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Autore: Soul of Paper    19/01/2020    4 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nessun Alibi


Capitolo 13 - Un Giocattolo


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


“Amò, sveglia, ti ho portato la colazione!”

 

Il sussurro al suo orecchio le fece spalancare gli occhi di botto, una fitta di mal di testa che le trafisse il cranio dividendolo in due, mentre cercò di mettere a fuoco la sveglia e realizzò che erano le otto del mattino.

 

Non si era resa conto di essere infine crollata nel sonno, sicuramente dopo le cinque, l’ultimo orario che aveva visto prima di cercare disperatamente di ottenere almeno qualche ora di riposo.

 

L’insonnia la stava spossando, fisicamente e mentalmente e, quando si voltò e vide gli occhi di Pietro, carichi di una felicità, pura, vera, incontenibile, quasi infantile, si sentì doppiamente esausta, mentre il senso di colpa si faceva un altro bel giro di vite nelle sue viscere.

 

Nei confronti di Pietro, perché lei non riusciva a provare felicità, nemmeno serenità, perché non riusciva a provare quasi niente.

 

E nei confronti di Calogiuri, che si sentiva di aver tradito quella notte, per quanto folle, assurdo ed irrazionale potesse sembrare quel pensiero.

 

Ma, del resto, se non mi stessi comportando in maniera folle, assurda ed irrazionale, ultimamente, non mi sarei in-

 

Si costrinse a concentrarsi su Pietro, che ancora la guardava in quel modo, come se gli fosse capitato un miracolo.

 

Sai te che bel miracolo! - pensò, tirandosi a sedere, sforzandosi di sorridergli di rimando e accettando il vassoio della colazione con un “ma grazie, Pietro, non dovevi disturbarti!”

 

Perché la verità era che non aveva per niente fame, ma proprio zero, nonostante stesse perdendo peso e se ne stesse pure rendendo conto, dai vestiti che le stavano più larghi.


E quindi si obbigò a mandar giù caffelatte e biscotti, che ad una certa non è che poteva fare troppe cretinate col suo fisico: non aveva più vent’anni ed aveva una figlia a cui pensare. E, se il sonno era più difficile da controllare, salvo cedere ai sonniferi, almeno sull’alimentazione uno sforzo lo doveva fare.

 

Pietro le sorrise, ancora più soddisfatto, e le diede un altro bacio, prima di farle quella domanda che lei temeva peggio di qualunque altra, “amò, perché non chiami in ufficio che fai un po’ più tardi e ce ne stiamo un po’ insieme solo noi due? Posso chiedere anch’io un permesso di qualche ora.”

 

E, sebbene la prospettiva di andare in procura ed affrontare lo sguardo di Calogiuri la allettasse quanto un pomeriggio di shopping con sua suocera e la Moliterni, l’alternativa era mille volte peggiore.

 

Che poi, mica ce l’aveva scritto in faccia quello che aveva fatto, no? E Calogiuri non poteva mica sapere che, prima di quella notte, lei e Pietro non avevano fatto l’amore per quattro mesi. Era una delle mille cose che non avrebbe mai saputo, perché lei non avrebbe mai potuto dirglielo, se voleva che lui si facesse la sua vita, che avesse il futuro che si meritava, senza di lei.

 

Ma tu con tuo marito sei felice? - la domanda di Sabrina le risuonò in testa, anche se non avrebbe saputo dire il perché, insieme a tutto quello che le aveva detto dopo, su figli ed adozioni e-

 

“Amò, allora? Ti sei incantata? O non è che ti ho stancata troppo ieri sera?” proseguì, ironico, stampandole un bacio sulle labbra.

 

Trattenne un moto di riso amaro, pensando alle maratone che faceva con Calogiuri, e se non si era mai stancata troppo lì, figuriamoci per quell’unica replica con Pietro, che le era bastata ed avanzata. Ma lui non poteva saperlo e non era colpa sua se lei non riusciva a provare abbastanza trasporto nei suoi confronti.

 

Per non dire che c’è proprio lo sciopero totale dei trasporti, Imma! - le ricordò la voce sarcastica della Moliterni, che si costrinse a far tacere, per rispondere a Pietro, che ancora attendeva con occhi carichi di aspettativa.

 

“No, Pietro, guarda, devo proprio andarci in orario in procura stamattina. Devo riferire a Vitali di Romaniello e poi ho degli appuntamenti già fissati. Magari un’altra volta, dai,” provò a svicolare, in una di quelle promesse da madre, come quei magari domani rifilati a Valentina, quando era bimba e faceva i capricci per qualcosa che non voleva concederle. Ma il domani ovviamente era sempre l’indomani e non arrivava mai.

 

Si affrettò ad alzarsi dal letto prima che Pietro potesse protestare - anche se colse benissimo la sua espressione delusa - ad afferrare i vestiti già predisposti sulla sedia e a correre in bagno, rifugiandocisi neanche fosse un bunker antiatomico.

 

*********************************************************************************************************

 

Aprì il portoncino e la luce solare lo trafisse con mille spilli, la testa che gli pulsava tremendamente, quasi peggio di quando si era svegliato, avvolto da un senso di nausea prepotente - se per i postumi dell’alcol o se verso se stesso, questo restava da stabilire - e dalla sensazione che il cervello volesse esplodergli nel cranio.

 

Si trascinò a forza fino in procura, sentendo le gambe fatte di piombo, lo stomaco ancora sottosopra ed una voglia prepotente di farsi inghiottire dal terreno e sparire, almeno per un po’.

 

Ma non si poteva: era già stato un vigliacco la sera prima. Doveva parlare con Jessica, scusarsi con lei e chiarire in qualche modo la loro situazione, a meno che pure lei la considerasse una cosa di una notte e basta. In fondo, era una ragazza moderna ed emancipata, no?

 

Però il modo in cui lo aveva abbracciato, in cui si era addormentata tra le sue braccia ed i pregressi tra loro gli fecero dubitare di poter essere tanto fortunato. E lo fecero sentire doppiamente vigliacco, stupido e stronzo.

 

Jessica non se lo meritava proprio e lavoravano pure insieme. Sarebbe stato un casino tremendo: già lo aveva trattato come un appestato per mesi dopo la storia di Lolita e mo… mo avrebbe avuto tutte le ragioni di avercela a morte con lui.

 

Non era da lui fare cose del genere, non era proprio da lui e sì, incolpava l’alcol ed il suo stato mentale, ma avrebbe dovuto comunque sapere dire di no, sapere quando fermarsi, capire perché non fosse il caso, invece che farsi trascinare dagli ormoni e soprattutto da quello stupidissimo senso di rabbia e di rivalsa.

 

Da quel bisogno di dimostrare a se stesso che poteva andare avanti senza di lei.

 

E così non solo non te lo sei dimostrato, ma farai soffrire pure un’altra persona che non c’entra niente, complimenti! Una collega, oltretutto! La storia con Lolita proprio non ti ha insegnato niente, eh?! E poi ti stupisci che io ti tratti come un ragazzino e che non mi fidi di te?! Era questo il grande amore che provavi per me, quando basta un po' d'alcol e non sei neanche capace di tenertelo nei pantaloni? - lo redarguì la voce della sua coscienza, che in quel momento aveva la sua voce, mentre un altro moto di nausea lo assaliva alla vista dell’edificio della procura.


Entrò con la sensazione di starci andando per rendere piena confessione delle sue colpe, come un indagato e non come un maresciallo. Anche se sperava vivamente che lei non lo scoprisse mai, che Jessica almeno mantenesse una certa discrezione invece che urlare ai quattro venti quanto fosse stato stronzo. Ma, conoscendola, temeva fosse una speranza più che vana - e, di nuovo, era solo ciò che si meritava.

 

Prese un respiro e varcò la soglia della PG e, ironia della sorte, la trovò deserta, tranne che proprio per Jessica, già seduta alla sua scrivania.

 

Si voltò e, come i loro sguardi si incrociarono, il viso di lei si aprì in un sorriso smagliante, amplissimo, che lo fece sentire ancora di più uno schifo, oltre che sorprenderlo, vista la sua fuga notturna.

 

“Buongiorno, maresciallo,” proclamò, ironica e con un che di malizioso, alzandosi dalla sedia ed avvicinandosi a lui con una camminata ed uno sguardo ancora più provocanti, che era dai primi tempi in cui lavoravano insieme, prima di Roma, che non le vedeva più adoperare nei suoi confronti, per poi sussurrargli, ormai a pochi centimetri da lui, “dormito bene?”

 

“Jessica, scusami, lo so che sono sparito stanotte, ma volevo… volevo spiegarti che io-”

 

“Ma figurati! Non ti preoccupare, anche se sei proprio tenero quando fai così,” gli disse con un tono tra l’ironico ed il dolce, sollevando una mano per accarezzargli una guancia, provocandogli l’istinto di ritrarsi che cercò di trattenere almeno per il tempo necessario a parlarle a quattr’occhi, “che pensi che non lo so che non è il caso che ci vedano arrivare insieme in procura? E che dovevi andare a casa a cambiarti? Tranquillo, maresciallo!”

 

“Jessica, veramente io-”

 

Ma non riuscì nemmeno a finire la frase, perché se la trovò praticamente appesa al collo, che lo baciava appassionatamente.

 

Fece appena in tempo a riaversi dallo shock e a poggiarle le mani sulle spalle, per cercare di staccarla, quando una specie di boato alle sue spalle gli provocò un mezzo infarto.

 

Il cuore in gola, fece un salto indietro, staccandosi bruscamente da Jessica, che gli lanciò un’occhiata altrettanto spaventata, prima di voltarsi e sentire un conato di vomito talmente forte che si dovette appoggiare ad una delle scrivanie con una mano per non rischiare di cascare.

 

Sulla porta c’era lei, c’era Imma: le mani a mezz’aria che le tremavano - e lo notava perfino nel suo stato di shock - un faldone riverso a terra ai suoi piedi, quello che aveva provocato il rumore infernale, la bocca spalancata e, soprattutto, uno sguardo tra l’incredulità, la delusione ed il dolore che gli provocò un’altra ondata di nausea.

