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Autore: moira78    24/12/2019    3 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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CAP. 22: NASCITE E RINASCITE

Ogni tanto fai spavento prendi tutto e non ti fermo

Amor che nulla hai dato al mondo Quando il tuo sguardo arriverà Sarà il dolore di un crescendo Sarà come vedersi dentro

Quando quest’alba esploderà Sarà la fine di ogni stella Sarà come cadere a terra

Amor che nulla hai dato al mondo Quando l’estate arriverà Sarà il dolore di un crescendo Sarà come riaverti dentro

Ogni tanto penso a te Sposti tutti i miei confini

Amor che bello darti al mondo

(“Ogni tanto”
– Gianna Nannini)



Ukyo non capì se, a svegliarla, fosse stata la scossa di assestamento o il rumore ritmico del telefono che squillava.

Guardò l'orologio sul comodino: mezzanotte.

Di solito a quell'ora era ancora sveglia a rassettare la cucina e a riflettere sulla propria vita, ma quella sera era crollata prima del solito e si domandò chi diamine fosse.

Il cuore accelerò i battiti. A quell'ora potevano solo essere cattive notizie, specie dopo la giornata che si era appena conclusa.

Afferrò la cornetta con mano tremante e fu sorpresa di sentire la voce di Ranma.

Seppe che si trattava di Ryoga prima ancora che iniziasse a raccontare. Non Akane, non qualcuno della famiglia.

Ma il suo Ryoga.

"Vengo subito", riuscì ad articolare con una voce che non le sembrava più appartenere.

Si sentì come se fosse una marionetta che compiva delle azioni meccaniche, non dettate da alcuna volontà: sciacquarsi il viso, vestirsi in tutta fretta, uscire dal locale e chiudere bene a chiave. Correre nelle notte.

Chiuse la mente, impedendosi di pensare, di immaginare, di sperare o di temere.

Finché fosse rimasta fredda, pensava la piccola Ukyo, forse non sarebbe successo nulla di brutto.

***

"Datemi qualcosa, vi supplico!", gridò Nabiki all'infermiera.

Quella si accigliò e incrociò le braccia: "Signorina Tendo, finché la dilatazione non avanza è inutile fare l'epidurale. Bisogna attendere che...".

"Un corno! Mi sto spezzando in due e voi non fate nulla per evitarlo!", ruggì. In un angolo del suo cervello si chiese che fine avessero fatto quei due imbecilli di Kashao e Tatewaki.

Appena ne fosse stata in grado, avrebbe impalato il primo per averla portata proprio all'Ospedale Centrale di Tokyo, dove ovviamente l'avevano subito rintracciata, e per di più con un dannato elicottero che l'aveva fatta vomitare tre volte prima dell'arrivo a terra. Poi, avrebbe sotterrato vivo il secondo per essersi presentato lì come se avesse tutti i diritti del mondo e, soprattutto, per averla messa incinta procurandole tutto quel dolore.

Sperava non si uccidessero a vicenda, perché voleva farlo personalmente, con le proprie mani.

"Come sta la mia partoriente preferita?". L'arrivo del ginecologo di turno le fece venire in mente che, dopotutto, forse avrebbe potuto sterminare l'intero genere umano maschile, magari risparmiando giusto qualche familiare.

***

Kuno Tatewaki era frustrato.

Avrebbe voluto combattere, scaricare la rabbia e la tensione accumulate contro quel pivello, invece aveva dovuto rinfoderare il bokken con un gesto di stizza.

Quel tipo strano, chiamato Kinnosuke Kashao, era un medico praticante e gli stava raccontando una storia assurda riguardante una sfida che aveva sostenuto contro Nabiki anni prima, e di cui lui non era a conoscenza.

Ora stava blaterando di redenzione dalla sua vecchia vita, di amore, di matrimonio e di riconoscimento del piccolo. Era sbiancato quando aveva appreso che lui era il padre del bambino, ma si era ripreso subito e aveva mostrato immediatamente le sue intenzioni.

"Tu non adotterai nessuno. Il bambino è già stato dato in adozione, con documenti ufficiali firmati da me e da sua madre".

La faccia pulita e ridicolmente giovanile di Kashao si contrasse in una smorfia: "Che cosa?!".

