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Autore: MaikoxMilo    13/01/2020    2 recensioni
Le voci di tenebra azzurra, cheta ma terribile, si stanno allungando sempre di più sul nostro mondo. Sono latrati di sofferenza che, rantolando, vanno sparendo sempre di più, sono singulti di dolore che affogano nel silenzio di una frattura spazio-temporale, sono pianti inermi di bambini che non sono mai nati. Tutto porta ad un unico filo conduttore, tutto è manovrato da un solo, unico, burattinaio che agisce in virtù di uno scopo più alto, imprescindibile. La Dimensione Terra, la dimensione delle possibilità, unica ancora a resistere nel Multiverso algoritmico, sta per venire risucchiata da un'altra estensione, vicina ma lontana, gemella ma distante: il luogo natio del Mago medesimo, Ipsias. L'altra. L'infinitamente ineffabile.
Ciò che è successo lassù, quale correlazione ha con la Dimensione Terra? Potrà la Melodia della Neve, la melodia di tutte le cose, opporvisi?
Nuove esperienze e battaglie attendono i Cavalieri d'Oro del XXI secolo, sempre accompagnati da Marta, Michela, Francesca e Sonia, ormai entrate di diritto tra le schiere dei custodi del tempio.
In un mondo che va eclissandosi... sarà possibile una nuova luce?
Naturalmente si tratta del seguito di Sentimenti che attraversano il tempo, del quale è necessaria la lettura!
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 4: Ciò che non può più tornare

 

 

 

18 ottobre 2011, sera

 

 

Sono talmente spossata da non reggermi in piedi da sola, in tal senso è Camus che letteralmente mi conduce alla Casa dell’Acquario, sorreggendomi con le sue forti braccia. Sono sollevata di poter finalmente riposare, anche perché ho come un buco, anzi, una voragine in testa, che non mi permette di rammentare cosa sia accaduto gli ultimi minuti in cui eravamo al tredicesimo tempio. Ricordo solo che ho visto Stefano essere colpito brutalmente, una rabbia cieca mi aveva avvolto, tanto da voler distruggere tutto e tutti, e poi… puff, niente, sparito tutto, mi sono trovata contro mio fratello che mi rassicurava, stremato anche lui come se avesse combattuto, io proprio non… ho un tale mal di testa, e il chiacchiericcio vivace e allegro di Michela, che non ha smesso un secondo di parlare, non aiuta di certo.

E’ Camus stesso ad aver chiesto delucidazioni a Hyoga e alle altre due allieve, ma la mia amica più piccola ha colto la palla al balzo per narrare tutta la genealogia della missione senza fermarsi mai a rifiatare.

“E poi, Maestro… siamo rimaste Marta ed io, separate dalle altre, un fascio luminoso ci ha colpito e bum, siamo finite nel greto del torrente, e allora, dopo aver fatto parapippala, ecc, ho reagito, ho bruciato il cosmo per disintegrare i Mangia-ghiaccio... sì, così si chiamano, li ho chiamati io, ahahahahaah! - scoppia a ridere, allegra, tuttavia poi si ferma, dispiaciuta - … O almeno così credevo di aver fatto, perché Francesca e Hyoga mi hanno detto che ero svenuta...”

“Sì, è proprio così… in verità non hai fatto niente, ti abbiamo trovato a russare sul Brevenna ghiacciato, altro che distruggere i Mangia-ghiaccio, hai solo ronfato della grossa!!! - conferma Francesca, pratica, un risolino a solcarle le guance – Sì, perché, Maestro, la nostra Michela è svogliata negli allenamenti e non fa niente, ma brucia il cosmo quando dorme… QUANDO DORME, CAPISCI?!? Io valuterei allenamenti extra!” la prende scherzosamente in giro, tanto da far distendere anche il viso corrucciato di Camus, preoccupato per me.

“Eppure io davvero pensavo di averli battuti… era così intenso, sembrava tutto così vero!”

“Sì, sì, era vero… nei tuoi sogni, solo lì!”

“Uffi, Fra… non rigirare il coltello nella piaga! Pensavo davvero di aver fatto qualcosa per rendere orgoglioso il Maestro Camus!”

La mia amica abbassa lo sguardo, imbronciata. A quanto pare era davvero convinta di essersi mossa mentre dormiva, ma le sue speranze sono state infrante da Francesca, che trova particolarmente ilare ‘smontarla’ su due piedi. Sono sempre state un po’ così loro due, ma si vogliono molto bene. E’ semplicemente il modo di Francesca di alleggerire la tensione, infatti poco dopo prova a tirarle su il morale.

“E’ andata fin bene così… ce la siamo vista brutta! Tu fortunatamente hai la testa dura, Michela, una botta così avrebbe potuto essere fatale per molti. Hyoga, Sonia ed io eravamo terrorizzati quando ti abbiamo trovata, ma per fortuna stavi bene!””

“Ha ragione Francesca, Michela, era una missione al di là delle vostre capacità. Domani, con più calma, mi spiegherete bene passo per passo quanto è accaduto. Sono già orgoglioso di voi, e lieto che siate tornate sane e salve, quindi non preoccuparti se non hai fatto nulla di eclatante, a tuo dire, è già un’ottima cosa che tu sia qui per raccontarmelo!” la rincuora Camus, sorridendole con affetto, tanto da far meravigliare la stessa Michela che ricambia il sorriso in maniera più raggiante.

“E’ vero… devo riferirti una cosa, anzi, più di una… sono preoccupata!” ammette invece la mia amica più grande, scura in volto.

“Lo so, Francesca… lo so...”

Giunti finalmente alla Casa dell’Acquario, convinco mio fratello ad occuparsi prima degli altri che non di me, desiderosa di rimanere un po’ da sola per raccapezzarmi dell’accaduto. Ce ne vuole un po’, un bel po’, per convincerlo, ma alla fine acconsente a malincuore, permettendomi di andare in camera mia per sdraiarmi sul letto e lasciarmi sola con i miei pensieri; pensieri che tuttavia non si palesano, adagiandosi invece nelle nebbie del sonno. Mi addormento quasi meccanicamente, perdendo la cognizione del tempo, almeno finché una fitta persistente al fianco sinistro non mi fa spalancare le palpebre, facendomi raggomitolare su me stessa in preda agli spasmi. Conosco bene questo tipo di dolore, anche se l’ho creduto, fino ad adesso, conseguenza della battaglia appena finita, ma effettivamente non ho subito ferite lì, questo mi indica chiaramente che il colpevole di questo malessere può essere solo uno. Maledizione!

Mi metto faticosamente a sedere, la battaglia mi ha devastata, sia le braccia che le gambe mi tremano e fanno male, ma ottusamente mi dirigo comunque in bagno per vedere se i miei sospetti sono veritieri, trovandone pienamente riscontro proprio quando faccio pipi: mi sono venute, OGGI, ORA! Ma porc…!

Sbuffo contrariata, mettendomi la testa tra le mani alla ricerca di una soluzione tempestiva. Mi sono sporcata e dovrei cambiarmi, ma fatico a pensare correttamente, come se fossi in stato confusionale, come se non bastasse, in contemporanea, sento bussare dalla porta. E’ mio fratello… e ciò mi fa agitare ancora di più.

“Marta? Tutto bene?”

“No… cioè, s-sì...”

Il mio tono è talmente costipato che probabilmente lo fa preoccupare solo di più, pertanto mi pone una nuova domanda, ancora più imbarazzate.

“Posso entrare?”

“NO, CAZZ… EHM… no...” biascico, pulendomi alla bene meglio e rimettendomi in fretta le mutande, malgrado siano sporche. Possibile che in questa casa, non ci sia un briciolo di privacy?! Eppure mio fratello è un tipo molto discreto!

Cerco di recuperare due toni nella voce allo scopo di sembrare di stare bene, uscire per poi scappare in camera mia, prendere gli assorbenti, un cambio di mutande e tornare infine qua, ma la testa mi gira di 360 gradi e finisco a terra, umiliata e stremata. Il tonfo si sente da fuori, lo so, e prima di poter fare qualcosa d’altro, lo vedo aprire la porta, padrone di aver deciso come muoversi nonostante il mio parere contrario. Discosto lo sguardo, imbarazzata oltremisura, ho anche nausea e mi sento preda dei conati di vomito. Mi ci manca questo in presenza di mio fratello e poi posso tranquillamente sparire dalla circolazione.

“Come supponevo... sei una testona, non ti reggi in piedi ma non vuoi essere aiutata” mi rimprovera bonariamente lui, avvicinandosi.

Non dico niente, colpita in fallo. Lo vedo accucciarsi davanti a me, scrutandomi nel profondo, mentre una famigerata situazione di liquido caldo nelle cosce mi fa vergognare ancora di più. Mi devo cambiare, alla svelta, prima di sporcarmi anche dell’altro, ma non voglio che lui sappia, anche se sono altrettanto sicura che non si schioderà da me con tanta facilità.

“Marta… lascia che ti dia una mano...”

Il suo tono è dolce e gentile, mi rincuora, ma è una barriera ancora troppo persistente per me, rivelargli questo, malgrado tutti i fatti accaduti tra noi in precedenza. L’ho visto nudo mentre stava male, me ne sono presa cura, pulendolo dai bubboni della peste, asciugandogli il sudore, oltre a spalmargli una crema perché ha davvero la pelle troppo, troppo, sensibile alle irritazioni; lui ha fatto qualcosa di simile a me, dopo la battaglia contro il falso Crono, vegliandomi nelle notti insonni, cambiandomi le bende e curandomi le ferite sul petto. Siamo fratelli, dovremmo essere cresciuti insieme e quindi non avere di questi problemi, ma i 17 anni di distanza fanno, non permettendomi di oltrepassare ancora questo valico.

