Capitolo 5
Il
dio dell’inganno sapeva perfettamente di essere brillante e
astuto e, a detta di
suo padre, era proprio questa consapevolezza a rappresentare uno dei
suoi
peggiori difetti. Fiero e sicuro di sé com’era,
tendeva spesso a fare troppo
affidamento sulle proprie capacità o su quelle di Thor. La
colpa di ciò era
attribuibile, almeno in parte, alla spavalderia che i due principi
sfoggiavano
nonostante, già da alcuni anni, sulle loro spalle gravassero
molte delle
incombenze del regno di Asgard. Odino aveva fatto di tutto per forgiare
nel
ferro e nel fuoco il carattere dei suoi figli maggiori, ma la
sensazione
d’essere invincibili e immortali non aveva abbandonato i
petti tronfi dei due
ragazzi, né avrebbe potuto farlo, del resto. Era la
necessaria corazza che i
due dovevano indossare per dimenticarsi di tutte le volte in cui, coi
volti
macchiati di terra e sangue, avevano visto morire sotto i loro occhi
amici
d’infanzia e commilitoni – in fondo, la vittoria
porta sempre e comunque con sé
il sapore acre della morte. A battaglia finita, non restava loro che
bere fino
a stordirsi, raccomandando a mezza voce alle anime dei soldati caduti
in
battaglia di festeggiare allo stesso modo nel Valhalla dove, un giorno,
avrebbero
finito per ritrovarsi tutti. Ma quando il prezzo da pagare
affinché Asgard
continui a essere il faro splendente cui guardano tutti i Nove Regni
cola dalle
proprie ferite, caricarsi ancora più d’orgoglio e
pretendere d’avere voce in
capitolo nelle più svariate decisioni diventa più
facile.
Loki
Odinson era stato cresciuto con la promessa di essere nato per
diventare re: ne
aveva il sangue e la stoffa. Forse era anche per colpa di questa
radicata
consapevolezza se si mostrava sempre più insofferente alle
regole imposte e,
più in generale, a tutto ciò che limitava la sua
libertà. Padre Tutto lo aveva
messo in guardia, ammonendolo di stare il più possibile
lontano da Sigyn e di
non dimenticare mai, nemmeno per un istante, chi lei fosse e quale
destino le
spettasse. Il dio dell’inganno si era risentito per quel
rimprovero che
riteneva privo di senso. Non gli mancavano le ragazze e non aveva certo
bisogno
di correre dietro proprio a quella. Se non fosse stato per la sottile
vibrazione scaturita dalla presunta scintilla, era
certo che non si
sarebbe mai accorto di quegli occhi rotondi che lo biasimavano a ogni
passo, di
quelle labbra arcuate in un’espressione carica di disprezzo.
Sì, Loki ad alta
voce ribadiva il suo disinteresse argomentandolo con una serie di
discorsi
molto accurati e ben fatti, ricacciando con forza dentro di
sé ciò che Odino
aveva intuito: una verità che s’infilava nei suoi
pensieri più profondi,
scoprendo desideri che si alimentavano di se stessi e dolevano come
nervi
scoperti. Lei era proibita e anche
solo guardarla
rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti
dell’ordine
costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri
pericolosi e
malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura –
questo, però, non lo
sapeva ancora.
Lo
spazio ristretto del rapidissimo drakkar faceva sì che il
dio dell’inganno si
ritrovasse il suo delicato ostaggio dai capelli d’oro davanti
agli occhi ogni
minuto. Sigyn teneva il mento affondato nella pelliccia che le aveva
donato
cercando di prendere confidenza con i rollii della barca, con i suoi
spazi
stretti e circoscritti in cui ogni palmo era funzionale a qualcosa e,
soprattutto, non lo perdeva di vista neanche per un istante. Era
abituata a
condurre una vita riservata e ritirata, ben diversa da quella tipica
delle
Æsinne in generale, delle valchirie in particolare.