"Hai sentito bene, bamboccio. Ti sono grato per esserti preso cura di Nabiki fino ad oggi e di averla portata qui sana e salva, ma è ora che tu esca dalla sua vita", disse cercando di rimanere lucido e di non perdere la pazienza.

L'altro inarcò un sopracciglio e Kuno ebbe l'impulso di spaccarglielo con un pugno. Sapeva che avrebbe sanguinato abbondantemente.

"E cosa ti fa pensare che io voglia separarmi da Nabiki, ora che l'ho ritrovata?", domandò con aria candida.

Non ci vide più. In due passi era di fronte a lui, lo afferrò per il colletto e lo tirò a sé, parlandogli a pochi centimetri da quel naso perfetto che si ritrovava: "Nabiki è la mia donna e quello che sta per mettere al mondo è mio figlio. Tu sei di troppo, ti è chiaro ora?".

Stava aggredendo un uomo disarmato, un medico per di più e senza essere attaccato a sua volta. Tatewaki sapeva che non era affatto onorevole, ma aveva il cervello obnubilato dalla gelosia e non era in grado di controllarsi, al momento.

Il ragazzo sorrise, non sembrava per nulla impaurito dalla situazione e a Kuno parve un sorriso triste e rassegnato: "Tu l'ami ancora, vero? E magari ti sei pentito di aver fatto adottare tuo figlio e vuoi sistemare le cose".

Lo lasciò andare di colpo, rendendosi conto all'improvviso che aveva dato per scontato che avrebbero dovuto combattere per lei. Decise di lasciarlo parlare senza violenza, e di riacquisire così la sua dignità di sempre.

Kashao, però, non parlò subito. Si mise le mani nelle tasche e prese ad osservare l'orizzonte. Tatewaki represse un moto di stizza e impazienza e si dispose ad attendere.

"Quando Nabiki è tornata nella mia vita, per puro caso mesi fa, io ero un uomo completamente diverso da quello che aveva conosciuto. Lei no, lei era sempre la stessa, nel bene e nel male. Se la conosci sai di cosa parlo. Non mi ha mai spiegato per bene come fosse stata la sua vita, sapevo solo che era sola ed era incinta, così decisi che sarebbe stata con me e non solo perché sentivo l'obbligo morale come medico. Ma anche perché tenevo a lei molto più che in passato. Lei non mi ha mai dato la minima speranza: mi chiama Kashao, accetta il mio aiuto, ma mi tiene alla larga. Tu non hai nulla da temere. Mi dispiace solo per il vostro bambino: dovrebbe stare con voi, non con una famiglia sconosciuta".

Kuno lasciò cadere il bokken. Improvvisamente si sentì svuotato, debole. Era la prima volta in vita sua che un avversario, invece di fargli ribollire il sangue, entrava così profondamente dentro ai suoi sentimenti, alle sue paure. Kashao gli aveva parlato di Nabiki, ma aveva toccato corde che lui stesso non credeva di avere. Se fosse stato un po' più sensibile, forse, avrebbe persino pianto come una femminuccia. Quell'uomo eccezionale che aveva davanti meritava molto più di lui di stare accanto a Nabiki.

Ma, forse, lei non avrebbe scelto nessuno dei due.

Comunque decise che gli doveva la verità.

La pura, nuda verità.

***

Ukyo vide Ranma nel corridoio e gli si gettò tra le braccia. Non come avrebbe fatto qualche anno prima, con l'intento di sedurlo o di incastrarlo in un appuntamento. Ma con la disperazione di chi sente che la sua vita sta per cambiare.

Si aggrappò al suo amico d'infanzia, facendogli una domanda muta con gli occhi.

"È ancora in rianimazione. Il cuore...", Ranma deglutì, evidentemente a disagio, "il cuore si è fermato almeno tre volte mentre lo portavano qui. Ogni volta lo hanno fatto ripartire, ma è rimasto molto a lungo senza ossigeno. I danni...".

"Come è successo? È stato per via del terremoto, vero? Si riprenderà, vero?!". Faceva domande a raffica, senza senso logico. In realtà voleva solo sapere se sarebbe sopravvissuto e se tutto sarebbe tornato alla normalità.

Ranma la prese per le spalle: "Ascoltami, Ukyo: è rimasto sepolto tra le macerie per parecchio tempo ed era in debito di ossigeno. Per questo il cuore si è fermato. Ma ora stanno cercando di stabilizzarlo e di capire se ci siano danni permanenti e soprattutto... se se la caverà".