In fondo, Camus ha accettato che io mi prendessi cura di lui quando stava male, nonostante la sua riservatezza, nonostante odi essere toccato, eppure di me si è fidato, concedendomi la totale disponibilità sul suo corpo. Qui però la situazione è molto peggiore delle precedenti, poiché dovrei dirgli che… che perdo sangue da… beh, da sotto… oddei santissimi!

“Eh… uh… mi serve un...” balbetto, rossa in faccia.

Vorrei dire ‘Buscofen’ che è la medicina che prendevo in Italia per i dolori mestruali, ma, uno, non so se esista in Grecia, due, capirebbe subito cosa ho che non va...

“Una… una cosa...” dico solo, con gran fatica.

“Una cosa… cosa?”

“Niente...”

Camus sospira sonoramente, non sapendo che altro approccio tentare, tornando poi a concentrarsi sulla ferita sulla schiena. Mi scosta gentilmente i capelli di lato per vederla meglio.

“Lascia almeno che mi prenda cura di questa, è in un punto che non puoi raggiungerlo da sola” tenta nuovamente, sinceramente preoccupato.

Siccome tremo e non ribatto nulla, cerca un nuovo modo per rassicurarmi.

“Marta, credimi, capisco bene il tuo imbarazzo, lo sai, sono come te, ma...”

“Non è quello! - esclamo, frenetica, poco prima di spiegare – No, non mi vergogno, fratellino, del resto ci siamo già visti nudi entrambi. Il punto è un altro...”

“E quale sarebbe allora?”

“Mi sono venute!” sussurro in un soffio, sentendomi avvampare. Ecco, l’ho detto, che disonore rivelarglielo...

Camus arrossisce a sua volta e si ammutolisce, ma dopo pochi secondi lo sento ridacchiare tra sé e sé, sereno. Beato lui, io vorrei nascondermi in una fossa, invece!

“Lieta che le mie vergogne siano motivo per te di così tanta ilarità!” commento, offesa, guardandolo torvo.

“Le tue vergogne?! Hai ucciso qualcuno con quelle, per caso? E poi ancora, è solo questo il motivo del tuo imbarazzo?”

“Come solo questo???” ribatto, ancora più oltraggiata, sempre più incredula.

Camus continua a ridacchiare tra sé e sé, prima di avvolgermi con dolcezza in un abbraccio tiepido e delicato che, ancora una volta, riesce nel suo intento di ammutolirmi per la sorpresa.

“Marta… è vero che sono un uomo, ed è vero che non ho troppe esperienze con l'altro sesso, ma pensi davvero che non sappia che tu, a 17 anni, non sia già sufficientemente grande per avere le mestruazioni? – le nomina, neanche fosse la cosa più noncurante di questo mondo, facendo arrossire me, di nuovo – Conosco la fisiologia umana, sia maschile che femmine! E’ cultura generale!” conclude, pratico, rialzandosi in piedi e dirigendosi verso l’uscita del bagno, lasciandomi lì, inebetita e al limite del disagio. Ritorna poco dopo con un pacco di assorbenti e un cambio di mutande, prima di chiudersi la porta dietro di sé per darmi privacy. Fisso sbigottita gli oggetti, accorgendomi che sono i miei… dunque Camus sapeva dove li celassi, come diavolo…?! Uff, che vergogna! Sospirando sonoramente comincio a cambiarmi.

Che tipo! Ogni tanto non so come prenderlo. I discorsi sul sesso lo fanno imbarazzare, ma poi parla tranquillo di queste cose… mah! Non che io abbia mai avuto molto modo di avere a che fare con l’altro sesso, se escludiamo Stevin, però ero convinta che fosse un argomento tabù per i maschi, e invece…!

Sussulto improvvisamente nel pensare al mio amico, ripercorrendo mentalmente la nostra burrascosa riunione fino ad arrivare all’arrivo al Tempio e al trattamento riservatogli. Senza quasi accorgermene singhiozzo, una stilettata mi mozza il respiro, portandomi ad accasciarmi vicino alla vasca-doccia, completamente stravolta. Mi sono cambiata, ma mi sento ancora più a pezzi. Devo ancora raccapezzarmi, ho un bisogno cocente di sfogarmi, ma allo stesso tempo ho paura.

“Marta… tutto bene? Ti sei cambiata?” mi chiede ancora mio fratello, dietro la porta. Non se ne è mai andato da lì, probabilmente avverte il mio stato emotivo ma, come sempre, attende che sia io a sfogarmi.

“S-sì, fratellino...” biascico, tirando su con il naso e asciugandomi il fastidioso liquido. Stavolta Camus entra senza nemmeno chiedermi il permesso, chiudendosi la porta dietro di sé. Io sono ancora a terra, in uno stato pietoso, quando lui mi massaggia delicatamente la schiena per rassicurarmi, dandomi il tempo per calmarmi, prima di prendere di nuovo parola.

“Che dici, arrivo un po’ tardi per fare il bagnetto insieme, vero?” mi chiede in tono dolce, ma il suo sorriso è amaro e nasconde una certa malinconia.

Inavvertitamente ridacchio tra me e me, alzando lo sguardo ricolmo di gratitudine. Riesce a farmi sentire sempre, sempre, bene, non so come faccia.

“Non più di tanto…” dico solo, appoggiandomi stancamente a lui, che nel frattempo mi scosta di nuovo i capelli per vedere, ancora una volta con sguardo clinico, l’entità del danno.

“La ferita non è profonda, ma sembra causata da un’arma da taglio, precisa e incisiva, per questo hai perso un discreto quantitativo di sangue. Dove diavolo…?”

“Te lo spiegherò, Cam, solo… non ora, sono tanto stanca e non ne ho le forze” confesso, sospirando.

Camus annuisce, convinto, passando poi a prendere un elastico per farmi una coda. Io sono totalmente alla sua mercé da quanto sono stremata, ma non è una brutta sensazione, anzi, è forse l’unica persona con cui accetterei di essere in simili condizioni. Non mi vergogno, non più, mi sento protetta e a casa, ed è una emozione davvero calda, mi riempe il cuore.

“Posso?” mi chiede formalmente il permesso, ed io immediatamente comprendo a cosa allude, pertanto socchiudo gli occhi e sorrido ancora, finalmente tranquilla.

“Come ti ho detto prima… mi sento totalmente a mio agio con te. Entrambi ci siamo visti in condizioni pietose, entrambi ci siamo presi cura dell’altro, non c’è alcun problema, fratellino, procedi pure!”

Camus non ribatte nulla, ma mi toglie delicatamente la maglia e la mette per terra, poco dopo mi slaccia il reggiseno e apre l’acqua tiepida della vasca. Il primo step è di lavare la ferita per evitare una infezione, lo so bene, ma lascio fare a lui.

Nonostante le mie parole e le sue rassicurazioni, però, ho comunque l’impulso di coprirmi il seno come reazione istintiva, non del tutto a mio agio. Una volta riempita la vasca, lo vedo disfarsi a sua volta della propria maglia e posarla vicino al lavandino per rimanere così con i soli jeans, probabilmente allo scopo di essere più libero di armeggiare con la spugna e l’acqua senza inzupparsi il vestiario, o forse anche per farmi sentire più a mio agio, visto che, così facendo, siamo nelle stesse condizioni. Colgo l’occasione per dare un’occhiata alle tre cicatrici, giacché non sono molte le occasioni in cui mio fratello le fa vedere, essendo appunto così riservato. Non ama stare nudo, malgrado abbia perpetuamente caldo in qualunque circostanza, se può si copre con indumenti leggeri, ormai lo conosco bene.

Mi faccio quindi lavare la schiena malgrado il bruciore, permettendomi di guardargli meglio il torace chiaro e tonico: effettivamente le tre ferite sono in vistoso miglioramento, essendo passate da un colore rosso acceso ad un marroncino caffelatte che, stante la tua pelle, da subito nell'occhio. Per il resto, sono ancora in rilievo e non danno l’idea di voler rientrare, condannandolo così, molto probabilmente, ad averle come segno distintivo per sempre.

“Cam, davvero non c’è altro modo per quelle? Non so, una crema cicatrizzante, un qualcosa per ridurle, un...”

“Sono troppo nette e profondo per sparire del tutto, nessuna medicina può fare miracoli, ma non sono un problema per me. Per te, invece, un rimedio per questo brutto taglio ce l’ho, un modo per non lasciarti un ingiusto segno sulla schiena!”

“Ma se puoi farlo per me, perché per te non potrebbe funzionare?”

“Ci sono diversi tipi di ferite, piccola mia. Anche volendo, le tre lacerazioni, essendo maledette, non hanno potuto essere trattate per molto tempo e… beh, sono state aperte e riaperte troppe volte per potervi porre rimedio”

“Ma io… non voglio che quel segno ingiurioso permanga sul tuo corpo. E’… è tremendo, Cam, è una menomazione che non meriti!” insisto, agitata.

“Marta… ti ho già detto che va bene così per me, ci ho già imparato a convivere da tempo, nonostante il fattore estetico. Mi basterebbe recuperare totalmente ciò che ero prima, non chiedo altro” mi spiega, passandomi a lavare i capelli che devono essersi sporcati di sangue.

Rimango quindi in silenzio, tornando a fissare le piastrelle del bagno. Se per lui va bene così non dovrei insistere più del dovuto, ma non riesco ad accettare l’idea che quei segni rimangano sul suo corpo, provocandogli un’insistente debolezza. Quei segni… lui potrà anche accettarli perché simboleggiano il suo avermi protetta, ma per me sono solo una maledizione, la dimostrazione che io, proprio io, gli ho causato una tale sofferenza che per poco non lo privava della vita. Sono passati mesi da allora, eppure non riesco a perdonarmi.

I miei pensieri sono accelerati, mi vorticano insistentemente in testa, ma le mie labbra non aggiungono altro, lasciando solo trapelare un profondo, quanto esaustivo, lungo sospiro denso di significato. Suono che a Camus non sfugge di certo.