L’equipaggio la metteva in
imbarazzo e, sebbene facesse di tutto per conservare un atteggiamento
dignitoso
e adatto a una nobildonna, il suo disagio era palese. La vita aveva
perso ogni
punto di riferimento o certezza esistente. Era una prigioniera
– la figlia di
un uomo che aveva mancato di mandare aiuti agli Æsir
impegnati in una
battaglia. Si corresse: di un traditore. Sigyn era
abbastanza
intelligente da riuscire a immedesimarsi bene nei punti di vista
altrui. Gli
uomini di Odino la guardavano e pensavano sempre più spesso
ai loro fratelli
caduti in battaglia, ai loro amici torturati a morte o resi storpi.
Come lei,
si chiedevano quale destino Padre Tutto le avrebbe riservato alla sua
corte,
perché nella storia dei Nove Regni c’erano stati
ostaggi costretti a morire
d’inedia in una torre e altri ridotti in
schiavitù. Alcuni, invece, avevano
indossato catene fatte d’oro sottoforma di corone che gli
avevano cinto il
capo, ma lei sarebbe dovuta diventare un’ancella e servire
gli antenati; Odino
non poteva davvero ignorarlo o dimenticare la sua vocazione[1].
Persa in questi ragionamenti, affondava ancora di più il
naso nella folta
pelliccia ceduta da Loki dagli occhi di ghiaccio e dal sorriso furbo,
che dopo
averla strappata alla sua famiglia ostentava una fredda distanza.
Dopo quel
dono le si avvicinò solo in un’occasione. Il
tremendo viaggio in mare era quasi
terminato e un uomo grande e grosso, spaventoso, aveva iniziato a
raccontare ad
alta voce di un figlio perduto nella battaglia che i Vanir avevano
disertato. Lavorava
e parlava e Sigyn, immobile, non poté fare a meno di pensare
che si rivolgesse
in qualche modo anche a lei e volesse farle conoscere le conseguenze
delle
azioni di suo padre. Non si accorse che Loki le si era accostato
finché non lo
vide sedersi. I suoi movimenti erano fluidi e veloci a un tempo e
sembrava
fatto per stare in mare esattamente come pareva creato apposta per
catturare
l’attenzione di chiunque a un banchetto.
“Vecchio
mio, ricordo quel giorno. È stata una bella morte.
Onorevole,” sentenziò. “Il
Valhalla lo ha accolto.”
Portava
con sé degli strumenti di misurazione. Prese a lucidarli con
cura usando un
panno, controllando con dita agili e svelte il funzionamento degli
ingranaggi.
L’uomo
scosse la testa e spostò alcune casse. “Non ho
più una stirpe grazie a Sigurdr,
Loki.”
L’ingannatore
si fermò. “Siamo pirati e guerrieri, non
contadini. Credi che quattro Vanir
avrebbero fatto la differenza? Che ci avrebbero salvati?” lo
rimproverò.
“A me
bastava, mio principe, che versassero anche il loro sangue o ci
ricoprissero
d’oro tanto da nascondere le armature dei nostri caduti.
Invece abbiamo preso
poche casse sonanti e una ragazzina,”
sbottò il soldato.
“Abbiamo
ottenuto quello che ci serve,” tagliò corto Lingua
d’Argento. Il suo tono secco
e perentorio non ammetteva ulteriori repliche.
Sigyn
vide l’uomo irrigidirsi per la preoccupazione di aver
irritato il proprio comandante
e forse futuro re, chinare la testa e borbottare che, in fondo, lui
combatteva
e pescava e non capiva niente di politica. Loki lo seguì con
lo sguardo finché
non lo vide confondersi col resto dell’equipaggio sulla
poppa, per poi proseguire
con la sua occupazione meticolosa. La ragazza prese a fissarlo di
sottecchi.
L’essergli seduta di fianco, la possibilità di
scrutare tanto da vicino il suo
profilo elegante e virile a un tempo, generava in lei
l’oscura volontà di
allontanarsi e fuggire. Era il responsabile del caos che aveva
sconvolto la sua
esistenza privandola dell’affetto delle sue sorelle, delle
compagne, dei
genitori che prima vedeva di rado, ma che ora, con buona
probabilità, non
avrebbe rivisto mai più. Una vita che a conti fatti era
lontana dall’essere
perfetta, certo, capace tuttavia di offrirle sicurezze ora svanite.