 

“No- non è come sembra, noi-” provò a balbettare, dandosi dello scemo non appena le parole gli uscirono di bocca, assurde tanto quanto quella situazione. Ma si zittì quando Imma lo fulminò con un’occhiata che avrebbe incenerito un ghiacciolo e che, soprattutto, non aveva mai visto rivolta a lui, mai, nemmeno dopo averle dovuto confessare di Lolita. Una delle mani si alzò di più ed in verticale, rigida, per ordinargli di tacere.

 

“Di quello che voi fate fuori da qui non ne voglio sapere nulla, maresciallo,” sibilò, usando il suo titolo quasi come se fosse un insulto, “ma finché state tra queste mura - che questo è un ufficio pubblico, ve lo vorrei ricordare, e ricoprite un ruolo istituzionale - anzi, finché state in servizio, le vostre… pulsioni ve le tenete a freno. Altrimenti, se vi ribecco, sarò costretta a farvi rapporto. Sono stata chiara?!”

 

Non si era mai preso una lavata di capo simile da lei, forse non l’aveva mai vista tanto incazzata, con nessuno, ma qualcosa gli scattò dentro ed al senso di colpa si unì una rabbia, una furia che saliva, un senso profondo di indignazione di fronte a tanta ipocrisia. Chi era lei per fare la morale, quando, finché le faceva comodo, se non c’era in giro nessuno, degli orari di servizio se n’era fregata tranquillamente, tra baci rubati nel suo ufficio ed in auto?

 

Ma soprattutto, come si permetteva di fargli una scenata di gelosia, perché questo era, chiara e netta, quando era stata lei a mollarlo dalla sera alla mattina, proprio con la scusa che lui doveva trovarsi un’altra con cui stare alla luce del sole?

 

E più alla luce del sole di così! Ma mo, improvvisamente, non andava più bene.

 

Si trattenne a stento dal parlare, perché non sapeva cosa gli sarebbe potuto uscire fuori, pure mentre un’altra parte di lui invece voleva solo chiarire, spiegarsi, scusarsi.

 

Si limitò ad un “agli ordini, dottoressa!” che suonò duro e sarcastico più del dovuto e voluto, e lei gli rivolse un’altra occhiataccia, per poi indirizzarla pure verso Jessica, che nel frattempo gli si era affiancata.

 

“Matarazzo, aspetto ancora il verbale dell’interrogatorio al buttafuori della discoteca. Da venerdì scorso. Lo voglio entro mezzogiorno. Calogiuri, voglio un dossier completo sull’istruttore di tennis. Vita, morte e miracoli. Entro sera. E scopri i suoi orari al circolo che gli voglio andare a parlare,” ordinò, con il tono più brusco e meccanico che avesse mai usato nei suoi confronti.

 

Si chinò, raccolse il faldone da terra e, dopo averli inceneriti con un ultimo sguardo carico di rabbia per nulla celata, si girò e sparì oltre la porta, il rumore dei tacchi - che sembravano pugnalare il pavimento - che rimbombò per tutta la questura.

 

“Siamo in un bel casino, mi sa…” sospirò Matarazzo e questo lo portò a guardarla, per la prima volta da quando lei era entrata in PG.

 

Ma non gli sembrava realmente spaventata o contrita, anzi c’era qualcosa di strano nel suo sguardo che non riusciva a capire.

 

Decise che non fosse il caso di chiarire in quel momento, anche perché grazie agli ordini della dottoressa avrebbero passato la giornata chini sulle carte e al computer e non avevano altro tempo da perdere.

 

Ma, in qualche modo, doveva chiarire per forza.

 

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“Diana!! Dove sei?!!”

 

“Imma!” la voce della cancelliera la raggiunse dal suo ufficio, prima che comparisse sulla porta.

 

La gelò con un’occhiataccia, fino a che Diana, confusa, si corresse con un, “dottoressa!”

 

“Sai cos’è questo che ho in mano, Diana? Sai cos’è questo?!” le domandò, in quello che era praticamente un urlo, ma era troppo incazzata per contenersi.

 

“E che è… è un faldone, no, Imm- dottoressa!” si corresse in corner, di fronte al suo sguardo omicida.

 

“E grazie al cavolo, Diana, e meno male che un faldone ancora lo sai riconoscere - cosa di cui cominciavo pure a dubitare ultimamente! Ma che c’è qui dentro, secondo te?!” incalzò, raggiungendo la scrivania e buttandoci sopra il fascicolo, con un tonfo che echeggiò nell’ufficio.

 

Diana rimase muta, forse avendo capito che qualsiasi cosa avesse detto sarebbe stata usata contro di lei.

 

“C’è il fascicolo sulla Tantalo, Diana, che avresti dovuto recuperare dalla Moliterni ieri! Ma no, ovviamente sono dovuta andare a sollecitarglielo di nuovo di persona, perché tu ieri sera sei uscita prima, no?! Approfittandoti del fatto che ero a interrogare Romaniello. Quando il gatto non c’è, i topi ballano!”

 

“Im- dottoressa… io…”

 

“Ma certo, tanto qui in questa procura - che ormai più che una procura pare una casa di appuntamenti - ognuno si fa i comodi suoi, no, Diana? E i pranzi, e le cene, e i caffè e gli appuntamenti, di tutto. Tutto tranne che lavorare, ovviamente!”

 

Diana si fece rossa in viso, gli occhi che le si aprirono e chiusero fin troppo rapidamente, prima di scoppiare a piangere e scappare fuori dall’ufficio, lasciando la porta spalancata.

 

Imma provò una momentanea fitta di senso di colpa, avviandosi con un sospiro a richiuderla, insieme ad un’inspiegabile voglia di seguire Diana, presumibilmente in bagno, e piangere insieme a lei, ma poi l’immagine mentale di Calogiuri avvinghiato a Matarazzo le comparve di nuovo davanti agli occhi e tutto fu soffocato dalla furia che le ribolliva dentro, le bestie dello zoo che ruggivano tutte insieme, come i leoni nel colosseo, pronti a balzare alla gola dei gladiatori.

 

Non sapeva cosa la facesse incazzare di più: se quelle scuse idiote che aveva provato a balbettare lui - manco lei fosse cieca ed avesse bisogno del cane guida e del bastone, perché solo in quel caso avrebbe potuto forse fraintendere cosa stessero facendo lui e Miss Sicilia; se il sorrisetto di sfida e lo sguardo vittorioso di Matarazzo, che l’aveva fissata in quel modo, come a dire, hai visto? Mo lui è mio, ha scelto me! - e no, non se l’era immaginato, l’aveva visto benissimo;  se il fatto che, con tutte le donne che c’erano sulla faccia della Terra, proprio una collega doveva andare a scegliersi e, soprattutto, non avere almeno il minimo rispetto di non limonarsela pubblicamente in procura o-

 

O se il fatto che ci ha messo appena tre settimane a consolarsi, no, Imma? Forse pure meno, che chissà quando è cominciata. Altro che fuoco di paglia, un intero fienile, proprio!

 

Cercò di zittire la Moliterni nella sua testa, come sempre affilata come un bisturi - del resto ci aveva dimestichezza, a giudicare da tutti i ritocchini estetici fatti - ma non ci riuscì.

 

Perché era quella la cosa che le faceva più male. Certo, lo aveva lasciato perché si costruisse un futuro con qualcuna che potesse dargli quello che lei non avrebbe mai potuto offrirgli. E ovviamente non è che volesse vederlo soffrire e struggersi per sempre appresso a lei.

 

Però tre settimane, soltanto ventuno maledettissimi giorni erano bastati per cancellare tutto quel sentimento che lui aveva sempre professato nei suoi confronti.

 

E tu cosa hai fatto stanotte con Pietro, Imma?

 

Ma Pietro è mio marito! E dovevo almeno farlo un tentativo! E invece di.... di godermi le sue attenzioni, non solo non provavo niente, ma mi sentivo pure in colpa. Mi sentivo di aver tradito uno che nel frattempo stava a rotolarsi tra le lenzuola con Matarazzo, come minimo!

 

Visualizzare Matarazzo nell’appartamento di Calogiuri che, per qualche assurda ragione, aveva sempre sentito un po’ come loro - forse perché il maresciallo lo aveva palesemente affittato per avere un luogo dove potessero incontrarsi liberamente - fu l’ultimo schiaffo e fu travolta da un’ondata di rabbia e tristezza talmente forte che tornò alla scrivania, buttò giù tutti i faldoni e, non paga, prese a temperare compulsivamente una matita finché pure quel temperino dichiarò bandiera bianca con un rumore atroce ed assordante.

 

Ma la voglia di prendere a pugni qualcosa rimaneva, tale e quale, pure dopo aver fatto lo sforzo di raccogliere nuovamente tutti i faldoni da terra. E sperava solo che il maresciallo e Miss Sicilia non le si presentassero davanti per il resto della giornata, perché non garantiva di riuscire a mantenere una facciata professionale, in caso lo avessero fatto.

 

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“Vado in camera mia, non ho più fame!”

 

“Aspetta un attimo, Valentina. Ma non era oggi che c’era la pagella? Come sono andati i colloqui, Pietro?”

 

Se ne era quasi scordata, con tutto quello che era successo quel giorno, ma qualcosa nello sguardo di Valentina le aveva fatto risuonare uno di quei suoi campanelli d’allarme, quello che scattava quando qualcuno le stava nascondendo qualcosa.

 

“E come sono andati… abbastanza bene, Imma,” rispose Pietro, dopo un attimo di esitazione di troppo, lanciando un’occhiata alla figlia che era uno di quei suoi lascia fare a me, che la facevano sempre incazzare, come se non li notasse poi.


Ed era già sufficientemente incazzata di suo quel giorno.

 

“E posso vederlo pure io questo abbastanza bene? Dove sta la pagella?” intimò, in quello che era un ordine, più che una domanda, e lo sguardo impanicato della figlia le confermò che l’istinto non si era sbagliato, “Valentina?”

 

Sbuffando, Valentina si diresse verso camera sua, sbattè la porta, in un modo che la fece scattare dalla sedia, pronta a seguirla e a dirgliene quattro - ma pure otto o dodici - almeno fino a quando la porta si spalancò nuovamente e Valentina tornò, brandendo la pagella quasi come fosse un guanto di sfida.

