimento, allora vuol dire che lo è. Giusto Haru?” Ferale Giovanna si fece seria ricordando l’ultima frase di senso compiuto che le aveva sentito dire dopo essere ritornate dall’ospedale; tanto adesso è tutto finito.

Accavallando le gambe attese l’arrivo della più piccola dialogando mentalmente con il cielo.

“Eccomi!” Usagi entrò di corsa e appena vista la bionda le stampò un grosso bacio sulla guancia.

“Che bello, ti sei alzata. Hai male?”

“Sopportabile, grazie.”

“Bando alle ciance. Allora Haruka? Per partecipare alla gara quanti soldi hai dovuto chiedere agli strozzini?”

“Niente denaro Giovanna.”

“Strozzini? Per avere i soldi hai avuto bisogno di rivolgerti a quella gentaglia?”

“Zitta Usa, ha detto niente denaro. Lasciamola parlare.”

“Come garanzia ho dato qualcosa di mio.”

Minako intervenne non capendo. “A tuo nome avevi solo la Ducati e ora sappiamo tutte a cosa ti sia servito darla via. Dunque?”

“Spero tu non ti sia azzardata a toccare masseria ed azienda.” Chiese Giovanna sempre più in ansia.

“Assolutamente no! La casa e il ciclo di produzione sono intestate a tutte e quattro.”

“Dunque? Che altro hai oltre te stessa?!” Incalzò Minako, ma Haruka guardando Giovanna aspettò che capisse. Era esausta e non aveva la forza per ammettere anche quell’ultima idiozia.

Qualche secondo, poi scattando in piedi la maggiore squarciò il velo. “Il tuo quarto! - Esplose serrando i pugni. - Il tuo quarto delle vigne!”

Minako e Usagi guardarono allora la bionda che muovendo affermativamente il capo le diede ragione. “Il mio venticinque percento dei terreni coltivabili. Qualche settimana prima della gara sono passata dal Notaio per verificarne l’attuale valore nonostante abbia ancora un mutuo. Poi vista la buona valutazione, sono riuscita a partecipare alla corsa.”

“Ma non hai vinto, perciò...”

“Perciò Usa..., ho perso tutto.”

La deflagrazione fu imponente e micidiale. Tutte capirono immediatamente la portata di quel gesto. Tutte, inclusa la piccola Usagi, che stringendo la maglietta di Minako cercò un qualche contatto.

“Sono mortificata, veramente, ma vorrei che capiste che arrivate al punto dove eravamo, non sarebbe bastata l’uva di quattro raccolti per salvare l’azienda dai creditori.”

“E giustamente tu hai deciso per tutte!” Retorica Minako si staccò la mano di Usagi da dosso per fronteggiarla. Era confusa, ma ancor di più si sentiva offesa e spaventata.

“E ora la tua parte chi ce l’avrebbe? Quella brava gente?”

“Tranquilla, l’avranno già venduta.”

“Tranquilla un cazzo! Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?! Hai tirato giù tutta la famiglia! Con i danni che abbiamo avuto e senza l’uva dei tuoi terreni, non potremmo arrivare neanche alla metà dell’imbottigliamento dello scorso anno.”

“Me ne rendo perfettamente conto e vi chiedo scusa.”

“Tutto qui?! Te ne rendi conto?! Sai che ci facciamo con le tue scuse?”

“Mina finiscila, non serve a nulla inveirle contro.” Giovanna tornò a sedersi tirandosi contro le ire della più giovane.

“E tu perché non l’hai fermata?”

“Minako, Giò non sapeva nulla.” Provò a tirar corto la bionda.

“A certo, non sapeva che avresti voluto gareggiare? Forse ho perso qualche passaggio, ma non avrebbe dovuto farti da copilota?”

“Si, ma non sapeva che avevo puntato tanto forte.”

“Credi sia un’imbecille? Quella è gente che gioca pesante, lo sappiamo tutti. Da anni in città circolano voci su cifre importanti, troppo importanti perché tu Giovanna, non abbia immaginato neanche per un secondo un gesto tanto folle!”

“Minako finiscila! Ho detto che Gio’ non c’entra niente. Come avrebbe potuto sapere di queste voci se è stata via per tre anni.”

La biondina scosse la testa sorridendole beffarda. “Fate sempre così voi due; combinate casini per poi spalleggiarvi e coprirvi a vicenda. Ma questa volta nella merda ci avete trascinato anche Usa e me!”