Su quell'ultima frase, Ranma distolse lo sguardo e le mani da lei.

Ukyo si sentì cadere, senza più sostegno, sprofondare in un abisso senza fine.

Avrebbe perso Ryoga o, nella migliore delle ipotesi, lui avrebbe avuto danni al cervello.

In un film di terza categoria la protagonista si sarebbe messa a urlare strappandosi i capelli ma lei sentì, stranamente, una calma innaturale pervaderla come una coltre di gelo. Si mosse come un automa e sedette su una panca.

Le pareva di non avere più sentimenti, di essere un guscio vuoto e senza vita.

Ukyo Kuonji si sentiva morta.

***

Nabiki riemerse dall'oscurità e dalla nebbia. Le contrazioni si erano arrestate da circa un'ora e i medici le avevano detto che non c'era nulla da temere, che sarebbero ricominciate quando il bambino fosse stato pronto.

Non vedeva proprio l'ora...

Non sapeva che ore fossero, non capiva se fosse giorno o sera, ma vide una figura confusa all'entrata e riconobbe Kashao.

"Cosa ci fai qui?", esordì.

Lui non rispose ma le si avvicinò: "Come ti senti?", le chiese.

"Come se mi avessero passata dentro a un tritacarne e poi mi avessero riempita di botte. Più o meno lo stesso che farò con te quando uscirò di qui", rispose piccata.

Incredibilmente, lui le sorrise: "Sono certo che le cose si sistemeranno, Nabiki. Portarti qui non è stato un errore così grave: hai ritrovato un grande uomo. Probabilmente quello che ti farà davvero felice".

Non capiva, probabilmente quell'idiota aveva preso tanti colpi in testa da Kuno da essersi rincitrullito del tutto: "Che diavolo vai cianciando?!". Lui fece un gesto che neanche suo padre, tremante e pieno di ansia, era riuscito a fare quella sera: le si avvicinò e le accarezzò una guancia con una tenerezza tale che qualcosa di sconosciuto si aprì, anzi, si riaprì nel suo cuore.

Quella carezza le ricordò sua madre.

Era da quando lei era viva che nessuno lo faceva in quel modo, con quella dolcezza struggente che le annodò la gola per un istante. Volle scacciare quella mano, invece si beò di quel tocco tentando di non darlo a vedere.

"Forse non lo sai, ma cambierai, Nabiki Tendo. Questo bambino, questo miracolo, ti ha già cambiata e presto te ne accorgerai. È solo questione di tempo. Addio, cara". La baciò sulla fronte, lievemente, un altro gesto cui non si seppe ribellare.

Sulla soglia si arrestò per un istante, poi si voltò di nuovo verso di lei come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa: "Voglio solo che tu sappia un'ultima cosa, mia cara".

Quando ebbe parlato, confermando quello che aveva sempre saputo, Kashao uscì silenziosamente dalla stanza e, probabilmente, dalla sua vita.

***

Akane si svegliò nel bel mezzo della notte e la prima cosa che vide furono Genma e suo padre addormentati sulle sedie del corridoio, uno appoggiato all'altro.

Sorrise, poi si alzò in cerca di Ranma, ma probabilmente era ancora due piani sotto con Ukyo: si augurò che fosse un buon segno e che Ryoga se la cavasse. Suo marito le aveva detto frettolosamente che il loro amico era stato ricoverato d'urgenza in seguito alle ferite riportate in un crollo durante una scossa di terremoto. Ma era corso via quasi subito, lasciando la busta con la cena e dicendo che sarebbe andato a telefonare a Ucchan.

Pensò che forse doveva scendere anche lei a vedere cosa stesse accadendo, ma un lamento attirò la sua attenzione. Nabiki aveva ancora le doglie e poche ore prima, quando aveva telefonato a Kasumi per aggiornarla, il parto sembrava ancora lontano.

Il grande orologio a muro segnava le tre del mattino e Akane rabbrividì: per qualche motivo, le ore notturne centrali le incutevano sempre un terrore ancestrale.

Trovò Kuno, con il volto segnato dalla stanchezza, vicino al letto di Nabiki: "Sono venuti a controllarla?", chiese al ragazzo.