 

Gliela prese e, facendo scorrere rapidamente le materie, l’arrabbiatura decuplicò.

 

“Abbastanza bene? Cinque in greco sarebbe abbastanza bene? E sei in latino? C’hai la maturità quest’anno, Valentina, questa pagella è una carneficina, altro che abbastanza bene!” sbottò, fulminando sia la figlia sia Pietro, per il suo tentativo di minimizzare.

 

“Ma amò, ascolta-”

 

“Non ascolto niente, Pietro! E se Valentina deve essere matura abbastanza per sta benedetta maturità, come ci continua a ripetere da mesi, è matura abbastanza pure per spiegarsi da sola, senza l’avvocato difensore. Allora, che hai da dire? Stavi andando così bene a fine dell’anno scorso!”

 

“Sì, ma tra Samuel che è lontano e poi la storia di Bea… le ultime verifiche sono andate male e quindi-”

 

“E quindi niente, Valentina! Capo primo, la lite con Bea è recente, quindi la media già era bassa o non avresti addirittura l’insufficienza. E, di conseguenza, evidentemente o la sua influenza è negativa - guarda caso i tuoi voti erano migliorati quando non vi vedevate più l’anno scorso - o questa storia con Samuel ti fa dimenticare le priorità e allora c’è un problema serio, Valentina. Non puoi permettertelo proprio mo e-”

 

“E scusa tanto se non sono una macchina come te, che tiri dritto fregandotene di tutto e tutti, che pensi sempre solo al lavoro, alla carriera. Ma tu hai mai provato che vuol dire stare male per amore, eh? Pensare a qualcuno continuamente senza riuscire a fare altro?!” le urlò contro, colpendo, senza saperlo, un tasto non solo dolente ma sanguinante.


Ed Imma non ci vide più.

 

“E tu hai mai provato che vuol dire fare la fame, Valentina?! Dover fare un lavoro degradante, che odi, per tutta la vita perché non hai i titoli per fare altro?!” le gridò contro di rimando, avvicinandosi fino ad essere a pochi centimetri, viso a viso, prima di proseguire, in un sibilo sprezzante, “quello che tu chiami amore è solo una droga ed una grande fregatura. Che oggi c’è e ti sembra meraviglioso ed invincibile, e poi invece dall’oggi al domani... lui magari se ne trova un’altra, e chi si è visto si è visto. Alla tua età poi, lasciamo perdere! Ma sai quanti ragazzi ti piaceranno ancora nella vita? E quante opportunità avrai ancora per rinscimunirti per questo cavolo di amore? Ed invece la tua opportunità per avere una vita decente è ora, Valentina, ora, e te la stai giocando malissimo!”

 

“Ma chi ti credi di essere?! Come puoi giudicare tutti con questa… questa saccenza, come se avessi la verità in mano? Chi sei per dire che tra me e Samuel finirà?? Dille qualcosa anche tu papà, che non la sopporto più!” strillò Valentina, raggiungendo decibel inauditi, gli occhi lucidi, tirando suo padre per un braccio.

 

“Imma, magari non-”

 

“E pure se non finisse, che vuoi fare? La moglie mantenuta dello chef a vita? Sai che fine hanno fatto le mie compagne che non hanno voluto studiare? O tirano a campare con lavori che lasciamo perdere, o si stanno mangiando il patrimonio di famiglia, o si fanno mantenere da mariti che non sopportano ma che non possono lasciare perché se no... chissà che bella fine fanno. Questa è la realtà, Valentina, non le tue favolette!”


“E tu sai quanti laureati che fanno la fame ci sono mo in Italia? Con centodieci e lode? Il titolo di studio non serve e-”

 

“Ma almeno aiuta! Figurati se ti diplomi dal classico con un calcio nel sedere, proprio tutti lì staranno ad offrirti un lavoro e comunque-”

 

“E comunque io e Samuel apriremo un ristorante tutto nostro e quindi il problema non si pone. E le tue compagne che fanno le mantenute, che tanto disprezzi, magari il tempo per stare con i loro figli ce l’hanno, per conoscerli e per ascoltarli, invece di stare solo lì col dito puntato a sparare sentenze. E in quanto a matrimoni infelici, ultimamente tu sembra quasi che ci fai un favore ad onorarci con la tua presenza, che stai sempre o depressa o incazzata. Devi ringraziare che papà è un santo, perché non so come faccia ancora a sopportarti! Ma io non ti reggo più!”

 

Valentina girò sui tacchi, approfittando del suo shock momentaneo, dovuto a quelle parole, precise ed affilate come rasoi. Poi però l'incazzatura raggiunse livelli mai raggiunti prima e fece per seguirla, ma si sentì bloccare da Pietro, che la prese per un braccio.

 

“Pietro, lasciami," sibilò, pronta a fare un casino.

 

“Imma, per favore, cerca di-”

 

“Non dirmi di calmarmi, Pietro, che lo sai quanto mi fa incazzare e-”

 

“Dicevo, cerca di lasciarle un po’ di tempo per calmarsi. Poi gliene riparliamo e vedrai che-”

 

“E vedrai che i problemi magicamente si risolvono? Come la pagella che era andata abbastanza bene? Come hai potuto cercare di nascondermela?!” urlò, incurante di farsi sentire da Valentina, anzi forse volendo che sentisse e capisse quanto la cosa fosse inaccettabile.

 

“Perché sapevo che era già un periodo complicato per te, Imma, e non volevo farti preoccupare ulteriormente,” rispose Pietro, con un tono calmo, cercando di metterle una mano su una spalla, nonostante lei si ritraesse ed insistendo finché non ci riuscì, “ascolta, le ho già parlato io e ci è rimasta malissimo pure lei per la pagella e mi ha promesso che si impegnerà al massimo nel secondo quadrimestre. E ti prometto che le starò dietro, la mandiamo anche a ripetizioni, se serve, e la seguo di più io con lo studio finché non ha recuperato. Va bene?”

 

Non le sfuggì affatto come avesse del tutto glissato sulla parte di sfogo della figlia che riguardava il loro matrimonio. Ma forse era meglio così.

 

“Ma all’università come farà, Pietro? Non possiamo starle dietro a farle da balia. Sempre se la vuole fare poi l’università e non si butta in questa cosa del ristorante che, parliamoci chiaro, dove pensano di trovarli lei e Samuel i soldi per un ristorante? E lei con quale esperienza pensa di gestirlo, o crede davvero che sia come cucinare per me e per te? Ti rendi conto che vive nel mondo dei sogni, sì?!”

 

“E glielo faremo capire, Imma. Magari… magari quest’estate quando ha finito la scuola e dopo il viag-” si interruppe appena in tempo, vedendo il suo sopracciglio alzato, “insomma dopo la maturità le facciamo magari fare un’esperienza in un ristorante, così vede com’è. E pure Samuel ormai avrà capito come funziona: l’ho visto come sgobba a Bra, sa benissimo che non è semplice. E per l’università ci pensiamo: una cosa alla volta, amò. Ti fidi di me?”

 

E che poteva rispondergli? Una volta avrebbe detto sì, senza nemmeno pensarci. Ma dopo Cinzia… si fidava al 90%. E su Valentina… a volte era troppo permissivo, ma era pur vero che anche lei sentiva di avere parte delle colpe, se erano arrivati in queste condizioni a fine quadrimestre: presa dalla… relazione con Calogiuri aveva allentato la vigilanza su Valentina, un po’ per una stupida empatia per la sua situazione con Samuel, un po’ perché presa da altri pensieri, e questi erano i risultati.

 

Ma mo si cambiava registro.

 

“Diciamo che mi fido più di te che di me, Pietro, per quanto riguarda Valentina, almeno. Ma solo fino a prova contraria,” sospirò, anche se Valentina non era certo l’unico argomento su cui si sentiva tutt’altro che affidabile ultimamente.

 

Pietro sorrise, si sporse in avanti e la baciò.

 

Inizialmente pensò si sarebbe fermato lì, che fosse un semplice suggellare l’accordo avvenuto, ma poi le diede un altro bacio e le sussurrò all’orecchio, “che ne dici se ti aiuto a rilassarti un po’ io, ora?”

 

La trascinò in un terzo bacio, più lungo dei precedenti, ed il suo primo istinto fu quello di staccarsi, di dirgli chiaro e tondo che non era dell’umore adatto ed andarsene sì a letto, ma a tentare di dormire.

 

Ma due occhi azzurri le comparvero davanti agli occhi e poi lui appiccicato a Matarazzo.

 

E la furia le risalì in gola, rapida e devastante e si chiese perché. Perché non dovesse fare l’amore con suo marito, quando lui di sicuro non stava a pensare a lei, anzi, l’aveva già bella che scordata.

 

Forse perché non riesci più a provare niente con Pietro? - le suggerì la sua stessa voce, la stramaledetta Imma interiore che l’aveva cacciata in quella situazione, a furia di darle retta come la scema che era.

 

E quindi la ignorò e, per zittirla, afferrò il viso a Pietro e lo baciò con passione, con rabbia, quasi violentemente, tanto che lui si fece sfuggire un’esclamazione di sorpresa e barcollò indietro di qualche passo.

 

Se ne fregò del brivido che mancava, di ciò che non sentiva, volendo solo sfogarsi, sfogare tutto quello che le ribolliva dentro fino a rischiare di esplodere.

 

A tentoni arrivarono fino alla porta della camera, che richiuse con fin troppa irruenza alle sue spalle.

 

Buttò praticamente Pietro sul letto, che la guardò sorpreso da tanta foga, anche se poi un mezzo sorriso gli si dipinse sul volto, almeno finché non glielo levò, buttandosi sopra di lui in un altro bacio ed iniziando a spogliarlo.

 

Nella mente e davanti agli occhi aveva lui, lui con Matarazzo, e nel cuore e nella gola la furia ed un desiderio assurdo ed irrazionale di fargliela pagare.

 

E poi si immaginò a baciarlo. Che era lui che stava baciando, rabbiosamente, sfogando tutta la frustrazione ed il risentimento che sentiva dentro.

 

Che era lui che stava toccando, spogliando, sebbene fosse tutto sbagliato e le sue mani lo sapessero benissimo.