Haruka era mortificata. Aveva passato giorni a pensare e ripensare a come Minako avrebbe potuto reagire alla cosa, ma forte di un’ipotetica vittoria, aveva sempre cercato di dipingerla rosea. Qualche improperio per essere stata lasciata all’oscuro, un tempo più o meno lungo di bronci e male parole. Poi, una volta estinto il mutuo e ripresa a pieno regime l’attività, tutto sarebbe stato dimenticato. Ma purtroppo non aveva vinto e di roseo ora non c’era assolutamente niente.

“Non so proprio cosa dire Mina, se non che mi dispiace. Ero sicura che avremmo vinto. Ne ero sicura.”

“Lo eri anche dopo aver visto in che razza di stato era il fondo dell’auto?” Se ne uscì Giovanna guardandola feroce.

“Nulla da dire; colpisci sempre dove fa più male.” Soffiò la bionda stirando le labbra in quello che più che un sorriso era un ghigno.

“Scusa Haru, ma sai che ho ragione.”

“Mi sembra di averti già detto che, come innescata la cosa, non potevo tornare indietro.”

“Io invece penso che un modo ci fosse, sarebbe bastato fermarsi un attimo e pensarci un po’ su insieme, ma tu niente, vai sempre avanti per la tua strada come un Panzer d’assalto non ragionando mai a sufficienza sulle conseguenze dei tuoi gesti.” Continuò la maggiore senza tregua.

“Puoi provare ad andare oltre a questa cosa? Il danno ormai l’ho fatto e ora è questo che abbiamo.”

“Certo, fino al prossimo problema, poi ricominceremo tutto da capo; una che propone e l’altra che dispone.”

“In questa cosa non hai mai proposto niente se non quello di chiedermi di aspettare per poi arrivare a mani vuote.”

In quel caso era stata Giovanna a vendere la famosa pelle dell’orso ipotizzando una raccolta fondi tramite l’archetto di Michiru, che però legata contrattualmente alla U.A.F., non aveva potuto accontentarla.

“Almeno sarebbe stata una cosa perfettamente LEGALE…”

”Ma fottiti!”

“Ora basta! - Minako azzittì la diatriba che per l’ennesima volta stava tagliando fuori lei e Usagi. - Non ne posso più del vostro circolo esclusivo! In questa famiglia ci siamo anche noi e non vale solamente quando si tratta di strattonarci dentro qualche fallimento! Ho rinunciato a tutti i miei sogni per rimanere qui a spaccarmi la schiena dietro alla masseria e ora mi dite che siamo… Oddio, neanche ho il coraggio di pensare a dove siamo.”

“Mina…”

“No Haruka, adesso parlo io! Una volta avevo dei progetti, che anche se lontani da qui, mi avrebbero sicuramente arricchito la vita. Poi la morte dei nostri genitori e tu Giovanna, che parti per cercare di salvare l’attività. E io zitta ho accantonato i miei sogni per un po’ continuando a ripetermi che presto saresti tornata, che Haruka avrebbe ritrovato la sua bussola e tutto sarebbe andato a posto. Invece no, sei stata via tre anni ed in tutto questo tempo non ho fatto altro che star dietro ad Usagi che cresceva e andava a mettersi con uno della vostra età, alla casa che invecchiava, al ciclo di produzione che zoppicava, ai fornitori da saldare, alle banche e ad un capo famiglia che non la finiva di trovarsi donne sbagliate e a fare la so tutto io sul lavoro. - La biondina prese un grosso respiro dando fondo alle sue ultime energie. - E ora questo! Venire a sapere che le tue sorelle si sono messe a frequentare il giro delle corse clandestine e che per farlo una di loro ha scommesso il quarto che ci sarebbe servito per chiudere la stagione. Meraviglioso! L' ennesima presa per i fondelli e non voglio essere scurrile, ma sapete che c’è? Anche io avrei i miei cazzi da risolvere!”

Detto ciò imboccò la porta del soggiorno sparendo su per le scale. Mettendosi le mani nei capelli Giovanna s’incurvò sulle ginocchia mentre Haruka prendeva a massaggiarsi la fronte.

“Questa volta il casino è grosso, perciò vedete di metterci una toppa. Non so come, ma se siete veramente a capo di questa famiglia vedete d’inventarvi qualcosa.” Usagi, divenuta tutto d’un tratto gelida, seguì la sorella lasciando le altre nella più totale prostrazione.

“Fosse facile come riparare una camera d’aria…” Se ne uscì la bionda sentendosi le lacrime agli occhi.

“Non credevo che Minako soffrisse così tanto per la scelta di rimanere qui.” Disse Giovanna esausta.

“L’hai sentita no? Non mi sembra che abbia avuto molte scelte con due sorelle come noi.”