"Sì, dieci minuti fa. Ma ancora non è il momento. Si lamenta nel dormiveglia ed è esausta". Anche la sua voce era stanca e Akane trattenne l'impulso di fargli un milione di domande. A partire dall'adozione di quel bambino non ancora nato.

Era come se Kuno e Nabiki avessero eretto, ognuno dalla sua parte, una cortina insormontabile attraverso la quale era impossibile vedere o scorgere il benché minimo indizio.

"Dov'è Kashao?", chiese invece.

"Se n'è andato. Gli ho promesso che gli darò notizie non appena Nabiki avrà partorito". Lo sguardo dell'ex Tuono Blu del Furinkan era fisso su sua sorella e la voce suonava monotona, quasi automatica. Ancora una volta, Akane si trattenne dal fare domande troppo specifiche.

Tranne una.

"L'ami molto, vero?", chiese sorridendo e posandogli una mano sulla spalla.

Finalmente, Tatewaki parve ravvivarsi e la guardò. Ci mise qualche istante per rispondere, come se stesse cercando le parole adatte in quell'ora così avanzata della notte in cui tutto, anche i pensieri, erano più lenti: "Credo di non aver mai smesso, nonostante tutto. Ma forse non servirà a niente".

Avrebbe voluto dirgli che era certa che sarebbe andato tutto bene, che tutto si sarebbe sistemato.

Ma non era certa di niente. E non voleva mentirgli con frasi fatte. "Coraggio", riuscì solo a dire, senza troppa convinzione.

"Vai a riposare, Akane Tendo. Durante i primi mesi bisogna essere prudenti", rispose lui sorprendendola. Annuì e lanciò un'ultima occhiata a Nabiki prima di tornare alla sua comoda e calda lettiga. Genma e suo padre russavano sonoramente. Ranma non era ancora risalito e la preoccupazione le attanagliò il cuore.

Quella notte non sarebbe mai finita.

Ciononostante, si riaddormentò quasi subito.

***

C'era un luce molto forte di fronte a lui.

Ryoga seppe che, se fosse andato verso quella luce, tutto si sarebbe sistemato e non avrebbe più conosciuto alcuna sofferenza.

Ma c'era qualcosa di terribilmente storto, in tutto ciò, perché sapeva anche che alle sue spalle, dove regnava invece la penombra, stava lasciando una parte molto importante della sua vita.

Forse stava lasciando proprio la sua stessa vita.

Qualcuno stava piangendo e lo pregava di fare qualcosa, poi gli faceva delle domande e lui ne fu dapprima urtato. Ora che finalmente stava per trovare un po' di pace, osavano disturbarlo con un interrogatorio?

"Perché non hai usato una delle tue stupide tecniche per tirartene fuori? Perchè?!", chiese la voce a volume più alto.

Ryoga la riconobbe: era Ukyo, la sua Ukyo.

Perché? Perché c'era qualcun altro sepolto vicino a me e avrei rischiato di ucciderlo!

La sua risposta, però, fu un pensiero potente che non aveva suono.

"Perché?!", domandò infatti di nuovo, come se non avesse udito.

Ryoga era tra due fuochi e capì che il desiderio di raggiungere quella luce, così calda e rassicurante, dove non c'erano il dolore al braccio e la difficoltà a respirare, stava diventando bruciante, irresistibile.

S'incamminò, volò, fluttuò, non seppe bene, ma qualcosa o qualcuno lo strattonò indietro, facendolo imprecare.

"Che altro c'è, ancora? Non potete solo lasciarmi in pace?!".

Quando si girò vide di nuovo il suo corpo e la cosa gli parve curiosa e terribile al contempo. Era steso su un letto d'ospedale, attaccato a ogni tipo di tubo, tubicino e macchinario. Il braccio destro era l'unico in cui non erano infilati aghi perché era una massa informe coperta di bende. Sperò che ci fosse ancora qualcosa, sotto a quelle bende, ma rifletté che non era poi così importante.

Dove aveva intenzione di andare, non gli sarebbe più servito.

Se solo avesse potuto proseguire verso la luce...

Una consapevolezza gli trapanò il cervello: poteva scegliere. Qualcuno o qualcosa glielo stavano comunicando, forte e chiaro, o forse era solo la sua immaginazione.

"Ti prego, non lasciarmi. Io ti amo".

Quella frase ebbe due effetti devastanti: gli fece avvertire il battito del proprio cuore, come se non fosse più fatto solo d'aria, e gli provocò un dolore fisico immenso, come se tutte le ossa del proprio corpo si fossero spezzate.

