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Autore: shilyss    04/01/2020    28 recensioni
Storia sulla discesa nell'oscurità del dio degli inganni. L’astuto e sfrontato principe Loki si è macchiato di una colpa terribile, per cui non prova alcun tipo di pentimento. L’esilio di Thor è ancora lontano, ma molte ombre stanno cominciando ad addensarsi sul trono di Odino. Perché ogni sacrilegio deve essere punito, solo che.
Lei era proibita e anche solo guardarla rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti dell’ordine costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri pericolosi e malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura – questo, però, non lo sapeva ancora.
“Chi di voi due?” La voce di Sigyn era risuonata altera e decisa, non priva, però, di una nota oscura, figlia di un terrore che aveva nascosto per una notte intera.

[pre-Thor] [Thor] [hurt/comfort]
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 5

 

Il dio dell’inganno sapeva perfettamente di essere brillante e astuto e, a detta di suo padre, era proprio questa consapevolezza a rappresentare uno dei suoi peggiori difetti. Fiero e sicuro di sé com’era, tendeva spesso a fare troppo affidamento sulle proprie capacità o su quelle di Thor. La colpa di ciò era attribuibile, almeno in parte, alla spavalderia che i due principi sfoggiavano nonostante, già da alcuni anni, sulle loro spalle gravassero molte delle incombenze del regno di Asgard. Odino aveva fatto di tutto per forgiare nel ferro e nel fuoco il carattere dei suoi figli maggiori, ma la sensazione d’essere invincibili e immortali non aveva abbandonato i petti tronfi dei due ragazzi, né avrebbe potuto farlo, del resto. Era la necessaria corazza che i due dovevano indossare per dimenticarsi di tutte le volte in cui, coi volti macchiati di terra e sangue, avevano visto morire sotto i loro occhi amici d’infanzia e commilitoni – in fondo, la vittoria porta sempre e comunque con sé il sapore acre della morte. A battaglia finita, non restava loro che bere fino a stordirsi, raccomandando a mezza voce alle anime dei soldati caduti in battaglia di festeggiare allo stesso modo nel Valhalla dove, un giorno, avrebbero finito per ritrovarsi tutti. Ma quando il prezzo da pagare affinché Asgard continui a essere il faro splendente cui guardano tutti i Nove Regni cola dalle proprie ferite, caricarsi ancora più d’orgoglio e pretendere d’avere voce in capitolo nelle più svariate decisioni diventa più facile.

Loki Odinson era stato cresciuto con la promessa di essere nato per diventare re: ne aveva il sangue e la stoffa. Forse era anche per colpa di questa radicata consapevolezza se si mostrava sempre più insofferente alle regole imposte e, più in generale, a tutto ciò che limitava la sua libertà. Padre Tutto lo aveva messo in guardia, ammonendolo di stare il più possibile lontano da Sigyn e di non dimenticare mai, nemmeno per un istante, chi lei fosse e quale destino le spettasse. Il dio dell’inganno si era risentito per quel rimprovero che riteneva privo di senso. Non gli mancavano le ragazze e non aveva certo bisogno di correre dietro proprio a quella. Se non fosse stato per la sottile vibrazione scaturita dalla presunta scintilla, era certo che non si sarebbe mai accorto di quegli occhi rotondi che lo biasimavano a ogni passo, di quelle labbra arcuate in un’espressione carica di disprezzo. Sì, Loki ad alta voce ribadiva il suo disinteresse argomentandolo con una serie di discorsi molto accurati e ben fatti, ricacciando con forza dentro di sé ciò che Odino aveva intuito: una verità che s’infilava nei suoi pensieri più profondi, scoprendo desideri che si alimentavano di se stessi e dolevano come nervi scoperti. Lei era proibita e anche solo guardarla rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti dell’ordine costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri pericolosi e malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura – questo, però, non lo sapeva ancora.