 

Che c’era lui sotto di lei, alla sua mercé, che erano suoi quei gemiti e poi quel… grido?

 

Gli occhi le si aprirono di colpo e si fissarono in due occhi azzurri, ma del colore e del taglio sbagliati, che la guardavano sconvolti, la fronte ancora corrugata in un’espressione di dolore.

 

Si staccò bruscamente da Pietro e notò il filo vermiglio che gli scendeva dal labbro inferiore e si sentì andare tutto il sangue alla faccia, realizzando di averglielo morso con fin troppa forza, in quell’impeto furibondo che l’aveva guidata, quasi come fosse un pilota automatico.

 

“Scusa, Pietro, scusami, ti ho fatto male?” sussurrò, mortificata, le mani che le tremavano, sentendosi uno schifo, per troppe ragioni che non avrebbe saputo elencare. Forse avrebbe fatto prima a spiegare quelle per le quali non si faceva schifo.

 

“Ma no, amò, tranquilla, figurati. Non so cosa ti è preso stasera, ma non mi dispiace vederti tanto passionale, anzi!” provò a rassicurarla, mettendole una mano sulla spalla, e finalmente Imma sentì sì un brivido, ma purtroppo non di piacere, “magari giusto un filino meno, ecco.”

 

“Scusa, Pietro…” ripetè, scrollandosi dal suo tocco e mettendosi in piedi, mentre lui la guardava sorpreso, tirando su il lenzuolo ed avvolgendocisi, prima di recuperare la camicia da notte dalla sedia.


“Amò, ma dove vai?” le chiese, confuso e sconvolto, ma lei non lo sentiva già più e corse in bagno, richiudendo la porta dietro di sé meglio che potè, le mani che ancora traballavano incontrollatamente. Crollò sul pavimento, mentre sul viso scorrevano lacrime che non riusciva più a contenere.

 

Era tutto sbagliato: lei era sbagliata, il suo matrimonio era in frantumi e incominciava a dubitare fortemente che potesse essere salvato.

 

Sicuramente, almeno dal punto di vista sessuale, era morto e sepolto, e di questo aveva ormai la certezza assoluta.

 

Ed era solo colpa sua.

 

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“Diana! Ho bisogno che mi aiuti a recuperare i fascicoli su-”

 

Si interruppe, non appena giunse all’altezza della porta che collegava i loro uffici e notò che quello della cancelliera era vuoto.

 

Sarà in ritardo? Strano! - pensò, accomodandosi alla scrivania.

 

Diana aveva tanti difetti ma su una cosa era sempre stata ligia: la puntualità la mattina. Con un sospiro, aprì il fascicolo sulla famiglia Tantalo da dove l’aveva lasciato e riprese con la lettura.

 

Ma, dopo un quarto d’ora, notando che la cancelliera ancora mancava, si preoccupò e prese il telefono.

 

Fu allora che notò un messaggio.

 

Ho chiesto due giorni di ferie a Vitali e me le ha concesse. E venerdì ho l’appuntamento dall'avvocato, quindi sarò in permesso. Ci vediamo lunedì, dottoressa.

 

Imma sospirò, sapendo benissimo che l’uso del titolo significava che Diana ce l’avesse con lei, e non poco, considerato che era la prima volta in tanti anni di servizio che si prendeva ferie senza consultarla. Anzi, che si prendeva ferie quando non era in ferie pure lei, salvo emergenze.

 

Aveva esagerato il giorno prima e se ne rendeva pure conto, a giudicare dalla fitta tremenda di colpevolezza che la prese dritto in pancia. Doveva trovare un modo di fare ammenda con lei il lunedì successivo. Ma l’assenza di Diana complicava ulteriormente il suo lavoro e sarebbe stata una settimana ancora più infernale di quanto già si prospettasse fino a pochi minuti prima.

 

Ma se lo era meritato, e sapeva benissimo anche questo.

 

Va bene, fammi sapere come va con l’avvocato e parliamo meglio lunedì. Goditi le ferie, che te le sei meritate.

Imma

 

Sperava che il messaggio ed il firmarsi con il nome di battesimo avrebbero rappresentato almeno un primo spiraglio di pace.

 

Ma Diana non rispose, non che si aspettasse una risposta, vista la situazione.

 

Con un sospiro, prese una matita per temperarla, in quello che era il secondo temperino cambiato in pochi mesi - roba che tra un po’ la ditta poteva assumerla come collaudatrice, se il maxiprocesso fosse andato male ed avesse avuto bisogno di un cambio di carriera - quando bussarono alla porta.

 

“Avanti!”

 

E, come invocato dal temperino, la cui magia funzionava a prescindere dal modello usato, sulla soglia comparve lui.

 

“Calogiuri.”

 

Il maresciallo entrò e richiuse la porta alle spalle, rimanendo però sempre a pochi centimetri da essa, neanche fosse in una situazione di emergenza in cui potesse essere necessario evacuare l’edificio da un momento all’altro. L’espressione era fredda, neutra, il “dottoressa!” apparentemente professionale.

 

“Avevi bisogno di qualcosa?” gli domandò con un sospiro, sentendo l’irritazione ricominciare a crescere, nonostante tutto, la mente che continuava a tornare a quella scena in PG: a Matarazzo attaccata al suo collo e lui con le mani sulle sue spalle, che si baciavano appassionatamente.

 

“Ho le informazioni sull’istruttore di tennis, come mi avevate chiesto ieri, dottoressa,” rispose, formalissimo, ma con una punta di stizza nella voce che non fece che alimentare i leoni che le ruggivano dentro, l’irritazione che già virava verso l’ira.

 

La verità era che degli ordini dati il giorno precedente a lui e a Matarazzo si era praticamente già scordata, sebbene Miss Sicilia il verbale glielo avesse consegnato puntuale.

 

“Allora accomodati, Calogiuri, non stare lì impalato a reggere la porta,” lo invitò, non potendo contenere il sarcasmo nella voce, anche se da un lato avrebbe preferito tenerlo a distanza, ma doversi parlare in quel modo per un periodo prolungato sarebbe stato ridicolo.

 

“Ai comandi, dottoressa,” rispose, altrettanto sarcastico, prendendo posto in una delle sedie davanti alla scrivania, dritto ed impettito che neanche al banco dei testimoni.

 

“La signora Diana non c’è?” le chiese, notando l’ufficio sguarnito della cancelliera, mentre lo vide deglutire e sembrare improvvisamente quasi a disagio.

 

“In ferie e permesso fino a lunedì,” spiegò con un altro sospiro, prima di tagliare corto, “allora, che informazioni hai su questo Davidson?”

 

“Celibe, 25 anni, originario di Northampton, giovane promessa del tennis, da adolescente viene notato da un celebre allenatore che ha portato diversi suoi talenti a Wimbledon e a scalare i ranking mondiali. A diciotto anni subisce un brutto infortunio ad una spalla, in seguito ad un incidente d’auto, ed è costretto a ritirarsi dall’agonismo. Studia l’equivalente di scienze motorie all’università di Birmingham. Viene in Erasmus a Matera e decide di trasferirsi per terminare qui gli studi. Inizia a lavorare come istruttore al circolo di tennis e-”

 

“Calogiuri, ma che m’importa del ranking di tennis!” lo interruppe, alzando gli occhi al soffitto di fronte a quella fiumana di informazioni ripetute a macchinetta, senza quasi prendere fiato, “ma che mi stai dicendo?”

 

“Siete voi che mi avete detto che volevate sapere vita, morte e miracoli su questo Davidson, se-”

 

“Cose tipo lavori svolti qui in Italia e all’estero, precedenti, cose utili, Calogiuri, non se c’ha avuto il gomito del tennista!” esclamò, tagliente, prima di scuotere il capo, “eddai, su, Calogiuri, c’hai qualcosa di utile o no?”

 

“Qui in Italia ha lavorato solo al circolo di tennis. Non ha precedenti, tranne una denuncia per schiamazzi notturni durante il periodo dell’università qui a Matera ed una in Inghilterra per guida in stato di ebbrezza, in occasione appunto dell’incidente che ha causato il famoso infortunio e-”

 

“E quindi ha precedenti, Calogiuri. Minori ma pur sempre precedenti sono,” lo interruppe nuovamente, notando il maresciallo serrare la mascella, stringere le spalle e lanciarle un’occhiataccia, ma ciò non fece altro che peggiorare ulteriormente quella furia che le covava dentro, “relazioni sentimentali conosciute?”

 

“Dai profili social, una compagna di università in Inghilterra, ma non compare nelle foto da più di due anni a questa parte. Qui in Italia varie foto in gruppo con ragazze, in occasione di alcune serate in discoteca, ma nulla che balzi all’occhio. Negli ultimi mesi comunque la sua attività social è molto diminuita e parrebbe aver ridotto al minimo le foto, soprattutto niente più immagini in discoteca o comunque a feste. Foto principalmente di lui e del suo lavoro.”

 

“Da quanti mesi, Calogiuri? Sii preciso,” lo incalzò, sospirando rumorosamente, e vide Calogiuri serrare gli occhi e la bocca e prendere un lungo respiro, prima di risponderle.

 

“Da maggio, dottoressa, più o meno.”

 

“Dunque, la Miulli muore a marzo e, un paio di mesi dopo, improvvisamente la vita social di questo Davidson cambia. Magari perché nel frattempo la Tantalo ha deciso di farla pagare al marito e consolarsi pure lei con un amante?” ipotizzò, provando un improvviso ed assurdo moto di empatia per la Tantalo, proprio lei nella sua posizione poi, proseguendo, con un sarcastico, “vedi perché è importante essere precisi, Calogiuri?”

 

“Sì, dottoressa. Volete sapere altro?” domandò, con l’aria di chi si stava trattenendo a fatica dal mandarla a quel paese e non vedeva l’ora di levarsi di lì.

 

“Che mi dici dei movimenti economici di Davidson? Non dirmi che te li sei dimenticati, Calogiuri!”

 

“No, dottoressa. Ma non ho ancora ricevuto i dettagli dalla banca, avendone fatta richiesta solo ieri. L’unica cosa degna di nota è che da qualche mese, a ottobre per la precisione,” sottolineò, con un’altra punta di sarcasmo, consultando il taccuino, “ha acquistato un’auto sportiva del valore di quasi cinquantamila euro.”