Neanche lui dice niente per un po’, finisce di lavarmi e comincia ad asciugarmi, una volta compiute queste due azioni, mi abbraccia, portandomi contro di sé e facendomi meravigliare non poco. Il tepore della sua pelle… è così meraviglioso! Mi è difficile pensare che lui sia il Signore dei Ghiacci, quando tutto ciò che contraddistingue la sua persona riesce così agevolmente a riscaldarmi fin dal profondo. Coniugando tutti i suoi pensieri nello sforzo di esprimerli, riesce infine a parlarmi.

“Credimi... lo so di averti causato un trauma con la mia decisione di proteggerti… so che quelle immagini, quei momenti che hai vissuto, sono stampati a perpetua memoria nella tua testa, e so che li rivivi di tanto in tanto, preoccupandoti per me. Del resto, dirti che per me va più che bene così non può cancellare quello che è stato, ma… credimi, credimi se ti dico che è tutto apposto! Farei e rifarei quella scelta altre cento, mille, volte, se sapessi che tutto ciò mi condurrebbe qui, garantendo la tua sicurezza!” mi spiega, un poco emozionato. Continua ad avere grossi problemi ad esternare le sue emozioni, il suo tono è impacciato quando mi confida questo genere di cose, ma sono orgogliosa dei suoi enormi passi avanti.

“Sì, le rivivo… da due prospettive diverse: la mia e la tua. Ogni tanto rivedo te sotto i ferri, senza che la mia volontà si possa opporre. Vedo il tuo volto sofferente, il sangue che continua a grondare fuori dal petto, cadendo per terra, malgrado l’intervento dei medici, ed è come se sentissi il suono dell’elettrocardiogramma che mi frastorna le orecchie, paralizzandomi nei recessi dell’anima… - biascico, tremante, la sua stretta aumenta, dandomi il coraggio di proseguire – Ci hanno detto che durante l’operazione il tuo cuore ha smesso di battere… che c’è stato un momento in cui non sapevano se ti avessero irrimediabilmente perso, ma… ma hai reagito alla rianimazione, non so come, non so… non so dove tu abbia trovato la forza per farlo, so solo che ringrazio mentalmente tutta l’equipe medica che ti ha riportato alla vita, la tua tempra, il tuo non volerti arrendere. Ti sei aggrappato strenuamente a qualcosa e non l’hai più mollata, ed è grazie a quello se ti ho potuto conoscere, se ho potuto scoprire di avere un fratello meraviglioso come te!” finisco di dire, con enorme fatica, nascondendomi contro il suo petto e singhiozzando. Non ne posso fare a meno. Tremo come un uccellino nel nido, bagnato e infreddolito, ma le carezze che mi regala Camus riescono, come al solito, lentamente, a calmarmi.

“E’ stato per merito tuo… a te, al tuo pensiero, al tuo viso, mi sono aggrappato in quei momenti difficili… - mi sussurra con dolcezza, tanto da spingermi a scorgergli il volto. I suoi occhi sono lucidi e le sue labbra sono stirate in un leggero sorriso che racchiude tutto il suo mondo. Mi incoraggia e mi rassicura, a me, che non ne dovrei averne bisogno, perché quello che ha subito tutto questo è lui – Avevo scoperto da poco che tu fossi mia sorella, non potevo in alcun modo morire dopo averti ritrovata. Non… non ricordo molto di quei momenti, tranne il dolore, il fiato che mi mancava, il freddo sotto di me, intorno a me… era un buio perpetuo ricolmo di sofferenza, ma c’eri tu, il tuo viso, mi sorridevi, e quello, solo quello, mi ha dato la forza necessaria per non arrendermi. Quando finalmente riaprii gli occhi, tu eri al mio fianco e stavi bene, mi sono sentito genuinamente felice, tanto da non sentire quasi più il dolore al petto causato dalle ferite, come se fosse già stato cauterizzato. Quindi, piccola mia, oltre ai medici, oltre alla mia tempra, oltre al mio non volermi arrendere, ringrazia anche te stessa: sono ancora qui perché tu eri con me, sei tu la mia forza!”

“Oh, fratellino...” sussurro solo, appoggiandomi di nuovo a lui, stremata. In verità vorrei parlargli di più ma, complice la doccia, la spossatezza me la sento tutta addosso.

“Sei molto stanca… non è questo il momento giusto per trattare di argomenti così delicati. A domani i discorsi, ora hai solo bisogno di essere medicata e di dormire” mi dice, lasciando me momentaneamente seduta a terra. Lo vedo alzarsi, asciugarsi brevemente il torace e rimettersi nuovamente la maglietta, poi sistemata meglio sui jeans. Poco dopo si accuccia nuovamente davanti a me, prendendomi delicatamente tra le braccia dopo avermi regalato un buffetto sulla guancia.

Io mi lascio condurre senza fiatare, appoggiandomi a lui, un po’ come quando ero piccola e mia madre mi conduceva a letto per raccontarmi la favola della buonanotte. Sono abbastanza in me per avvertire i movimenti di mio fratello, ma non per comunicare, quindi gli permetto di portarmi in camera mia e posarmi sopra il letto in posizione prona, la testa appoggiata alle mie braccia piegate. Ogni cellula del mio corpo accoglie con gioia quel giaciglio, portandomi ben presto ad appisolarmi senza però cadere in un sonno profondo, tant'è che avverto con distinzione le dita di Camus passarmi un unguento, poi una crema e un qualcosa di fresco sulla schiena, esattamente in quest’ordine. Lo avverto ancora, anche se appena, mentre mi tira i due lembi della ferita, portandomi all'intuizione che sta passando una serie di punti, il che mi meraviglia per la sorpresa, ma poi mi acquieta; del resto è ovvio che ogni Cavaliere d’Oro abbia le nozioni base di medicamenti e cure varie, a maggior ragione uno come mio fratello che ha vissuto per anni nella sperduta Siberia Orientale. Quante cose non so ancora su di lui, quanto mi piacerebbe saperle!

La ferita mi tira alquanto e mi brucia, ma è qualcosa di assolutamente sopportabile e che anzi mi accompagna nel dormiveglia sempre più profondo. Tuttavia tutto d’un tratto e di colpo, mi accorgo di dovergli dire una cosa molto importante, anzi di vitale rilevanza, per cui mi ridesto, sforzandomi di rimanere vigile.

“Cam...” mormoro, rauca.

“Cosa c’è, piccola mia?”

“Io… quando ero nella valle, ti ho sognato, prima che mi svegliasse Francesca”

Mi rendo conto appena che mio fratello non sa nulla di quello che è stato, nessuno glielo ha spiegato ed io ho appena parlato come se sapesse ogni cosa, tuttavia mi da corda, chiedendomi maggiori spiegazioni.

“Era… era la mia infanzia, ma c’eri anche tu, avrai avuto 13 o 14 anni e… ed eravamo insieme, nella casa in campagna dei nonni, come se fossimo due persone normali...” biascico, di nuovo con gli occhi lucidi. Camus per tutta risposta, forse notando la mia occhiata quasi disperata, forse emozionato a sua volta, mi comincia ad accarezzare i capelli con dolcezza per tranquillizzarmi.

“Vai avanti...” mi incoraggia, teneramente.

“Tu… avevi trovato un rondone, lo abbiamo fatto volare e… beh abbiamo litigato e fatto pace, proprio come due fratelli normali. E poi… e poi c’erano i nonni, Dante e Ines, non so cosa ricordi di loro, se li ricordi...”

“A sprazzi… molto a sprazzi...” ammette, fremendo appena.

“E… e vedi io… io avrei voluto rimanere lì, in quel sogno, era ciò che desideravo con tutta me stessa, tutto ciò che mi è stato strappato, anzi… che CI è stato strappato! Mi manca... mi manca così tanto e… sigh!”

Trascorre qualche attimo di silenzio, il tempo necessario a me per finire di singhiozzare e a Camus per riprendere e terminare le procedure di medicazione.

“Marta… - mi chiama, poco dopo rimboccandomi le coperte e sedendosi a bordo letto, con un dito mi scaccia via le lacrime che mi bagnando le guance – Sei stremata e hai avuto un’esperienza traumatica, per questo che hai fatto sogni simile, e...”
“NO! - lo blocco subito, mettendomi in posizione fetale – Non è una cosa solo di adesso, io… io voglio indietro la mia vita, con te, se solo penso che non potrò più averla, che è cambiato tutto, da allora, io… Io non ce la faccio, Camus, io vorrei farti vedere la Valbrevenna, ma… ma non posso più, è… è morta, come i nonni, come...” non finisco la frase, nascondendomi la faccia tra le coperte, vergognandomi di avere un simile comportamento infantile in sua presenza. Credevo di essere migliorata in questi mesi, eppure sto reagendo peggio che una poppante. Le mie amiche invece… loro non fanno che migliorare!

Camus non smette di accarezzarmi nel tentativo di rincuorarmi. Percepisce il mio malessere, lo patisce su di sé, eppure ha comunque difficoltà a raggiungermi. Ancora una volta leggo nelle sue intenzioni il desiderio di rassicurarmi anche a parole, del tutto impossibile per lui. Lo so, lo vedo, ci sono tante cose che vorrebbe dire e chiedere, ma non riesce. Alla fine lo sento sospirare sonoramente nel pronunciare un’unica, breve, frase.

“Lo vorrei anche io, non immagini quanto...”

“Che cosa?”

“Riscrivere tutto… vivere un’infanzia che mi è stata strappata; come sono stato strappato da voi...” ammette, gli occhi scuri.

E’ il mio turno di rimanere zitta, soppesando quella confessione e abbracciandola nella sua interezza. Il tempo è davvero spietato…

Ad un cero punto butto le braccia fuori dalle coperte. Dando un’occhiata indicativa a Camus, di quelle che precorrono ad una richiesta specifica. Mio fratello lo capisce, sorridendomi amaramente, in attesa.