 

Lo spazio ristretto del rapidissimo drakkar faceva sì che il dio dell’inganno si ritrovasse il suo delicato ostaggio dai capelli d’oro davanti agli occhi ogni minuto. Sigyn teneva il mento affondato nella pelliccia che le aveva donato cercando di prendere confidenza con i rollii della barca, con i suoi spazi stretti e circoscritti in cui ogni palmo era funzionale a qualcosa e, soprattutto, non lo perdeva di vista neanche per un istante. Era abituata a condurre una vita riservata e ritirata, ben diversa da quella tipica delle Æsinne in generale, delle valchirie in particolare. L’equipaggio la metteva in imbarazzo e, sebbene facesse di tutto per conservare un atteggiamento dignitoso e adatto a una nobildonna, il suo disagio era palese. La vita aveva perso ogni punto di riferimento o certezza esistente. Era una prigioniera – la figlia di un uomo che aveva mancato di mandare aiuti agli Æsir impegnati in una battaglia. Si corresse: di un traditore. Sigyn era abbastanza intelligente da riuscire a immedesimarsi bene nei punti di vista altrui. Gli uomini di Odino la guardavano e pensavano sempre più spesso ai loro fratelli caduti in battaglia, ai loro amici torturati a morte o resi storpi. Come lei, si chiedevano quale destino Padre Tutto le avrebbe riservato alla sua corte, perché nella storia dei Nove Regni c’erano stati ostaggi costretti a morire d’inedia in una torre e altri ridotti in schiavitù. Alcuni, invece, avevano indossato catene fatte d’oro sottoforma di corone che gli avevano cinto il capo, ma lei sarebbe dovuta diventare un’ancella e servire gli antenati; Odino non poteva davvero ignorarlo o dimenticare la sua vocazione[1]. Persa in questi ragionamenti, affondava ancora di più il naso nella folta pelliccia ceduta da Loki dagli occhi di ghiaccio e dal sorriso furbo, che dopo averla strappata alla sua famiglia ostentava una fredda distanza.

Dopo quel dono le si avvicinò solo in un’occasione. Il tremendo viaggio in mare era quasi terminato e un uomo grande e grosso, spaventoso, aveva iniziato a raccontare ad alta voce di un figlio perduto nella battaglia che i Vanir avevano disertato. Lavorava e parlava e Sigyn, immobile, non poté fare a meno di pensare che si rivolgesse in qualche modo anche a lei e volesse farle conoscere le conseguenze delle azioni di suo padre. Non si accorse che Loki le si era accostato finché non lo vide sedersi. I suoi movimenti erano fluidi e veloci a un tempo e sembrava fatto per stare in mare esattamente come pareva creato apposta per catturare l’attenzione di chiunque a un banchetto.

“Vecchio mio, ricordo quel giorno. È stata una bella morte. Onorevole,” sentenziò. “Il Valhalla lo ha accolto.”

Portava con sé degli strumenti di misurazione. Prese a lucidarli con cura usando un panno, controllando con dita agili e svelte il funzionamento degli ingranaggi.

L’uomo scosse la testa e spostò alcune casse. “Non ho più una stirpe grazie a Sigurdr, Loki.”

L’ingannatore si fermò. “Siamo pirati e guerrieri, non contadini. Credi che quattro Vanir avrebbero fatto la differenza? Che ci avrebbero salvati?” lo rimproverò.

“A me bastava, mio principe, che versassero anche il loro sangue o ci ricoprissero d’oro tanto da nascondere le armature dei nostri caduti. Invece abbiamo preso poche casse sonanti e una ragazzina,” sbottò il soldato.

“Abbiamo ottenuto quello che ci serve,” tagliò corto Lingua d’Argento. Il suo tono secco e perentorio non ammetteva ulteriori repliche.