 

“Mi pare una bella cifra per un istruttore di tennis, per quanto di un circolo snob quanto quello. Dovremo attendere i movimenti bancari. Sollecitali subito! E, una volta che li abbiamo, gli andiamo a parlare.”

 

“Sì, dottoressa, c’è altro?”

 

“Dovresti sapermelo dire tu se c’è altro, Calogiuri. C’è altro?”

 

“No, dottoressa,” rispose dopo un attimo di pausa ed aver preso un altro respiro, facendo per andarsene ma poi cambiando idea e voltandosi ad affrontarla, uno sguardo furente come raramente glielo aveva mai visto, appoggiando le mani alla scrivania e sporgendosi verso di lei, “anzi, sì, c’è altro. C’è che non capisco che cosa vuoi da me.”

 

Di riflesso, si tirò in piedi a sua volta e si sbilanciò in avanti, faccia a faccia, incazzata come raramente in vita sua, ancora di più quando lo sentì passare al tu, sebbene ciò le provocasse anche uno strano brivido lungo la schiena.

 

“Che cosa voglio da te?! Niente, Calogiuri, se non che tu faccia il tuo mestiere come so che lo sai fare e che rispetti il regolamento di servizio, magari, se non ti è di troppo disturbo.”

 

“E mo ti preoccupi del regolamento di servizio? Mo?! Lo sappiamo benissimo tutti e due che qui il regolamento non c’entra niente. Se al posto mio ieri ci fosse stato Capozza, oggi lo tratteresti in questo modo?”

 

“Io Capozza lo tratto pure peggio, Calogiuri,” rispose, dopo un attimo di esitazione, perché la verità era che, a parte dispiacerle per Diana - o forse congratularsi che l’amica si potesse trovare finalmente un uomo più intelligente, avvenente, meno maschilista ed, in generale, più alla sua altezza di Capozza - se lo avesse beccato con Miss Sicilia quasi gli avrebbe fatto le congratulazioni per averla, non si sa come, irretita in quel modo. Roba da chiedergli il segreto inspiegabile del suo successo con le donne e poi brevettarlo.

 

“Ma da sempre. Non per il regolamento di servizio. E hai un bel coraggio a prendertela in questo modo quando sei stata tu a dirmi che mi dovevo trovare un’altra, per il mio bene. Ma se ci provo, reagisci così. Ma non è certo una novità, che non sai quello che vuoi.”

 

“E perché, tu lo sai quello che vuoi, Calogiuri? Soltanto tre settimane fa sostenevi di volere solo me e nel giro di così poco tempo ti sei già consolato. Una ripresa da record, complimenti!” sputò fuori, non riuscendo più a trattenersi, la collera che raggiunse picchi mai toccati prima con lui, i leoni che ormai più che ruggire cercavano di sbanarsi vicendevolmente.

 

“Almeno non mi facevo consolare ogni sera da mio marito, io.”

 

Fu come una secchiata d’acqua gelida addosso, come se fosse stata punta da uno spillo e tutta l’incazzatura si fosse sgonfiata di botto come un palloncino.

 

Ma che cosa sto facendo? - si chiese, vergognandosi di se stessa, di non riuscire a controllarsi, di avergli fatto una scenata del genere quando lui aveva tutte le ragioni del mondo ed era lei ad essere in torto marcio, e lo sapeva.

 

Dopo averla fulminata con un’occhiata che avrebbe rivaleggiato perfino con le sue, e che le causò un’altra ondata di imbarazzo e di senso di colpa, Calogiuri girò sui tacchi, camminò a passo quasi marziale fino alla porta e la richiuse dietro di sé con forza, i cardini ormai provati dalle ultime settimane che protestarono con un cigolio.

 

Si lasciò cadere sulla sedia, maledicendosi quando sentì le guance farsi nuovamente bagnate, maledicendosi per la sua debolezza, per la sua mancanza di autocontrollo, per aver perso la lucidità, la professionalità, la razionalità che l’avevano sempre contraddistinta sul lavoro.

 

Ma del resto, quando si trattava di lui, era da mo che si erano volatilizzate, se mai c’erano state del tutto.

 

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“Ehi, maresciallo! Allora, stasera sei libero finalmente o no?”

 

Jessica! - sospirò, voltandosi e vedendola raggiungerlo appena fuori dalla procura, con un sorriso smagliante.

 

Il giorno prima non ce l’aveva fatta a parlarle e la sera si sentiva troppo stremato per affrontare un discorso del genere.


Ma il momento era arrivato e non poteva più rimandare, non sarebbe stato giusto continuare a illuderla di un qualcosa che non c’era e non ci sarebbe stato mai.

 

“S- sì, ci facciamo due passi?” propose, perché di sicuro nel suo appartamento non la voleva portare ed in caserma non era proprio il caso.

 

“E dove mi porteresti di bello?” gli chiese con un sorriso malizioso, avvicinandosi ulteriormente e prendendolo a braccetto, di fronte alle guardie che li guardarono con un’espressione vagamente stupita.

 

“Per intanto camminiamo, poi-” provò a dire, ma le parole gli morirono in gola quando il portoncino della procura si spalancò nuovamente e ne uscì lei.

 

Che si fermò bruscamente sui suoi passi e poi i loro sguardi si incontrarono per un attimo, prima che lei abbassasse il capo e sembrò fissare il punto in cui il braccio di Jessica incrociava il suo.

 

Si irrigidì senza volerlo e sentì Jessica, per qualche strana ragione, appoggiarglisi ancora di più al fianco, forse perché spaventata.

 

“Dottoressa,” la udì salutare e lui si affrettò ad unirsi al saluto, sebbene volesse essere ovunque tranne lì e soprattutto con chiunque tranne che con Matarazzo, nonostante il modo in cui lei lo aveva fatto infuriare quel giorno nel suo ufficio, con quella specie di scenata di gelosia.

 

“Calogiuri, Matarazzo,” li salutò di rimando, sembrando esitare un attimo, prima di avvicinarsi, guardandolo dritto negli occhi. Non potè evitare di ricambiare, sentendo uno strano tipo di disagio: un misto di rimpianto, rancore e quel senso di colpa che non aveva senso di esistere.

 

“Siamo fuori servizio, dottoressa,” intervenne Jessica al posto suo ed Imma le rivolse un’occhiata raggelante.

 

Stava preparandosi mentalmente ad un’altra lavata di capo, quando Imma prese un respiro e si voltò nuovamente verso di lui, ignorando apparentemente la provocazione di Jessica, almeno fino a proclamare, con un tono stranamente calmo e neutro, per i suoi standard, “l’ora la so leggere, Matarazzo. Ed infatti non vi ho detto niente, mi pare, no?”

 

Rimase sbigottito, non capendo a che gioco stesse giocando, completamente spiazzato, almeno fino a quando, senza mai interrompere il contatto visivo, prese un altro respiro ed aggiunse, “come vi ho già detto, fuori dal lavoro ovviamente siete liberi di fare quello che volete, per carità. E… e ammetto che ho un po’ esagerato nella mia reazione, ma la procura può essere un ambiente tremendo quando iniziano a girare certe voci, e potreste rischiare guai disciplinari. Quindi vi invito nuovamente ad un atteggiamento più prudente e a riservare certe… effusioni per quando non state in servizio, come adesso appunto. Buona serata.”

 

La bocca spalancata dallo stupore, gli occhi che improvvisamente parevano trafitti da spilli, la vide voltarsi ed allontanarsi con il suo solito passo da bersagliere, nonostante i tacchi vertiginosi degli stivaletti.

 

Si è… si è scusata? - pensò, incredulo, perché Imma non si scusava quasi mai, neanche sotto tortura. E che lo avesse fatto per lui - perché lui guardava e non Jessica - era….

 

Per un attimo fu tentato di piantare lì Jessica e di seguirla, di parlarle, ma subito dopo realizzò che lei stava pur sempre tornando a casa.

 

Da suo marito.

 

La commozione svanì, sostituita da quella strana fitta di dolore e rancore che provava sempre quando era in sua presenza. Ma il rancore si era di molto affievolito, rispetto ai giorni precedenti, lasciando spazio a quella specie di senso di vuoto, di mancanza.

 

“Allora, dove mi porti?”

 

La voce divertita ma un po’ impaziente di Jessica lo fece tornare alla realtà e, scuotendo il capo, si limitò a risponderle con un “vieni con me.”

 

“Agli ordini, maresciallo!” esclamò, ironica, stringendosi ancora di più al suo braccio e la sensazione di fastidio tornò prepotente, insieme a quella di soffocamento.

 

Più veloce che riusciva, considerata la posizione in cui erano, giunse con lei ad un parco lì vicino, semideserto a quell’ora di sera, nel gelo di fine febbraio, il sole ormai tramontato che lasciava gli ultimi sprazzi di luce, in un mondo già in penombra.

 

“Come mai mi hai portata qui? Ci sono posti più comodi di una panchina, lo sai?” lo punzecchiò Jessica, sedendosi comunque accanto a lui, sempre mezza abbracciata.

 

“Jessica, ascoltami, dobbiamo parlare,” esordì, prendendo un respiro che lo gelò fino nei polmoni, mentre lei lo guardava stupita e un po’ confusa, “ascoltami, io non ti voglio prendere in giro, non voglio farti soffrire e quindi voglio essere sincero con te. Tu sei una ragazza eccezionale e quello che ti ho detto l’altra sera al pub, io lo penso veramente ma… ma io… io mi sono reso conto di avere in testa e nel cuore un’altra persona e se continuassi un… un rapporto con te non sarebbe onesto innanzitutto nei tuoi confronti.”

 

“E questa che sarebbe? Una variazione del non sei tu ma sono io, eh, maresciallo?!” sibilò Jessica, staccandosi bruscamente da lui e guardandolo con perfino più disprezzo di quello che gli aveva riservato dopo la storia di Lolita, “e quand’è che te ne saresti accorto di avere un’altra nella testa e nel cuore - per non dire in quali altri posti? Subito dopo che mi hai portata a letto, magari?”