Quante
volte, affacciata alle strette finestrelle della sua stanza sobria e
priva di
qualsiasi vezzo principesco, lei e sua sorella Astrid[2]
avevano fantasticato leggendo qualche libro proibito che parlava di
viaggi per
mare e di esplorazioni? Quante avevano riletto qualche passo di una
preghiera o
di una poesia cogliendo l’insondabile e sconosciuta passione
che animava il
poeta e che, talvolta, trascendeva i versi parlando d’altro?
Soffocando
le risate nel buio, sotto le coperte, immaginavano
possibilità in cui era lecito
crogiolarsi proprio perché irreali. Accadeva solo pochi
giorni prima. Strinse
le gambe accarezzandosi le ginocchia con le dita intorpidite dal freddo
per
evitare di sfiorare, con la sua gonna di lana rossa, i pantaloni di
pelle
dell’altro.
“Quindi
vi servo. L’hai ammesso,” mormorò con un
filo di voce. Scappare da un drakkar
era impossibile, tuttavia, parlando, avrebbe potuto estorcere
informazioni
all’Ase e zittire il resto, perché quando lei e le
sue sorelle avevano aperto
il baule che conteneva i bei vestiti da indossare in occasione della
visita di
Odino, l’entusiasmo aveva acceso i loro occhi. Sigyn
ricordava di aver individuato
immediatamente l’abito rosso pretendendolo per sé,
ignara che gli occhi del dio
degli inganni vi si sarebbero posati sopra troppo spesso.
“Tuo
padre ci avrebbe dato più volentieri l’oro che
te,” le confessò Loki con quel
suo sorriso sghembo e canzonatorio che un giorno avrebbe trovato
irresistibile
e ora, invece, l’inquietava.
“Hai
preteso me al solo scopo di fargli un torto?” insistette.
Il
principe cadetto di Asgard scosse la testa e riprese la sua minuziosa
lavorazione su un astrolabio utile a calcolare le rotte. “Non
era una visita di
piacere, la nostra. Lo abbiamo punito, sì,” ammise
senza nascondere il proprio
compiacimento. “Sigurdr ci ha negato il suo aiuto violando un
accordo. Non
sarebbe cambiato niente e, in ogni caso, abbiamo vinto, ma eravamo soli
quando
non dovevamo esserlo,” puntualizzò feroce,
squadrandola con una freddezza che
la turbò, ma che stava imparando a riconoscere.
Il
drakkar eseguì una virata brusca e Sigyn si
ritrovò per un momento schiacciata
contro il petto largo dell’Ase. La presa di Loki era decisa,
sicura, forte. Avvertì
il suo corpo asciutto che le impediva di perdere
l’equilibrio, conobbe per la
prima volta il tocco delle sue dita, respirò il profumo
della sua pelle
mischiato al vento di mare. Si scostò immediatamente
sistemandosi meglio la
pelliccia di lupo. Il principe degli Æsir registrò
con una certa soddisfazione
il suo turbamento e lasciò che si allontanasse,
ripristinando le necessarie
distanze.
“Girati,”
le suggerì. “Potrebbe valerne la pena.”
Lei
si voltò verso il mare color argento e vide, in mezzo ai
flutti, la sagoma
grandiosa di una balena e poi di una seconda e di un’altra
ancora. Piena di
meraviglia, si accorse che non due, ma un intero branco nuotava poco
distante
dalla barca di Odino, incurante di loro e maestoso. Era uno spettacolo
sorprendente, fantastico, che la ragazza non aveva mai visto. Gli
immensi
cetacei nuotavano sollevando le schiene lucide e le gigantesche code,
inabissandosi nelle acque ghiacciate.
“Fidati
delle mie parole,” sibilò Loki.
“Approfitta di ciò che hai o potresti avere,
anziché rimpiangere quello che hai perso.”
Sigyn
distolse l’attenzione dalle balene e aggrottò la
fronte. Il dio degli inganni
la spaventava. Non lo capiva. In lui si mescolavano assieme i modi
brutali del
predone che era con quelli cortesi del principe di sangue reale.
“Stai
cercando di dirmi che dovrei accontentarmi di essere il vostro
ostaggio? La tua
prigioniera?” lo sfidò.