Sigyn vide l’uomo irrigidirsi per la preoccupazione di aver irritato il proprio comandante e forse futuro re, chinare la testa e borbottare che, in fondo, lui combatteva e pescava e non capiva niente di politica. Loki lo seguì con lo sguardo finché non lo vide confondersi col resto dell’equipaggio sulla poppa, per poi proseguire con la sua occupazione meticolosa. La ragazza prese a fissarlo di sottecchi. L’essergli seduta di fianco, la possibilità di scrutare tanto da vicino il suo profilo elegante e virile a un tempo, generava in lei l’oscura volontà di allontanarsi e fuggire. Era il responsabile del caos che aveva sconvolto la sua esistenza privandola dell’affetto delle sue sorelle, delle compagne, dei genitori che prima vedeva di rado, ma che ora, con buona probabilità, non avrebbe rivisto mai più. Una vita che a conti fatti era lontana dall’essere perfetta, certo, capace tuttavia di offrirle sicurezze ora svanite. Quante volte, affacciata alle strette finestrelle della sua stanza sobria e priva di qualsiasi vezzo principesco, lei e sua sorella Astrid[2] avevano fantasticato leggendo qualche libro proibito che parlava di viaggi per mare e di esplorazioni? Quante avevano riletto qualche passo di una preghiera o di una poesia cogliendo l’insondabile e sconosciuta passione che animava il poeta e che, talvolta, trascendeva i versi parlando d’altro? Soffocando le risate nel buio, sotto le coperte, immaginavano possibilità in cui era lecito crogiolarsi proprio perché irreali. Accadeva solo pochi giorni prima. Strinse le gambe accarezzandosi le ginocchia con le dita intorpidite dal freddo per evitare di sfiorare, con la sua gonna di lana rossa, i pantaloni di pelle dell’altro.

“Quindi vi servo. L’hai ammesso,” mormorò con un filo di voce. Scappare da un drakkar era impossibile, tuttavia, parlando, avrebbe potuto estorcere informazioni all’Ase e zittire il resto, perché quando lei e le sue sorelle avevano aperto il baule che conteneva i bei vestiti da indossare in occasione della visita di Odino, l’entusiasmo aveva acceso i loro occhi. Sigyn ricordava di aver individuato immediatamente l’abito rosso pretendendolo per sé, ignara che gli occhi del dio degli inganni vi si sarebbero posati sopra troppo spesso.  

“Tuo padre ci avrebbe dato più volentieri l’oro che te,” le confessò Loki con quel suo sorriso sghembo e canzonatorio che un giorno avrebbe trovato irresistibile e ora, invece, l’inquietava.

“Hai preteso me al solo scopo di fargli un torto?” insistette.

Il principe cadetto di Asgard scosse la testa e riprese la sua minuziosa lavorazione su un astrolabio utile a calcolare le rotte. “Non era una visita di piacere, la nostra. Lo abbiamo punito, sì,” ammise senza nascondere il proprio compiacimento. “Sigurdr ci ha negato il suo aiuto violando un accordo. Non sarebbe cambiato niente e, in ogni caso, abbiamo vinto, ma eravamo soli quando non dovevamo esserlo,” puntualizzò feroce, squadrandola con una freddezza che la turbò, ma che stava imparando a riconoscere.

Il drakkar eseguì una virata brusca e Sigyn si ritrovò per un momento schiacciata contro il petto largo dell’Ase. La presa di Loki era decisa, sicura, forte. Avvertì il suo corpo asciutto che le impediva di perdere l’equilibrio, conobbe per la prima volta il tocco delle sue dita, respirò il profumo della sua pelle mischiato al vento di mare. Si scostò immediatamente sistemandosi meglio la pelliccia di lupo. Il principe degli Æsir registrò con una certa soddisfazione il suo turbamento e lasciò che si allontanasse, ripristinando le necessarie distanze.

“Girati,” le suggerì. “Potrebbe valerne la pena.”

Lei si voltò verso il mare color argento e vide, in mezzo ai flutti, la sagoma grandiosa di una balena e poi di una seconda e di un’altra ancora. Piena di meraviglia, si accorse che non due, ma un intero branco nuotava poco distante dalla barca di Odino, incurante di loro e maestoso. Era uno spettacolo sorprendente, fantastico, che la ragazza non aveva mai visto. Gli immensi cetacei nuotavano sollevando le schiene lucide e le gigantesche code, inabissandosi nelle acque ghiacciate.

“Fidati delle mie parole,” sibilò Loki. “Approfitta di ciò che hai o potresti avere, anziché rimpiangere quello che hai perso.”