 

“Jessica… lo so che mi sono comportato malissimo e se sei arrabbiata con me hai tutte le ragioni del mondo ma… ma non posso decidere quello che sento e non sento e… e nei confronti di chi lo sento. Lo capisci?” le chiese, sperando che potesse capirlo, anche se sapeva benissimo che sarebbe stato pretendere troppo.

 

“Io capisco solo che sei uno stronzo! E scema io che mi sono di nuovo fidata di te, dopo tutto quello che hai combinato con quella… con quella specie di escort, sempre per non dire altro!” gridò, incazzata come non l’aveva mai vista, prima di aggiungere, in un altro sibilo, “e chi sarebbe questa nuova tizia, eh? Chi sarebbe? Almeno questo ho il diritto di saperlo, penso!”

 

“Non ha importanza chi sia e-”

 

“E allora è qualcuna che conosco, eh? Magari qualcuna che sta in procura?” dedusse, scatenandogli un moto di panico.

 

Jessica non era scema, tutt’altro… e se avesse mai capito tutto… non ci poteva nemmeno pensare!

 

“Ma anche se lo sapessi, che ti cambierebbe? Non è colpa sua in ogni caso, no? La colpa è mia e solo mia!” provò a svicolare, tirandosi in piedi, sebbene potesse sembrare una fuga vigliacca - e forse lo era - ma non voleva rischiare di proseguire quella conversazione.

 

“E infatti la colpa è tua! E questa me la paghi, Calogiuri, quanto è vero che mi chiamo Jessica Matarazzo!” proclamò, alzandosi a sua volta e puntandogli un dito contro al petto, per poi alzare una mano, quasi come a volergli tirare uno schiaffo, richiuderla in un pugno e, con un’ultima occhiata di disprezzo, girare sui tacchi e camminare a passo deciso verso l’uscita del parco.

 

Si sentì diviso tra un profondo senso di sollievo ed un’ansia latente, all’idea di che cosa potesse combinare Jessica.

 

Sperava soltanto di non coinvolgere lei, perché, al di là di tutto, non si meritava di finire nei guai per un casino che aveva combinato lui e solo lui. Perché la fiducia che gli aveva dato non l’avrebbe tradita mai.

 

Si sarebbe fatto ammazzare, piuttosto.

 

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“Valentina sta ancora in sciopero della fame?”

 

“Sì… però ha studiato oggi, Imma, ho ripassato greco con lei. E domani ha la prima ripetizione: vedrai che in poco tempo tornerà ai livelli dell’anno scorso.”

 

“Lo spero…” sospirò, cercando di addentare un’altra forchettata di pasta, nonostante pure lei avesse lo stomaco nuovamente in sciopero.

 

Perché continuava a visualizzare Calogiuri a braccetto con Matarazzo, davanti alla procura. E le toccava ammettere che esteticamente facevano proprio una bella coppia: una di quelle coppie che trovi nelle cornici nuove, da pubblicità. Anche se lui era troppo per lei, che era sveglia, sì, ma non intelligente quanto lui e soprattutto non buona d’animo quanto lui.

 

Perché tu lo saresti, Imma?

 

No, non lo era, ed infatti nemmeno lei Calogiuri se lo era mai meritato e lo sapeva benissimo. Ma l’idea di averlo lasciato nelle grinfie di Matarazzo e di quei suoi sorrisetti vittoriosi, neanche lui fosse stato una specie di trofeo conquistato, le faceva male e non era solo la gelosia a parlare.

 

Ma si sarebbe morsa la lingua ed avrebbe cercato di comportarsi in modo civile e professionale, da quel momento in poi, perché questo almeno a Calogiuri glielo doveva, dopo tutto il male che gli aveva fatto.

 

Anche se immaginarselo con lei le faceva un male cane e non poteva evitare di chiedersi cosa stessero facendo in quel momento e-

 

E che vuoi che stiano facendo, Imma?

 

L’immagine mentale che ne scaturì le causò un altro moto di nausea, ma lo ricacciò indietro, cercando di pensare ad altro, perché era in fondo, di nuovo, ciò che si meritava, dopo tutti quei mesi in cui-

 

Ogni sera tornavi a casa a farti consolare da tuo marito! - la voce di Calogiuri, accusatoria, aspra ed amara la inchiodò alle sue responsabilità. E, anche se lei da Pietro non riusciva proprio più a farsi consolare, e non ci era riuscita per tutti i mesi precedenti, Calogiuri aveva comunque dovuto sopportare l’insopportabile e questo era un dato di fatto.

 

“Amò, non hai più fame?” la voce di Pietro per poco le fece fare un salto sulla sedia.

 

“No, Piè, mi dispiace. Davvero è buonissima ma ho mangiato abbastanza,” ammise, sforzandosi di prendere un’ultima forchettata e lasciando il resto nel piatto.

 

“E allora che ne diresti se passassimo direttamente al dolce?” le sussurrò in un orecchio, scoccandole un bacio sulla guancia, per poi aggiungere, sfiorandosi il labbro, “come vedi il danno è quasi sparito, non è successo niente, tranquilla.”

 

“Pietro… ascolta io…” provò ad esordire, ma si rese poi conto che non era un discorso da fare in salotto, dove Valentina poteva sentire, quindi gli prese una mano, e gli disse, “vieni con me.”

 

Pietro sorrise, malizioso, probabilmente pregustando già il dessert, come lo chiamava lui, ignaro che stava per ricevere un bel digestivo, invece, di quelli amari, amarissimi.

 

Ma Imma ci aveva ragionato e aveva deciso che non voleva né insultare l’intelligenza di suo marito ricominciando ad addurre scuse cretine per svicolare dal contatto fisico, né doverlo allo stesso tempo subire per paura di fargli male.

 

Tanto gliene avrebbe fatto in ogni caso e, a quel punto, meglio essere sinceri, per quanto le fosse possibile.

 

Non appena la porta della camera da letto si richiuse alle loro spalle, Pietro di nuovo provò a baciarla, ma lei lo bloccò, poggiandogli le mani sul petto e facendo un passo indietro.

 

“Che vuoi fare Imma? Hai altre idee per stasera?” chiese, con un altro di quei sorrisi, non avendo ancora compreso e probabilmente pensando lei volesse fare qualche giochetto dei loro, quando le cose ancora funzionavano e lei si prendeva il controllo e lui glielo lasciava fare.

 

“Non solo per stasera in realtà, Pietro… siediti, per favore, dobbiamo parlare,” si affrettò a specificare, vedendolo iniziare a slacciare il colletto della camicia, le dita che gli si fermarono di botto, mentre uno sguardo preoccupato gli comparve sul viso.

 

Prese un respiro e si sedette accanto a lui, fissandosi le mani perché non riusciva a guardarlo negli occhi e a dire quello che stava per dire, “ascoltami, Pietro, io ci ho provato, veramente, ma… ma non ci riesco. Non riesco più a provare questo tipo di trasporto nei tuoi confronti e… e lo so che non è giusto e che tu hai tutto il diritto di avere certi impulsi. E mi sento davvero in colpa nei tuoi confronti per questo ma… ma non ci riesco e non posso forzarmi oltre o farei solo peggio.”

 

Pietro passò dallo spaventato, al sollevato, ad uno sguardo di panico, “ma quindi… ma quindi il morso di ieri era… era perché ti ho fatto male?”

 

“No, no! Pietro, ma no! Assolutamente no! Tu non mi hai fatto niente di male, mai, davvero!” si affrettò a rassicurarlo, vedendo gli occhi farglisi lucidi e sentendosi una merda, posandogli una mano su un braccio, “sono io che mi sono… che mi sono forzata, ma… ma tu sei stato sempre rispettoso… mi hai aspettata quattro mesi e… e lo so che è stato difficile per te. Non è colpa tua.”

 

“Ma allora perché… cioè… che ti succede, Imma? Nel senso… lo so che… che dopo tanti anni di matrimonio può essere normale che… che la passione se ne vada, ma tra noi ha sempre funzionato tutto così bene. Ma è per Cinzia?”

 

“No… è… è complicato, Pietro. Ma è così e basta e… e spero che magari sia solo un periodo. Ma, arrivati a questo punto, potrebbe anche non essere solo un periodo. E… e mi rendo conto che questo sia un problema enorme per te e per il nostro matrimonio e io-”

 

“Imma,” la bloccò, deciso, posando una mano sulla sua, che ancora gli afferrava il braccio, “il nostro matrimonio non è solo questo, no? Il nostro rapporto non è solo questo. E certo che ti desidero, ma la cosa che desidero di più non è il tuo corpo, ma questo.”

 

Sentì l’altra mano toccarle con delicatezza il petto, all’altezza del cuore e le scappò un singhiozzo, mentre le lacrime le scendevano sulle guance, quel senso di schifo e di odio verso se stessa che aumentava sempre di più.

 

“A me basta stare bene con te, insieme, condividere la vita con te, Imma, le giornate, quello che ti passa per la testa. Anche solo non fare niente ma stare bene insieme a te, l’uno accanto all’altra. Il resto se tornerà ne sarò felice e se no… affronteremo il problema come abbiamo sempre affrontato i problemi nel nostro matrimonio. Io non ti voglio perdere, Imma,” sussurrò, con un dolore nella voce semplicemente straziante.

 

Imma se lo abbracciò, perché era l’unica cosa che poteva fare. Perché avrebbe voluto rassicurarlo, promettergli che non l’avrebbe persa, ma non poteva. Perché, indipendentemente dal rapporto ormai finito con Calogiuri e sebbene lei e Pietro stessero ancora insieme, di fatto, sotto un sacco di punti di vista, e non solo quello fisico, l’aveva già persa, si erano già persi. Perché tutto quello che Pietro voleva dal loro rapporto lei negli ultimi mesi l’aveva avuto, sì, ma con un altro uomo.

 

Tutto questo la portava a dubitare sempre di più che si sarebbero mai potuti ritrovare, per quanto ci si sforzasse, per quanto ci stesse provando e ci avrebbe provato, con tutte le sue forze.


E questa consapevolezza la lasciava con il peso e la responsabilità enorme di decidere, qualora il dubbio fosse diventato certezza, cosa fosse più giusto fare, per tutti.

