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Autore: hikaru83    17/01/2020    3 recensioni
Quella sera lo accusai nuovamente di non capirmi, di non riuscire a seguire i miei pensieri. La mia mente era troppo veloce per la sua, e lui non riusciva a vedere l’insieme delle cose. [...] fece un sospiro e mi disse:
Hai ragione, per lo più delle volte non ho la minima idea di cosa ti passa per la testa, men che meno cosa provi. Ma è davvero così importante?
Può essere considerata un seguito, o per meglio dire in realtà è una scena contemporanea, di "Sei felice?" ma non è necessario averla letta.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’idea di scrivere mi è venuta mentre guardavo, qualche settimana fa, il film su Sherlock Holmes con Ian McKellen.
Non so chi di voi lo conosce ma in questo film si parla di una visione particolare di Holmes. Qui Sherlock non è più un detective, ha lasciato la professione, ha più di novant’anni, si è trasferito in campagna e il suo interesse maggiore è quello per le sue api. John Watson è morto da tempo, e Holmes sta poco alla volta perdendo la memoria.

Insomma un quadretto allegro e pieno di Johnlock come avete potuto intuire.

Era ovvio che io un po’ di Johnlock sarei riuscita a vedercela lo stesso, anche se per questo Sherlock John non l’ha mai davvero capito. È stata proprio questa frase che mi ha fatto tornare momentaneamente in vita il criceto che vive nel mio cervello e mi ha fatto venire in mente di scrivere qualcosa.

Per chi ha letto la mia ff “Sei felice” avrà notato che questa è sostanzialmente la stessa giornata vissuta da altri personaggi, non è necessario aver letto quella per capire questa, sono tranquillamente slegate, e in realtà all’inizio nemmeno io mi ero resa conto che potessero essere legate, solo dopo aver scritto la bozza mi sono resa conto che aggiungendo due o tre frasi e dicendo in che mese è sviluppata poteva essere collegata e così mi sono detta: perché no?

E nulla spero di non avervi annoiato prima di iniziare a leggere.

Buona lettura.
 
 
 

La cosa giusta

 


 
Sherlock aveva appena chiuso la chiamata con John, sbuffando.

Gli aveva appena comunicato che sarebbe arrivato più tardi perché doveva vedere Lestrade. Gli aveva promesso che si sarebbe fatto perdonare e questo aveva, in minima parte, mitizzato il cattivo umore che era caduto sul consulente investigativo appena avuta la notizia.

Aveva subito capito di aver bisogno di fare qualcosa per far passare il tempo, e si era reso subito conto che, se voleva mantenere la promessa fatta a John di non far saltare in aria l’appartamento per ripicca, mettersi a giocare con le provette e un nuovo esperimento chimico non era il caso, la tentazione sarebbe stata troppo forte.

Così decise di recuperare il violino, suonare l’aveva sempre aiutato, forse l’avrebbe fatto anche questa volta.

Il tempo sembrava fermo però, e Sherlock sapeva che il tutto era da imputarsi alla mancanza di John. Si sentiva stupido, ma negare una cosa tanto ovvia sarebbe stato ancora più da stupido.

Dopo qualche minuto – o forse erano passate ore chi lo poteva dire? – non si sorprese minimamente di vedere dalla finestra che affacciava sulla strada, l’auto scura del fratello fermarsi davanti al portone. Ovvio, Lestrade aveva bloccato John, per forza di cose doveva centrare suo fratello.

Quando la porta si aprì e il maggiore entrò Sherlock stava già mettendo il tè nelle tazze.

«Che efficienza.» disse Mycroft, accomodandosi sulla poltrona di John, giusto per innervosire un po’ Sherlock.

«Cosa hai combinato con il nostro ispettore, fratello?» Chiese senza giri di parole il minore degli Holmes, sperando di venire a capo di tutta quella faccenda il prima possibile.

Mycroft lo guardò dritto negli occhi, per nulla sorpreso. Prese un sorso di tè. E iniziò a raccontare.