Sigyn distolse l’attenzione dalle balene e aggrottò la fronte. Il dio degli inganni la spaventava. Non lo capiva. In lui si mescolavano assieme i modi brutali del predone che era con quelli cortesi del principe di sangue reale.

“Stai cercando di dirmi che dovrei accontentarmi di essere il vostro ostaggio? La tua prigioniera?” lo sfidò.

L’Ase parve non gradire affatto l’ultima battuta e scelse con cura le parole da dirle. “Sto cercando di dirti che poteva capitarti di peggio che venire con noi ad Asgard,” spiegò infine prima di allontanarsi con i suoi strumenti verso Thor e la prua affilata del drakkar. Sigyn osservò la sua figura agile e ammantata di scuro. Nei giorni precedenti al terribile banchetto in cui era stata decisa la sua sorte, lei e le sorelle avevano ascoltato decine di storie sugli arroganti ma capaci Æsir. Astrid rideva, invitandola a riconoscere la feroce bellezza di quei volti virili e rudi dai lineamenti regolari e piacevoli da osservare, la prestanza dei loro corpi asciutti scolpiti dalle battaglie. Lei scuoteva la testa con finta esasperazione – ti incuriosiscono perché sono diversi da noi e vanno in giro con armi e armature, perché acconciano i capelli e le barbe con le trecce, sorella mia, ma è sconveniente guardarli; è gente senza morale né regole, guarda quanto bevono, ascolta le battute che fanno, la rimproverava con un brivido incrociando per un istante lo sguardo aguzzo e verde di Loki, che s’inumidiva le labbra col corposo vino rosso di Vanheim.

 

Si era fatta mille idee riguardo a ciò che le sarebbe capitato su quella nave o ad Asgard, le peggiori delle quali le erano state messe in testa nel breve tempo concessole per accomiatarsi dalla sua famiglia. All’istintiva sfiducia verso gli Æsir si era mescolato il terrore vago verso un imprecisato numero di violenze; avendo trascorso buona parte della sua vita dentro un luogo riparato, da quando era su quel maledetto drakkar si era ritrovata a pensare a tutte le storie, spesso orrende, che le ancelle più anziane bisbigliavano durante le passeggiate per spiegare, alle ragazze più giovani come lei, quanto fosse tremendo il mondo fuori da quelle mura. Secondo il loro punto di vista, vivere servendo gli Antenati, in pace e in tranquillità, con la possibilità di studiare e dipingere e suonare a proprio piacimento, rappresentava un enorme privilegio. Sigyn aveva sempre creduto che scrivere del mare senza averlo mai visto fosse un compromesso da stringere con la propria immaginazione e riteneva un suo preciso dovere obbedire al volere dei suoi genitori; si era imposta di mettere a tacere qualsiasi velleità o vanità, eppure, quando Astrid o qualche altra delle sue sorelle o compagne la spingeva a immaginare, a fantasticare sui luoghi oltre le mura che lei non avrebbe mai visitato, il suo cuore si riempiva per un istante di una nostalgia senza nome. Era davvero giusto rinunciare a un mondo mai visto? Privarsi della possibilità di viaggiare e vedere cascate e montagne e precipizi e valli e distese immense di neve? Chiedersi per sempre che sapore avessero le labbra di un uomo? Un giorno avrebbe scoperto com’erano quelle di Loki, ma intanto quel pensiero ozioso la spaventò più dei movimenti bruschi del drakkar e delle occhiate truci degli Æsir. L’immensa distesa oceanica poteva essere descritta e immaginata da una mente fervida ed essere verosimile, ma l’odore di sale, gli spruzzi d’acqua, il sole che accarezzava le onde e il loro mutare colore – da azzurro a verde a grigio come la lama d’un coltello no, non poteva essere raccontato nella sua totalità e nessun quadro, racconto o poema poteva suggerirle l’incanto e la meraviglia dello spettacolo del sole che s’affondava nell’acqua. Leggendo aveva vissuto decine di vite differenti, ma le immagini proposte non avevano fatto altro che alimentare la sua voglia di assaggiare il mondo, di conoscere, scoprire, chiedersi cosa volessero dire i poeti quando raccontavano le loro storie in cui verità e fantasia si mescolavano indissolubilmente. Come faceva Loki, del resto: piegava la realtà al suo volere insinuando, omettendo, spingendo gli altri a seguire il suo punto di vista. Il paragone tra gli scrittori e il principe la indispettì. Che convogliasse buona parte delle sue attenzioni su di lui era, probabilmente, inevitabile. Si trattava dell’unica persona con cui si era ritrovata a scambiare più di un paio di parole e il principale responsabile del caos che aveva distrutto ogni sua certezza. L’idea di pretendere che gli fosse ceduta come risarcimento era sua; un diritto di cui si era fregiato per via della grave ferita che l’aveva quasi ucciso e da cui era riuscito a rimettersi completamente: poteva un uomo agonizzare in un letto da campo e sfoggiare, pochi mesi dopo, un ghigno tanto protervo e beffardo? Sigyn non nutriva alcuna fiducia né in Loki, celebre per i suoi intrighi, né negli altri Æsir o in Padre Tutto. In un certo senso, però, l’ingannatore rappresentava una sorta di sicurezza, per lei. Quell’uomo era brutale e perfido, bugiardo e calcolatore, infido e arrogante, ma riteneva che non l’avrebbe presa per i capelli e strattonata né picchiata e non solo perché il suo mantello di pelliccia le sfiorava le guance o per i suoi modi incredibilmente cortesi, ma freddi più delle onde gelide solcate dal drakkar. C’era qualcosa di più che la ragazza non riusciva ad afferrare.