 

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Aveva un mal di testa tremendo, che dalla base della nuca le si irradiava per tutto il cranio.

 

Forse per il poco sonno - era sempre più vicina a cedere a farsi prescrivere dei sonniferi - forse per tutto quello da cui derivava il poco sonno.

 

Ma, qualunque fosse la causa, non riusciva a concentrarsi e decise di provare ad andare in bagno a sciacquarsi il viso, sperando fosse di qualche sollievo, prima di prendere un analgesico.

 

Aprì la porta ed un suono acuto e fastidiosissimo, come una specie di mugolio, le trafisse il cranio da parte a parte, facendola quasi sbandare.

 

Chiedendosi chi fosse che le volesse talmente male - l’elenco in procura era infinito, forse faceva prima a dire chi non le volesse male - alzò gli occhi e persino il dolore si attutì rispetto allo stupore per la scena che le si presentò davanti agli occhi.

 

Matarazzo abbracciata alla Mele, un’agente biondina ed occhialuta con cui Imma aveva interagito poche volte, essendo la cocca di Diodato, che se la portava sempre appresso, manco fosse la sua segretaria personale. Anche se, ovviamente, le voci su Diodato e la biondina non erano nemmeno lontanamente paragonabili a quelle su lei e Calogiuri, perché la parità dei sessi nel Belpaese era ancora un’utopia. E, se nel suo caso, era lei la vecchia racchia ed approfittatrice, nel caso della Mele ovviamente era l’agente ad essere quella disposta a tutto per la carriera, e non Diodato ad essere un vecchio bavoso, sempre per la fantastica parità dei sessi.

 

Ma, la cosa più sconvolgente fu notare che era proprio Matarazzo ad emettere quei miagolii insopportabili, a giudicare dal volto bagnato di lacrime, il mascara che le era colato sulle guance, rigandolo di nero.

 

Non capiva molto bene che stesse blaterando Miss Sicilia, finché un nome, in mezzo alle lamentazioni, le fece venire un tuffo al cuore.


Calogiuri.

 

Seguito da mugugni confusi che però avevano tutta l’aria di essere degli insulti irripetibili.

 

Proprio in quel momento, la porta del bagno si richiuse dietro di lei in automatico, con un tonfo, e le due agenti si voltarono verso di lei, sorprese, Mele che sembrava pure un po’ spaventata.

 

Matarazzo inizialmente parve quasi paralizzata, ma poi iniziò a piangere più forte di prima, e a quel punto Imma seppe, con un sospiro, di non poter fare finta di niente e uscire da lì.

 

E poi sei curiosa di sapere perché Matarazzo piange e che c’entra Calogiuri. Non è vero, Imma? Curiosa o speranzosa? - sottolineò la Moliterni, prendendo nuovamente il microfono della sua coscienza.

 

“Che succede qui? Matarazzo, si sente poco bene?” chiese, prendendola alla larga, perché non poteva certo ammettere di avere già origliato parte della conversazione - o almeno averci provato.

 

“Poco bene?! Poco bene?! Altro che poco bene, dottoressa! Quello stronzo! Ma me la paga, ah, se me la paga!” pianse più forte Matarazzo, diventando però finalmente un poco più comprensibile.

 

“Matarazzo, senta, siamo in servizio, quindi cerchi di moderare il linguaggio, per favore, sebbene comprendo che sia sconvolta. Ma di che sta parlando?” domandò, l’irritazione che già le iniziava a salire, perché, va bene tutto, va bene che magari non le dispiacesse esattamente che ci fossero problemi tra Miss Sicilia e il maresciallo, ma dare dello stronzo al suo Calogiuri, il ragazzo più buono che avesse mai conosciuto in vita sua, proprio no.

 

“Del maresciallo! E sentiamo, dottoressa, lei come lo definirebbe uno che prima ti porta a letto e poi ti pianta dall’oggi al domani, arrivederci e grazie, perché si è già trovato un’altra?”

 

“Un’altra?!” esclamò, ripetendo il primo fatto su cui il suo cervello e il suo cuore si erano concentrati, facendole un altro tonfo nel petto, prima che il resto delle informazioni sconvolgenti filtrassero e sedimentassero, con una fitta di dolore, di delusione e di incredulità.

 

Non avrebbe saputo dire cosa fosse peggio: se immaginarselo a letto con Matarazzo, se pensare che il suo Calogiuri, sempre così rispettoso, timido, gentile, potesse essere tipo da una botta e via - e che potesse essere tanto scemo da farlo proprio con una collega, oltretutto - o se immaginare che avesse addirittura già un’altra.

 

Altro che consolarsi, Imma! Questo si sta dando alla pazza gioia! - le ricordò la voce della Moliterni, pungente come sempre.

 

“Sì, un’altra!! In tre giorni. Usa e getta praticamente. E bravo il maresciallo, eh, con quella faccetta d’angelo? Ma lo sapevo, lo dovevo sapere: quelli che sembrano tanto buoni e tranquilli, alla fine sono sempre i più stronzi!” gridò, prima di scoppiare di nuovo a piangere.

 

Imma alzò gli occhi al soffitto, chiuse gli occhi e prese un respiro, perché avrebbe voluto piangere pure lei, per mille motivi, ma dubitava che Matarazzo avrebbe trovato credibile che fosse per un moto improvviso di empatia nei suoi confronti.

 

Anche se una certa empatia, nonostante quelle maledette occhiate di sfida degli ultimi giorni, la ragazza gliela suscitava sul serio. E questo doveva proprio essere uno dei segni dell’apocalisse.

 

“Matarazzo, mi ascolti. Io capisco che lei sia sconvolta e mi dispiace per lei e per la sua situazione personale. Ma qui siamo sul lavoro, questo è un ufficio pubblico, lei è un pubblico ufficiale ed è in servizio, siete in servizio entrambe, quindi non potete rimanere chiuse qui ancora a lungo,” provò ad abbozzare e vide l’occhiata indignata di Jessica ma bloccò ogni protesta con una mano alzata, “se lei oggi non è in grado di svolgere il suo lavoro, per motivazioni comprensibili, le suggerisco di chiedere una giornata di permesso, tornarsene in caserma o in un luogo dove si possa sfogare liberamente e rientrare al lavoro quando si sarà sufficientemente ripresa.”

 

“Ma… ma…”

 

“Se vuole vado a riferire a Vitali che si è sentita poco bene e ha preferito prendersi il resto del giorno libero, se non vuole farsi vedere da lui in queste condizioni,” si offrì, non sapendo nemmeno lei perché lo stesse facendo ed immaginando la faccia di Vitali di fronte alla seconda richiesta di quel genere da parte sua nel giro di poche settimane.

 

Per Miss Sicilia oltretutto.

 

Doveva proprio essere impazzita.

 

*********************************************************************************************************

 

“Avanti!”

 

Il mal di testa le dava un po’ di tregua, finalmente, grazie all’analgesico, quello al cuore, invece… lasciamo perdere. Ma stava cercando di concentrarsi sul maledetto fascicolo sui Tantalo, se non la interrompevano ogni cinque minuti.

 

“Dottoressa.”

 

La voce di lui non fece che peggiorare la situazione ed alzò gli occhi, vedendolo sulla porta, un’espressione neutra sul volto.

 

“Dimmi, Calogiuri.”

 

“Ho avuto i risultati dei movimenti bancari di Davidson. A quanto pare a ottobre ha ricevuto un bonifico di diecimila euro, con il quale ha poi pagato l’acconto dell’automobile. E due bonifici da ventimila euro ciascuno, uno a novembre e uno a dicembre, con i quali ha pagato il saldo. A gennaio ancora un versamento di altri ventimila euro e a febbraio uno di trentamila euro.”

 

“Centomila euro, Calogiuri? Una bella cifra! E da chi verrebbero i bonifici?” gli domandò, sforzandosi di mordersi la lingua e concentrarsi prima di tutto sulle indagini.

 

“Da una società con sede a Panama, apparentemente. E di conseguenza, purtroppo, sarà molto difficile rintracciarne la reale provenienza. La causale del bonifico parla di un compenso per un torneo di tennis.”

 

“Un torneo di tennis da centomila euro? Mi sembra una cifra eccessiva per un torneo da dilettanti, perché questo è considerato Davidson, o sbaglio?”

 

“No, dottoressa, non sbagliate. Ho provato a fare ricerche di tornei di tennis a Panama, ma è come cercare un ago in un pagliaio. In ogni caso non ho trovato articoli che menzionino Davidson o una vincita. Davidson però a Panama c’è stato davvero, la scorsa estate, ad agosto, ho verificato.”


“Quindi, potrebbe realmente aver partecipato a questo fantomatico torneo. Oppure potrebbe essere solo una copertura per un altro tipo di viaggio.”


“Che intendete dire?” domandò Calogiuri, confuso, prima di aggiungere, “pensate al traffico di droga?”

 

“O al traffico di qualcosa - a Panama gira di tutto Calogiuri - ma in quel caso mi pare strano che ti mandino un bonifico e non trovino altri modi di farti avere soldi dai… clienti finali qui in Italia. O magari il viaggio è stato organizzato per qualche altro scopo e per creare una copertura a Davidson per il compenso che avrebbe ricevuto in seguito. Dobbiamo scoprire cosa ha fatto a Panama, anche se sarà molto difficile. O se qualcuna delle altre persone coinvolte in questo caso ha legami con Panama. Dobbiamo controllare i movimenti bancari della famiglia Tantalo e di Lombardi. E gli spostamenti ad agosto, sia loro, sia degli altri coinvolti in questo caso.”

 

“D’accordo, dottoressa. Con Davidson volete che ci vada a parlare ora? O volete venire anche voi?” offrì, con un tono stranamente più neutro di quello usato negli ultimi giorni, senza quella nota sprezzante latente.


Forse le scuse del giorno prima erano servite a qualcosa, anche se in quel momento si pentiva amaramente di avergliele fatte.

 

Altro che le scuse si meritava!

 

“No, Calogiuri, meglio andarci una volta che abbiamo più informazioni. Non voglio rischiare che si accorga troppo presto di essere indagato e di bruciarci l’effetto sorpresa. E, in ogni caso, vorrei che ti accomodassi, perché dobbiamo parlare.”