L’Ase
parve non gradire affatto l’ultima battuta e scelse con cura
le parole da
dirle. “Sto cercando di dirti che poteva capitarti di peggio
che venire
con noi ad Asgard,” spiegò infine prima di
allontanarsi con i suoi strumenti
verso Thor e la prua affilata del drakkar. Sigyn osservò la
sua figura agile e
ammantata di scuro. Nei giorni precedenti al terribile banchetto in cui
era
stata decisa la sua sorte, lei e le sorelle avevano ascoltato decine di
storie sugli
arroganti ma capaci Æsir. Astrid rideva, invitandola a
riconoscere la feroce
bellezza di quei volti virili e rudi dai lineamenti regolari e
piacevoli da
osservare, la prestanza dei loro corpi asciutti scolpiti dalle
battaglie. Lei
scuoteva la testa con finta esasperazione – ti incuriosiscono
perché sono
diversi da noi e vanno in giro con armi e armature, perché
acconciano i capelli
e le barbe con le trecce, sorella mia, ma è sconveniente
guardarli; è gente
senza morale né regole, guarda quanto bevono, ascolta le
battute che fanno, la
rimproverava con un brivido incrociando per un istante lo sguardo
aguzzo e
verde di Loki, che s’inumidiva le labbra col corposo vino
rosso di Vanheim.
Si
era fatta mille idee riguardo a ciò che le sarebbe capitato
su quella nave o ad
Asgard, le peggiori delle quali le erano state messe in testa nel breve
tempo concessole
per accomiatarsi dalla sua famiglia. All’istintiva sfiducia
verso gli Æsir si
era mescolato il terrore vago verso un imprecisato numero di violenze;
avendo
trascorso buona parte della sua vita dentro un luogo riparato, da
quando era su
quel maledetto drakkar si era ritrovata a pensare a tutte le storie,
spesso
orrende, che le ancelle più anziane bisbigliavano durante le
passeggiate per
spiegare, alle ragazze più giovani come lei, quanto fosse
tremendo il mondo
fuori da quelle mura. Secondo il loro punto di vista, vivere servendo
gli
Antenati, in pace e in tranquillità, con la
possibilità di studiare e dipingere
e suonare a proprio piacimento, rappresentava un enorme privilegio.
Sigyn aveva
sempre creduto che scrivere del mare senza averlo mai visto fosse un
compromesso da stringere con la propria immaginazione e riteneva un suo
preciso
dovere obbedire al volere dei suoi genitori; si era imposta di mettere
a tacere
qualsiasi velleità o vanità, eppure, quando
Astrid o qualche altra delle sue
sorelle o compagne la spingeva a immaginare, a fantasticare sui luoghi
oltre le
mura che lei non avrebbe mai visitato, il suo cuore si riempiva per un
istante
di una nostalgia senza nome. Era davvero giusto rinunciare a un mondo
mai
visto? Privarsi della possibilità di viaggiare e vedere
cascate e montagne e
precipizi e valli e distese immense di neve? Chiedersi per sempre che
sapore
avessero le labbra di un uomo? Un giorno avrebbe scoperto
com’erano quelle di
Loki, ma intanto quel pensiero ozioso la spaventò
più dei movimenti bruschi del
drakkar e delle occhiate truci degli Æsir.
L’immensa distesa oceanica poteva
essere descritta e immaginata da una mente fervida ed essere
verosimile, ma
l’odore di sale, gli spruzzi d’acqua, il sole che
accarezzava le onde e il loro
mutare colore – da azzurro a verde a grigio come la lama
d’un coltello no, non
poteva essere raccontato nella sua totalità e nessun quadro,
racconto o poema
poteva suggerirle l’incanto e la meraviglia dello spettacolo
del sole che s’affondava
nell’acqua. Leggendo aveva vissuto decine di vite differenti,
ma le immagini
proposte non avevano fatto altro che alimentare la sua voglia di
assaggiare il
mondo, di conoscere, scoprire, chiedersi cosa volessero dire i poeti
quando
raccontavano le loro storie in cui verità e fantasia si
mescolavano
indissolubilmente. Come faceva Loki, del resto: piegava la
realtà al suo volere
insinuando, omettendo, spingendo gli altri a seguire il suo punto di
vista. Il
paragone tra gli scrittori e il principe la indispettì. Che
convogliasse buona
parte delle sue attenzioni su di lui era, probabilmente, inevitabile.