Loki era imprendibile, sfuggente, incomprensibile, spesso adombrato da pensieri oscuri e sorrisi studiati ad arte. La guardava e l’evitava, nascondendole il segreto di un destino segnato – ma di questo, lei ancora non aveva alcuna contezza. Sigyn decise che lo temeva, ma anche in questo c’era qualcosa di profondamente sbagliato – ne aveva paura, ma non poteva fare a meno di osservarlo.

Le labbra di Loki erano sottili e sardoniche.

 

 

Sigyn aveva viaggiato per mare molte volte, da allora. Ne conosceva ogni sfumatura di colore e insidia. Pensò che lo avrebbe attraversato un’ultima volta ancora ammirandone la grandiosità, riempiendosi gli occhi malati e maledetti con la sua grandezza. Su suggerimento di Odino aveva preso la decisione di agire in fretta, prima che Loki, col suo feroce istinto da lupo, finisse per cogliere altri segnali di quello che le sarebbe successo, impedendole di partire. Doveva approfittare delle poche ore concessale da un consiglio di stato in cui Padre Tutto lo aveva coinvolto adducendo la necessità di vedere all’opera i suoi due futuri re. Il pensiero le fece arcuare le labbra in una smorfia di disappunto; la promessa di lasciare il trono di Asgard al più degno fatta a due ragazzini dagli occhi brillanti aveva avuto diverse conseguenze, non tutte positive; l’efficace squadra che si era venuta a creare tra Loki e Thor, cui bastava una sola occhiata d’intesa per allestire piani efficaci e terribili a un tempo, si era lentamente avvelenata con la competizione. Come si fa a salvarsi a vicenda, a guardarsi le spalle, quando si è stati cresciuti per imporre la propria volontà assieme al rivale più amato, al fratello con cui si è condiviso quasi ogni cosa? Quanto era lecito che durasse un simile affiatamento, se sporcato dall’ambizione? Thor era coraggioso, leale e dotato di un gran cuore, ma si dimostrava spesso superficiale e vanesio; in più occasioni, per fare sfoggio delle sue abilità, aveva messo in pericolo coloro che avrebbe dovuto guidare e proteggere. Loki, dal canto suo, era capace e intelligente, ma si divertiva a manipolare chiunque gli capitasse a tiro ed era fin troppo spregiudicato. La sua vittima preferita era Thor, ma se quando Sigyn era giunta ad Asgard le era sembrato che i due fratelli dessero tutto sommato poca importanza al trono che l’energico Odino continuava a tenere saldamente, ora pretendere l’Hliðskjálf era più che un dovere per i due figli di Padre Tutto[3]. Sigyn sospirò dirigendosi rapida verso il baule posto ai piedi del letto. Loki stava diventando sempre meno degno di sedervisi e questo anche per colpa sua e di ciò che aveva fatto per lei, con lei. Le servivano solamente poche cose, una manciata d’oggetti utili per il viaggio. Tutto il resto era bene che lo lasciasse lì dov’era, ad Asgard. Ben riposti dentro il mobile in legno erano racchiusi i frammenti di un’esistenza che non sarebbe mai riuscita a dimenticare; riempì una sacca da viaggio con l’indispensabile, ma indugiò quando, sul fondo, riconobbe una tunica verde che, certamente, tratteneva ancora il profumo della pelle del suo possessore. La sfiorò con la punta delle dita ricordando il giorno in cui l’aveva presa per tenerla con sé e fu per quello che non s’accorse del cigolio della porta che si apriva, dei passi felpati che calpestavano il tappeto soffice. Sobbalzò solo quando sentì scricchiolare il pavimento di legno sotto il peso di un paio di stivali maschili.

