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Autore: CreationStories    19/01/2020    0 recensioni
Tratto dalla storia!
Non era facile, non era bello... Era uno squarcio che ancora duoleva.
Scintilla raggiunse la riva ignara che Aberu si fosse alzato per fermarla. L'acqua gelida, a contatto con la pelle, fu una frustata in pieno petto, con la riva che bagnava i piedi. E lui, che dispiaciuto le si era avvicinato per implorarla di non inzupparsi oltre, fu inghiottito da uno sguardo fermo, dalle lacrime che ne presero possesso.
«Stavo per uccidere mio fratello.»Disse distrutta, lasciandolo fermo e immobile come una lastra di ghiaccio che attendeva di essere raschiata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prologo
 
Volare...
Volare significa sentirsi liberi, leggeri da qualsiasi altra cosa, viaggiare in terre lontane. Volare significa andare e tornare quando si ha voglia: ci fa sognare, lasciare il segno da qualche parte.
Dall'alto si possono scrutare cose che dal basso si ignorano. 
Per farlo basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare vento, che ci scompiglia tutto dentro. Tutto si osserva in silenzio, per alleggerirci, ma soprattutto si resta in ascolto del proprio io interiore, quello che la paura sopraffae e che spesso viene ignorato perché ci soffoca. Non gli viene dato valore, finché non prende possesso dei sensi e allora non resta altra scelta che ascoltare ciò che ha da dirci quando tutto intorno è silenzioso. 
Per volare occorrono poche cose, forse una soltanto: il coraggio. Si manifesta nei battiti del cuore. Sembra di scendere in picchiata con le ali spiegate, che ci librano nell'aria per condurci ovunque vogliamo andare. Il corpo si lascia trasportare mentre l'anima si imperla di lacrime perché sa che lassù niente potrà ostacolarci, nulla potrà ferirci. 
Ma a volte è solo una stupida illusione prima che il male spezza il volo e si finisce rasi al suolo, coi sensi distratti dai cacciatori in agguato, pronti a ferire. Attraverso l'biettivo scrutano la vittima, raggelano i propri sentimenti e si preparano all'attacco. Le mani scivolano lungo le armi sino a fermarsi sui grilletti. Mettono a tacere il cuore, trattengono l'aria e... SPAM! 
La preda ferita cade e finisce al suolo. In quell'attimo è impotente, cerca di trovare una soluzione ma sa che è troppo tardi: non volerà più.
«Può sempre esserci una seconda opportunità, tu non credi, Scintilla?»
Scintilla Fujita, nata nella Prefattura di Miyagi, in Giappone, e cresciuta ad Ashbury, nel Regno Unito, aveva magnifici boccoli castano chiaro e gli occhi blu zaffiro, che cambiavano sfumatura a seconda della luce del giorno. Un mare di lentiggini sul naso, ereditati dalla mamma, la rendevano sbarazzina e più ribelle di quanto fosse. 
La sua famiglia si era trasferita nel Regno Unito prima della nascita del primogenito perché suo padre aveva acquistato un vasto parco di divertimenti, da sempre il suo sogno. Era nata prematura di due mesi, affetta da crisi nervose e messa in incubatrice per tre settimane per mancanza d'ossigeno; i medici dissero che non sarebbe sopravvissuta. 
A sua madre fu detto che non poteva avere figli a causa di un incidente stradale: un'auto le aveva tagliato la strada, spazzandola via dalla sella della bici che nella caduta le danneggiò varie parti del corpo. Quando scoprì di essere incinta di Scintilla, i medici le consigliarono di abortire perché rischiava la vita, ma Michel, il primogenito, si infervorò al punto da prendersi cura di sua madre ogni giorno pur di non spezzare quella piccola vita che stava nascendo in lei: aveva sempre voluto qualcuno con cui scherzare e condividere le sue giornate.
Michel aveva tanti amici, per scherzo aveva partecipato ad un provino ed era diventato un attore famoso in tutto il mondo. Ma nessuno di loro era all'altezza di un fratello o una sorella, perché con la metà del tuo sangue puoi condividerci cose che con gli altri non puoi fare, in quanto solo un legame profondo può suggellare anche il più orrido segreto. Al che si prese cura anche della sorellina quando fu dimessa dall'ospedale, comportandosi come fosse lui stesso suo padre; di avere una ragazza non gli importò nulla allora né adesso: era stato fidanzato per tre anni, ma furono solo tempi di menzogne.
Rachel era una tipa un po' strana, sempre col sorriso sulle labbra e con atteggiamenti da civettuola che a Scintilla non erano mai piaciuti. Più volte aveva detto al fratello di aprire gli occhi, e quando lo aveva fatto era stato troppo tardi: gli aveva portato via tempo, denaro per regali costosi e i sentimenti, che sigillò in fondo al cuore finché non sarebbe stato pronto a ricominciare. Ma lo aveva già fatto alla grande, visto che si consolava con incontri da una notte e via, lasciando Scintilla basita ma felice di vederlo al settimo cielo. 
Ma era successo qualcosa. Qualcosa che aveva rotto il loro equilibrio...
«A cosa servono altre opportunità, se la prima è andata male?»Fu la fredda risposta della ragazza. 
«Serve per ricominciare... e uscirne più forti.»
«Con le ali fratturate non si può essere più forti. E se sono spezzate, non si può neanche più volare!»