“Puoi… puoi darmi la mano?” pigolo, imbarazzata. Sembro un fagotto tra le coperte, lo so. Lui posa la mano destra sul palmo della mia, mentre, con l’altra, mi vezzeggia i capelli. Colgo l’occasione per avvicinare il mio volto a quella stretta, quasi poggiandomi completamente, in cerca di un contatto.

La sua pelle è morbida e delicata come piume di cigno, questa sensazione non è mai mutata dalla prima volta, e sento che mai cambierà. Conosco così poco di lui, eppure è come se sentissi e avvertissi tutto di ciò che è realmente, la sua essenza più intima. Socchiudo gli occhi a a quel contatto, tremando appena, non capisco se per il freddo, la ferita o i sentimenti contrastanti.

Ad un certo punto sento le dita della mano sinistra di Camus passare dai miei capelli alla guancia, asciugandomi qualcosa che non ci dovrebbe essere… lacrime?! Di nuovo?!?

“Non piangere… ricordati che loro sono dentro di te! Qualunque cosa accada, non sarai mai separata da loro! Il bene che ti hanno voluto non cambierà mai!” mi sussurra con dolcezza, riferendosi ai nonni. Non è un rimprovero ma solo una raccomandazione, per lo più detta in un tono pacifico, ma so bene i suoi pensieri a riguardo delle lacrime e di chi, come me in questo momento e Hyoga, si lascia abbandonare alle malinconie passate.

“Sc-scusami… è che… è che mi sento in totale balia degli ormoni. In genere non sono così...” rivelo, vergognandomi oltremisura.

“Lo so, sei forte, piccola mia, ma il colpo che hai subito è stato tosto… hai solo bisogno di tanto riposo, vedrai che domani andrà meglio!” mi rassicura, stringendo la presa sulla mia mano. Decido di cambiare discorso, perché a parlare dei nonni mi viene da piangere.

“Cam, ascolta… Stevin è innocente, è sempre stato un pezzo di pane, lo avrai visto anche tu nei sogni. Non farebbe male ad una mosca, te lo assicuro! Non fategli del male, vi prego, non… ha il temperamento di Dégel, non lo merita!”

Camus mi scruta nel profondo, sistemandomi meglio le coperte mantenendo il contatto con me, prima di parlarmi schiettamente.

“Marta… lo so, mi fido del tuo giudizio. Non ti saresti mai affezionata ad una persona cattiva, ma… è giusto che il Tempio prenda le sue precauzioni...”

“NO! Vi prego, no!” mi agito, compiendo movimenti bruschi che subito mi chiedono il conto per l’imprudenza, regalandomi una fitta di dolore.

Camus mi ferma immediatamente, pronto, facendomi riadagiare sul letto con la massima cura.

“Cerca di capire, piccola mia… loro non sanno niente di lui, e il fatto di essersi mosso nel tempo fermo, per lo più senza subirne le conseguenze, non è certo passato inosservato. Inoltre possiede un cosmo, per quel che ne sappiamo può esserci lui dietro tutto questo, consciamente o inconsciamente. Pertanto è necessario prestare la massima attenzione!” mi spiega con infinita pazienza, ben consapevole che si tratti di un tasto dolente.

“No, lui non c’entra! Quegli esseri… hanno attaccato anche lui, volevano ucciderlo tanto quanto erano attirati dal potere del ghiaccio!”

“Chi... chi sarebbero?”

“Quelli di cui ti ha accennato Michela: i Mangia-ghiaccio!”

“Erano attirati dal potere tuo e di Hyoga?”

“Sì, e da Stevin!”

Camus si prende un po’ di tempo per soppesare quanto detto, ma poi decide di vertere l’argomento su altro, forse non avendo elementi sufficienti per capire.

“In ogni caso Shion ha scelto di usare le massime precauzioni e lo capisco in questo. Tuttavia ti prometto che non permetterò di torcere neanche un capello al tuo amico, non fino a quando non avremo la sicurezza che sia lui il colpevole”

“NON E’ LUI!!!” continuo a ripetere, ottusa e agitata, tant’è che è nuovamente compito di Camus calmarmi come solo lui può fare. Il suo tocco mi tranquillizza, riportando i miei battiti cardiaci a livelli normali.

“Io ne sono sicuro, Marta, vedrai che, col tempo, lo saranno anche gli altri – dice, sereno, poco prima di passarmi dal comò un bicchiere contenente un liquido verde che non avevo notato prima – Ora prendi questo, ti aiuterà a dormire, è un po’ amarognolo ma vedrai che ti sentirai subito meglio”

“Cosa dovrebbe essere?” domando curiosa, annusando lo strano liquido che profuma di tè verde, assolutamente invitante.

“Erbe medicinali essiccate che tengo in dispensa e che arrivano direttamente dalla tundra siberiana… imparerai a conoscerle!” mi espone, non smettendo di sorridermi.

Annuisco con convinzione, ingurgitando il liquido, che se anche fosse acido, per dire, mi fiderei talmente tanto di lui da berlo senza fare storie. Rimango un po’ stordita a quel pensiero, rendendomi conto che davvero non sono mai riuscita a confidarmi così totalmente con qualcuno, ma con lui è diverso, ne ho la certezza, come fosse un qualcosa di molto più forte di me; un qualcosa che oltrepassa le dimensioni.

Mi sistemo meglio sul cuscino, mentre già alla sensazione di stanchezza se ne aggiunge un’altra di sonnolenza pressoché totale. Il respiro si fa più leggero, la percezione sul mio corpo, lentamente, va scemando, i contorni dei miei occhi si oscurano, fino alla chiusura totale.

“Camus...”

“Sì?”

“Rimani con me, intesi? Da adesso in avanti...”

“Marta… ti posso solo dire che ci proverò con tutte le mie forze, ma...”
“Lo so che non me lo puoi promettere… anche se ogni tanto non mi dispiacerebbe vivere con questa illusione nel cuore...”

Lo sento sospirare, fremendo alquanto. E’ in evidente difficoltà, come sempre quando deve dimostrare quello che prova, ma va bene così, del resto è qui vicino a me, non sento il bisogno di chiedere altro.

Mi continua ad accarezzare i capelli, massaggiandomi la testa e facendomi sprofondare ben presto nella quiete totale dell’incoscienza, il sorriso sulle labbra e una dolce litania che mi fa addormentare totalmente, finalmente serena.

 

 

* * *

 

 

19 ottobre 2011, mattina inoltrata

 

 

Continuo a fissare inebetita la scena davanti a me, non partecipando però al suo svolgimento, ancora troppo rincoglionita dal sonno. Mi sembra di aver dormito per secoli e sono comunque a pezzi, totalmente a pezzi. Mi appoggio allo stipite della porta, frullandomi i capelli che mi ricadono davanti agli occhi e che mi danno fastidio, sbadigliando poi con esaustivo spalancamento delle fauci, sebbene celate dalla mia mano.

In cucina intanto, davanti a me, Michela e Francesca sono intente ad apparecchiare e a pulire, sorprendendomi non poco. Non ho la più pallida idea di che ore siano ma mi sembra innaturalmente presto per queste cose. Le mie amiche non mi hanno visto, totalmente impegnate nelle loro azioni, pertanto sta a me manifestare la mia presenza.

“Buongiorno...” mugolo, sbadigliando di nuovo. Le palpebre sono ancora appiccicate, a nulla vale sfregarle, l’ombra del sonno non cede il passo.

“Oh, ciao, alla buonora, e poi sono io la dormigliona!!!” mi saluta sorniona Michela, trillante come suo solito, lo scontro non lo ha neanche sentito lei.

Mugugno ancora, passeggiando come uno zombie fino ad arrivare alla credenza in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Non trovandolo. Mi accontento quindi di un sorso di latte preso dal frigo.

“Che ore sono?”

“Quasi l’1...”

Quasi sputo quanto bevuto a quella rivelazione, sgranando gli occhi nel sapere che ho ronfato della grossa fino a tardi.

“E Camus?”

“Sparito da stamattina presto… ha detto di non svegliarti e di mettere tavola per l’1, che lui sarebbe arrivato presto” asserisce Francesca, piegando i tovaglioli. Automaticamente conto il numero di posti in tavola, notando che sono più di quanti siamo. Che razza di…?

“Abbiamo ospiti?” domando, ancora più di là che di qua. Per tutta risposta, avverto una voce famigliare attraversare le pareti della casa.

“E’ permesso?”

“Milo!!! - urla l’esagitata Michela, correndo fuori e rientrando dopo con i presunti ospiti – Camus non è ancora arrivato ma stiamo preparando tutto!”

Sbatto nuovamente le palpebre, notando non solo la presenza di Milo e di Sonia, appena sopraggiunti, ma anche di Hyoga, che probabilmente era andato a prenderli.

Li guardo confusamente, la netta sensazione di aver perso un passaggio, anzi più di uno.

Vero che ieri mi sono addormentata con mio fratello ancora accanto, ma davvero mi sembra di aver fatto un salto indietro nel tempo. Ciò che ho davanti agli occhi è una scena di tutti i giorni abbastanza ordinaria: una famiglia che invita gli amici a pranzo; tuttavia, dato il contesto, mi sembra talmente innaturale da stordirmi ancora di più. Non c’ero più abituata, ecco tutto.

Ad un certo punto vedo Michela sorridere raggiante a Milo, indicandomi poi con enfasi, neanche fossi una merce rara.

“Milo, tu l’hai vista… la castagna, o anche il cespuglietto?”

“La che…?”

“Guarda i capelli di Marta… normalmente ce li ha lisci, ma stanotte deve avere fatto a botte col cuscino, ahahaha, non ti ricorda qualcuno???”