Ci sono appena precipitato dentro. Di nuovo.

Vide il volto madido di lacrime della ragazza e capì di essere ormai troppo lontano dalla luce, e di aver fatto la sua scelta proprio in quell'istante.

***

Nabiki aveva appena realizzato che era giorno e che l'epidurale grazie alla quale aveva portato avanti il travaglio senza quasi dolore si era esaurita e sarebbe stata l'ultima.

"Ascoltami, tesoro, un'ultima spinta. La testa è quasi fuori: uscita quella sarà tutto finito, va bene?". Guardò l'infermiera come se fosse impazzita.

"Quasi fuori?! E fino adesso cosa ho spinto a fare?", esclamò indignata.

"Tuo figlio stava scendendo nel canale del parto, ma ora dobbiamo farlo uscire", le rispose l'ostetrica di fronte alle sue gambe spalancate.

"Allora datemi qualcosa, o non rispondo più di me!", ruggì rimpiangendo che non ci fossero né Kuno né Kashao a cui cavare gli occhi.

Per tutta risposta, la donna sorrise con lo sguardo, e forse anche con la bocca, anche se non la vedeva a causa della mascherina: "Sta per arrivare la contrazione. Spingi più forte che puoi, va bene?", disse con un tono calmo che le ricordò Kasumi.

La contrazione fu come una scarica elettrica milioni di volte più potente delle precedenti e Nabiki fu certa che sarebbe morta. Dissanguata, spezzata in due come un fuscello. Urlò e spinse, non poté farne a meno.

Come fanno le donne a volere dei figli? A farne anche più di uno?

Quando ormai era certa che il limite della sopportazione avesse raggiunto livelli insostenibili accadde qualcosa d'inaspettato: il dolore sparì come per incanto e lei si sentì improvvisamente vuota e sfinita.

Ci furono alcuni, terribili secondi di silenzio, poi udì la voce di suo figlio che faceva il suo primo respiro sulla Terra.

Ansimante, sollevò un poco la testa per guardarlo.

Fategli un bagno prima, stava per dire all'infermiera, non vedete che è sporco? Poi, quando la donna glielo mise tra le braccia, Nabiki Tendo non fece più caso al sangue e alla placenta che ricoprivano il corpicino tremante come una seconda pelle. Provò qualcosa di molto simile al sentimento che le si era presentato quando lo aveva sentito scalciare per la prima volta dentro di sé: era come un mal di pancia, ma

quello che sentivo per mia madre,

piacevole e doppiamente intenso,

prima che lei morisse e io smettessi di amare.

che le sollevava gli angoli della bocca in un sorriso e le faceva riempire gli occhi di lacrime.

Ora capisco perché pensavo sempre a mia madre quando parlavo del bambino: l'amavo esattamente come amavo lei.

Una goccia, due, e il neonato smise di piangere, come incuriosito, e la fissò con gli occhi semichiusi.

Si ritrovò a tentare di capire da chi avesse preso quelle iridi così chiare, poi si ricordò che tutti i bambini, appena nati, hanno gli occhi chiari.

“Bene, quindi tu saresti il maschiaccio che mi distruggeva a suon di calci, vero?”, domandò con voce malferma. Il bimbo emise un gemito, come in risposta e lei provò il desiderio intenso di stringerselo al petto.

Lo fece, nutrendosi di quel contatto come se ne fosse stata affamata per anni.

“Signora...? Lasci che lo laviamo e lo vestiamo e poi potrà...”.

“Silenzio, non vede che sto parlando con mio figlio?”, ingiunse con tono deciso.

MIO figlio.

“Bene, vedi di non diventare violento come tua zia, ma neanche fuori di testa come tuo padre. Prendi esempio da me e andrà tutto bene...”. Sospirò, poi lo porse all'ostetrica che la stava guardando con gli occhi spalancati.

“Beh? Cosa c'è? I bambini vanno educati fin da piccoli. Riportatemelo presto. Vestito e profumato, io credo che mi riposerò un po'... sono distrutta”. Non appena finì la frase, chiuse gli occhi e precipitò nell'oblìo.

Quando li riaprì, Kuno Tatewaki era sulla sedia di fronte al letto, con suo figlio in braccio.
   
 
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