«Basta volerlo per guarire.»La zittì il terapeuta. «Parlami di quel giorno. Parlami della tua caduta.»
Ricordare quel giorno... quella caduta... il corpo che si ribaltò al suolo quasi spezzandole l'osso del collo... e quel sorriso... NO!
Scintilla abbandonò la poltrona per girovagare in giro per lo studio, una normale stanza con moquette scura e mobili in legno chiaro. Si aggrappò ai bordi della scrivania, poggiò un piede sulle staffe della sedia e volse uno sguardo cruento al terapeuta, seduto sul sofà e concentrato a scrutare i suoi movimenti. 
Era un bell'uomo, col corpo massiccio e dalle fossette sul volto coperte da una folta barba. I suoi occhi verde terra erano magnetici, la sua espressione apatica, e fu dinanzi ad essa che Scintilla sorrise, abbandonando la scrivania e scorrendo le dita tra i libri impilati in una piccola libreria posta nell'angolo della parete bianca. Ma tutto era noioso.
Poi udì qualcosa... Era un treno. Quel pendolare che prendeva tutte le mattine per andare a pattinare, per allenarsi, per volare come una farfalla. E di nuovo la caduta si impossessò del suo sguardo... quel sorriso... l'osso del collo dolente... Gli occhi si riempirono di lacrime, le mani trepidarono, i sensi di nuovo andarono via e... disastro completo!
Scintilla gettò all'aria alcuni libri, prese a calci la libreria e si avvicinò alla finestra per lasciarsi accarezzare dall'aria, per abbandonarsi ai singhiozzi, per liberarsi da quel tremolio che indusse nei suoi ricordi il male che aveva fatto a suo fratello.
«Io non volevo...»Singhiozzò. «Non volevo fargli del male.»
Il dottor Watson la raggiunse. Le poggiò con delicatezza una mano sulla spalla e la costrinse a voltarsi, avvolgendola nelle proprie braccia e sussurrandole che non era niente, che non doveva rammaricarsi: i brutti momenti capitavano a chiunque, le disse, bisognava solo trovare il coraggio per andare avanti senza ferire gli altri. Adesso lei era solo spaventata, confusa e non sapeva dove andare. Aveva bisogno di fare chiarezza, di ascoltare la vocina nel suo cuore, e quando avrebbe sentito che era il momento per darle voce in capitolo allora gli avrebbe raccontato tutto.
Ma Scintilla non fece ritorno per raccontare...
«Non ha... detto altro?»Domandò Michel.
Era andato dal terapeuta di sua sorella perché non aveva visto grandi miglioramenti in lei: non sorrideva mai, era sempre chiusa in camera, mangiava poco... A volte aveva l'impressione che lo stesse ignorando, come se la sua presenza la infastidisse...
«È solo dispiaciuta per il male che ti ha fatto.»Gli disse il dottore. «Nella sua testa è convinta che tu non le voglia più bene. La ragione le fa credere che tra voi qualcosa è cambiato e che tu non sarai più lo stesso con lei. Non riesce a parlarti perché vive ancora quel momento pur facendoti credere che è passato... Lo rivive nel tuo sguardo quando la guardi disperato.»
«Come posso aiutarla?»
«Lasciala libera. Non tenerla chiusa in casa, non starle costantemente col fiato sul collo: ha bisogno di ritrovarsi. Così come stai facendo peggiori solo le cose.»
Liberarla... No!
«Non posso farlo!»
Come sua sorella, Michel s'aggrappò alla scrivania del dottor Watson per cercare di sopprimere le lacrime, ma queste sfuggirono al suo controllo e lo lasciarono distrutto: non poteva lasciarla libera, non poteva farle fare del male...
Il dottor Watson gli poggiò una mano sulla schiena, lo guardò attentamente negli occhi e solo allora ebbe modo di osservarlo meglio: aveva un grazioso viso col mento leggermente bucherellato. Gli zigomi separavano le guance lisce dal piccolo naso sopra la bocca sottile e leggermente piena nel labbri inferiore. I capelli castani erano come quelli di sua sorella e lo sguardo cioccolato era avvolto dalla tristezza. 
«Michel, quanto bene vuoi a tua sorella?»
«Più di quanto possono valere le mie parole.»
«Sai cosa mi ha detto? Per un po' è riuscita a sorridere.»Gli disse il terapeuta. «Mi ha detto che sei stato tu a prenderti cura di lei, facendoti carico dei suoi sogni, della sua crescita... Col tempo sei diventato più di un fratello, e queste cose non dovrei neanche dirtele per segreto professionale.»
«Ho combattuto contro mia madre pur di farla venire al mondo.»Sorrise Michel.
«Allora dalle fiducia: aprile la gabbia e lasciala assaporare l'aria. Solo così potrà riacquisire il coraggio di spiegare le sue ali come un tempo. Perché non sono spezzate come afferma e come vuole farci credere, devono solo guarire. Nulla più.»
Guarire...
A Michel venne in mente una preghiera indiana che lesse girovagando per il Web: Amami ma non fermare le mie ali, se vorrò volare. Non chiudermi in gabbia per la paura di perdermi. Amami con l'umile certezza del tuo Amore ed io non andrò via. E se sarai con me, io ti insegnerò a volare... e tu mi insegnerai a restare.
Fu tornando a casa che vide qualcosa per liberare sua sorella e tentare l'ultima strada per guarirle le ali. 
   
 
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