 

“E di cosa, dottoressa?” le domandò, confuso, prendendo però posto come gli era stato chiesto, sebbene notò un lampo di disagio e un’espressione quasi di dolore passargli negli occhi.

 

Si chiese se stesse pensando anche lui all’ultima volta nella quale, in quella stessa posizione, gli aveva detto che dovevano parlare e poi… e poi lo aveva lasciato andare.

 

Ma non perché iniziasse a comportarsi come una specie di assatanato!

 

“Senti, Calogiuri,” esordì, alzandosi in piedi, per darsi il vantaggio dell’altezza, sporgendosi in avanti sulla scrivania “mi vuoi spiegare a che gioco stai giocando?”

 

“In che senso?”

 

“In che senso? Nel senso che… che meno male che ero io quella che non sapeva ciò che voleva!” proclamò, sarcastica, bloccandolo con un cenno della mano, prima che ribattesse o si alzasse in piedi, “per carità, ho esagerato ieri, è vero, e mi sono pure scusata ma… ma tu ti stai comportando in un modo che… che non è da te, Calogiuri. Matarazzo mi ha detto che l'hai già piantata per un’altra: mi è toccato pure consolarla nel bagno delle donne mentre piangeva disperata per colpa tua!”

 

“Io… mi dispiace io…” provò a balbettare, l’aria mortificata che, invece, almeno per un attimo, sembrava di nuovo quella del timido ragazzo di Grottaminarda.

 

Peccato che di quel ragazzo fosse rimasta giusto quella.

 

“Non devi dispiacerti per me o per Matarazzo, ma per te, Calogiuri! Ma ti rendi conto che Matarazzo è una collega, che tu le sei superiore in grado e di che cosa ti può capitare se decide di fartela pagare e denunciarti? Di che succede alle tue prospettive di carriera se ti fai una certa nomea?” esclamò, girando intorno alla scrivania per poggiarsi allo schienale dell’altra sedia, posta di fronte a lui e aggiungere, dopo un sospiro, perché il solo pronunciare quelle parole le faceva malissimo, “per carità… è vero, tu sei libero di andare con chi vuoi. Ma… se… se proprio vuoi darti alla pazza gioia e saltare da una donna all’altra, proprio con una che lavora qui lo dovevi fare?”

 

“Ma certo che me ne rendo conto!” ribattè, deciso, sebbene sembrasse ancora un po’, imbarazzato, contravvenendo all’ordine e tirandosi a sua volta in piedi, “me ne rendo conto eccome, ma non-”

 

“E quindi immagino e spero che questa… nuova fiamma per cui hai lasciato Matarazzo non stia in procura?” lo interruppe, trattenendo il fiato, sia perché sarebbe stato uno scandalo tremendo, sia perché la sola idea di trovarselo di nuovo avvinghiato a qualcuna tra le mura della procura… non ci poteva nemmeno pensare!

 

“Mi dispiace deluderti ma sta proprio qui in procura,” la gelò, con un tono ed uno sguardo strani, che non avrebbe saputo definire, ma che la mandarono lo stesso in bestia.

 

“Ah, ma bene! E meno male che te ne rendevi conto! Ma che cos’è? Una ripicca nei miei confronti, eh? O vuoi completare l’album di figurine?”

 

“Non è una ripicca e non voglio completare nessun album, anche se sei stata proprio tu a insistere perché lo comprassi, l’album.”

 

“E chi sarebbe questa? Un’altra della PG?”

 

“No, non è-"

 

“Allora è un magistrato? La D’Antonio?!” esclamò, dandosi della scema e realizzando improvvisamente che tutto tornava: la cara collega che se lo portava sempre dietro ed insisteva in ogni modo perché lui si dedicasse ai suoi casi, le pause pranzo allungate….

 

Come aveva fatto ad ignorare i segnali, quando aveva fatto lo stesso pure lei fino a qualche settimana prima?

 

“No, non è la D’Antonio. Ma non capisci che-”

 

“Ma gli altri magistrati sono tutti uomini!” lo interruppe, scioccata, un flash davanti agli occhi di Calogiuri che si baciava con Diodato.

 

“Ma mi vuoi far parlare?! Sei tu! Sei sempre e solo tu! Lo vuoi capire?!” esplose lui, sporgendosi a sua volta ed affrontandola dall’altro lato della sedia, lo schienale a fare da barriera tra di loro.

 

“Come?!”

 

“Quella sera con Matarazzo… avevo bevuto troppo, ero a stomaco vuoto e… e non è una giustificazione ma… ma mi sono fatto prendere… non lo so… dalla rabbia da… da tante cose. E ho sbagliato. Ma… ma quando me ne sono reso conto, ormai quello che era fatto era fatto. E così ho cercato di… di tagliare subito, appena possibile, per non prenderla in giro. E che le potevo dire? Che con lei non ho provato niente? Che mi sono fatto schifo da solo? Le ho detto la cosa più sincera che mi fosse possibile dirle e cioè che… che sono innamorato di un’altra persona,” ammise in quello che era poco più di un sussurro, abbassando lo sguardo, per poi rialzarlo e trafiggerla con due occhi carichi di talmente tanto amore, rimpianto, rabbia e dolore da farle quasi cedere le gambe, non fosse stato per la presa che ancora teneva sulla sedia.

 

Non aveva mai ammesso esplicitamente di essere innamorato di lei, mai, anche se… glielo aveva detto e dimostrato soprattutto, in altri mille modi.

 

Sentì gli occhi farsi caldi, bruciare, il viso bollente, mentre le lacrime le scesero sulle guance, senza poterlo evitare, in un misto di dolore, senso di colpa, sollievo e am-

 

“Sarai contenta adesso…” sussurrò di nuovo lui, scuotendo il capo, due lacrime che gli sfuggirono di rimando dagli occhi, prima di proseguire, a voce più alta “o forse sarai dispiaciuta, di non esserti ancora liberata di me! Se potessi… se potessi strapparti dal cuore, lo farei ma-”

 

Si rese conto solo quando sentì una tremenda scossa elettrica ed il calore familiare di due labbra sulle sue, di aver girato intorno alla sedia, avergli preso il viso tra le mani ed averlo baciato, come la scema che era.

 

Lui rimase per un attimo immobile, scioccato, e poi rispose al bacio, con passione, con disperazione, a tratti quasi con rabbia, mentre sbandavano e finivano addosso al tavolo vicino alla porta, i faldoni che le pungevano la schiena, ma non sentiva dolore, sentiva solo passione, felicità e sollievo. Il sollievo incredibile di sapere che Calogiuri non era impazzito, che era sempre il suo Calogiuri, quello buono, gentile, di cui si era in-

 

Il sollievo di sentirsi di nuovo… di nuovo a casa.

 

E poi, di colpo, non sentì più niente, se non freddo, anzi, un gelo improvviso, quando quel contatto venne reciso bruscamente.


Aprì gli occhi e se lo trovò davanti, ansimante, gli occhi pieni di lacrime, che la guardava in un modo talmente intenso che le gambe le cedettero del tutto e dovette appoggiarsi al tavolo per non finire a terra.

 

“Perché?” le sfuggì dalle labbra, non riuscendo a completare la frase, a dire altro, la voce che pareva fatta di catrame, ma la domanda era chiara.

 

Perché ti sei fermato?

 

“Perché ti voglio da impazzire, ma non così, e non voglio solo questo da te, lo capisci? Non sono un giocattolo che prendi, e molli e riprendi come e quando pare a te!” esclamò, rabbioso e disperato, le lacrime che gli cadevano dagli occhi e dalle guance sul maglione e sul pavimento, un’espressione che le causò un dolore tremendo al centro del petto ed un altrettanto tremendo senso di colpa.

 

“Questo non puoi dirlo, Calogiuri, perché non l’ho mai pensato, mai!” proclamò di rimando, non potendo evitare di alzare la voce, né di appoggiargli una mano sul petto e sollevare l’altra per accarezzargli il viso, sentendolo irrigidirsi ma non ritrarsi, “forse… forse ho sbagliato a baciarti ora, ma… ma lo capisci che se sto facendo tutto quello che sto facendo, anche… anche questi errori, è perché ti- perché a te ci tengo davvero?”

 

“E allora hai uno strano modo di dimostrarlo! E sei tu che devi capire cosa vuoi. Perché io sono sempre lo stesso e voglio sempre la stessa identica cosa. Te. Ma se devo… se devo averti solo così, forse preferisco non avere niente, perché non… non mi basta più e questa è l’unica cosa sulla quale avevi ragione,” ammise con un sorriso amaro, poggiando per un attimo la sua mano su quella di lei, prima di fare un passo indietro, staccarsi del tutto e, dopo un’ultima occhiata devastante, sparire oltre la porta.

 

Imma rimase completamente paralizzata, senza fiato, il cuore che le esplodeva nel petto più forte che mai prima, superando perfino il dolore ed il senso di colpa.


E, non avrebbe saputo dire bene il perché ma, nonostante l’essere stata respinta non fosse certo piacevole, una parte di lei non era mai stata orgogliosa di lui come in quel momento.

 

Né si era mai sentita tanto amata.




 

Nota dell’autrice: Come avete visto, in questo capitolo alcuni nodi hanno iniziato a venire al pettine ma… siamo ancora all’inizio delle montagne russe ;).
Vi ringrazio di cuore per tutte le rassicurazioni che mi avete dato per il capitolo precedente sul quale, come sapete, ero parecchio in apprensione. Spero davvero che la storia continuerà a mantenersi di vostro gradimento, con tutti i colpi di scena che si succederanno nei prossimi capitoli, che saranno un po’ agrodolci, ma alla fine vi garantisco che il dolce tornerà più preponderante. Se vorrete lasciarmi una recensione vi ringrazio tantissimo fin da ora perché, mai come per questi capitoli, mi è utile per capire come sta andando l’evoluzione psicologica dei personaggi, se risulti sempre credibile o meno, e se la lettura si mantenga sempre interessante, pur tra tutti gli alti e bassi.
Il prossimo capitolo arriverà puntuale tra una settimana, sempre di domenica, il 26 per precisione.
Grazie mille ancora!

   
 
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