Non ho il tempo per essere ricettiva nella scena, né di capire di cosa diavolo sta blaterando la mia amica, ho solo il tempo di vergognarmi per essermi fatta trovare in pigiama, messo frettolosamente stamattina, mentre tutte le altre sono pulite, ordinate e piene di vita. Che scena patetica!

Tra le risate generali, Milo si avvicina a me seguito a breve distanza da Sonia, io lo guardo imbarazzata, cercando comunque di non darlo a vedere.

“Ciao, piccoletta, come va stamattina? - mi chiede cordialmente, ignaro del mio stato – Sonia mi ha parlato della vostra missione, sei stata davvero brava a reagire prontamente. Non sappiamo nulla di queste entità, ma il Grande Tempio prenderà provvedimenti. Per l’altra questione, invece...”

“Ssssssh! - lo ferma immediatamente Francesca, decisa – Camus ha vietato di fare quel nome oggi, troppo prematuro!”

“Oh, là là… quale fratello protettivo!” commenta lo Scorpione, sogghignando sornione.

Mi massaggio teatralmente le meningi, dirigendomi barcollante verso il divano. Le cose stanno accadendo troppo velocemente al di fuori di me, sono confusa e spaesata, non capendone pienamente il motivo. Effettivamente sono ferita e stremata, ma non è dolore quel che provo, quanto un intenso stordimento che a fatica riconduco alle erbe che mi ha dato mio fratello ieri, non c’è altra spiegazione.

“Mi sento come se avessi bevuto tutto quello che non ho mai ingurgitato per diciassette anni della mia vita!” commento, sarcastica, sdraiandomi e massaggiandomi la fronte. La mia frase mozzata ha il risultato di far ridere tutti, ad eccezione di Hyoga che, fin troppo serio, guarda altrove, non partecipe.

“E scommetto che non sei abituata a bere...” ridacchia Milo, ilare.

“N-no...”

“E’ un peccato… siete ancora così tanto giovani, la vita è breve, tra un po’ non avrete più l’età per fare certe cose… dovreste agire ora!”

“Io invece ho bevuto!!!” interviene Michela, sprizzante di gioia, alzando la mano.

“Oh, lo sappiamo, cara… abbiamo visto!” fa l’occhiolino Milo, anche lui più vivace del solito, alludendo alla faccenda avvenuta quest’estate, poco dopo il nostro arrivo qui, con tanto di bacio a Hyoga, il quale infatti tossicchia a disagio.

“Oh, ma mica solo quella volta lì, eh, io capisco pienamente quello che dici!!! La penso come te!!!”

“Anche io ho bevuto, però non è una cosa che mi piace fare, ho una mia dignità, e ridurmi ad un colabrodo non fa per me!” dice Francesca, tirando una frecciatina, anzi, direttamente una clava alla sua giovane amica, che si limita a ridere.

“E tu, Hyoga? In Siberia Camus ti ha mai permesso di bere qualcosa di cospicuo e sostanzioso o era bacchettone pure lì?” domando ancora Milo, curioso.

Hyoga sospira, lasciando cadere le braccia inerti lungo i fianchi e concentrandosi su di noi.

“Ho sangue per metà russo, lo sai, e c’è una certa fama su di noi… - spiega, lo sguardo lontano – In Siberia, in pieno inverno, è quasi obbligatorio rifornirsi di alcolici per resistere al clima rigido, quindi sì, qualcosa ho preso, e lo stesso maestro non è esente da questo!”

“Ahahahahahah, certo, certo, lo so! Camus è un perfetto bevitore, ha una resistenza agli alcolici degna da russo più che francese!”

“Davvero il Maestro Camus beve?!?” esclama Michela, stupefatta.

Milo sogghigna ancora tra sé e sé, sedendosi a terra a gambe e braccia incrociate, completamente calato nel suo ruolo di compagnone più vecchio e con più esperienza.

“Avete voglia! Quello lì fa tanto il puritano ma trangugia vodka come fosse acqua, forse solo Death Mask può reggere il confronto, ma ha molta meno resistenza!”

“Ieri mi ha fatto bere della roba che voglio sperare non sia alcool, perché mi sento come se fossi ubriaca da stamattina e la testa mi gira!” biascico, entrando nel discorso ma non guardandoli in faccia, completamente assuefatta dalla luce del lampadario sopra di me.

“Oh, dubito che Camus ti abbia dato quella roba, deve trattarsi delle sue brodaglie, che sono anche peggio di un sano bicchiere di rum, o vodka, o cognac… vuoi provare?”

“Non credo che mi interessi, Milo...” lo fermo, prima che il mio amico parta come la tangente alla stessa maniera di Cardia.

“Eeeeeeeeeeeeeehh?!? - un urlo di delusione che si prolunga e languisce – Non vorrai diventare come lui, eh?! Dai, Marta, so che puoi fare di meglio, vieni con me una di queste sere e vedrai che l’alcool non avrà più segreti per te!”

“Milo, grazie per l’offerta, ma… davvero, mi si rigira lo stomaco al solo pensiero!”

“Non ci credo! Sei sua sorella, devi avere la stessa tempra, ed io vorrei proprio conoscerla! Su, quando starai meglio vieni con me al pub e...”

Ma viene interrotto sul più bello dallo sbattere della porta dietro di sé. Si fossilizza, rizzando la schiena.

“Milo… attento a chi ti scegli come compagna di bevute. Anche se sei il mio migliore amico alcune cose non te le puoi permettere!”

“Eccolo qui il fratello protettivo… - sillaba Milo, facendo il più bel sorriso stirato in grado di produrre – Ben tornato, Cam, sempre al momento propizio!”

Mio fratello lo guarda con la solita aria infastidita che ha quando qualcuno diverge dalla sua linea di pensiero, se poi quella persona cerca di portare sulla ‘cattiva strada’ me, cioè sua sorella, la questione si fa ancora più seria, nonostante sia Milo a farlo.

“Sì, giusto in tempo per impedirti di traviare Marta… Per Atena, Milo, mi hai fatto immaginare un quadro terribile in cui tu e Death Mask la portate ad ubriacare, mi è passato un brivido lungo la schiena!”

“No, Cam, sto solo cercando di non renderla un adulto palloso come te, è ancora in tempo per salvarsi! E poi cosa c’entra Deathy?! Davvero pensi che la porterei con lui a bere?!? Meglio Aiolia, allora!”

“Beh, non lo fare in ogni caso… non ha mai sentito il bisogno di ricorrere a queste cose per sentirsi ‘come gli altri’, ha una volontà propria, contrariamente alle altre ragazzine, quindi non cominciare tu ora a portarla in certi posti...” lo avverte, sinistro, posando quanto preso sul tavolo.

“Agli ordini!” lo canzona Milo, occhieggiando verso di me con espressione furba, ormai si è fissato, non mollerà l’osso per nessuna ragione. Fortunatamente comunque, nell’immediato, è Michela che cambia totalmente argomento.

“Maestro!!! E tu l’hai visto il cespuglietto di Marta?”

“Il che..?!?” risponde, basito, non comprendendone il filo logico.

“Massì, il cespuglietto! - indica i capelli Michela, prendendo i suoi e sollevandoseli per farsi capire – Generalmente ha i capelli lisci là sopra, ma è da stamattina che ce li ha tutti ribelli, esattamente come i tuoi!” ridacchia, divertita, totalmente su di giri.

Camus non ribatte niente, ma raddrizza la schiena, mentre il suo sguardo cade su di me, ancora stesa sul divano.

“Michela, ma tu piuttosto che stare zitta sproloqui su ogni cosa fatta e creata?! - commenta Sonia, scrollando la testa con rassegnazione – Marta e Camus sono fratelli, è normale che si somiglino!” dice, pratica, sbuffando.

“Eh? Ma era una cosa carina da dire! Non pensi che faccia piacere anche al maestro saperlo?” chiede, interrogativa.

“Come se non se ne fosse già accorto… così lo imbarazzi solo!”

Camus intanto si avvicina a me, inginocchiandosi ai piedi del divano.

“Come stai?” mi chiede con dolcezza, posandomi la mano fresca sulla fronte. Gli sorrido grata, felice del suo interessamento.

“Non avverto dolore ma… mi sento totalmente sfasata e a pezzi!”

“E’ normale questo, ieri ti ho dato un dosaggio elevato proprio per soppiantare il dolore, ma gli effetti controproducenti sono questi. Riposati mentre preparo il pranzo. Devi mangiare, altrimenti la pressione ti va a terra!” mi consiglia, accarezzandomi i capelli con le dita eleganti, prima di girarsi verso gli astanti e strigliare immediatamente Milo, il quale, come un gatto incuriosito, stava sbirciando nei sacchetti posati sul tavolo.

“Milo, te le taglio quelle mani! Sei proprio impossibile a volte!” commenta mio fratello, sbuffando, il tutto mentre il compagno maneggia una piantina che non riesco ad identificare bene.

“L’hai trafugata ad un altro contadino questa?!? E poi quest’altra roba cosa è?” domanda a raffica, attirando anche gli sguardi delle altre.

“E stai un po’ zitto e ferma quelle mani!”

Nonostante il tono rude, lo stesso Camus sta sorridendo, sereno, perfettamente a suo agio.

“Maestro, ma questa… questa è!!!”

“Sì, Michela!”

“E’? Cosa è?!” fanno eco Milo e Sonia, annusando la piantina. Mi metto a sedere, frastornata da quel chiasso e desiderosa di scoprire cosa ha attirato così tanto l’attenzione. Vorrei alzarmi, ma il profumo che lento mi inebria le narici, mi toglie ogni dubbio prima della vista.

“Camus… ma questo è l’inconfondibile profumo del basilico!”

“Sì, piccola mia...” mi sorride con tenerezza, procurandomi un calore intenso e caro nel comprendere finalmente le sue intenzioni.

“Lo hai… visto nei sogni?” chiedo, gli occhi luminosi.