«E sì, l’ho baciato ok?» così decise di terminare il racconto. E al diavolo le frasi non dette, le cose da capire, la sua flemma nobiliare. Quella situazione lo stava facendo ammattire. Dio! Quell’uomo lo stava facendo ammattire! Lui che organizzava ogni cosa nel più piccolo dei dettagli, davanti a Lestrade agiva d’istinto. Istinto che l’aveva portato ad avvicinarsi sempre di più all’ispettore come una falena si avvicina al fuoco. Istinto che, e ancora stentava a credere di averlo fatto, lo aveva portato quel pomeriggio a baciarlo. Ma che diavolo aveva in mente? Nulla, ovviamente, nulla, nemmeno le balle di fieno che si vedono nei film western, almeno poteva dire di aver avuto qualcosa che gli girava in testa. E invece? Invece aveva solo visto Greg, le sue labbra sempre più vicine e addio. L’istinto aveva vinto.

Istinto che, tra l’altro, l’aveva portato dal fratello. E la cosa gli sembrava anche naturale, se fosse stato in sé si sarebbe seriamente preoccupato.

«Era ora! Seriamente, non ho capito che diamine stavi aspettando. La vera domanda, a parte quella sulla sanità mentale del nostro ispettore, è semplicemente un grande: Che diamine ci fai qui quando dovresti essere con lui?» affermò Sherlock, in quel momento Mycroft aveva davvero voglia di mandare il fratello in qualche missione suicida, ma doveva davvero sistemare quella questione.

«Forse ho sbagliato. Forse non dovevo. Insomma siamo così diversi, non ha senso, non riuscirebbe mai a capirmi. Il mio lavoro Sherlock, sai bene com’è. Ne sei cosciente. Come faccio a pretendere che una persona così integra possa accettare quello che sono?» Sherlock osservò il fratello scettico, alzando un sopracciglio. Poi decise di essere sincero con lui, forse per la prima volta. Del resto Mycroft aveva fatto il primo passo ed era andato a confidarsi con lui, e poi erano fratelli, spesso fingevano che non fosse vero, che l’altro non esistesse proprio, ma erano fratelli, e questa volta doveva riuscire a smuovere Mycroft.

«Spesso, negli anni, ho accusato John di non avermi mai veramente compreso. Lui mi rispondeva con un sorriso, alzando gli occhi al cielo, dandomi ragione, ok, ok,  spesso inveiva contro di me a dir la verità, ma sai bene com’è fatto. Sempre, dopo si allontanava e mi lasciava a pensare solo. Come se fossi io quello che doveva capire qualcosa.

Una sera, dopo l’ennesimo inseguimento per le vie di Londra – in cui mi ero messo stupidamente in pericolo solo per seguire il mio piano di cui non l’avevo informato – lui aveva iniziato a urlarmi contro, arrabbiato come può esserlo solo John quando ha preso un grosso spavento.

Quella sera lo accusai nuovamente di non capirmi, di non riuscire a seguire i miei pensieri. La mia mente era troppo veloce per la sua, e lui non riusciva a vedere l’insieme delle cose. Lui rimase in silenzio, chiuse gli occhi e per un istante pensai volesse lasciarmi solo, come faceva tutte le volte. Invece fece un sospiro e mi disse.»

«Hai ragione, per lo più delle volte non ho la minima idea di cosa ti passa per la testa, men che meno cosa provi. Ma è davvero così importante? Io lo so che farai, penserai, proverai in un secondo cose che io non riesco a fare, pensare, provare in un mese, e mi va bene così. Tu mi vai bene così. Non c’è null’altro e nessun’altro che vorrei al mio fianco, nessun’altro a cui vorrei stare a fianco.
Sei imperfetto Sherlock, per chiunque, ma sei perfetto per me, l’ho sempre saputo, anche se non ti capisco e probabilmente non ti capirò mai, anche se sarò sempre troppo lento per te, io ti accetto, accetto questa cosa, capisci? Ti ho riconosciuto dall’inizio senza nemmeno rendermene conto, sei tu e l’ho sempre saputo, questa è l’unica cosa di cui mi importa.»