Si
trattava dell’unica persona con cui si era ritrovata a
scambiare più di un paio
di parole e il principale responsabile del caos che aveva distrutto
ogni sua
certezza. L’idea di pretendere che gli fosse ceduta come
risarcimento era sua;
un diritto di cui si era fregiato per via della grave ferita che
l’aveva quasi
ucciso e da cui era riuscito a rimettersi completamente: poteva un uomo
agonizzare
in un letto da campo e sfoggiare, pochi mesi dopo, un ghigno tanto
protervo e beffardo?
Sigyn non nutriva alcuna fiducia né in Loki, celebre per i
suoi intrighi, né negli
altri Æsir o in Padre Tutto. In un certo senso,
però, l’ingannatore
rappresentava una sorta di sicurezza, per lei. Quell’uomo era
brutale e
perfido, bugiardo e calcolatore, infido e arrogante, ma riteneva che
non
l’avrebbe presa per i capelli e strattonata né
picchiata e non solo perché il suo
mantello di pelliccia le sfiorava le guance o per i suoi modi
incredibilmente
cortesi, ma freddi più delle onde gelide solcate dal
drakkar. C’era qualcosa di
più che la ragazza non riusciva ad afferrare.
Loki
era imprendibile, sfuggente, incomprensibile, spesso adombrato da
pensieri oscuri
e sorrisi studiati ad arte. La guardava e l’evitava,
nascondendole il segreto
di un destino segnato – ma di questo, lei ancora non aveva
alcuna contezza. Sigyn
decise che lo temeva, ma anche in questo c’era qualcosa di
profondamente sbagliato
– ne aveva paura, ma non poteva fare a meno di osservarlo.
Le
labbra di Loki erano sottili e sardoniche.
♥
Sigyn
aveva viaggiato per mare molte volte, da allora. Ne conosceva ogni
sfumatura di
colore e insidia. Pensò che lo avrebbe attraversato
un’ultima volta ancora ammirandone
la grandiosità, riempiendosi gli occhi malati e maledetti
con la sua grandezza.
Su suggerimento di Odino aveva preso la decisione di agire in fretta,
prima che
Loki, col suo feroce istinto da lupo, finisse per cogliere altri
segnali di
quello che le sarebbe successo, impedendole di partire. Doveva
approfittare
delle poche ore concessale da un consiglio di stato in cui Padre Tutto
lo aveva
coinvolto adducendo la necessità di vedere
all’opera i suoi due futuri re. Il pensiero
le fece arcuare le labbra in una smorfia di disappunto; la promessa di
lasciare
il trono di Asgard al più degno fatta a due ragazzini dagli
occhi brillanti
aveva avuto diverse conseguenze, non tutte positive;
l’efficace squadra che si
era venuta a creare tra Loki e Thor, cui bastava una sola occhiata
d’intesa per
allestire piani efficaci e terribili a un tempo, si era lentamente
avvelenata con
la competizione. Come si fa a salvarsi a vicenda, a guardarsi le
spalle, quando
si è stati cresciuti per imporre la propria
volontà assieme al rivale più
amato, al fratello con cui si è condiviso quasi ogni cosa?
Quanto era lecito
che durasse un simile affiatamento, se sporcato
dall’ambizione? Thor era
coraggioso, leale e dotato di un gran cuore, ma si dimostrava spesso
superficiale
e vanesio; in più occasioni, per fare sfoggio delle sue
abilità, aveva messo in
pericolo coloro che avrebbe dovuto guidare e proteggere. Loki, dal
canto suo,
era capace e intelligente, ma si divertiva a manipolare chiunque gli
capitasse
a tiro ed era fin troppo spregiudicato. La sua vittima preferita era
Thor, ma
se quando Sigyn era giunta ad Asgard le era sembrato che i due fratelli
dessero
tutto sommato poca importanza al trono che l’energico Odino
continuava a tenere
saldamente, ora pretendere l’Hliðskjálf
era più che un dovere per i due figli
di Padre Tutto[3].
Sigyn sospirò dirigendosi rapida verso il baule posto ai
piedi del letto. Loki stava
diventando sempre meno degno di sedervisi e questo anche
per colpa sua e
di ciò che aveva fatto per lei, con lei.