“Che stravedi per il pesto? Sì… erk, trenette al pesto, giusto?” chiede conferma. Annuisco trepidante, alzandomi in piedi e guardandolo con gratitudine.

“Grazie… lo hai fatto per me!” dico solo, arrossendo un poco. Di colpo, è come se lo stomaco si fosse rigirato bene alla sola idea della pasta al pesto in sé, il mio piatto preferito che non mangio da mesi, ovviamente il piatto ligure per antonomasia!

“Maestro, ma quindi farai la pasta al pesto?!” chiede conferma Francesca, a sua volta emozionata. Quel particolare piatto mette d’accordo tutti, probabilmente anche Milo e Sonia che non lo conoscono, ne sono sicura.

“Sì, o almeno ci provo...”

“Mitico!!!” urla Michela, al settimo cielo.

“Il neso al peso cosa sarebbe?”

“Pasta al pesto, Milo!!! Non la conosci?!” domanda Michela, incredula.

“Sono greco, non so di cosa parliate...”

“Pasta al pesto!”

“Va bene, e cosa sarebbe?”

“Piatto italiano, anzi genovese!” dice Michela, tutta impettita.

“Ah, ho capito… quindi sei andato a prenderlo a Genova, mio caro Cam?”

“No...”

“Non eri tu per l’ecosostenibilità?!”

“Non ho bisogno di andare a Genova per prendere un po’ di basilico...”

Noi li guardiamo senza capire, aspettando spiegazioni o da uno o dall’altro. Milo nel vedere il nostro straniamento si affretta a spiegarci.

“Camus non va ai supermercati come i comuni mortali, no! Lui è per agricoltura biologica!”

“Milo!!!”

“Che c’è, non vuoi rendere partecipe le tue allieve sulle tue fisime?” lo canzona Milo, allegro.

Noi continuiamo a non capire, puntando il viso da una parte all’altra a seconda di chi prende la parola, eccetto Sonia che sembra sapere tutto, come sempre.

Il battibecco tra i due continua per un po’, tra lo Scorpione che, oggi in particolare, sembra specificatamente iperattivo e Camus che tra una manovra e l’altra, si mette di impegno per zittire Milo e preparare al contempo il pranzo. Le mie amiche e Hyoga si godono la scenetta, del tutto simile a quella di una famigliola comune, del tutto simile… alla mia vita di prima, quando andare a mangiare a casa di Stefano o Michela era un’occasione di festa, tra le fatiche della scuola e i compiti a casa. Già, un’occasione di festa, ignara di tutto, dell’esistenza dei Cavalieri, di un nemico spietato, di mio fratello… provo una sensazione agrodolce a questi ricordi, che sembrano così distanti da me come un sogno sfumato. Era tutto così perfetto allora, ero una persona normale, una bambina, e poi ragazza, dedita allo studio e a non deludere mia madre. Lentamente le mie palpebre si chiudono, i contorni della cucina si oscurano, dando spazio ad una leggere brezza di fine estate. Odo lo stormire delle foglie sopra di me, i fili d’erba, cheti, ondeggiano appena e fa ancora caldo, ma la luce è già morente, come muore una goccia nel mare…

 

Marta...”

Mugolo contrariata a quel disturbo, tornando a concentrarmi sul sole davanti alle mie palpebre, che tengo chiuse, ne avverto il calore.

Marta… tra non molto ricomincerà la prigione, non è forse così?”

La prigione?! Apro gli occhi sussultando a quella parola. Mi guardo intorno, scorgendo gli occhi dolci di Stevin, appoggiato composto al tronco del tiglio, il nostro albero.

La prigione?” ripeto, quasi sconvolta.

Sì, la scuola...”

Ah...” biascico, guardando il paesaggio sotto di noi, la valle pullulante di vita, dalla nostra posizione altolocata. La superba fortezza di Cerviasca, il nostro regno. Chissà cosa andavo a pensare ora con quel termine, che sia stato un brutto sogno? Mi rannicchio, inseguendo la via della cogitazione. Tutto è esattamente come prima, il verde opaco della Valbrevenna sta perdendo vigore, siamo a settembre, del resto, ma ancora la vegetazione da i suoi colori più sgargianti, soprattutto al tramonto, cioè ora. Il sole sta calando, è tutto è perfettamente come prima, come doveva essere, come sempre sarà. Chissà cosa andavo a pensare con quella parola… ero davvero convinta che il tempo si fosse fermato? Che tutto fosse stato congelato? Che… che brutto sogno…

Non ho affatto voglia di tornare in quel luogo, io voglio continuare ad aiutare mio nonno, stare in mezzo alla natura selvaggia. Ciò che ci insegnano sui libri è tempo perso, parole vacue, io voglio vivere tutto sulla mia pelle!” continua drasticamente Stefano, esagerando come suo solito. Potrebbe fare il drammaturgo da grande, è bravo a scuola ma ha scarsa voglia di applicarsi, è uno spirito libero che vede di malocchio tutto ciò che lo può distogliere dai suoi interessi.

Tuttavia… la valle sigillata, la valle pullulante di vita, la valle passata, abbandonata, poi recuperata. Cosa è sogno, cosa è realtà?

Che ti succede?”

Eh?!?” domando, come ridestatami improvvisamente.

E’ da prima che sei assente...”

Oh, ecco io… ogni tanto fatico a capire cosa sia vero e cosa falso… Mi sembra di essere in due posti diversi, di dover fare due cose diverse ma, ogni volta, qualunque sia la parte in cui sto, mi dico di star sbagliando, che dovrei essere altrove”

A questo punto Stefano, inarcando un sopracciglio, bussa sul tronco con espressione furba, prima di approcciarsi a me.

Questo è autentico – mi dice, poco prima di picchiettarmi sulla fronte con un largo sorriso – Anche questa è vera, fin troppo! E, purtroppo, anche il fatto che dopodomani torneremo a scuola!” sbuffa, sedendosi platealmente al mio fianco.

A me non dispiace così tanto, adoro imparare cose nuove...” gli confesso, un poco corrucciata. Già, dovrei essere altrove, ma dove?

Certo, sei una secchiona! - mi prende dolcemente in giro, strizzando l’occhio – No, comunque hai ragione… è bello imparare cose nuove, ma non con questi metodi, cioè, è tutto sbagliato! Così quelli là ti fanno passare la voglia di impegnarti!” gonfia le guance, seccato.

Beh, dai, basta solo abituarsi, no?”

Quello sì, ma c’è un’altra cosa...”

E sarebbe?”

Non mi piace il fatto di dover stare nove mesi senza vederti. Forse… forse, se tu fossi con me… sarebbe diverso!” mi confida, improvvisamente rosso in viso, facendomi imbarazzare a mia volta.

Pochi secondi dopo mi alzo in piedi, voltandomi poi nella sua direzione a braccia spalancate.

Vorrà dire che quest’anno ti verrò a trovare per le vacanze di Natale, è una promessa e, se vorrai, faremo così tutti gli anni da adesso in avanti!” lo incito, sorridendo raggiante.

Non lo posso vedere dritto in faccia ora, ma il suo mormorio sommesso unito ad un rumore di qualcuno che si sposta sull’erba, mi fa capire di averlo imbarazzato ancora di più.

Marta, io...”

Uhm? Che cosa mi aveva detto dopo quella frase? Perché non riesco a rammentarlo con discernimento? Mi sento come se fossi frammentata in mille mila e più ricordi, ho sempre più difficoltà a concentrarmi su me stessa, io… chi sono? Quante me esistono nelle dimensioni?

“Marta...”

Un’altra voce, più melodiosa e aperta; una voce da uomo, ancora una volta mi aggrappo a lei con tutte le forze di cui dispongo, ritrovandomi a scambiare il mio sguardo con un altro paio di occhi blu, parecchio famigliari.

“Camus, io… scusami...” sussurro, spalancando gli occhioni e tremando con forza. La sua mano è sulla mia guancia, mi conforta, poiché mi ritrovo ad essere spaventata come non mai.

“Stai tranquilla, ti sei solo addormentata, ora sei di nuovo qui, al sicuro!” le parole enigmatiche di mio fratello hanno però un senso pieno per me, che mi metto a sedere e mi ritrovo a stringergli i polsi per paura che mi possa sfuggire ancora, che mi possa sfuggire la realtà come sta accadendo troppo spesso.

Stava accadendo di nuovo, come durante la missione, le due scene si confondono, fiaccandomi nello spirito e confondendomi su quale sia la vera realtà. Succede sempre quando mi addormento, rischiando di smarrirmi nei sogni, scambiandoli per il vero. Mi massaggio la fronte sudata, guardandomi intorno. La tavola è apparecchiata e tutti sono seduti, mi guardano con un pizzico di attesa, perplessità e timore. Camus mi scrolla dolcemente, spingendomi ad alzarmi per prendere il mio posto, faccio quanto tacitamente chiesto, barcollando esaustivamente ma riuscendo nella mia impresa. Subito il chiaro profumo del basilico si instilla nelle mie narici, facendomi svegliare del tutto. E di colpo il bisogno di mangiare per recuperare energie soppianta tutto il resto.

Camus si posiziona vicino a me, apprestandosi a dividere le porzioni, il tutto con le occhiate di Milo che, sempre incuriosito, si chiede a che diavoleria potrebbe mai rassomigliare quell’ammasso di pasta lunga dal colore verde che produce quel profumino invitante. Certo il basilico è ampiamente conosciuto anche qui in Grecia, ma la pasta al pesto è tutt’altro elemento!

“Premetto che è la prima volta che faccio questo piatto. Ho cercato di renderlo più fedele possibile al piatto della tradizione, anche se le varie ricette sono discordanti, pinoli o non pinoli, grana o non grana, spero possiate comunque...”

Mette le mani avanti mio fratello, porgendo il primo piatto a Michela, con l’argento vivo addosso e la voglia di assaggiare quella pietanza, ma una nuova voce blocca la scena.