«Dopo di che, appena finito di medicarmi le varie ferite che mi ero procurato se ne andò a dormire. E sai cosa ti dico fratello? Che ero io quello troppo lento per capire lui. Ero io che vantandomi di quanto fossi intelligente in realtà mi comportavo da stupido. John mi ha sempre capito, non del tutto forse, e in maniera istintiva ma ha capito la parte che nemmeno io conoscevo di me stesso. Mi ha riconosciuto. Mentre io lo accusavo di non riuscire a comprendermi, lui aveva già capito di me quello che io nemmeno sapevo esistesse. Quella volta ho rischiato di perderlo davvero. Ho rischiato che si stancasse di starmi dietro e decidesse di allontanarsi da me. Ho passato l’intera notte a leggere quello che aveva scritto di me sul suo blog, smettendola di analizzarlo per come aveva raccontato i casi, per come mi faceva sembrare un eroe quando la maggior parte delle volte non lo ero per nulla. E sotto la superficie, sotto tutto quello che avevo sempre letto e rinfacciato a John, per la prima volta ho visto me, il mio vero me. John ha sempre messo me sul palcoscenico, come se fossi l’eroe, ma è sempre stato al mio fianco, non facendomi perdere la strada. Mi sono reso conto che senza John, non esisterebbe alcun “Sherlock Holmes”. Senza John, probabilmente, mi avresti dovuto raccattare per qualche vicolo maleodorante di Londra, completamente strafatto, tante di quelle volte Mycroft da perderne il conto, fino al giorno in cui non avresti fatto in tempo a trovarmi.» Prese un sorso di tè, facendo sedimentare nella mente di suo fratello tutte quelle informazioni. Poi aggiunse:

«All’alba ero ancora immerso nella lettura, e così John mi trovò, quella mattina e quando incontrai i suoi occhi finalmente mi vidi come mi vede lui. Da quella mattina non ho più fatto l’errore di darlo per scontato.

Quindi no, hai ragione, Greg non è uguale a te. Non è intelligente come te, né ha la tua cultura. Probabilmente adora cose stupide come le feste di compleanno e Natale. Quasi sicuramente non sa riconoscere Beethoven da Mozart e amerà qualche gruppo rock, folk o sa solo il cielo che musica possa ascoltare, e ti indurrà a metterla a casa anche solo per il modo in cui te lo chiederà. Probabilmente vorrà cenare con te tutte le sere, e non vorrà sentire scuse. Ti costringerà a seguirlo in viaggi solo per una vacanza e ti farà fare cose stupide come decorare la casa per Halloween.

Ma Mycroft, se lo perdi, sarà la cosa più stupida che tu abbia mai fatto in vita tua. Perché fratello, fino a quando rimani nascosto dietro al muro della tua intelligenza al sicuro dai sentimenti, sei tu a non essere abbastanza per Greg, così come ero io a non essere abbastanza per John.»

Il silenzio riempì l’appartamento. I due sorseggiarono il loro tè senza più dire una parola, forse quello era il discorso più lungo, e più personale che avessero mai affrontato. Fu Mycroft a prendere la parola per primo.

«Credo sia la prima volta Sherlock.» disse, appoggiando la tazza sul piattino di porcellana.

«Mh?» il detective alzò lo sguardo inarcando il sopracciglio a mo di domanda.

«Lo hai chiamato Greg, è la prima volta che non sbagli nome.» rispose il maggiore, facendo tintinnare piattino e tazza sistemandoli sul tavolino.

«Non è presente, non c’è alcun divertimento.» ammise Sherlock allora con un sorriso.

«Devo andare ora.» Mycroft si lisciò la giacca e si sistemò la cravatta, anche se non ce n’era minimamente bisogno, prese l’ombrello e mise il cappotto sul braccio. Erano marzo, e per essere Londra faceva piuttosto caldo, ma Sherlock sapeva che nulla avrebbe permesso il fratello di non indossare il tre pezzi, persino in piena estate lo aveva visto andare in giro così bardato. L’eleganza prima di tutto.

«John sarà di ritorno fra poco se vuoi fermarti, sarà felice di vederti.» il tono di voce metteva in chiaro le vere intenzioni del detective.

«Sì, come no. E poi, credo di dover fare una cosa, e di doverla fare immediatamente.» Mycroft per un secondo aveva avuto voglia di prendere in giro il fratello accettando di rimanere, ma aveva una cosa molto importante da fare, molto più importante che dare fastidio al fratellino.

«Credo sia la scelta migliore.»

«Del resto sono io quello intelligente in famiglia.»

«Continua pure a crederci, Mycroft.»
 

Sherlock riprese a suonare appena vide la macchina del fratello allontanarsi e tornò a sorridere solo quando lo sguardo del dottore dalla strada si legò al suo.



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