Si voltò di scatto e l’immagine per un momento le parve sfocata – colpa delle lacrime traditrici che le velavano gli occhi o della maledizione che rendeva ogni ora più difficile vedere?

“Mia signora, sei in partenza!?”

La voce di Loki era canzonatoria e carica di sarcasmo. Quando riuscì a metterlo a fuoco, riconobbe il viso affilato, il portamento fiero, le labbra arcuate in un sorriso feroce, lo sguardo gelido di lupo – si può amare ogni dettaglio di qualcuno? Anche se ci fissa con furiosa delusione? Si sollevò da terra spolverando con un gesto rapido la gonna.

“Mio padre ti ha scritto ancora,” gli rispose evitando la domanda. “Non mi hai detto nulla, stavolta.”

Loki, le braccia incrociate dietro la schiena, allargò il suo ghigno. “Nemmeno tu, dolce Sigyn.”

 

 

Continua…

L’angolo di Shilyss

Care Girls,

Ma Buon Anno!

Allora, vi avevo promesso un nuovo aggiornamento di Accordo, lo so, e oggi pomeriggio anziché infilarmi nella ressa dei saldi (dove sono già andata, non pensate), proseguirò il capitolo 35 che è a metà, ma questo capitolo 5 si è scritto praticamente da solo. Ancora prosegue l’alternanza tra passato e presente che spero non vi risulti troppo ostica (dalle recensioni pare di no, ma sapete com’è).

Ora: se leggete attentamente vi accorgerete come ovviamente Sigyn non sappia nulla del destino tremendo che le toccherà e ragiona con le informazioni in suo possesso; d’altro canto, viene detto che Loki non è probabilmente più degno di salire sul trono di Odino anche per colpa di Sigyn. Anche, non solo per. Diciamo che la “questione Sigyn” non ha aiutato, ecco ♥.

 

Vi ringrazio dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito la storia. Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. 

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

P.S.

La settimana prossima preparatevi perché uscirà il capitolo 35 di Solo un accordo. Per davvero, stavolta XD, GIURO.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] In uno degli scorsi capitoli Loki fa una battuta suggerendo per Sigyn un destino diverso (dice “è un peccato che Odino dovrà darti presto a un Ase.” Non si tratta di un’incongruenza XD).

[2] Astrid è la sorella di Sigyn solo nelle mie storie (Confessioni, Solo un accordo e Scintille). È un mio headcanon.

[3] Essendo una storia ambientata pre-Thor i caratteri di Loki e di Thor sono quelli dei primi quindici minuti del film; l’arroganza e la vanità del dio del tuono sono ad ogni modo un canone scaldico – spesso viene punito o si trova in difficoltà perché è uno spaccone. Sui difetti del caro Loki stendo un velo pietoso.

   
 
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