“Camus? Camus, sei in casa? Ho un messaggio da parte del Grande Sacerdote...”

Si tratta di Mu, probabilmente nel corridoi dell’undicesima casa. Peggior momento per venire non poteva davvero! Mi sembrava quasi di essere una famiglia ordinaria come tante altre, quale brusco ritorno alla realtà!

Nonostante il palese fastidio per l’intromissione, giacché probabilmente era nelle idee di mio fratello ricreare un’atmosfera famigliare tra le colonne del Grande Tempio, dopo aver sospirato un’unica volta e raggiunto la quintessenza della pazienza, si permette di rispondere al parigrado.

“Sì, Mu… siamo in cucina, entra pure!” gli concede, continuando comunque a fare le porzioni.

Dei passi leggeri riecheggiano fuori dalla porta, che poco dopo viene aperta con un poco di incertezza. Nel vedere la scena davanti a sé, i dubbi di Mu diventano certezze.

“Perdonatemi, so che è ora di pranzo… vi reco il messaggio e poi me ne vado, promesso!” dice, imbarazzato, sporgendosi a mezzo busto dall’atrio per non entrare interamente nella nostra intimità.

“Non ti preoccupare… vuoi favorire? Ce ne è anche per te!” gli dice mio fratello, affabile.

Mu allunga impercettibilmente il collo per sporgersi ulteriormente, accattivato probabilmente dal profumo del basilisco di migliore qualità che è riuscito a trovare mio fratello.

“Io… non vorrei importunarvi più del necessario… ma cosa sarebbe?”

“Pasta al pesto!!! Piatto genovese!!!” gli grida di rimando Michela, euforica, mentre trangugia le trenette con tutto l’impegno che non mette nell’allenamento.

“Genovese? Ah, siete di Genova voi, giusto!”

“Vuoi assaggiare? Ce ne è anche per te!” insiste Camus, sempre affabile.

A questo punto Mu, lo vedo, è indeciso se dare voce alla sua educazione e defilarsi nel più breve tempo possibile o se, seguendo la sua insanabile curiosità, assaggiare quel piatto esotico per lui.

“Non ti preoccupare per le porzioni… ne faccio sempre di più perché Marta è una ghiottona e mangia per tre persone!” rivela Camus, mettendomi in mezzo e facendomi così imbarazzare (effettivamente mi ero già tuffata sulle trenette come se non ci fosse un domani) e scompigliandomi affettuosamente i capelli.

“Quindi… posso?” chiede ancora Mu, avanzando di un passo. Camus sorride e si alza in piedi (non riesce mai a stare fermo, perdio!), prendendo un’altra sedia e facendolo accomodare tra Milo e Sonia. Lo vedo prendere posto mentre mio fratello mette nel suo piatto una generosa porzione di trenette al pesto.

“Sapete… adoro provare cibi di diversa origine rispetto alla mia, dicono tutti che la cucina italiana sia una delle migliori, bramavo assaggiare una delle sue numerosissime ricette regionali! Se mi dai la ricetta, Camus, mi piacerebbe proporla a Kiky!” rivela, affabile, maneggiando la forchetta con grazia, non di certo come Milo che sembra stia usando un pugnale nel tentativo di attorcigliare le trenette.

Camus non ribatte niente e torna al suo posto, ma capisco che è il suo modo per far capire al parigrado che, malgrado la discussione dell’altro giorno, non ce l’ha affatto con lui. Significa anche che sta bene e che ha piacere a considerarlo come parte della sua ‘famiglia’. Tuttavia tutto questo non è, e non può essere, pronunciato, per cui rimane semplicemente al vaglio del Grande Mu, il quale, essendo molto intelligente, non dubito che abbia colto il suo messaggio.

Così tra il chiacchiericcio di tutti meno quello di Hyoga, silenzioso già di suo ma in questo periodo totalmente inespugnabile, persino più di Camus, ci mettiamo a mangiare di buona lena, tutti contenti.

“Mu, quale è la ragione della tua venuta?” chiede cordialmente mio fratello, al termine della mangiata, sorseggiando un goccio di vino della Borgogna, che da buon francese doc si gusta con lentezza degna di un principe.

Mu si schiarisce la voce, poco prima di pulirsi le labbra con eleganza prima di posare il tovagliolo, ben piegato di fianco al tavolo. Li guardo ammirata e lo stesso fa Sonia, scambiandomi un’occhiata loquace. Certo che sembra davvero di essere alla tavola di due nobili, non come Milo, Michela ed io che sembriamo appena usciti dalla tavernetta del malandrino. Noi da una parte, la finezza dall’altra, esemplificata da loro due.

“Camus, il mio Maestro Shion ha chiesto cordialmente la presenza di Marta, e solo lei, domani mattina al tredicesimo tempio...” spiega le sue ragioni Mu, un poco cupo. Mai quanto mio fratello. I suoi occhi si sono fatti proprio neri da quanto si sono rabbuiati.

“Marta? Di già? Non si è ancora del tutto ripresa dalle ferite subite nella missione, non...”

“Stai tranquillo… non la vuole lì per quel motivo, solo… parlarle di una cosa importante e segreta. Neanche io so molto, mi ha detto solo di riferire questo!”

Camus rimane a fissare il bicchiere davanti a lui, immobile. La piega delle sue labbra non è univoca, trasmettendomi la sensazione di un’inquietudine crescente. Sta soppesando l’eventuale risposta, ma c’è qualcosa che lo blocca, rendendolo incerto. Alla fine si volta verso di me con espressione serissima, quasi facendomi prendere un risalto.

“Marta… cosa vuoi dunque fare?”

Rimango imbambolata a fissarlo per alcuni secondi, confusa. Dunque vuole far scegliere a me, nonostante lui sia limpidamente contrario e tema forse qualcosa.

“Se è solo parlare non dovrebbero esserci alcun problema, no? E poi mi farà bene fare due passi, vero, fratellino?” rispondo, ricercando comunque un suo appoggio.

“Sì… suppongo di sì… - mormora, laconico, alzandosi e dandomi le spalle, la sua mano destra è stretta a pugno, ma non lo da a vedere – Bene, il pranzo è finito, siete liberi di trascorrere il pomeriggio come meglio preferite!” da il liberi tutti, cominciando a sparecchiare.

“Maestro, non vuoi una mano? I piatti sono tanti!”

“No, Michela, non preoccuparti. Mi aiuta a schiarirmi le idee” asserisce solo, facendoci intendere che, perso nei suoi pensieri, non parlerà più fino a stasera.

 

 

* * *

 

 

19 ottobre 2011, notte

 

 

Avverto appena la mia testa ciondolare, prima di cozzare contro la colonna dietro, facendomi risvegliare di soprassalto. Mi strofino la nuca, confusa, poco prima di infagottarmi nuovamente nella felpa e tornare a sedermi. Prendo un profondo respiro, maledicendo la scarsa funzionalità del caffè che avrebbe dovuto mantenermi vigile e che invece non ha tali effetti. Ho troppo sonno per tutto, per rimuginare, per muovermi, persino per tenere le palpebre aperte, eppure ho paura ad addormentarmi; paura… di rimanere incastrata nel sogno. Ho la tetra e trita sensazione di non poter chiudere gli occhi senza perdere anche, in qualche modo, me stessa. Per questo motivo mi sono seduta fuori dal tempio, non vista, perché non posso in alcun modo stare nel letto e rischiare di essere presa, come successo già nella valle e oggi pomeriggio, non posso permetterlo, anche perché rischierei di arrendermi a quell’irresistibile, quanto falsamente lusinghiero, desiderio. Non mi resta quindi che vegliare, non cedendo alla tentazione di affogare nel mare dei ricordi.

Mi sistemo meglio contro la colonna, socchiudendo di nuovo gli occhi. Certo che… mi sento davvero stanca, stressata e diruta, forse… forse potrei permettermi di…

Improvvisamente dei passi mi fanno rizzare la schiena, lesta, sporgendomi quanto basta per riconoscere le due sagome appena uscite dall’undicesima casa, una molto più alta e slanciata, l’altra più bassa ma encomiabilmente elegante, con i lunghi capelli lisci che le ricadono sulla schiena. Spalanco le iridi, riconoscendo la mia amica Francesca e mio fratello Camus che, proprio in questo momento, si fermano appena fuori dall’entrata del tempio. L’ombra mi nasconde, non facendomi vedere, ma ho comunque l’istinto di celarmi totalmente dietro alla colonna portante, sentendomi sporca nell’udire involontariamente una loro conversazione che, con ogni probabilità, dovrebbe rimanere segreta tra loro. Mi acquatto per terra, tesa.

“...per la questione di cui ti volevo accennare… - sento dire da Francesca, criptica, arrestando il suo moto – Ho bisogno di confidarmi con te e di dirti una cosa importante...”

Camus non risponde subito, lo avverto fare qualche passo per poi sedersi sulle scalinate, sospirando.

“Tra quello che mi hai raccontato tu e ciò che mi ha detto Marta sono riuscito a comprendere come si sia svolta la missione – dice, pensieroso e cupo, tanto che mi spinge a gettare uno sguardo nella loro direzione, sempre senza farmi vedere – Siete state davvero brave, era una missione difficile e non consona al vostro livello, men che meno da quando siete state risucchiate dalla valle!”

“Ancora stento a crederci a quello che è successo… Michela ed io avevamo dimenticato, è solo grazie a Marta che siamo riuscite a penetrare all’interno della valle che pure ci ha visto crescere...”

Camus le scocca un’occhiata grave, delle sue, poco prima di tornare a contemplare la volta celeste, un fremito che lo percuote e che si concretizza nella frase successiva.

“Le tenebre sono molto forti ora… ciò che è successo potrà di sicuro ripetersi se non agiremo per tempo. Sappiamo della Valbrevenna perché avete forzato l’accesso, ma… chi può dirci che altri luoghi sparsi per il mondo non abbiano fatto la stessa fine?”