Le servivano solamente poche
cose, una manciata d’oggetti utili per il viaggio. Tutto il
resto era bene che
lo lasciasse lì dov’era, ad Asgard. Ben riposti
dentro il mobile in legno erano
racchiusi i frammenti di un’esistenza che non sarebbe mai
riuscita a
dimenticare; riempì una sacca da viaggio con
l’indispensabile, ma indugiò quando,
sul fondo, riconobbe una tunica verde che, certamente, tratteneva
ancora il
profumo della pelle del suo possessore. La sfiorò con la
punta delle dita ricordando
il giorno in cui l’aveva presa per tenerla con sé
e fu per quello che non s’accorse
del cigolio della porta che si apriva, dei passi felpati che
calpestavano il
tappeto soffice. Sobbalzò solo quando sentì
scricchiolare il pavimento di legno
sotto il peso di un paio di stivali maschili.
Si
voltò
di scatto e l’immagine per un momento le parve sfocata
– colpa delle lacrime
traditrici che le velavano gli occhi o della maledizione che rendeva
ogni ora
più difficile vedere?
“Mia
signora, sei in partenza!?”
La
voce di Loki era canzonatoria e carica di sarcasmo. Quando
riuscì a metterlo a
fuoco, riconobbe il viso affilato, il portamento fiero, le labbra
arcuate in un
sorriso feroce, lo sguardo gelido di lupo – si può
amare ogni dettaglio di qualcuno?
Anche se ci fissa con furiosa delusione? Si sollevò da terra
spolverando con un
gesto rapido la gonna.
“Mio
padre ti ha scritto ancora,” gli rispose evitando la domanda.
“Non mi hai detto
nulla, stavolta.”
Loki,
le braccia incrociate dietro la schiena, allargò il suo
ghigno. “Nemmeno tu, dolce
Sigyn.”
Continua…
L’angolo di
Shilyss
Care Girls,
Ma Buon Anno!
Allora, vi avevo
promesso un nuovo aggiornamento di Accordo, lo so, e oggi pomeriggio
anziché infilarmi
nella ressa dei saldi (dove sono già andata, non pensate),
proseguirò il
capitolo 35 che è a metà, ma questo capitolo 5 si
è scritto praticamente da
solo. Ancora prosegue l’alternanza tra passato e presente che
spero non vi
risulti troppo ostica (dalle recensioni pare di no, ma sapete
com’è).
Ora: se leggete
attentamente vi accorgerete come ovviamente Sigyn non sappia nulla del
destino
tremendo che le toccherà e ragiona con le informazioni in
suo possesso; d’altro
canto, viene detto che Loki non è probabilmente
più degno di salire sul trono
di Odino anche per colpa di Sigyn. Anche, non solo per. Diciamo che la
“questione
Sigyn” non ha aiutato, ecco ♥.
Vi ringrazio dal più
profondo del mio cuore per aver listato/recensito
la storia. Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo. Bastano
undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’
della magia che la
lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.
Parafrasando l’infinita
Melania G.
Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di
sapere che la
freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri
piedi, ma ha colpito il
cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e
un po’ di divertimento… c’è
la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.
Ricordo che Vanheim
e il personaggio
di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia, è una
mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
P.S.
La settimana prossima preparatevi
perché
uscirà il capitolo 35 di Solo un accordo.
Per davvero, stavolta XD,
GIURO.
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
[1]
In uno degli scorsi capitoli Loki fa una battuta suggerendo per Sigyn
un
destino diverso (dice “è un peccato che Odino
dovrà darti presto a un Ase.” Non
si tratta di un’incongruenza XD).
[2]
Astrid è la sorella di Sigyn solo nelle mie storie
(Confessioni, Solo un
accordo e Scintille). È un mio headcanon.
[3]
Essendo una storia ambientata pre-Thor i caratteri di Loki e di Thor
sono
quelli dei primi quindici minuti del film; l’arroganza e la
vanità del dio del
tuono sono ad ogni modo un canone scaldico – spesso viene
punito o si trova in
difficoltà perché è uno spaccone. Sui
difetti del caro Loki stendo un velo
pietoso.