 

 

Il pub era affollato come sempre e come sempre Max controllava tutto da un angolo del bancone pronto ad aiutare alla bisogna i suoi dipendenti. Si fidava di ognuno di loro, perché ormai li aveva con se da anni, ma dopo lo spavento per l’incidente occorso ad Haruka, aveva dato a tutti una piccola gratifica tenendo chiuso per un paio di giorni. Si era concentrato sul cercare di cancellare dalla mente l’immagine di Haruka distesa sul retro del suo Pick-up, le pareti verdine della sala del Pronto Soccorso che in tre anni non erano cambiate affatto, le lacrime di Usagi, gli sfondoni di Giovanna, la composta incredulità di Minako. In quei due giorni di perfetta solitudine, aveva provato a non pensare all’impotenza che nuovamente aveva provato quando le porte della sala d’aspetto dell’ospedale si erano aperte costringendolo su una di quelle scomodissime sedie di plastica grigia. Ci aveva provato con tutto se stesso facendo lunghe passeggiate immerso nel verde e stando dietro ai fornelli, cosa che lo rilassava da sempre, ma non era servito a nulla. Avrebbe voluto passare a casa Tenou, ma vista la situazione delicata aveva optato per informali squilli serali. Sapeva che Haruka si stava riprendendo, che aveva appetito e che era nervosa come ogni qual volta era costretta in un letto, ma nient’altro. Era all’oscuro su quale fosse stata la causa che aveva ingolosito Giano a farla gareggiare, ma conoscendo da sempre l’uomo e le sue voglie, Max aveva paura che fosse qualcosa di dannatamente importante

Chiudendo il libro della contabilità lo depose sotto la cassa sorridendo al saluto di un paio di clienti. Era stanco e non fisicamente. Essendo entrato già da un pezzo nell’età della maturità fisica e si spera, intellettuale, in quella questione riusciva a vederci solo nuvole nere. Nessuno sbocco o risoluzione, tanto che sin dalla mattina aveva pensato di andare a parlare con Giano per cercare di salvare il salvabile. Non sarebbe stato facile, ma Max sapeva di avere in mano un asso molto pesante che in quell’ultima partita giocata faccia a faccia con l’uomo, avrebbe potuto regalargli qualche soddisfazione. Erano vent’otto anni che si teneva quella carta nel taschino, ma non aveva mai avuto il coraggio di gettarla sul tavolo del suo personale rapporto con Giano, perché una volta calata, molte cose sarebbero cambiate ed altrettante persone ne avrebbero sofferto.

Pensieroso si soffermò a guardare una delle tante foto di famiglia che tappezzavano senza apparente ordine il muro che portava alla cucina. Dal vetro, una coppia di fratelli sorridenti abbracciati ad immortalare l’inaugurazione del pub. Max stirò le labbra al sorriso luminoso di sua sorella. A differenza sua, Rose avrebbe sbattuto quella carta sul viso di Giano già da molti anni.

Non è giusto! Il ragazzo deve sapere!” Si ostinava a ripetergli ad ogni occasione. Ma a Max era sempre mancata la determinazione della sorella minore e per quieto vivere aveva sempre procrastinato il giorno nel quale quella scomoda verità sarebbe saltata fuori.

Se si rifiuterà di soprassedere sulla garanzia di Haruka, qualunque questa sia, parola d’onore che farò scoppiare la bomba e la sua vita non sarà più la stessa, pensò mentre la voce di una dipendente lo raggiungeva.

“Max, al telefono.”

“Se sono informatori telefonici non…

“E’ una signora. Vuole parlare con te di una cosa parecchio urgente.”

Socchiudendo gli occhi l’uomo si diresse al telefono afferrando la cornetta e riparandosi dietro una colonna, cercò di ovviare alla musica e al chiacchiericcio generale piantandosi il palmo della mano sull’orecchio libero.

“Si?”

Dalla parte opposta una voce che aveva imparato a riconoscere come famigliare.

“O buonasera. Tutto bene? Devo preoccuparmi?... A perfetto, ne sono contento…. Cosa? Si, certo. La mattina dopo le dieci sono sempre qui… Va bene, a domani allora… Arrivederci.”

Riagganciando Max iniziò a strofinarsi la leggera barba incolta del mento. Adesso cosa poteva volere quella donna da lui?

 

 

 

 

Note dell’autrice: Ciau. Già mi immagino frasi del tipo - e adesso chi sarà questa donna misteriosa che vuole incontrare l’uomo?- Oppure, - ma sto Giano chi diavolo è e che cosa potrebbe essere la carta tanto pesante che Max ha da anni?-

Dipanerò tutto nel prossimo capitolo, promesso.

Con l’occasione auguro a tutti un buonissimo Natale ed un nuovo anno al top.

Ci vediamo nel 2020! A prestissimo!

 

 

 

 

 

   
 
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