“Hai una qualche pista? Pensi… pensi che domani ci saremo di nuovo dimenticate di quel luogo?” chiede Francesca, apprensiva, portandosi una mano al petto.

“Nessuno può dirlo… Marta lo ricorda, a prezzo elevatissimo visto le conseguenze che questa missione ha portato su di lei, ma se questa situazione perdurerà non lo posso certo dire con certezza...”

“C’entra di nuovo il Mago?”

“Molto probabilmente… sì! Tuttavia numerose cose non tornano, soprattutto nei riguardi di quel ragazzo, l’amico di Marta… Non è usuale che si possa muovere nel tempo fermo. Probabilmente sarà a sua volta vittima, ne sono sicuro, però è necessario utilizzare le dovute precauzioni”

Sbuffo tra me e me, un poco contrariata dai discorsi di Francesca e Camus. Che mio fratello si confronti spesso con lei è un fatto assodato e non ne sono gelosa, anzi, è un bene per entrambi, ma è questo continuo volermi tenere fuori dalla sofferenza, come se con me usassero sempre i guanti perché troppo fragile, che mi irrita. Non mi piace per niente essere trattata ancora come una ragazzina, vero che Camus e Francesca sono più grandi di me, ma se si risparmiassero di trattarmi con tutti i riguardi sarebbe anche meglio. Sto diventando forte per loro, per proteggerli, eppure non me lo concedono, lasciandomi fuori dalle cose più gravi.

“Camus… per quanto concerne il sonno di Marta, temo che...”

“Uhm, sì, penso di averlo capito anche io: rischia di non riuscire più a distinguere la realtà dal ricordo. Se le cose permarranno così, rischierebbe di non svegliarsi più. Lo so, me ne sono reso conto, Francesca...”

Un brivido mi scorre lungo la spina dorsale mentre mi sporgo ancora di più con l’intento di udire tutto l’udibile.

“In Valbrevenna lei… ha ritratto un quadro frammisto di due elementi, il suo passato e il suo presente. Quando sono entrata nel sogno, con gran fatica, perché mi respingeva inconsciamente, ho potuto appurare che quella che stava immaginando era esattamente la sua vita a Carsi, con l’aggiunta di un nuovo elemento: tu!”

Camus sospira affranto, rialzandosi a guardare negli occhi l’allieva. Cambiando così posizione non riesco più a vedere il suo viso, ma ne avverto l’immensa paura che lo avvolge, spietata, sulle tracce di un sentiero che non esiste più.

“I nonni hanno preso casa a Carsi per trascorrere l’anzianità lì, Marta ha passato tutte le estati della sua vita, dal 1999 al 2009 là, ho visto tali frammenti nei sogni che, nostro malgrado, condividiamo...” narra, in tono leggermente tremante.

“Già, era la sua vita e ha desiderato riaverla indietro con te, per questo è rimasta avvinghiata al mondo dei sogni, ogni volta che chiude gli occhi rischia; rischia che il tempo interno della valle, ora ferma, la risucchi dentro. Non so se fosse programmato o no, nei piani del nemico, ma bisogna stare in guardia. Anche quegli esseri incappucciati neri… cosa avranno mai potuto essere? Ho paura, Maestro Camus, paura per Marta, per noi, per le sorti di questa bella Terra e anche per te, perché ora sappiamo il fine del Mago, cioè possedere il tuo corpo… - rivela, davvero agitata, come mai l’ho vista, tanto da spaventarmi – Gli ingranaggi si stavano muovendo già da prima, noi, quest’estate, li abbiamo interrotti, ma ora… ora hanno ripreso a girare, accelerati del doppio. Potremo bloccarli di nuovo, oppure…?”

Continua a confessare le sue paure, assai più umane che divine, prima di essere fermata da Camus stesso che, gentilmente, le mette le mani sulle spalle, fissando la sua espressione negli occhi dell’allieva.

“Francesca… non ti dirò di non angustiarti, sarei falso se lo facessi, però ti posso assicurare che non permetterò tanto facilmente al Mago di fare il bello e cattivo tempio in questa dimensione con il mio corpo. Mi avete regalato una nuova vita, la quarta, proprio voi che siete entrate nel nostro mondo da così poco tempo, consegnandoci una nuova speranza. Non mi arrenderò per nessuna ragione, ve l’ho promesso – confida a sua volta, genuinamente, alzandole poi delicatamente il viso che la mia amica si ostinava a tenere abbassato, preda di un qualcosa più forte di lei – Puoi stare certa di questo, se si può essere certi di qualcosa in questo breve istante di tempo in cui siamo vivi, non getterò più la spugna, come avvenuto nel 1741, non permetterò che vi succeda qualcosa, con tutte le mie forze, e… proteggerò Marta, costi quel che costi! Ne ha già passate tante e ha dovuto combattere da sola per anni, ma ora ci sono io con lei, potrò finalmente assecondare il mio ruolo di fratello maggiore come per troppo tempo non ho potuto fare a causa della distanza!”

Vedo Francesca sorridere teneramente, non ricambiando pienamente il gesto ma rasserenata nello spirito dalle sue parole, il loro rapporto è quello di una muta e innata comprensione con poche, semplici, parole. Sono molto teneri, insieme...

Io qui non sono null’altro che un’estranea, non è il mio momento, sebbene mi ci sia trovata per caso. Ben consapevole ci ciò, mi raddrizzo e faccio per ritornare in camera, cercando di non farmi percepire. Sono già girata di spalle e sto per andarmene, quando una nuova domanda viene gettata nell’aria.

“Camus… per l’altra questione, pensi glielo dirai a Marta?”

“Che stamattina ho parlato con Stefano? Sì, ma non ora, è troppo provata, ha solo bisogno di tanto riposo, null’altro!”

Mi pietrifico all’istante, sgranando gli occhi. Non un movimento esteriore, ma dentro di me un coacervo di congetture si muove nelle più impensabili direzioni.

“E’ un bravo ragazzo, vero?” chiede conferma Francesca, ora di nuovo serena.

“Sì… non ho riscontrato malvagità in lui, ma... mi spaventa!”

Rialzo la testa, chiedendomi tacitamente a cosa si possa riferire, poco prima di essere svelato con il proseguimento della frase.

“Mi spaventa… l’astio che prova per Marta, come se lei gli avesse fatto qualcosa, o peggio, come se lei avesse mancato di fare qualcosa a cui lui teneva. Non ha comunque alcuna cognizione di questi due anni, la sua mente è ferma ad ottobre 2009, per sua stessa ammissione. E’… è successo qualcosa in quella data?” chiede conferma mio fratello, teso.

Io intanto stringo i pugni, avvertendo di nuovo il peso delle lacrime, non volendo però cedere ad essere. Digrigno i denti esasperata, bloccando con ogni mezzo in mio possesso la rimembranza di quei dolorosi momenti.

“Altroché se è successo qualcosa… - confessa ancora Francesca in tono compresso – I mesi di ottobre e novembre del 2009 non sono stati una passeggiata per Marta, è riuscita a riprendersi parzialmente solo con il nuovo anno. E’ partito tutto dall’alluvione in Valbrevenna in cui Stevin è stato dato per disperso e poi creduto morto. Come se non bastasse, a novembre...”

“Aspetta… - il tono di mio fratello è strano e innaturale, sembra quasi metallico, rauco, forzato – Che… che giorno di novembre?”

“Ora… ora non ricordo bene, sarà stato il… il 20, forse...”

Tutto tace intorno, persino il venticello smette di soffiare, facendoci immergere in un’atmosfera innaturale, così come i silenzio tra noi. E, persino senza vederlo direttamente in faccia, sono ampiamente certa che l’espressione di Camus, ora come ora, rispecchi la mia, ovvero un urlo viscerale che tuttavia non si manifesta fuori, creando una dissonanza interna che sbatte contro le pareti del cervello, procurando un dolore ampio e acuto.

“Il… il 20… - riprende, dopo aver metabolizzato alla ben meglio quanto appurato da Francesca – E’ il giorno della scalata delle 12 Case, il giorno in cui...”

“Urk...” mi sento cadere a terra, tonfando, da quanto mi sono sentita male. So che, da dietro, mi hanno sentito, perché Camus si è bloccato nel suo discorso e ora avverto dei passi in avvicinamento. Coagulando tutte le mie forze nelle gambe, mi rialzo scattando poi in direzione dell’entrata con il solo scopo di rifugiarmi in camera mia e chiudere la porta a chiave.

“Marta!!!” mi sento chiamare con apprensione, ma non mi volto, accelerando invece l’andatura per poi celarmi ancora di più grazie all’ausilio delle tenebre.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Questo capitolo, oltre ai momenti teneri e pucciosi, potremo chiamarlo “come espatriare la pasta al pesto in tutto il mondo” (Genovese DOC, proprio, un po’ come Camus e il suo vino della Borgogna!). A parte gli scherzi, eccoci qui al quarto capitolo, in cui i passaggi futuri si cominciano a delineare. E’ un capitolo di pausa, i prossimi due, come ho già detto a qualcuno, metteranno luce sul passato di Camus e sul suo entrare a contatto con il mondo del Santuario, oltre ovviamente all’approfondimento di determinate questioni tra cui il Potere della Creazione.

Non c’è molto da dire, salvo che spero possiate apprezzare anche questo capitolo. Nella mia linea temporale, la data della Battaglia delle 12 Case è il 20 novembre del 2009 e, come si vedrà, avrà avuto determinate ripercussioni non solo per lo stesso Camus, ma anche per Marta, sebbene ai tempi non lo conoscesse direttamente. Non vi anticipo comunque altro! Ringrazio tutti per seguirmi, recensire, insomma farmi capire che apprezzate questa storia, grazie di cuore e… alla prossima! :)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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